Storia della letteratura italiana/Letteratura nell'Italia unita
Nel periodo compreso tra la seconda metà dell'Ottocento e l'inizio del XX secolo si assiste, a livello internazionale, all'espansione della società borghese. Questo processo, con un certo ritardo, interessa anche l'Italia degli anni settanta e ottanta, sulla quale l'industrializzazione avrà effetti dirompenti. Gli Stati europei danno vita a veri e propri imperi attraverso cui controllare le colonie, mentre nella società si diffonde l'idea che con il lavoro si possa estendere indefinitamente il benessere e la civiltà, liberando gli uomini dai condizionamenti della natura.[1]
Tra Destra e Sinistra storica
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Il regno d'Italia nacque ufficialmente nel 1861 e nel 1870, con la breccia di Porta Pia, Roma fu conquistata e dichiarata capitale. La Destra storica, composta principalmente dall'alta borghesia e dai proprietari terrieri, formò il nuovo governo, che ebbe come primi obiettivi il completamento dell'unificazione nazionale, la costruzione del nuovo Stato (per il quale si scelse un modello centralista) e il risanamento finanziario mediante nuove tasse che produssero scontento popolare e accentuarono il brigantaggio, represso con la forza.
In politica estera, la Destra storica mantenne la tradizionale alleanza con la Francia, anche se le due nazioni si scontrarono su diverse questioni, prime fra tutte l'annessione del Veneto e la presa di Roma.
Nel 1876 il governo, presieduto da Marco Minghetti, venne esautorato per la prima volta non per autorità regia, bensì dal parlamento (rivoluzione parlamentare). Ebbe così inizio l'età della Sinistra storica, guidata da Agostino Depretis. Finiva un'epoca: nel 1878 Vittorio Emanuele II morì e gli succedette Umberto I.
La Sinistra abbandonò l'obiettivo del pareggio di bilancio e avviò delle politiche di democratizzazione e ammodernamento del paese, investendo nell'istruzione pubblica, allargando il suffragio e avviando una politica protezionistica di investimenti in infrastrutture e sviluppo dell'industria nazionale coll'intervento diretto dello Stato nell'economia.
Per ciò che concerne la politica estera Depretis abbandonò l'alleanza con Parigi, in seguito alla conquista francese della Tunisia. L'Italia entrò quindi nella Triplice Alleanza, insieme a Germania e Impero austro-ungarico. Depretis favorì lo sviluppo del colonialismo italiano, innanzitutto con l'occupazione di Massaua in Eritrea.
L'epidemia di colera del 1884-1885 aveva mietuto in Italia quasi 18 000 vittime. Francesco Crispi, appena ottenne la guida del governo, istituì al Ministero dell'Interno la Direzione di sanità pubblica, coinvolgendo per la prima volta i medici nel processo decisionale. Una specifica legge del 1888, inoltre, trasformò il Consiglio superiore di sanità in un organo di medici specialisti anziché di amministratori, e creò la figura del medico provinciale. La norma stabilì il principio che lo Stato era responsabile della salute dei suoi cittadini.
La rivoluzione industriale
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Nella seconda metà dell'Ottocento la crescita del capitalismo e dell'industria è resa possibile dalle innovazioni produttive introdotte dalla seconda rivoluzione industriale. Attraverso le colonie, le potenze europee allargano i propri mercati fino a renderli globali, e lo scambio di merci finisce per creare condizionamenti e omogeneizzazioni tra i diversi paesi. Lo sviluppo industriale, inoltre, comporta rapide modificazioni che riguardano vari aspetti, compreso il paesaggio, e consente di raggiungere luoghi un tempo inaccessibili.[2]
A rendere possibile tutto questo è la collaborazione tra industria e ricerca scientifica. Nascono in questi anni nuovi mezzi di comunicazione (il telegrafo elettrico, il telefono, la radio) e di trasporto (il motore a scoppio e l'automobile, l'aeroplano). Queste invenzioni non sarebbero però state possibili senza le importanti scoperte nel campo della chimica, come la lavorazione della gomma e del petrolio, e l'elettricità. A partire dagli anni trenta conosce ampia diffusione la fotografia, e alla fine del secolo i fratelli Lumiere inventano il cinema, che nei primi anni del Novecento inizierà a produrre spettacoli destinati a un pubblico di massa.[3]
La rivoluzione industriale incide notevolmente sulla vita delle persone. Le città si allargano fino a diventare metropoli e diventano centri di attrazione economica, grazie alla grande varietà di merci che vi è possibile trovare. Viene inoltre organizzata una complessa rete di servizi e scambi, in cui il cittadino è parte di una massa. Nella seconda metà dell'Ottocento il benessere favorisce anche una revisione del ruolo della donna: le borghesi, sebbene escluse dalla politica e dal mondo del lavoro, possono ora affacciarsi alla cultura e all'educazione. Già alla fine del secolo si svolgono le prime manifestazioni femministe, tra cui le più importante sono quelle che si tengono in Inghilterra per l'estensione del voto alle donne.[4] Si afferma inoltre il socialismo, che trova terreno fertile tra gli operai delle fabbriche. Della questione operaia si occuperà anche la Chiesa cattolica, con la pubblicazione nel 1891 della Rerum Novarum di Leone XIII, la prima enciclica sociale.
Tendenze culturali in Europa
[modifica | modifica sorgente]Sebbene fosse ancora diffusa una sensibilità di tipo romantico, la cultura della seconda metà dell'Ottocento non può più dirsi «romantica», dominata com'è dalla nuova corrente del positivismo. In Italia, l'unificazione del paese pone varie questioni politiche, a cominciare dall'omogeneizzazione linguistica e dalla diffusione della lingua nazionale: questo sarà possibile grazie all'estensione della scuola elementare obbligatoria (con la legge Casati, in vigore dal 1861), un provvedimento reso necessario anche dall'alta percentuale di analfabeti. In ambito letterario, invece, forte è l'influenza di correnti come il simbolismo e il naturalismo. Nella seconda metà dell'Ottocento si affermerà inoltre un nuovo termine, decadentismo, per indicare la discontinuità con la produzione artistica precedente.
Positivismo
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Il positivismo sostiene lo sviluppo delle scienze naturali e di quelle esatte, e dà voce a una cieca fiducia nel progresso. Tuttavia, diversamente dagli illuministi, per i positivisti il progresso si commisura non alla ragione, ma ai fatti e ai dati ottenuti dalla realtà fisica. Particolare importanza avrà l'evoluzionismo darwiniano, che sarà utilizzato come schema interpretativo della realtà: le realtà storiche vengono considerate alla strenua di organismi che si trasformano secondo leggi stabili, e questa concezione finisce per influenzare anche la nascente sociologia, sorta all'inizio del secolo.[5]
L'espansione economica e industriale, lo sviluppo della scienza e della tecnica, l'accesso di fette della popolazione all'istruzione sono tutti fattori che diffondono nella società europea un sentimento di ottimismo verso le potenzialità dell'uomo – un entusiasmo che si traduce nel culto della scienza e nella nascita di una nuova figura mitica, quella dello scienziato, a cui si affiancano l'ingegnere, il medico, il capitano d'industria, il maestro (in quanto artefice della diffusione della cultura e apostolo di una religione laica[6]). A queste figure dedicano spazio e attenzione autori come Jules Verne, Émile Zola, Edmondo De Amicis.[7] La scienza diventa l'unica possibile fonte di conoscenza della realtà, oltre che l'unico strumento in grado di dominarla, e il suo metodo deve essere applicato a tutti i campi del sapere, compresi gli aspetti spirituali e sociali.[8]
Non mancano tuttavia correnti filosofiche che prendono le distanze dal positivismo, prospettando una critica dei valori borghesi e ponendo l'attenzione su elementi che sfuggono al controllo fattuale. Tra queste la più importante è il materialismo storico sviluppato da Karl Marx e Friedrich Engels a partire da una critica interna all'idealismo hegeliano. Che poi i fenomeni sociali non potessero essere spiegati in chiave puramente evoluzionistica è avvertito anche da intellettuali come Max Weber e dal padre della psicanalisi Sigmund Freud, che studierà il campo dell'irrazionale e dell'inconscio. Negli stessi anni, infine, si collocano il pensiero di Friedrich Nietzsche e Henri Bergson.[9]
Anche tra gli scrittori italiani le tesi positiviste non furono accettate in modo univoco. Un esempio è quello di Giosuè Carducci, che se da un lato dimostra una cieca fiducia nella forza del progresso (si pensi all'Inno a Satana o all'ode Alle fonti del Clitumno), dall'altra si mantiene fedele ad alcuni principi romantici, dimostrando paura verso la mediocrità dell'era presente, la caduta degli ideali, la bruttezza. Una simile ambivalenza è riscontrabile anche tra gli scapigliati, che si propongono come cantori del vero e della modernità, ma allo stesso tempo esprimono nostalgia per il passato e orrore per il progresso scientifico. Un terzo esempio è Giovanni Verga, il principale rappresentante del verismo: in lui sopravvivono l'anticapitalismo e l'antimodernismo romantici, che si manifestano nella concezione del mondo contadino come sede di valori arcaici e genuini, ma la sua opera risente anche dell'influenza naturalistica (v. oltre), che lo porta a studiare i meccanismi sociali riscontrabili in tutti i ceti.[8]
Naturalismo
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Una corrente letteraria che dalla Francia ha vasta eco in tutta Europa è il naturalismo, che risente della filosofia positivista. Gli autori di questa corrente ritenevano che la letteratura dovesse essere una continuazione e un completamento della scienza, e dovesse quindi studiare l'uomo «naturale», sottoposto alle leggi chimico-fisiche e all'influenza dell'ambiente. Il naturalismo nasce dalle teorie del filosofo Hippolyte Taine, conosciuto fin dagli anni cinquanta per il suo rigoroso determinismo materialistico. Secondo Taine l'uomo è il risultato di tre elementi: fattore ereditario («razza»), ambiente sociale, momento storico. Questi ne determinano la psicologia e il comportamento, tanto che persino le virtù e i vizi possono essere scissi e analizzati così come avviene per i composti chimici.[10]
L'opera d'arte viene considerata come un pezzo di vita, che deve essere sezionato e studiato scientificamente. Il romanzo diventa un'inchiesta sull'uomo e sulla natura umana. Gli scrittori naturalisti compongono interi cicli di romanzi, nei quali analizzano il comportamento di esponenti di tutte le classi sociali, dalle più alte alle più basse. Le descrizioni dei personaggi sono minute, e vengono prese in esame anche la condizione economica e le tare familiari, così da formulare una psicologia basata su presupposti scientifici. Lo stesso Taine, in un saggio del 1858, indicherà in Balzac un modello, poiché nella Commedia umana delinea con precisione scientifica la società francese nell'età della Restaurazione. Altri autori realisti che vengono presi come riferimenti sono Gustave Flaubert, per la sua teoria dell'impersonalità (lo scrittore nel romanzo viene paragonato a Dio nella creazione, lo si deve sentire ovunque ma deve restare invisibile), e i fratelli Edmond e Jules De Goncourt, che nelle loro opere svolgono un'attenta e minuziosa documentazione della realtà sociale dei ceti inferiori (si pensi alla celebre Germinie Lacerteux, del 1865).[11]
Tutte le teorie naturalistiche trovano però una sistemazione compiuta nell'opera di Émile Zola. Nel volume Il romanzo sperimentale (1880) lo scrittore sostiene che il metodo sperimentale delle scienze, dopo essere stato applicato agli oggetti inanimati e agli esseri viventi, deve ora essere utilizzato per studiare gli aspetti spirituali che caratterizzano la vita degli esseri umani. In quest'ottica, compito del romanziere è quello di svolgere un'indagine scientifica per scoprire quali leggi regolano il comportamento umano, utilizzando poi il romanzo per esporre al pubblico il resoconto dei propri esperimenti (da qui la formula di «romanzo sperimentale»). Il romanzo diventa quindi lo strumento attraverso cui l'uomo conosce e impara a controllare i propri meccanismi psicologici, così come la scienza e la tecnica gli hanno dato il dominio sulla realtà fisica, e i primi due principi motori della vita passionale e intellettuale vengono individuati nell'eredità biologica e nell'influenza dell'ambiente sociale. In questo modo, la letteratura aiuta economisti e politici a migliorare le condizioni sociali, evidenziandone le storture così che possano essere eliminate.[12]
Queste teorie prendono corpo nell'opera più importante di Zola, il ciclo dei Rougon-Macquart, venti romanzi pubblicati tra il 1871 e il 1893 nei quali rappresenta la successione degli accidenti nervosi e delle patologie che generazione dopo generazione segnano i membri della famiglia Rougon-Macquart. Nella sua opera trova spazio l'analisi di tutti gli ambienti e i ceti sociali, di cui viene data una rappresentazione il più precisa possibile, che nasce da uno scrupoloso lavoro di documentazione. Da questo scaturisce anche la crudezza con cui vengono descritti i ceti più popolari, particolare che destò scandalo nel pubblico dell'epoca ma che, allo stesso tempo, gli conferì fama e ricchezza. Bisogna d'altra parte sottolineare che anche in Zola permangono elementi lirici di ascendenza romantica, e in alcuni romanzi ricorre a temi che saranno largamente sfruttati dagli autori del decadentismo.[13]
Il naturalismo francese influenzerà enormemente la produzione letteraria italiana, e in particolare gli autori della Scapigliatura e del verismo.
Simbolismo
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Simbolismo. |
Nel 1857, lo stesso anno in cui viene pubblicato Madame Bovary di Flaubert, compare anche una raccolta poetica destinata a generare scandalo, al punto di subire processi: Les fleurs du mal (I fiori del male) di Charles Baudelaire. L'originale intreccio di vita e poesia espresso dalla poetica baudelairiana influenzerà la stagione del decadentismo, che caratterizzerà la produzione letteraria europea tra la metà del XIX e i primi anni del XX secolo.
Fenomeni come l'espansione borghese, la nascita di nuovi orizzonti culturali e il riassorbimento dell'arte all'interno del mercato trovano infatti resistenza da parte degli intellettuali, soprattutto nei paesi economicamente e tecnologicamente più avanzati: da ciò nasce una frattura tra intellettuali e società, in cui l'artista si colloca in una posizione separata dal mondo, rivendicando la purezza della propria ricerca artistica, che viene contrapposta alla mediocrità borghese. L'artista assume quindi un ruolo sacerdotale, in quanto portavoce di valori sommi, e a questo scopo sceglie di seguire stili di vita irregolari (definiti bohémien) per scandalizzare i borghesi. Da qui nasce la figura dell'artista maudit, "maledetto", che si dedica a esperienze sempre più autodistruttive. Questo spirito negativo conserva elementi provenienti dal Romanticismo; tuttavia, come si vedrà in seguito, il decadentismo presenta una componente di novità che va oltre la cultura romantica, rompendo con la tradizione occidentale fino a portarla al limite.[14]
Come si è detto, Baudelaire sarà il punto di riferimento per questo tipo di esperienze letterarie, a cominciare dal simbolismo. Questo dalla Francia si estenderà a tutta l'Europa, cercando di svincolare la poesia dalle convenzioni e concentrandosi sull'uso di simboli e analogie, attraverso i quali sondare il fondo segreto della realtà, alla ricerca dei legami tra le cose. Per i simbolisti, la natura è solcata da segrete corrispondenze tra i suoi elementi, e la poesia ne ricerca le tracce e gli echi. Da qui nasce la tendenza a utilizzare espressioni difficili e oscure, mentre la poesia diventa sempre più parola astratta, lontana dalla realtà esterna. Viene segnato anche il distacco dalla metrica tradizionale, con l'affermazione del verso libero. Tra i principali autori simbolisti ci sono Jean-Arthur Rimbaud, Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé.[15]
In Italia l'esperienza del "maledettismo" verrà ripresa dalla scapigliatura milanese. Il simbolismo inoltre influenzerà vari autori, da Pascoli all'ermetismo degli anni trenta del Novecento. È poi da ricordare l'esperienza solitaria di Gian Pietro Lucini (Milano, 30 settembre 1867 – Breglia, 13 luglio 1914), poeta e critico letterario, autore di una teoria del simbolo visto come occasione per liberare l'uomo e consentirgli di realizzare tutte le sue potenzialità (una posizione che per certi versi anticipa il futurismo).[16]
Intellettuali e cultura nell'Italia post-unitaria
[modifica | modifica sorgente]All'unità politica segue il riassetto delle istituzioni culturali. Molti intellettuali vengono coinvolti nella vita politica della nazione, mentre la cultura si diffonde sempre nella società, grazie alla creazione di un'ampia rete scolastica e alla riorganizzazione delle università. Gli atenei, in particolare, consentono a molti intellettuali di sostenersi dedicandosi all'attività di studio e ricerca: tra questi ci sono filosofi, scienziati, critici letterari ma anche poeti come Carducci e Pascoli. Vengono poi inaugurati gli Archivi di Stato per la raccolta della documentazione storica, sono riorganizzate le biblioteche e infine viene dato sostegno ad accademie e organismi di ricerca che rappresentano un punto di incontro per gli intellettuali.[17]
Nonostante gli sforzi, l'unità culturale del paese è ancora ben lontana. Si diffonde anche in Italia la figura dell'intellettuale appartato, lontano dalla società e dagli usi borghesi, che si dedicava esclusivamente all'attività artistica. Non mancano tuttavia autori che, al contrario, accettano la nuova situazione e si impegnano per conquistare il pubblico borghese. Da un lato, alcuni si pongono come interpreti dei valori medi borghesi, sostenendo severi modelli morali e nazionali; dall'altro, ci sono però autori che puntano a scandalizzare il pubblico con gesti provocatori, così da attirare l'attenzione su di sé.[18]
Romanzi d'appendice
Anche l'editoria, con l'allargamento del pubblico all'intera penisola e la caduta delle barriere doganali, conosce delle trasformazioni. Se all'inizio dell'Ottocento non era ancora possibile distinguere la figura dell'editore da quella dello stampatore e del libraio, a partire dalla metà del secolo prende piede una nuova immagine di editore: quella di un imprenditore che si confronta con gli scrittori e con i gusti del pubblico per mettere a punto progetti culturali di ampio respiro, portati avanti grazie al lavoro di una redazione interna alla casa editrice.[19] Di conseguenza, anche gli autori devono ora confrontarsi con le richieste di un pubblico e di un mercato più ampi (ma pur sempre circoscritto, a causa dell'alto tasso di analfabetismo). Per promuovere i libri si iniziano a utilizzare anche iniziative pubblicitarie.
Acquistano maggiore rilievo la stampa quotidiana e i periodici, sulle cui pagine vengono pubblicati i cosiddetti romanzi d'appendice, un genere narrativo che raggiungerà un alto numero di lettori. Il pubblico medio dell'epoca è rappresentato dalla borghesia colta e da piccoli intellettuali borghesi, ma esiste anche una nascente letteratura "popolare" che si rivolge al proletariato operaio. Sempre più importanza ha poi il pubblico femminile. Intellettuali e scrittori collaborano attivamente con quotidiani e riviste, soprattutto per quanto riguarda la terza pagina, destinata a temi culturali. Il giornalismo italiano della prima metà dell'Ottocento infatti non aveva ancora l'importanza e la diffusione raggiunte in Francia e Gran Bretagna a partire dal Settecento: spesso in Italia le testate nascevano dall'iniziativa di singoli intellettuali e avevano una vita effimera. Anche le forme della moderna letteratura europea, come il romanzo, seppur richiesti dal pubblico, per lunga parte del secolo avevano incontrato l'ostilità dei letterati ancora legati alla tradizione.[20]
La situazione sarebbe mutata negli ultimi decenni del secolo, dopo l'unità d'Italia. A larghi strati della popolazione vengono offerti libri di autori contemporanei italiani e stranieri, dai romanzi di consumo alle opere dei maggiori scrittori del periodo, oltre a classici e manuali.[21] In questo contesto, Milano assurge a capitale italiana dell'editoria, mentre Roma diventa il centro di vari stimoli culturali provenienti da tutta la penisola.[22][23] In questo periodo iniziano la loro attività alcuni editori destinati ad avere un ruolo nella storia della letteratura italiana, come i Fratelli Treves (casa editrice fondata a Milano nel 1861), Sonzogno (anch'essa fondata nel 1861), Salani (fondata a Milano nel 1862), Bietti (avviata a Milano nel 1870), Perino (nata a Roma nel 1876). Tra i quotidiani nati in questi decenni il più importanza è il Corriere della Sera, fondato a Milano nel 1876, a cui si affianca, dal gennaio 1899, la pubblicazione del settimanale illustrato La Domenica del Corriere.[24]
L'unificazione linguistica rappresenta una sfida per il nuovo Stato, sul cui territorio sopravvivono secolari differenze regionali. L'italiano all'epoca era utilizzato solo dalla burocrazia e in molti casi solo come lingua scritta, mentre l'analfabetismo nel 1861 interessava il 70% della popolazione. Quest'ultimo dato era però destinato a calare, di pari passo con la diffusione dell'istruzione pubblica, lo sviluppo industriale, il miglioramento delle condizioni di vita: nel 1911 il tasso di analfabetismo era sceso al 40%.[25] Il sistema scolastico rispecchiava però la società dell'epoca. Pochissimi proseguivano gli studi oltre la formazione elementare fino a ottenere un diploma, la dispersione scolastica era altissima e solo un'élite di allievi provenienti dai licei riusciva a raggiungere la laurea, andando a comporre la classe dirigente del paese. A questo si aggiunge, alla fine del secolo, il fenomeno della disoccupazione intellettuale: molti giovani diplomati e laureati rimangono senza lavoro a causa dell'arretratezza del sistema produttivo, che non è in grado di assorbire questa tipologia di forza lavoro. Come conseguenza, molti giovani borghesi finiscono per avvicinarsi al socialismo, come forma di protesta sociale.[26] Negli ultimi decenni dell'Ottocento prosegue inoltre il dibattito relativo alla questione della lingua, come si è già visto nel modulo precedente.
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 743.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 744.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 745.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 746.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 750-751.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 725.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 5.
- ↑ 8,0 8,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 6.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 752-754.
- ↑ Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 732.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 39-40.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 40.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 41.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 764-765.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 766-767.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 861.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 757.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 758.
- ↑ Alberto Cadioli e Giuliano Vigini, Storia dell'editoria italiana dall'unità ad oggi, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, p. 13.
- ↑ Alberto Cadioli e Giuliano Vigini, Storia dell'editoria italiana dall'unità ad oggi, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, p. 14.
- ↑ Alberto Cadioli e Giuliano Vigini, Storia dell'editoria italiana dall'unità ad oggi, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, p. 27-28.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 762-763.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 8.
- ↑ Alberto Cadioli e Giuliano Vigini, Storia dell'editoria italiana dall'unità ad oggi, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, pp. 25-28.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 759-760.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 9.