Storia della letteratura italiana/Scapigliatura

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Indice del libro

A partire dagli anni sessanta si sviluppò nell'Italia settentrionale la Scapigliatura, un movimento artistico e letterario che ebbe come epicentro Milano (ma esperienze simili vi furono anche a Genova e Torino).[1] Il termine, di origine aulica, è utilizzato come equivalente del francese bohème ("vita da zingari"), con cui ci si riferiva alla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini descritta nel romanzo di Henri Murger Scènes de la vie de bohème (1847-1849).[2] Fu proposto per la prima volta da Cletto Arrighi in due frammenti del 1858, per poi essere ripreso nell'introduzione al romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio del 1862:

« In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui di ambo i sessi, fra i venti e i trentacinque anni, non piú; pieni d'ingegno quasi sempre; piú avanzati del loro tempo; indipendenti come l'aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati,... turbolenti – i quali – o per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato – vale a dire fra ciò che hanno in testa e ciò che hanno in tasca – o per certe influenze sociali da cui sono trascinati – o anche solo per una certa particolare maniera eccentrica e disordinata di vivere – o, infine, per mille altre cause, e mille altri effetti, il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo – meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia sociale, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte le altre.
Questa casta o classe – che sarà meglio detto – vero pandemonio del secolo; personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, della imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti; – io l'ho chiamata appunto la Scapigliatura»
(Cletto Arrighi, Introduzione a La Scapigliatura e il 6 febbraio, Sonzogno, Milano, 1862)

Caratteristiche generali[modifica]

Emilio Praga, Carlo Dossi e Luigi Conconi

Gli scapigliati erano animati da uno spirito di ribellione nei confronti della cultura tradizionale e dell'etica borghese. Uno dei primi obiettivi della loro battaglia fu il moderatismo della cultura ufficiale italiana. Si scagliarono sia contro il Romanticismo italiano, che giudicavano languido ed esteriore, sia contro il provincialismo della cultura risorgimentale. Guardarono in modo diverso la realtà, cercando di individuare il nesso sottile che legava la realtà fisica a quella psichica. Di qui il fascino che il tema della malattia esercitò sulla loro poetica, spesso riflettendosi tragicamente sulla loro vita che, come quella dei bohémiens francesi, fu per lo più breve.[3]

La Scapigliatura - che non fu mai una scuola o un movimento organizzato con una poetica comune codificata in scritti teorici - ebbe il merito di far emergere per la prima volta in Italia il conflitto tra artista e società, tipico del Romanticismo europeo: il processo di modernizzazione post-unitario aveva spinto gli intellettuali italiani, soprattutto quelli di stampo umanista, ai margini della società, e fu così che tra gli scapigliati si diffuse un sentimento di ribellione e di disprezzo radicale nei confronti delle norme morali e delle convinzioni correnti che ebbe però la conseguenza di creare il mito della vita dissoluta e irregolare (il cosiddetto maledettismo).[4]

Mosè Bianchi, Paolo e Francesca (c. 1877), Galleria Civica d'Arte Moderna, Milano

Negli scapigliati si forma una sorta di coscienza dualistica (una lirica di Arrigo Boito si intitola appunto Dualismo) che sottolinea lo stridente contrasto tra l'"ideale" che si vorrebbe raggiungere e il "vero", la cruda realtà, descritta in modo oggettivo e anatomico. Si sviluppa così un movimento che richiama innanzitutto i modelli romantici tedeschi di E.T.A. Hoffmann, Jean Paul, Heinrich Heine, e francesi, in special modo Charles Baudelaire. La Scapigliatura inoltre introduce temi del romanticismo europeo che in Italia erano stati ignorati, come il gusto per il nero e il macabro, gli atteggiamenti ironici, il culto mistico per la bellezza e l'esotismo, l'esplorazione di ambiti come l'irrazionale, il fantastico, il sogno, l'allucinazione.[5] Dal simbolismo riprendono l'idea che la poesia sia rivelazione di una realtà più profonda, che si può raggiungere solo dopo con l'abbandono all'irrazionale. Dal naturalismo francese proviene invece la rappresentazione oggettiva e anticonformista del vero.[6]

La Scapigliatura, nella storia culturale dell'Ottocento, fu quindi una sorta di crocevia intellettuale: attraverso di essa filtrarono correnti di pensiero, forme di letteratura straniera e temi letterari che contribuirono a rinnovare e togliere l'alone di provincialismo del clima culturale italiano. Con il loro culto del vero, con l'attenzione a ciò che è patologico e deforme, e con il loro impietoso proposito di analizzarlo come anatomisti, gli scapigliati introdussero in Italia il gusto naturalista proveniente dalla Francia. Inoltre, elementi come la fascinazione verso ciò che oscuro e misterioso, l'interesse per i recessi della psiche, la sensibilità per la mescolanza delle sensazioni anticiparono le soluzioni che sarebbero state adottate dal decadentismo.[5]

D'altra parte, anche a causa dell'ambiente asfittico della cultura italiana del periodo, la Scapigliatura non riuscì mai a esplorare nuovi orizzonti conoscitivi, né a elaborare un linguaggio poetico che possa essere utilizzato come strumento per questo scopo. Pur ricercando effetti cromatici e musicali, gli scapigliati non riuscirono infatti ad attribuire alla parola gli echi e le suggestioni di cui invece fu caricata nella poesia simbolista e decadente. Ne risulta quindi che, nonostante le potenzialità, la Scapigliatura può ritenersi un'avanguardia mancata.[7]

Oltre al già ricordato Cletto Arrighi, altri importanti esponenti della letteratura scapigliata furono Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi, Arrigo Boito, Emilio Praga e il piemontese Giovanni Camerana. Il movimento si diffuse però anche ad altre arti: si pensi allo scultore Giuseppe Grandi e ai pittori Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Daniele Ranzoni. In ambito musicale furono attivi lo stesso Boito (che fu compositore e librettista), Franco Faccio, Alfredo Catalani e Amilcare Ponchielli. Anche Giacomo Puccini mosse i suoi primi passi all'interno della Scapigliatura.

Cletto Arrighi[modifica]

Cletto Arrighi

Tra i primi e più importanti scrittori scapigliati ci fu Carlo Righetti, che che firmò i propri scritti con il nome di Cletto Arrighi (anagramma del suo vero nome). Nato a Milano nel 1828, partecipò ai moti risorgimentali delle Cinque giornate (1848) e alla prima guerra d'indipendenza (1967). Nel 1867 venne quindi eletto deputato, collocandosi su posizioni radicali. Contemporaneamente, si dedicò al giornalismo e alla letteratura: fu autore di 39 commedie in milanese oltre che di romanzi, racconti, testi di analisi sociale. Nel 1860 fondò la rivista Cronaca grigia (che chiuse nel 1872), sulla quale trovò spazio anche il dibattito sul verismo.[7]

Il suo romanzo più famoso, a cui si è già accennato, fu pubblicato nel 1862: è La Scapigliatura e il 6 febbraio, un romanzo ambientato nella Milano risorgimentale in cui viene descritto un ceto sociale composto da ribelli e scontenti, a cui dà il nome di "scapigliati". Arrighi non si riferisce a un gruppo di scrittori, ma a una categoria sociale e al suo stile di vita irregolare, a cui viene riconosciuta anche una generica connotazione intellettuale. Il romanzo inoltre coglie un elemento nuovo per l'Italia post-unitaria, e cioè la declassazione sociale ed economica tipica delle società borghesi moderne. A queste considerazioni Arrighi è d'altra parte spinto dalla delusione per le speranze del 1848, che soprattutto tra i giovani faceva nascere sentimenti di ribellione.[8]

Negli anni ottanta Arrighi subì l'influenza di Zola: nel 1880 pubblicò la Nanà a Milano (in cui riprende il celebre personaggio di Zola), mentre nel 1885 approdò al romanzo sociale con La canaglia felice (1885). Riprendendo poi il modello zoliano del Ventre di Parigi, organizzò un'opera collettiva intitolata Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale, per la quale scrisse alcuni testi di analisi sociale. Fu anche direttore della compagnia del teatro stabile. Tuttavia le sue condizioni economiche furono rese precarie dalla sua vita sregolata e dal vizio del gioco. Caduto in miseria, morì a Milano il 3 novembre 1906.[7]

Emilio Praga[modifica]

Emilio Praga

Emilio Praga nacque a Gorla, un quartiere di Milano, il 18 dicembre 1839, da una famiglia agiata. Durante la giovinezza viaggiò a lungo in Europa ed entrò in contatto con gli ambienti intellettuali parigini. La disgrazia economica in cui cadde dopo la morte del padre e il fallimento dell'azienda di famiglia, lo portarono a condurre una vita sregolata. Morì in assoluta povertà, minato dall'alcolismo, il 26 dicembre 1875 a Milano.[9]

Fin da giovane si dedicò alla pittura. Esordì nella letteratura con la raccolta Tavolozza del 1862, in cui descrive paesaggi con un vivo senso del colore di ascendenza impressionistica, utilizzando espressioni di uso comune, lontane quindi dalla tradizione poetica italiana. Accanto a questi, si trovano però anche componimenti polemici contro la borghesia e il progresso scientifico che minacciano la bellezza, e testi di tematica "maledetta", in cui si esaltano l'alcol la sregolatezza. Quest'ultimo argomento diventa centrale in Penombra (1864), opera che diede scandalo, in cui il linguaggio diventa esasperato e brutalmente realistico. In Fiabe e leggende (1869) i toni si fanno meno accesi e riaffiorano temi di tipo romantico. L'ultima raccolta, Trasparenza, uscì postuma nel 1878: con un tono di confessione intima, Praga esprime un desiderio di purezza, che viene proiettato nel ricordo dell'infanzia.[9]

Oltre alle poesie, Praga è anche autore di opere narrative. La più importante è il romanzo Memorie del presbiterio, che rimarrà incompiuto e sarà ultimato da Roberto Sacchetti. Uscirà a puntate, postumo, nel 1877 sul Pungolo per poi essere edito in volume nel 1881. Vi si legge, anche qui, un desiderio di purezza, che viene proiettato nella calma della campagna, accanto al quale, però, sono mescolate tinte forti e intrighi romanzeschi.[9]

Arrigo Boito[modifica]

Arrigo Boito e Giuseppe Verdi nel 1892

Amico di Emilio Praga, che lo introdusse negli ambienti della Scapigliatura, Arrigo boito nacque a Padova il 24 febbraio 1842 e studiò al conservatorio di Milano. Insieme a Praga scrisse il dramma Le madri galanti (1863), che si rivelò un fallimento, e pubblicò nel 1864 la rivista Figaro. La testata si proponeva come portavoce di una nuova arte, in contrasto e polemica con il manzonismo. Dopo il 1866 si allontanò dalla Scapigliatura e ritornò alla musica: scrisse per Verdi i libretti dell'Otello e del Falstaff, oltre a un melodramma proprio, il Mefistofele, che dopo il fiasco a Milano nel 1868 venne applatudito a Bologna nel 1876, dandogli fama e successo. Nel 1912 diventò senatore del regno. Morì a Milano il 10 giugno 1918. Lasciò incompiuto un secondo melodramma, Nerone.[10]

Tra le opere di Boito ricollegabili al periodo scapigliato si possono ricordare: la fiaba di Re Orso (1865), che riprende temi come il fantastico e l'orrido di ascendenza nordeuropea e presenta uno stile molto sperimentale, che mescola poesia e prosa; le poesie del Libro dei versi (1862-1867), che mostrano una grande attenzione per la forma e in cui si sofferma sul già ricordato tema del "dualismo" (bene-male, ideale-vero);[10] le tre novelle L'alfiere nero (1862), Ilaria (1868), Trapezio (1873-1874).[11]

In generale, la poesia scapigliata di Arrigo Boito è permeata da un umorismo nero, che si poggia sulla percezione della dualità del mondo, mescolando elementi antitetici come bene e male, alto e basso, sublime e ridicolo. Con la parola e la musica il poeta cerca di seguire queste sfasature e questo costante movimento, finendo per stravolgere ogni elemento del reale. Da questa sperimentazione, però, scaturisce anche una certa freddezza, che finisce per anestetizzare gli aspetti più provocatori della poesia.[12]

Iginio Ugo Tarchetti[modifica]

Iginio Ugo Tarchetti

Travagliata fu anche la vita di Iginio Ugo Tarchetti. Nato a San Salvatore Monferrato il 29 giugno 1839,[13] si arruolò nell'esercito e partecipò alla repressione del brigantaggio, ma dovette lasciare la carriera militare per motivi di salute. Trasferitosi a Milano, condusse un'intensa attività letteraria e giornalistica, entrando in contatto con gli ambienti della Scapigliatura. Anticomformista, incline alla solitudine e alle fantasie macabre, scrisse varie opere tra racconti, romanzi e poesie. Indigente e gravemente malato di tisi, morì a Milano il 25 marzo 1869.[14]

La prima opera, I canti del cuore, è un insieme di prose liriche ispirate ai canti popolari tedeschi e a George Gordon Byron. Nel 1866 pubblicò Paolina, un romanzo di denuncia sociale in cui affronta le forme di oppressione del proletariato.[14] L'anno successivo uscì Una nobile follia, un romanzo antimilitarista a cui seguirono, nel 1869, alcune raccolte di racconti già pubblicati in precedenza. In questi è possibile riconoscere l'influenza di Hoffmann e di Poe per quanto riguarda l'interesse per l'oscuro, il mistero, lo spiritismo.[15]

Sempre nel 1869 vide la luce la sua opera più famosa, il romanzo d'appendice Fosca. Uscito a puntate sul Pungolo, rimase incompiuto per la morte dell'autore e fu ultimato da Salvatore Farina, che ne scrisse il penultimo capitolo. La trama ruota attorno a due immagini femminili che si contendono il protagonista Giorgio: da un lato Clara, donna solare che curerà l'uomo durante un periodo di malattia; dall'altro Fosca, una donna bruttissima e isterica, di cui Giorgio subisce il fascino morboso senza riuscire a liberarsi. Alla fine, Fosca morirà e Giorgio si scoprirà contaminato dalla malattia di lei. Accanto all'interesse per i casi patologici abnormi, il romanzo presenta anche una struttura simbolica: Fosca è la donna fatale, che come un vampiro succhia le energie vitali dell'uomo che cade sua vittima e a cui trasmette la sua malattia. È inoltre un'immagine della morte, suggerita dalla stessa descrizione che ne fa l'autore, ritornando spesso sulla sua magrezza che richiama il teschio e lo scheletro. In questo senso, Tarchetti anticipa temi che saranno esplorati dal decadentismo (si pensi ad esempio alla struttura del Piacere di D'Annunzio, in cui Andrea Sperelli è diviso tra l'amore per due donne che incarnano valori antitetici).[15]

Tra le altre opere si ricordano i racconti Amore nell'arte, l'Innamorato della montagna e i versi di Disjecta (pubblicati postumi nel 1879).[15]

Carlo Dossi[modifica]

Carlo Dossi

Carlo Alberto Pisani Dossi, discendente di una famiglia aristocratica, nacque a Zenevredo il 27 marzo 1849. Si avvicinò presto alla Scapigliatura, fondò la rivista Palestra letteraria, artistica, scientifica e ottenne fama con le sue prime opere. Condusse una vita lontana dalla sregolatezza che aveva caratterizzano molti altri autori scapigliati; con essi condivise invece il desiderio di rompere con le forme letterarie e gli schemi linguistici consolidati, elaborando un linguaggio originale e ricco di colore.[12] Centrale nella sua opera è il tema del ricordo, a cui si affianca negli anni un moralismo proveniente dalla tradizione lombarda, che ricorre alla caricatura e alla satira corrosiva. Principale strumento utilizzato da Dossi è la deformazione del linguaggio, attraverso cui viene trasferita nella scrittura l'insofferenza per la realtà.[16]

Dossi ricorre all'arma dell'umorismo, ma a differenza degli scapigliati della prima generazione evita una manifestazione troppo diretta delle emozioni per accostarsi alla realtà attraverso la manipolazione del linguaggio. La rappresentazione realistica si intreccia quindi con la deformazione fantastica. Svolge inoltre una critica caustica contro le illusioni che segnano la vita dell'uomo e le finzioni della vita sociale.[17]

A 19 anni pubblica L'Altrieri-nero su bianco (1868), in cui rievoca la propria infanzia e adolescenza in chiave magica. La fanciullezza è descritta come un mondo felice in cui però il protagonista scopre ben presto l'esistenza del dolore. La prosa è caratterizzata da un lessico ricchissimo, che mescola toscanismi a termini lombardi, parole rare di ascendenza letteraria con parole che indicano oggetti concreti, e in cui vengono inserite persino invenzioni lessicali.[18]

Con il passare degli anni Dossi mantiene la propria inclinazione per l'invenzione linguistica, giungendo però a un equilibrio poetico e a una prosa meno aggressiva. Del 1870 è l'autobiografico Vita di Alberto Pisani, in cui riprende i modelli di Sterne e Jean Paul, interrompendo la narrazione con divagazioni e racconti secondari. Viene in questo modo ripercorsa l'educazione poetica e sentimentale del protagonista, un alter ego dell'autore, di cui vengono narrate le vicende in terza persona. L'elemento autobiografico viene alterato con l'inserimento di elementi fantastici, e la stessa pratica della scrittura viene guardata con caustica ironia. La formazione letteraria è inoltre segnata da inettitudine e incapacità di partecipare alla vita sociale.[19]

La colonia felice è un romanzo utopistico, in cui si mostrano gli intenti moralistici dell'autore. Seguono una serie di bozzetti che presentano figure umane a volte grottesche a volte esaltate come ideali di purezza: Ritratti umani. Dal calamaio di un medico (1873), La desinenza in A (1878), Gocce d'inchiostro (1880). L'interesse di Dossi per la letteratura si esaurirà negli ottanta. Nel 1870, divenuto seguace di Francesco Crispi, iniziò l'attività diplomatica dapprima in Colombia e poi in Grecia. Nel 1901 si ritirò dalla politica e si dedicò alla stesura di Note azzurre (una raccolta di pensieri, giudizi critici, aforismi) e alla Rovaniana (una serie di appunti sullo scrittore Giuseppe Rovani, considerato un punto di riferimento per gli scapigliati). Entrambe le opere uscirono postume, la prima nel 1964 e la seconda nel 1944. Morì a Cardina il 17 novembre 1910.[16]

La Scapigliatura democratica[modifica]

Gli anni settanta videro l'esaurimento delle sperimentazioni della prima generazione della Scapigliatura lombarda. Il medesimo spirito di ribellione animò però un nuovo gruppo di intellettuali raccolti attorno alla rivista il Gazzettino rosa, fondata a Milano nel 1868 da Achille Bizzoni (Pavia, 5 maggio 1841 – Milano, 21 settembre 1903) e Felice Cavallotti (Milano, 6 ottobre 1842 – Roma, 6 marzo 1898). Attenti alle problematiche sociali e alle trasformazioni introdotte in Italia dalla rivoluzione industriale, questi autori si impegnarono a denunciare lo strapotere dei ricchi e i soprusi subiti dai ceti subalterni. Vi fecero parte Felice Cameroni (Milano, 1844 – Milano, 1913), che sulle pagine del Gazzettino pubblicò interventi critici, Cesare Tronconi (1842-1890), autore di una narrativa antimanzoniana, e l'anarchico (e poi socialista) Paolo Valera (Como, 18 gennaio 1850 – Milano, 1º maggio 1926). A questo gruppo aderisce anche Cletto Arrighi.

Anche il veronese Pompeo Bettini (Verona, 1º maggio 1862 – Milano, 15 dicembre 1896) si impegnò, alla fine dell'Ottocento a Milano, nella causa socialista, svolgendo un'intensa attività letteraria e giornalistica, ma rimanendo lontano dall'aggressività degli scapigliati.[20]

La Scapigliatura piemontese[modifica]

Oltre alla Scapigliatura lombarda, si può parlare anche di una Scapigliatura piemontese, che si manifestò negli ambienti culturali torinesi degli anni cinquanta. È per esempio avvicinabile ai primi scapigliati l'esperienza del magistrato Giovanni Camerana, nato a Casale Monferrato il 4 febbraio 1845 e morto suicida a Torino il 2 luglio 1905. In vita coltivò interessi per l'arte e la letteratura; nei suoi Versi, pubblicati postumi nel 1907, disegna paesaggi naturali, dietro ai quali si nascondono significati religiosi e presagi di morte. Per quanto riguarda invece la prosa, meritano di essere ricordate le opere di Roberto Sacchetti (Torino, 7 giugno 1847 – Roma, 26 marzo 1881), Giovanni Faldella (Saluggia, 26 settembre 1846 – Vercelli, 14 aprile 1928) e Achille Giovanni Cagna (Vercelli, 8 settembre 1847 – Vercelli, 23 febbraio 1931).[20]

Note[modifica]

  1. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 1.
  2. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 769.
  3. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 769.
  4. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 1-2.
  5. 5,0 5,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 2.
  6. Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 730.
  7. 7,0 7,1 7,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 3.
  8. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 5.
  9. 9,0 9,1 9,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 6.
  10. 10,0 10,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 13.
  11. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 14.
  12. 12,0 12,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 771.
  13. La data di nascita è stata stabilita con certezza dallo studioso Giuseppe De Giovanni, dopo che in molti l'avevano posticipata al 1841. Cfr. Enrico Ghidetti, Tarchetti e la Scapigliatura lombarda, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1968, p. 48.
  14. 14,0 14,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 23.
  15. 15,0 15,1 15,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 24.
  16. 16,0 16,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, La Scapigliatura, il Verismo, il Decadentismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 35.
  17. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 772.
  18. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 772-773.
  19. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 773.
  20. 20,0 20,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 774.

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