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Storia della letteratura italiana/Paolo Rolli

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Storia della letteratura italiana

Insieme a Pietro Mestasio, Paolo Rolli fu tra i principali autori di libretti per melodramma del XVIII secolo.

Paolo Rolli

Paolo Rolli nasce a Roma nel 1687. È allievo di Giovanni Vincenzo Gravina, come Pietro Metastasio: l'impronta del maestro è sensibile nell'imitazione diretta soprattutto di Orazio e Catullo, ma anche di Tibullo e Properzio, negli esperimenti di metrica barbara, nelle traduzioni di Virgilio ed Anacreonte, e nelle numerose edizioni di classici che appronterà durante il suo soggiorno inglese (Lucrezio, di cui il Rolli farà stampare per la prima volta la versione, inedita in italia, di Alessandro Marchetti, Senofonte Efesio, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, Battista Guarini ecc.). Legge con profitto Della perfetta poesia di Ludovico Antonio Muratori nello studio di Giambattista Felice Zappi, e imita uno dei primissimi arcadi come Alessandro Guidi nelle canzoni Musa, che il giovenil mio cuore accendi (1711) e Del genio di cantar le lode altrui (1716); ma soprattutto, come ha dimostrato Carlo Calcaterra, la sua vena aggraziata e festosa, particolarmente notevole nelle rime galanti e mondane, si rifà alla poesia melica del tardo XVII secolo, in specie a quella di Francesco De Lemene.

Arcade col nome di Eulibio Discepolo, con lo scisma del 1711, seguìto allo scontro tra Giovanni Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni, seguirà il maestro, affiliandosi (1714) all'Accademia dei Quirini. Essa prospera all'ombra del primo dittatore perpetuo, il fiorentino cardinale Lorenzo Corsini, poi papa col nome di Clemente XII, che ospita gli accademici (impegnati in quello che chiamano l'agonale, cioè il luogo in cui convengono per recitare) d'inverno nel proprio palazzo cittadino, e d'estate nella propria villa.

Trasferitosi a Londra tra la fine del 1715 e l'inizio del 1716 vi risiede per ventinove anni scrivendo libretti per i principali musicisti attivi nella capitale. Compone una dozzina di libretti per Nicola Porpora (tra cui Davide e Bersabea, e un oratorio), Giovanni Bononcini (Astarto; Crispo; Griselda; Erminia) e almeno cinque per la musica di Georg Friedrich Händel (Floridante, 1721; Scipione, 1726; Alessandro; Riccardo I re d'Inghilterra, 1727; Deidamia, 1741, quest'ultimo il più drammaticamente efficace; ad essi forse dev'essere aggiunto il Sosarme; oltre ai melodrammi, il genio di Halle intonò almeno 3 cantate del Rolli). Si aggiungano anche una Penelope per Baldassarre Galuppi, un Partenio e una Rosalinda (da Come vi piace di William Shakespeare) per Francesco Maria Veracini, un Alfonso e un Alceste per Giovanni Battista Lampugnani.

Comunque sia, nonostante il lavoro di librettista gli riuscisse odioso (ma era molto redditizio: nell'ultimo periodo percepiva 300 sterline per un libretto), avrebbe scritto altri libretti anche tornato in Italia, come quello di un Teti e Peleo, del 1749, verosimilmente mai musicato e tra i suoi poeticamente più felici. Nella quasi totalità dei casi si tratta di opere rimaneggiate da altri autori, in maniera assai pesante ma non tale da segnare un miglioramento rispetto ai modelli, né in senso poetico né, men che meno, in senso drammatico: l'azione è fiacca e involuta, la ricerca di ritmi originali è spesso infelice, le immagini sono generalmente poco aggraziate. Tutti limiti che Händel non mancò di rilevare piuttosto impietosamente.

Nel 1744, in un clima assai mutato, dopo numerose polemiche con vari letterati inglesi e in un'atmosfera sempre meno conciliante con tutto quanto proviene dall'Italia (in specie il melodramma, contro cui Addison sullo Spectator e Arbuthnot conducono da anni pesanti campagne denigratorie), il Rolli torna in patria, stabilendosi definitivamente nella città materna, Todi, dove, ricco e soddisfatto, attende alla correzione e alla stampa definitiva delle sue opere. Muore a Todi nel 1765.

Pubblicò un volume di Rime (Londra, 1717), molto fortunato, e due libri di Canzonette e cantate (Londra, 1727). La parte più viva della sua opera è contenuta negli Endecasillabi (una sezione delle Rime) e nelle Canzonette. Tra queste ebbe fortuna sterminata La neve è alla montagna, imitata in seguito da Giovanni Battista Casti e da molti altri. Pubblicò tutta la sua opera nei tre volumi dei suoi Poetici componimenti (1753). Tradusse inoltre in italiano Il paradiso perduto di Milton (1729-1735) e le Odi di Anacreonte (1739). Paolo Rolli tentò inoltre di trasporre nella versificazione italiana l'endecasillabo falecio della metrica classica, unendo un quinario sdrucciolo con un quinario doppio. Questo tipo di endecasillabo infatti è detto endecasillabo rolliano.

Carlo Calcaterra (1926) così ne rileva la più specifica cifra stilistica:

« In altre parole il Rolli fu poeta. Senza dubbio ha anch'egli la sua zavorra: l'oda La Poesia è un'esercitazione accademica sermoneggiante e donoccolata; l'oda Al Conte di Galasso è priva di qualsiasi ispirazione; l'oda Ad Alessandro Polwarth vorrebbe essere un pezzo di bravura ed è plumbea fatica; nell'oda Al Passionei egli vorrebbe apparir vate magnifico con la zimarra di Febo, e fa sonante retorica; nella canzone Per la nascita dell'Arciduca d'Austria (1716), come i chiabreristi e i guidiani, si atteggia a emulo di Pindaro e finge di parlar con gli Dei e con le Muse, e quanto più alza la voce, tanto più soffoca nella declamazione; altre sue odi vorrebbero essere oraziane nelle movenze e nelle forme e non ci toccano, perché prive di qualsiasi intimo fuoco. Così dicasi della maggior parte de' sonetti e delle Tudertine e de' suoi melodrammi: sentesi l'artefice laborioso, non l'animo che detta. Ma negli Endecasillabi ha alcuni tocchi vivi e delicatissimi.[1] »

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  1. Pietro Rolli, Liriche, con un saggio su La melica italiana dalla seconda metà del Cinquecento al Rolli e al Metastasio e note di Carlo Calcaterra. UTET, Torino 1926