Storia della letteratura italiana/Decadentismo

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Gli ultimi decenni del XIX secolo furono un periodo di crisi. Nonostante il trionfo del positivismo e la diffusione del liberalismo borghese, in tutta Europa serpeggiarono movimenti che portarono allo sgretolamento delle idee alla base della società liberale: in molti stati si diffusero sentimenti nazionalisti, che allontanarono il mito dell'Europa solidale di età romantica e i progetti politici di creare una comunità degli stati Uniti d'Europa.[1] La fede nella democrazia e nella libertà vennero progressivamente meno, lasciando spazio a politiche di violenza, all'esaltazione della forza e della guerra. Parallelamente si incrinò la fiducia positivista nella scienza, e sempre più si cercò un accordo tra scienza e religione. Furono questi gli anni in cui si sviluppò il decadentismo.[2]

Origine del termine[modifica]

Paul Verlaine

Il termine "decadentismo" deriva dal francese décadent, utilizzato dalla critica ufficiale per riferirsi in tono sprezzante alla nuova generazione dei poeti maledetti che davano scandalo incitando al rifiuto della morale borghese e conducendo una vita sregolata, da bohemien. Gli autori decadenti, tuttavia, accettarono questa definizione e ne rovesciarono il significato, facendone la bandiera di un privilegio spirituale. Tra gli intellettuali dell'avanguardia culturale era infatti diffusa l'idea di trovarsi di fronte a una svolta epocale, che avrebbe portato alla fine della civiltà. Il paragone più utilizzato era con l'ultima fase dell'Impero romano: una civiltà morente è in grado di generare opere di rara finezza ed eleganza.[3]

Questo tema della decadenza sociale e della crisi dei valori con forti risvolti esistenziali fu ripreso da un gruppo di scrittori, che nel 1886 intitolarono provocatoriamente una rivista con il nome di Le Décadent, diretta da Anatole Baju. Già altre riviste, tuttavia avevano dato voce a questa nuova corrente, come per esempio Lutèce, Revue Wagnérienne (dedicata al compositore Richard Wagner, uno dei principali punti di riferimento per gli artisti dell'epoca), La Dècadence artistique e littéraire. Proprio su Lutèce nel 1883 il poeta Paul Verlaine pubblicò Poètes maudits ("poeti maledetti"), una serie dedicata a poeti come Tristan Corbière, Stéphane Mallarmé e Jean-Arthur Rimbaud. A questo si aggiunse, nel 1884, il romanzo À rebours (Controcorrente) di Joris-Karl Huysmans, che fissò i codici per i gusti e il comportamento decadenti.[3]

Con "decadentismo" si indicava, all'inizio, un movimento letterario nato nella Parigi di fine Ottocento. Tuttavia, siccome al suo interno vi erano altre correnti che poi avrebbero conosciuto uno sviluppo autonomo, la storiografia letteraria italiana ha utilizzato questo termine per riferirsi all'intera corrente che ha segnato la cultura europea tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Alcuni critici si sono spinti oltre, e lo hanno impiegato per definire un arco temporale ben più ampio, che comprende anche il Novecento. In generale, sotto l'etichetta di decadentismo vengono quindi riuniti correnti ed espressioni artistiche molto diverse tra di loro, ma è anche possibile individuare dei caratteri comuni.[4]

Il contesto storico: l'imperialismo[modifica]

Agli inizi degli anni ottanta e novanta del XIX secolo era diffuso in Francia un senso di disfacimento e termine di una civiltà; si avvertiva un prossimo crollo, un cambiamento epocale. I poeti esprimevano lo smarrimento della coscienza e la crisi dei valori di fine Ottocento che erano stati sconvolti dall'avvento del positivismo, dalla rivoluzione industriale e da un progressivo scatenarsi degli imperialismi. In questo periodo l'uomo si sente in contrasto con la società che lo circonda, insensibile e distaccata di fronte alle sue esigenze. La prima causa è lo sviluppo dell'imperialismo, cioè la volontà delle grandi potenze europee (come la Francia, l'Inghilterra, la Germania ecc.) di estendere sempre più i propri possedimenti attraverso un imponente sviluppo industriale e bellico, che portò alla conquista di colonie in Asia ed in Africa, paesi capaci di fornire mano d'opera e materie prime a basso costo.

Ciò è visto come missione di civiltà verso popoli barbari e primitivi ma che nascondeva nelle grandi potenze una forte volontà espansionistica e concorrenziale. Le borghesie europee, che nel corso dell'Ottocento avevano combattuto all'interno dei loro stati per il trionfo degli ideali nati dalla rivoluzione francese, voltano le spalle alle masse popolari, disattendendo così ai principi di liberté, egalité e fraternité. Ottenuto il potere in accordo con i sovrani regnanti, la borghesia, depositaria dell'economia, cura i propri interessi e conduce un tipo di vita perbenista e conformista ed è insensibile verso il popolo. Nascono così le prime "questioni sociali", i sindacati (per tutelare i doveri ed i diritti del lavoratore) e le lotte proletarie fra capitale e lavoro dipendente. L'intellettuale, portavoce della crisi popolare, si chiude così in se stesso, ricercando l'individualismo, l'egoismo e l'alibi per non affrontare una realtà grigia e senza stimoli, pressoché incomunicabile.

Il crollo del positivismo[modifica]

Beata Beatrix di Dante Gabriel Rossetti (1864-1870)

Il positivismo si era rivelato sostanzialmente incapace di dare risposte soddisfacenti all'uomo nelle sue esigenze estetiche e di gusto, essendo le scoperte scientifiche "sentite" da molti quasi come un segno di limitazione. L'uomo tende infatti ad interrogarsi su di sé, sui suoi bisogni, sui suoi desideri, assai più di quanto si occupi della realtà fisica o naturale, perché incapaci di coinvolgere più di tanto sentimenti e aspirazioni. Gli interrogativi degli uomini in generale, concernenti più il loro mondo e i loro prodotti che la realtà extra-umana, percepiscono la scienza come relativamente estranea ai loro bisogni. Tutte le risposte (anche esistenziali) che l'uomo cercava attraverso la scienza non furono trovate o risultarono poco convincenti. La scienza dovette ammettere i suoi limiti, come per i fenomeni naturali, che non era propriamente in grado di spiegare, ma solamente di classificare e categorizzare. Le nuove teorie, come quella della fisica quantistica (principio di indeterminazione di Heisenberg) ammisero la casualità, la probabilità e l'improbabilità, la definizione matematica e l'inesattezza come realtà di cui prendere coscienza. La relatività di Einstein rivoluzionò la fisica tradizionale mostrando come i fenomeni siano basati su indeterminatezza e relatività, dipendendo dal luogo in cui ci si trova, dalla velocità e dalla direzione del movimento.

La ragione e la scienza apparvero insufficienti: la loro logica, fredda e distaccata, le loro spiegazioni lasciavano insoddisfatte le domande più pressanti e le istanze fondamentali dello spirito. Allo stesso modo la filosofia di Søren Kierkegaard rifiutò l'idealismo di Hegel che sommergeva nell'astrazione l'uomo, ignorando la sua individualità e il suo tormento interiore, la sua possibilità di essere libero contro le rigide leggi della natura e gli schemi esteriori della morale. Le correnti filosofiche antipositivistiche, di impronta spiritualistica ed irrazionalistica, si moltiplicarono: si ricordano il misticismo di Arthur Schopenhauer, il vitalismo di Nietzsche, l'intuizionismo di Henri Bergson, il contingentismo di Boutroux, il neoidealismo di Benedetto Croce. La crisi del positivismo determinò un ritorno allo spiritualismo che, nelle sue varie forme, riaffermò il valore della volontà, della libertà e della spiritualità umana, riscoprendo, contro l'arido razionalismo, gli impulsi più reconditi dell'animo, l'intuizione, il mistero. Il razionalismo è ormai finito, travolto dalla crisi della borghesia ottocentesca, e la letteratura sente il bisogno di scandagliare quegli angoli più remoti dell'anima dove spesso stanno anche il male, il vizio, l'apatìa, la lussuria, la voluttà, la noia. Il precursore è Charles Baudelaire che sottolinea i due aspetti entro cui si dibatte la crisi dell'intellettuale: lo Spleen (noia e disgusto della vita) e l'Ideal (ricerca di un ideale, come fuga verso mondi lontani, esotici, dalla natura incontaminata o verso paradisi artificiali). Non a caso gli artisti più ammirati da Baudelaire sono Edgar Allan Poe e Richard Wagner, nelle cui creazioni emergono alcuni tratti salienti del Romanticismo e del simbolismo.

Alla fine del secolo Sigmund Freud inizia a dare una sistemazione agli studi sull'inconscio, dando vita alla psicanalisi. Il suo intento è però ancora una volta di tipo razionalistico, poiché il suo fine è porre le forze dell'inconscio sotto il dominio dell'io. L'eroe decadente, al contrario, si chiude in se stesso, cercando di ascoltare quelle voci interiori e quelle folgorazioni che lo portavano a trovare le correspondances, le corrispondenze che collegano in modo misterioso tutte le cose. L'artista decadente afferma che la realtà non è conoscibile attraverso le teorie scientifiche, quindi l'unico mezzo per attingere alla realtà nuda e schietta è il totale abbandono all'empatia e all'irrazionalità. Queste corrispondenze, che uniscono il mondo in un Tutto, in un'unica entità di base, coinvolgono direttamente l'uomo. Gli stati di alterazione della coscienza vengono così visti come strumenti di conoscenza: il sogno, la malattia, la follia, la nevrosi, l'allucinazione, il delirio. Talvolta queste alterazioni vengono ricercate attraverso l'uso di alcool e droghe.[5]

Poetiche del decadentismo[modifica]

Lo specchio di Frank Dicksee (1896)

Sul piano culturale, il decadentismo discende direttamente dal Romanticismo. Molti atteggiamenti decadenti trovano infatti un'anticipazione nel clima romantico inglese e tedesco, mentre altri possono essere considerati estremizzazioni di elementi romantici.[6] Tuttavia, esistono delle differenze sostanziali che caratterizzano il nuovo contesto culturale. Alla fine del XIX secolo, infatti, lo scrittore entra in crisi vedendo fallire gli intenti costruttivi che aveva coltivato durante il Romanticismo. Si sente emarginato e si chiude in sé divenendo protagonista di una serie di esperienze che lo portano a sentirsi "vittima" per la sua incapacità di impegnarsi nella società. Gli artisti perdono così la fiducia nella ragione e si lanciano verso un mondo misterioso che suppongono si celi dietro la realtà; tra loro si diffonde un senso di sconfitta.

Arthur Rimbaud

Il decadentismo è caratterizzato da una nuova tipologia di poeta: non è più il vate che guidava il popolo del Romanticismo, né il promotore della scienza come nell'Illuminismo. Diventa piuttosto un veggente, cioè colui che vede e sente mondi arcani e invisibili in cui si chiude scoprendo «l'universale corrispondenza e analogia delle cose [...] E in tal modo il Dio perduto vive come una memoria e un desiderio» (Francesco Flora).[7]

Il poeta è un artista solitario, capace di scavare nell'interiorità umana e nel mistero dell'ignoto. Anche la parola poetica cambia: non si usa più per descrivere sentimenti ma, soprattutto, per decifrare sensazioni e per illuminare l'oscuro che è in noi utilizzando un linguaggio polisemico comprensibile solo da spiriti che riescono a percepire le stesse sensazioni. Da qui la grande importanza della poesia come mezzo per esprimere il proprio intimo. Caratteristica generale è quindi un forte senso d'individualismo e soggettivismo. Per la sua oscurità l'argomento della poesia sfugge alla comprensione del lettore che può interpretarla in modi differenti.[8]

Il decadentismo trova nelle strofe e nei versi liberi i giusti mezzi per esprimere le rivelazioni del proprio interiore con tutte le sue nuances (sfumature), poiché, a differenza delle forme metriche tradizionali, più chiuse e rigide, permettono un'esposizione priva dell'interferenza della ragione, assumendo ritmi liberi, creati di volta in volta dal poeta. La nuova poesia è «pura atmosfera musicale che porta l'eco di un nuovo e misterioso mondo ignoto agli antichi» (Walter Binni). Tra i testi cardine di questa letteratura, che possono esserne considerati i "manifesti", ci sono la Lettera del veggente di Arthur Rimbaud e L'Arte poetica di Paul Verlaine.[8]

All'interno della poetica decadente, il simbolismo si pone in netto contrasto con i canoni imposti in precedenza dal realismo, poiché tende ad una descrizione soggettiva piuttosto che ad una oggettiva. Gli esponenti più importanti di questa corrente furono i già citati Charles Baudelaire, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé e, per quanto riguarda l'Italia, Giovanni Pascoli. In contrasto con la simbologia tipicamente medievale - conosciuta per la natura intellettuale e razionale ed espressa spesso tramite l'uso di allegorie - il simbolismo decadente viene definito istintivo, e predilige le sensazioni e le corrispondenze segrete tra tutte le cose, così come figure retoriche come l'analogia, la metafora o la sinestesia, scovate tramite folgorazioni e intuizioni dal poeta veggente. L'influenza del simbolismo non si fermerà però alla sola letteratura, ma interesserà anche le arti e in particolare il movimento pittorico del preraffaeliti (Dante Gabriel Rossetti, Frank Bernard Dicksee, John William Waterhouse e altri).

Oscar Wilde

Fenomeno molto importante nella poetica di questo periodo è l'estetismo, che sviluppa le idee proposte dal parnassianesimo, una corrente culturale sorta in Francia negli anni sessanta dell'Ottocento, e che si fonda sull'imperativo de "l'arte per l'arte", vedendo dunque in questa l'unico e sommo fine della letteratura. Nell'estetismo arte e vita coincidono, tendendo così a fare della propria vita la prima delle opere d'arte e fornendo un'immagine di sé totalmente arealistica, estetizzata, ovvero deformata in favore del bello, unico valore morale del movimento. Nascono quindi le figure del dandy e dell'esteta, di colui che dedica la propria vita al culto del bello, ha orrore della vita comune, della bruttezza e dell'egualitarismo democratico, si circonda di cose preziose e va alla ricerca di sensazioni rare e squisite. Queste posizioni vengono inizialmente teorizzate in Inghilterra da John Ruskin e Walter Pater, e tra gli esponenti di questa corrente ricordiamo Joris-Karl Huysmans, con À rebours (Controcorrente), Oscar Wilde con Il ritratto di Dorian Gray e Gabriele D'Annunzio con Il piacere.

Un altro concetto chiave è quello di panismo. Il termine deriva dal greco pan, "tutto", e si riferisce alla tendenza del confondersi e mescolarsi con il Tutto e con l'assoluto. In D'Annunzio il Tutto prende la forma della natura, riferimento al dio greco Pan, divinità dei boschi e tutte quelle che hanno a che fare con la natura. È evidente l'uso di questa tecnica all'interno della poesia La pioggia nel pineto in cui il poeta si fonde con la natura, la quale ripercorre allo stesso tempo il suo corpo e i suoi sentimenti. Il panismo di D'Annunzio è evidente soprattutto nella raccolta Alcyone. Le parole e le immagini si fanno evanescenti, mentre il linguaggio è analogico ed evocativo. Questa del panismo è una concezione della realtà che consente di attribuire alla natura caratteristiche umane e all'uomo di immergersi nella natura, attenuando fino quasi ad annullare la distinzione tra il soggetto-poeta e l'oggetto-natura.

Friedrich Nietzsche

Altra corrente legata al decadentismo è il superomismo, teorizzato in chiave filosofica da Friedrich Nietzsche nelle sue opere, soprattutto in Così parlò Zarathustra con l'ideazione dell'Übermensch (tradotto come "superuomo", ma anche con "oltreuomo") e molto utilizzata da D'Annunzio. Lo possiamo definire come il potenziale che porta l'uomo vicino a Dio, al massimo di se stesso, abbattendo tutti i vincoli, i limiti e i condizionamenti esterni. Per D'Annunzio il superuomo è colui che, grazie alla cultura, diventa un modello per gli altri e si pone alla loro guida.

Per quanto riguarda il romanzo, alla fine degli anni ottanta l'esperienza naturalista si esaurisce e si afferma un nuovo tipo di narrativa psicologica, di cui il caposcuola è il francese Paul Bourget, autore de Il discepolo (1889). A differenza del modello naturalista, il romanzo psicologico si concentra sull'interiorità dei personaggi, che viene analizzata nella sua complessità. Inoltre, all'oggettività del naturalismo e del verismo viene sostituita un'ottica soggettiva, ristretta al punto di vista di un unico personaggio. In Italia saranno D'Annunzio e Fogazzaro a proporre per primi soluzioni di questo tipo, influenzate dai modelli francesi. D'Annunzio, in particolare, proseguendo su questa strada costruisce i suoi romanzi su reti di elementi simbolici, fino ad annullare qualsiasi riferimento con la realtà.[9]

Temi e figure[modifica]

Come si è visto, il decadentismo presenta al suo interno varie tematiche. Tra queste, sono centrali i temi della consunzione e della morte: i decadenti coltivano ammirazione per per le epoche di decadenza, come il già ricordato tardo impero romano oppure l'età bizantina, e ritengono le opere d'arte di questo periodo più affascinanti perché giunte a un superiore grado di maturazione. Collegato a questo sentire è il tema della malattia, considerata come una metafora della propria condizione storica, ma anche come condizione privilegiata, che separa l'artista aristocratico dalle masse popolari. La nevrosi segna poi gran parte dei personaggi della letteratura decadente, e rappresenta il punto di vista per gli intellettuali del periodo.[10]

Malattia e corruzione richiamano a loro volta la morte, elemento dominante della produzione letteraria decadente, che sente come imminente la fine della civiltà europea. Al fascino della decomposizione si contrappone però la tendenza al vitalismo, il vagheggiamento di una vita piena e senza freni: vengono così ricercati il godimento e la forza belluina, in grado di dominare e rigenerare un mondo corrotto ed esausto. Questo vitalismo è erede delle dottrine di Nietzsche, e segna alcune delle più importanti opere di D'Annunzio, in cui viene celebrata la forza dominatrice del superuomo.[11] Questa foga dominatrice è d'altra parte, ancora una volta, conseguenza del rifiuto di tutto ciò che è comune o normale: l'artista si isola, orgoglioso della propria diversità, e calpesta i valori borghesia sia vagheggiando gesti di violenza barbarica contro i deboli, sia apprezzando le perversioni del gusto, la corruzione, la morte. Al gusto per il bello e le cose eccezionali sono poi legati i temi della perversione e della crudeltà, in cui è evidente l'influenza delle opere del settecentesco marchese De Sade (dal cui nome deriva la parola "sadismo") e del contemporaneo Leopold Von Sacher-Masoch (da cui deriva il nome di "masochismo").[10]

Nella letteratura decadente sono poi riconoscibili alcune figure ricorrenti:[12]

  • il maledetto, che per odio alla società e alla sua morale sceglie il male e una vita sregolata
  • l'esteta, che per orrore della volgarità borghese si isola nella solitudine, dove può circondarsi di cose belle e opere d'arte (il prototipo è Des Essaintes, protagonista di À rebours)
  • l'inetto a vivere, colui che non sa partecipare della vita a causa di una malattia che ne corrode la volontà, e che più che vivere si osserva vivere (si pensi al protagonista delle Memorie del sottosuolo di Dostoevskij, oppure a Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte di D'Annunzio, o ancora ai personaggi sveviani)
  • la femme fatale, lussuriosa e perversa, che domina il maschio debole e ne beve le energie vitali
  • il fanciullino, variante originale dell'inetto che ricorre nella poesia pascoliana (si veda il modulo a lui dedicato)

Il decadentismo in Italia[modifica]

Come è già stato detto, è difficile indicare in maniera univoca delle coordinate cronologiche per il decadentismo. Alcuni autori, come per esempio Giuseppe Petronio, lo hanno esteso per tutto il Novecento, comprendendovi anche le esperienze letterarie del secondo dopoguerra (come per esempio il neorealismo).[13] Studi più recenti tendono invece a limitarne l'uso agli anni compresi tra decenni finali dell'Ottocento e i primi anni del Novecento. Inoltre, pur riconoscendo che molte correnti e movimenti che si affacceranno nel nuovo secolo affondano le loro radici nel decadentismo – come per esempio il futurismo, il crepuscolarismo, l'ermetismo –, riunire sotto un'unica etichetta fenomeni culturali così diversi tra di loro potrebbe indurre a confusioni.[14]

I più rappresentativi autori del decadentismo italiano sono Gabriele D'Annunzio e Giovanni Pascoli. Ad Antonio Fogazzaro, che all'epoca conobbe ampia fortuna, è oggi riconosciuto solo un ruolo secondario; secondo Ferroni è inoltre preferibile non ascriverlo al decadentismo, poiché le sue opere sono solo in parte avvicinabili alle prospettive sopra esposte.[15] Una personalità come Grazia Deledda, vincitrice del Nobel per la letteratura, pur riconoscendosi nel verismo, è però partecipe delle istanze del decadentismo. Un discorso a parte va fatto per Svevo e Pirandello: se da un lato le loro opere risentono evidentemente delle poetiche del decadentismo, dall'altro se ne distaccano, dimostrando una visione della realtà più lucida e moderna.[14]

Note[modifica]

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 779.
  2. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 780.
  3. 3,0 3,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 13.
  4. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 13.
  5. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 15.
  6. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 23.
  7. Cristoforo Attalienti, Il Decadentismo, in Il libro di letteratura - Gli autori le opere della letteratura italiana dalle origini ad oggi, Napoli, Ferraro, 1994, p. 516.
  8. 8,0 8,1 Cristoforo Attalienti, Il Decadentismo, in Il libro di letteratura - Gli autori le opere della letteratura italiana dalle origini ad oggi, Napoli, Ferraro, 1994, p. 517.
  9. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatua, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 145-146.
  10. 10,0 10,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 19.
  11. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 20.
  12. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 20-21.
  13. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969.
  14. 14,0 14,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 27.
  15. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 819.

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