Storia della letteratura italiana/Giuseppe Parini

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Indice del libro

Al centro della lirica, della poesia didascalica e satirica del Settecento c'è la figura di Giuseppe Parini. Influenzato dall'Illuminismo che si diffonde in questo secolo a Milano, il poeta è autore di testi satirici e di grande impegno civile, nei quali attacca le ipocrisie e i costumi dell'epoca.

La vita[modifica]

Monumento a Giuseppe Parini a Milano.

Giuseppe Parino, che cambierà in seguito il cognome in Parini, nasce il 23 maggio 1729 in Brianza, a Bosisio presso il lago di Pusiano, da Francesco Maria Parino, modesto commerciante di seta, e da Angiola Maria Caspani, sorella del curato di un paese vicino. Quella del poeta è una numerosa famiglia di estrazione popolare e i genitori, non potendo permettersi di mantenere il figlio agli studi, lo affidano, a dieci anni, alle cure di una prozia che abita a Milano, dove Giuseppe è iscritto alle classi inferiori delle Scuole di Sant'Alessandro, o Scuole Arcimbolde, gestite dai padri barnabiti.

Nel 1741 la prozia lascia in eredità al nipote dodicenne una modesta rendita annua sui beni immobiliari, a condizione che diveninga sacerdote. Il giovane, che è debole di salute e desidera continuare gli studi, si avvia così al sacerdozio (prenderà i voti nel 1754) e prosegue gli studi senza grande profitto, come risulta dai registri della scuola che nell'anno 1749-1750 così riportano: «Parinus Joseph: ut plurimum abfuit, subdole per aliquot dies interfuit; litteris testimonialibus habitis, abfuit perpetuo». Gli scarsi risultati negli studi sono dovuti sia al fatto che, a causa delle difficoltà economiche, il giovane è costretto a dare lezioni private e a copiare carte per vari studi legali, ma soprattutto a una sua spiccata insofferenza verso i metodi rigidi e antiquati d'insegnamento. Degli anni trascorsi in quella scuola conservatrice anche se prestigiosa, della quale sono allievi anche Pietro Verri e Cesare Beccaria, gli rimangono più che altro le letture personali dei classici greci e latini, come Anacreonte, Virgilio, Orazio e quella degli scrittori italiani, Dante, Ariosto, oltre ai poeti del Settecento.

Terminate le scuole nel 1752, grazie a una maggiore, anche se modesta, sicurezza economica dovuta alla rendita della prozia (che aveva ottenuto nel 1751 in seguito a una causa con l'esecutore testamentario, Antonio Rigola), il giovane chierico pubblica una prima raccolta di rime, dal titolo Alcune poesie di Ripano Eupilino (Ripano è l'anagramma di Parino, Eupili è il nome latino del lago di Pusiano: Parino da Eupili) sotto forma di novantaquattro componimenti di carattere sacro, profano, amoroso, pastorale e satirico, che risentono della sua prima formazione culturale e soprattutto dello spirito bernesco. Da questi versi semplici e non encomiastici si riscontra l'immagine di un giovane ancora socialmente e intellettualmente isolato che non conosce i dibattiti dell'ambiente lombardo ma che è ancora rivolto all'ambito dell'Accademia dell'Arcadia e del classicismo cinquecentesco.

Grazie però a una certa fama acquisita con questa raccolta, Parini è accolto nel 1753 nell'Accademia dei Trasformati che si raduna in casa del conte Giuseppe Maria Imbonati ed èa formata dal meglio dei rappresentanti della cultura milanese, dove trova amici e protettori. Dopo aver ricevuto a Lodi l'ordinazione sacerdotale, il 14 giugno del 1754, le risorse economiche piuttosto scarse lo costringono ad accettare l'aiuto dell'abate Soresi che lo sostiene nell'entrare al servizio del duca Gabrio Serbelloni come ripetitore del figlio Gian Galeazzo. Il servizio a casa Serbelloni dura dal 1754 fino al 1762 e, pur non dandogli la sicurezza economica, lo mette a contatto con persone di elevata condizione sociale e di idee aperte, a partire dalla duchessa Vittoria che legge Rousseau e Buffon, al padre Soresi che sostiene con ardore le riforme in campo scolastico, al medico di casa, Giuseppe Cicognini (in seguito direttore della facoltà di medicina di Milano) che sostienea il dovere morale ad allargare le cure anche a coloro che per pregiudizio hanno mali considerati degni di colpa.

Intanto in casa Serbelloni Parini osserva la vita della nobiltà in tutti i suoi aspetti e ha modo di assorbire e rielaborare alcune nuove idee che arrivano dalla Francia di Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Condillac e dell'Encyclopédie, che influenzano gli scritti di questo periodo, come per esempio il Dialogo sopra la nobiltà (1757), le odi La vita rustica (che sarà pubblicata solamente nel 1790 nelle Rime degli arcadi con lo pseudonimo di Darisbo Eliconio), La salubrità dell'aria (1759), che come la precedente affronta l'opposizione città-campagna ma con uno stile completamente nuovo, e La impostura (1761). Sempre in questo periodo scrive, per i Trasformati, una polemica letteraria contro i Pregiudizi delle umane lettere (1756) del padre Alessandro Bandiera con il titolo Due lettere intorno al libro intitolato "I pregiudizi delle umane lettere" e nel 1760 una nuova polemica letteraria contro i Dialoghi della lingua toscana del padre barnabita Onofrio Branda.

Nell'ottobre del 1762, per aver difeso la figlia del compositore e maestro di musica Giovanni Battista Sammartini che era stata schiaffeggiata dalla duchessa in uno scatto d'ira, è licenziato e, abbandonata casa Serbelloni, viene presto accolto dagli Imbonati come precettore del giovane Carlo, al quale il poeta dedicherà, nel 1764, l'ode L'educazione. Nel marzo del 1763, incoraggiato dagli amici del gruppo dell'Accademia e dal conte Firmian, pubblica anonimo presso lo stampatore milanese Agnelli il Mattino, che otterrà accoglienza favorevole dalla critica e soprattutto dal Baretti che, nel primo numero della rivista La frusta letteraria, uscito il 1° ottobre del 1763, dedica una critica positiva all'opera.

Nel 1765 esce, ancora anonimo, il secondo poemetto, il Mezzogiorno, che ottenne dai critici un giudizio positivo, tranne che da Pietro Verri sul Caffè. I due poemetti, con la loro satira della nobiltà decaduta e corrotta, richiamano l'attenzione su Parini e nel 1766 il ministro Du Tillot lo chiama per ricoprire la cattedra di eloquenza presso l'università di Parma, incarico che egli rifiuta nella speranza di poter ottenere una cattedra a Milano. Nel 1768 la fama acquisita gli procura la protezione del governo di Maria Teresa, rappresentato in Lombardia dal conte Carlo Giuseppe de Firmian il quale, intuendo le sue potenzialità poetiche, lo nomina nel 1768 poeta ufficiale del Regio Ducale Teatro ed è incaricato di adattare per la scena lirica la tragedia Alceste di Ranieri de' Calzabigi. Nello stesso anno il conte gli affida la direzione della Gazzetta di Milano, organo ufficiale del governo austriaco, e nel 1769 la cattedra di eloquenza e belle arti presso le Scuole Palatine, cattedra che conserva fino al 1773, con il titolo di "principi generali di belle lettere applicati alle belle arti", anche quando quelle scuole si trasformarono nel Regio Ginnasio di Brera.

Tra il 1770 e il 1771 Parini scrive le opere teatrali Amorosa incostanza e Iside salvata, in occasione di due cerimonie di corte, e l'opera pastorale Ascanio in Alba per le nozze dell'arciduca Ferdinando d'Austria con Maria Beatrice d'Este, che verrà successivamente musicata da Mozart (opera K 111) e rappresentata per la prima volta al Ducale di Milano il 17 ottobre 1771. Traduce dal francese la tragedia Mitridate re del Ponto (Mithridate nell'originale) di Racine, che Mozart aveva musicato precedentemente - sulla base del libretto ricavato da Vittorio Amedeo Cigna-Santi - ricavandone l'opera omonima K87 rappresentata per la prima (e forse unica) volta sempre a Milano il 26 dicembre 1770. Nel 1771 traduce, in collaborazione con alcuni "Accademici trasformati", tra cui Verri, una parte del poemetto La Colombiade pubblicato da Anne Marie Du Boccage. Nel 1774 fa parte di una commissione istituita per proporre un piano di riforma delle scuole inferiori e dei libri di testo; intanto si dedica alla composizione del Giorno e delle Odi.

Nel 1776 gli è attribuita una pensione annua dal papa Pio VI ed è nominato ordinario della Società patriottica istituita da Maria Teresa per l'incremento dell'agricoltura. Con il nome di Darisbo Elidonio entra nel 1777 a far parte dell'Arcadia di Roma proseguendo intanto nella composizione delle odi: La laurea (1777), Le nozze (1777), Brindisi (1778), La caduta, In morte del maestro Sacchini, Al consigliere barone De Marini (1783-1784), Il pericolo (1787), La magistratura (1788), Il dono (1789). Nel 1791 Parini è nominato Soprintendente delle Scuole pubbliche di Brera e scrive l'ode La gratitudine. Nello stesso anno sono pubblicate ventidue odi con il titolo Odi dell'abate Parini già divolgate. Le ultime due parti del Giorno, il Vespro e la Notte, pur risultando promesse in una lettera al Boldoni, saranno invece pubblicate postume.

Tra il 1793 e il 1796 ospite del suo amico marchese Febo D'Adda scrive altre odi (Il messaggio, Alla Musa, Musica) e quando i francesi di Napoleone occupano Milano, seppure con riluttanza, entra a far parte della Municipalità per tre mesi, rappresentando, insieme a Verri, la tendenza più moderata. Presto smette di partecipare alle assemblee della Municipalità e poco dopo è destituito dalla carica. Come appare nel frammento dell'ode A Delia, scritta tra il 1798 e il 1799, il poeta è avverso alla guerra e alla violenza e rifiuta la richiesta di una "ragguardevole donna" che vuole da lui un'esaltazione poetica delle vittorie francesi perché non può cantare "i tristi eroi" e "la terra lorda / di gransangue plebeo".

Il poeta si spegne nella sua abitazione di Brera il 15 agosto 1799, a pochi mesi di distanza dall'ingresso degli austro-russi a Milano, dopo aver dettato il famoso sonetto Predàro i filistei l'arca di Dio, nel quale condanna duramente i francesi, ma allo stesso tempo lancia un severo ammonimento agli austriaci, pur salutandone il loro ritorno.

La poetica[modifica]

Monumento a Parini. Brera, Milano

Parini è un intellettuale lontano dal cosmopolitismo che aveva caratterizzato gli illuministi, e si dimostra piuttosto legato agli schemi classici tipici della letteratura cinquecentesca. Il suo classicismo non si limita tuttavia agli aspetti formali, ma mira all'analisi della realta e presenta una forte tensione morale. Si pone quindi come «poeta civile», impegnato a diffondere nella società una moderata razionalità. Secondo Parini, infatti, la filosofia moderna era strumento per recuperare la razionalità della natura, e nella sua ideologia fondeva elementi illuministici con valori della tradizione classica.[1] Il suo giudizio sulla società, e la nobiltà in particolare, è però influenzato dalla sua condizione di povero sacerdote e letterato subalterno, che lo indusse a sviluppare una amara coscienza delle differenze tra le parti sociali. Ai modelli dati dalla nobiltà a lui contemporanea, Parini oppone i valori provenienti dalla classicità, come la laboriosità, la serverità, l'eroismo. A questi si aggiunge l'invito a perseguire il bene comune così da avere un ruolo sociale positivo. Con gli anni si accentuerà questa visione positiva della nobiltà, grazie soprattutto all'esempio di alcuni aristocratici da lui frequentati.[2]

Per Parini, la poesia e la tradizione classica sono le uniche forme che consentono una vita sociale razionale e vicina alla natura.[3] Spirito didattico e satirico si fondono in un delicato equilibrio: per questo motivo mirava a forme espressive pacate e sapienti, che unissero sdegno e ironia. La lingua utilizzata ha un fondo letterario-tradizionale, a cui si affiancano termini scientifici o lontani dal linguaggio poetico consueto, così da suggerire sensazioni vivaci.[4]

Le Odi[modifica]

Parini compone le sue Odi in diverse fasi della sua attività poetica, tra la fine degli anni cinquanta e il 1795. Ciascuna di esse fu inizialmente pubblicata separatamente, e solo nel 1791 uscì una raccolta di ventidue odi «già divolgate». A queste seguì una seconda racconta accrescita nel 1795 e una terza, a cura di Reina, nel 1801. Nella loro composizione sono distinguibili tre fasi:

  • una prima (dagli anni cinquanta agli anni settanta), dominata da questioni come il benessere sociale, analizzato alla luce del moralismo di Parini;
  • una seconda, iniziata con La laurea del 1777, caratterizzata da tematiche educative;
  • una terza, iniziata alla fine degli anni ottanta, che potrebbe essere definita neoclassica e si concentra sulla nobiltà spirituale e la coscienza della dignità del poeta.

In generale, le odi rappresentano il punto di riferimento per poeti come Leopardi, Foscolo, Manzoni. Le strofe sono costituite da versi brevi, il più delle volte settenari, mentre la struttuta sintattica delle frasi è spesso composta e difficile. Il ritmo latineggiante descrive le cose in modo netto e definito, sottoposti a un io che si presenta ben saldo nella sua coscienza morale. In generale, le Odi trasmettono l'immagine del poeta come voce educatrice, cioè colui che indica i valori positivi e gli aspetti negativi della realtà.[5]

Le prime odi[modifica]

Nelle odi tra gli anni cinquanta e sessanta, l'adesione di Parini a un Illuminismo moderato lo porta a scrivere opere impegnate di polemica civile. Risalgono a questo periodo odi dedicate a temi molto dibattuti all'epoca, come La vita rustica (1757), La salubrità dell'aria (1759-1760), L'impostura (1760), L'educazione (1764), Sull'innesto del vaiolo (1765), Il bisogno (1766), Sull'evirazione dei cantori (1769). La poetica di Parini di questi anni sembra proporsi di unire l'utile alla bella poesia, laddove però per "utile" si intendono precetti pratici precisi, adatti ai tempi perché nati come risposta a problemi reali.

La poesia di Parini mantiene forti legami con l'Arcadia e con la tradizione italiana. Tuttavia, risentendo anche del sensismo, utilizza una lingua viva che gli consente di descrivere con realismo fatti moderni. Seguendo questo principio, è riuscito a scrivere alcune delle pagine più alte della lirica italiana del Settecento.[6]

Le odi tra gli anni settanta e ottanta[modifica]

Negli otto anni che seguono l'ode Sull'evirazione dei cantori Parini non scrive niente. Riprende a comporre nel 1777, quando scrive La laurea, a cui seguono Il brindisi e Le nozze (1777-1778), La recita dei versi (1783-1784). Con la morte di Maria Teresa e l'avvento di Giuseppe II, gli intellettuali milanesi si allontanano sempre più dalle politiche della corona austriaca. Parini stesso conserva alcuni caratteri ripresi dall'Illuminismo, come l'egualitarismo o l'aspirazione a una letteratura civile, ma prende le distanze dall'ideale di una monarchia illuminata. Questo basta a spiegare il momento di pausa conosciuto dal poeta in questi anni.[7]

Le ultime odi[modifica]

Parini conosce una seconda fase di fecondità poetica a partire dal 1784, quando compone La caduta. Tra le numerose odi di questo periodo, le più famose sono Il pericolo, Il dono, Il messaggio, Sul vestire alla ghigliottina e Alla musa. Abbandonate le satire di argomento sociale, Parini affronta ora temi come la malinconia, la superbia, la commozione verso il bello e il buono. Come scrive Petronio, il poeta è attento «a cogliere quanto accade dintorno, ma più attento ancora ad accoglierne e assorbirne gli echi dentro di sé, per costruire, attraverso l'idealizzazione di sé, un modello universalmente umano».[8]

Il Giorno[modifica]

Milano, Scuole Palatine

Il Giorno è l'opera più importante di Parini, alla quale lavora per svariati anni fino alla morte, lasciandola incompiuta. Come accennato in precedenza, in vita il poeta pubblica solo i due poemetti del Mattino (1763) e del Mezzogiorno (1765). Il progetto iniziale prevedeva un terzo poemetto, La Sera, ma presto matura la decisione di un poema in endecasillabi intitolato appunto Il Giorno e composto da quattro parti: Il Mattino, Il Meriggio, Il Vespro, La Notte. I primi due poemetti saranno quindi rimaneggiati, e la parte finale del Mezzogiorno confluirà nella prima parte del Vespro (la più breve e meno elaborata). La Notte è abbandonata negli ultimi anni, e di questa rimangono 673 versi oltre a vari appunti.[3]

Il poema è stampato postumo nel 1801 a cura di Francesco Reina, allievo di Parini, il quale era intervenuto in maniera arbitraria sui manoscritti originali. Solo con l'edizione critica di Dante Isella (1969) è stato possibile risolvere alcuni dei problemi filologici legati all'opera, distinguendo i testi dei due poemetti pubblicati separatamente da quelli presenti sui manoscritti. Il Mattino è inoltre preceduto da una dedica in prosa intitolata Alla Moda: l'obiettivo dell'intero poema è infatti descrivere la vita alla moda di un «giovin signore», del quale Parini finge di essere un «Precettore d'amabil rito» che lo istruisce su come organizzare la propria giornata. L'intento ironico dell'opera è evidente nel tono eroico utilizzato per raccontare la vita frivola del protagonista, così come palese è l'intento morale dell'autore che si lancia contro la degenerazione dell'aristocrazia dell'epoca.[9]

Il Mattino e Il Mezzogiorno[modifica]

Considerando le travagliate fasi che hanno segnato il suo sviluppo, non si può dire che Il Giorno sia un'opera organica. Al suo interno se ne possono distinguere due parti, a seconda del momento in cui sono state scritte: Il Mattino e Il Mezzogiorno sono contemporanei delle prime odi, mentre Il Vespro e La Notte risalgono a un momento più tardo dell'attività di Parini e condividono l'orizzonte delle ultime odi.

Nel Mattino e nel Mezzogiorno Parini segue la giornata del suo «giovin signore», mettendo alla berlina alcuni aspetti che caratterizzavano la vita della nobiltà milanese del Settecento. Viene così dipinta in modo satirico la pratica del cicisbeismo, cioè l'abitudine delle dame di farsi accompagnare in varie occasioni pubbliche e mondane da un cavalier servente, il cicisbeo. Questo avveniva con il benestare del marito, che a sua volta poteva essere impegnato a fare da cicisbeo a un'altra dama che non era sua moglie, senza che ve ne fosse scandalo. Parini lo critica, mostrando i danni che questo comportamento ha nella vita della famiglia e nell'educazione dei figli. In generale si scaglia contro l'inutilità di un classe dirigente che vive a spese altrui e che consuma senza produrre.

Nelle prime due parti è evidente l'atteggiamento ideologico di Parini nei confronti dell'Illuminismo: ne respinge le punte più avanzate (il culto della scienza, la concezione democratica della cultura, il valore della divulgazione scientifica), accettandone solo alcuni aspetti ed esaltando la cultura tradizionale italiana. Su un punto però partecipa alle lotte degli illuministi, ovvero l'uguaglianza di nascita. Non è una polemica astratta, ma storicamente contestualizzata, che lo portava a criticare l'aristocrazia per sostenere una nuova classe sociale che si stava allora affermando, la borghesia. Dietro il lusso della società nobiliare Parini mostra scene crudeli legate all'attualità del periodo, come le conquiste militari del Perù e del Messico o i mendicanti che assipano le case degli aristocratici attirati dagli odori della cucina.

Qui si mostra anche l'intento riformista di Parini, secondo il quale era possibile eliminare i mali della società attraverso un'illuminata azione di governo. La riforma sarebbe stata condotta, secondo le sue intenzioni, da una nuova classe di agricoltori e artigiani operosi, insieme a un'aristocrazia spirituale, capace di apprezzare i valori della cultura e dell'arte.[10]

Il Vespro e La Notte[modifica]

I fermenti sociali che caratterizzano la prima stesura del Mattino e del Mezzogiorno sono quasi assenti dall'ultima revisione del poema apportata da Parini e dalle ultime due parti, Il Vespro e La Notte. Seguendo il giovin signore e la sua dama nel corso del pomeriggio, della sera e della notte, Parini non indaga più le ragioni sociali di certe pratiche, ma si limita a criticarle da un punto di vista morale.

Il Vespro in particolare incorpora due passi inizialmente previsti nel Mezzogiorno. La Notte è invece incompiuta, anche se tra le carte di Parini furono trovati appunti di nuovi episodi e alcuni versi già pronti. Prosegue la satira verso lo stile di vita della nobiltà, che viene portata avanti con ironia, utilizzando toni altisonanti per descrivere comportamenti banali e da poco. Talvolta arriva a proporre paragoni tra la vita agiata dei nobili e le ristrettezze in cui avevano vissuto i loro antenati, altre volte si abbandona a un autentico sdegno morale. Nella sua seconda redazione, Il Giorno diventa quindi satira di costume, portata avanti anche con toni aspri.

Anche lo stile varia, e nelle ultime due parti c'è una maggiore raffinatezza formale, e Parini ricorre a espressioni classicheggianti, latinismi, perifrasi dotte per descrivere oggetti comuni.[11]

Note[modifica]

  1. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 513.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 514.
  3. 3,0 3,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 515.
  4. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1970, pp. 528-529.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 520-521.
  6. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1970, pp. 524-525.
  7. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1970, pp. 530-531.
  8. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1970, p. 533.
  9. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 516-517.
  10. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1970, pp. 526-528.
  11. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1970, pp. 531-533.