Storia della letteratura italiana/Scrittori politici del Risorgimento
In Italia la diffusione del Romanticismo è strettamente legata al processo risorgimentale. Se in Germania aveva coinciso con una rivoluzione filosofica e letteraria, in Italia riesce solo in parte a scalfire la radicata tradizione classicista. D'altra parte, all'inizio dell'Ottocento la penisola è suddivisa in vari Stati controllati da potenze straniere e versa in condizioni economiche e sociali arretrate rispetto al resto d'Europa. Il Romanticismo italiano, nei fatti, coincide con lo spirito nazionale e liberale del Risorgimento.[1]
Sviluppo della coscienza nazionale
[modifica | modifica sorgente]Lo sviluppo di una coscienza politica nazionale coincide, soprattutto nella borghesia, con la diffusione delle idee liberali e dell'Illuminismo.
Nel 1765 sul n. 2 del Caffè esce La patria degli Italiani di Gian Rinaldo Carli che si chiude con la frase «Un italiano in Italia non è mai forestiero».
Nel 1782 quaranta scienziati italiani fondano a Verona la Società italiana, ritenendo, come scrive il suo primo presidente, il matematico Antonio Maria Lorgna, che «lo svantaggio dell'Italia è l'avere ella le sue forze disunite» per cui si doveva «associare le cognizioni e l'opera di tanti illustri Italiani separati» ricorrendo «a un principio motore degli uomini sempre attivo, e talora operante con entusiasmo, l'amor della Patria», Lorgna concludeva: «Cari Signori oltremontani, aspettino un pochino e vedranno l'Italia sotto altro aspetto fra pochi anni. Basta che siamo uniti».
Queste idee vengono esaltate dalla rivoluzione francese e la loro diffusione ha un'improvvisa accelerazione con la discesa in Italia di Napoleone nel 1796. Rovesciati i sovrani regnanti, i francesi deludono le speranze dei patrioti giacobini italiani e si insediano in buona parte dell'Italia settentrionale, creando repubbliche sul modello di quella francese (le cosiddette repubbliche sorelle), rivoluzionando la vita del tempo e portando idee nuove, ma facendone anche ricadere il costo sulle popolazioni locali, sino a generare episodi di rivolta come le cosiddette "Pasque veronesi".[2]
Il sorgere della coscienza nazionale non è un processo unitario, lineare o coerentemente definito; diversi programmi, aspettative ed ideali, a volte anche incompatibili tra loro, confluiscono in un vero e proprio crogiuolo:[3][4] vi erano in campo quelli romantico-nazionalisti, repubblicani, protosocialisti, anticlericali, liberali, monarchici filo Savoia o papalini, laici e clericali. Vi era l'ambizione espansionista di Casa Savoia verso la Lombardia, vi era il bisogno di liberarsi dal dominio austriaco nel Regno del Lombardo-Veneto, unitamente al generale desiderio di migliorare la situazione socio-economica approfittando delle opportunità offerte dalla rivoluzione rivoluzione tecnico-industriale,[5] superando al contempo la frammentazione della penisola laddove sussistevano Stati, in parte liberali, che spinsero i vari rivoluzionari della penisola a elaborare e a sviluppare un'idea di patria più ampia e ad auspicare la nascita di uno Stato nazionale analogamente a quanto avvenuto in altre realtà europee come Francia, Spagna e Gran Bretagna.
Francesco Lomonaco è uno dei primi patrioti, se non il primo,[6] a preconizzare la formazione di un'Italia unita sotto un unico governo. Nel suo scritto Colpo d'occhio sull'Italia, contenuto nel Rapporto al cittadino Carnot (1800), recita: «Perché vi sia in Europa bilancia politica è d'uopo che l'Italia sia fusa in un solo governo [...] Gli Italiani, avendo unico e proprio governo acquisteranno spirito di nazionalità, avendo patria godranno della libertà e di tutti i beni che ne derivano».[7]
Dopo Lomonaco, le personalità di spicco in questo processo sono molte:
- Giuseppe Mazzini, figura eminente del movimento liberale repubblicano italiano ed europeo;
- Giuseppe Garibaldi, repubblicano e di simpatie socialiste, per molti un eroico ed efficace combattente per la libertà in Europa e in Sud America;
- Camillo Benso conte di Cavour, statista in grado di muoversi sulla scena europea per ottenere sostegni, anche finanziari, all'espansione del Regno di Sardegna;
- Vittorio Emanuele II di Savoia, abile a concretare il contesto favorevole con la costituzione del Regno d'Italia.
Vi sono gli unitaristi repubblicani e federalisti radicali contrari alla monarchia come Niccolò Tommaseo e Carlo Cattaneo; vi sono cattolici come Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini e Vincenzo d'Errico che auspicano una confederazione di Stati italiani sotto la presidenza del papa (neoguelfismo) o della stessa dinastia sabauda; vi sono docenti ed economisti come Giacinto Albini e Pietro Lacava, divulgatori di ideali mazziniani soprattutto nel Meridione.[8]
Trascorsa la fase delle società segrete, sviluppatasi soprattutto tra il 1820 e il 1831, durante i due decenni successivi prendono corpo le due correnti principali che promuovono con piena consapevolezza e incisività politica il processo risorgimentale: quella democratica e quella moderata.[9]
Storici e scrittori politici
[modifica | modifica sorgente]Per trattare la letteratura risorgimentale può essere utile la distinzione proposta da Mazzini, che vede all'interno del Romanticismo italiano due correnti:
- una manzoniana, che punta alla redenzione del popolo ricorrendo a un atteggiamento riformistico più cauto;
- una foscoliana, che invece è orientata a soluzioni più radicali.
Questa distinzione viene ripresa da De Sanctis, che parla di una «scuola liberale» e di una «scuola democratica». Da un lato vengono posti i moderati, di orientamento cattolico e liberale, mentre dall'altro c'è la sinistra democratica.
Nelle file dei moderati ci sono personalità come Manzoni, Tommaseo, D'Azeglio, Cesare Cantù, Tommaso Grossi e la redazione dell'Antologia. Come già ricordato, punto di riferimento di questa compagine è l'opera di Vincenzo Gioberti. Per loro il Risorgimento della nazione è un ritorno ai valori della tradizione cattolica, ma accanto a questo atteggiamento professano anche un cauto liberalismo, che prevede una serie di riforme politiche, economiche e sociali; guardano però con diffidenza alle iniziative popolari. L'idea che gli italiani abbiano un primato morale e civile, connesso con la tradizione religiosa, rappresenta una risposta all'ideologia mazziniana e spinge a ripensare la civiltà italiana. Da questo nasce anche una nuova storiografia di ispirazione neoguelfa, che sostiene l'importanza del cristianesimo e della Chiesa cattolica nella storia d'Italia (soprattutto con riferimento al Medioevo), e tende a fondere filologia e filosofia. Tra le opere riconducibili a questa corrente si possono ricordare il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia di Manzoni, La storia d'Italia nel Medioevo di Carlo Troya, la Storia di Bonifacio VIII e la Storia della lega Lombarda di Luigi Tosti, il Sommario della storia d'Italia di Cesare Balbo, la Storia della Repubblica di Firenze di Gino Capponi.[10]
La corrente democratica ruota attorno alla figura di Giuseppe Mazzini. Uomo di vasta cultura, dedica tutta la sua esistenza all'ideale della patria, fino a farne una religione laica e immanentista. La sua fede negli ideali di libertà, giustizia e verità alimenta nei giovani del Risorgimento il desiderio di gesta eroiche e l'esigenza di dedicarsi a una poesia patriottica. La storiografia di area democratica è invece rivolta a diffondere le proprie convinzioni, a cominciare dalle polemiche anticlericali. In questo caso si possono ricordare opere come la Storia d'Italia narrata al popolo italiano di Giuseppe La Farina e la Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849.[11]
Memorialisti
[modifica | modifica sorgente]La letteratura risorgimentale è ricca di opere autobiografiche o memorialistiche. A spronare gli autori verso questo genere è da un lato il desiderio di tramandare il ricordo degli eventi storici di portata epocale di cui sono stati testimoni, dall'altro il gusto per la narrazione autobiografica e la confidenza psicologica tipico del Romanticismo.[12] A questo si aggiunge una finalità educativa: parlare della lotta, della carcerazione e delle pene subite in nome della patria serve a fortificare lo spirito patriottico del lettore e a formare i nuovi cittadini italiani. Alcune di queste opere sono state scritte negli anni del Risorgimento, mentre altre risalgono all'età successiva all'unificazione.[13]
L'opera più famosa di questo genere di produzione sono Le mie prigioni (1832), in cui Silvio Pellico narra della sua carcerazione sullo Spielberg a causa della sua attività carbonara. A un anno di distanza viene pubblicato il Manoscritto di un prigioniero (1833) di Carlo Bini. L'autore, che è stato collaboratore di Mazzini e amico di Guerrazzi, ricorda gli anni trascorsi nel carcere di Portoferraio e torna insistentemente sul tema delle ingiustizie sociali.
Agli anni successivi all'unificazione risalgono invece I miei ricordi (1867, postumi) di Massimo D'Azeglio. L'opera ha espliciti intenti educativi e mira a formare «alti e forti caratteri», di contro al lassismo che sembra invece dominare la società italiana dopo l'Unità.[14] Tra le altre opere si possono ricordare Ricordanze di mia vita (1879, anch'esse postume) di Luigi Settembrini e La giovinezza (1889) di Francesco De Sanctis. Sono infine dedicati all'impresa garibaldina libri come I Mille (1886) di Giuseppe Bandi e Da Quarto al Volturno. Notarelle di uno dei Mille di Giuseppe Cesare Abba.
La poesia patriottica
[modifica | modifica sorgente]Lo stretto legame tra Romanticismo e Risorgimento è osservabile anche nella poesia della prima metà dell'Ottocento, che è in gran parte poesia patriottica. I poeti sono animati da sentimenti risorgimentali e le loro composizioni hanno lo scopo di incitare alla lotta, deprecare il dominio delle potenze straniere, magnificare le glorie del passato. È una poesia di carattere oratorio, scritta per diffondere ideali come l'amor di patria, la libertà, la fratellanza nazionale. I metri più utilizzati sono il decasillabo, l'ottonario e il settenario, che conferiscono al verso un ritmo martellante, come un inno di battaglia. Vengono inoltre utilizzate frequenti esclamazioni e interrogazioni, oltre a figure retoriche enfatiche (come la metafora o la personificazione).[15]
Rivolgendosi a un pubblico molto vasto, la poesia patriottica utilizza un linguaggio popolare e facilmente comprensibile ai più. In questo modo si cerca di realizzare l'ideale romantico di una letteratura popolare. Non si tratta però di una vera rivoluzione del linguaggio poetico: sopravvivono infatti residui del linguaggio poetico tradizionale, che riguardano sia la sintassi sia l'uso di termini aulici.
L'autore più rappresentativo di questa produzione patriottica è Giovanni Berchet. Altri autori sono tutt'oggi famosi perché le loro opere sono entrate, grazie alla scuola, nel patrimonio culturale di base degli italiani. Tra questi si ricordano: Luigi Mercantini, autore della Spigolatrice di Sapri e dell'Inno a Garibaldi; Arnaldo Fusinato, con l'Addio a Venezia; Goffredo Mameli, ricordato per il Canto degli Italiani, meglio noto come Fratelli d'Italia, che è diventato l'inno nazionale della Repubblica Italiana.[16]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 730.
- ↑ Francesco Mario Agnoli, Le Pasque veronesi: quando Verona insorse contro Napoleone, Il Cerchio, Rimini, 1998.
- ↑ Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano, Franco Angeli, 1974.
- ↑ Franco Della Peruta, Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento, Milano, Franco Angeli, 1989.
- ↑ «Fu questo senza dubbio un momento molto importante nello sviluppo economico della Lombardia, il momento in cui l'agricoltura [favorita nel suo sviluppo dall'Austria] cominciò a perdere terreno di fronte all'industria e al commercio...[I ceti produttori guardavano ormai al Piemonte] ove la libertà aveva consentito una rapida e notevole espansione dell'industria e del commercio» (in F. Catalano, Stato e società nei secoli, III, ed. G. D'Anna, Messina-Firenze, 1966)
- ↑ Pasquale Turiello, Governo e governati in Italia, Zanichelli, Bologna, 1889, p. 133.
- ↑ Costanzo Rinaudo, Il risorgimento italiano, S. Lapi, 1911, p. 80.
- ↑ Luigi Salvatorelli, Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1959.
- ↑ Lucy Riall e Pinella Di Gregorio, Il Risorgimento. Storia e interpretazioni, Donzelli, 1997, pp. 38 ss.
- ↑ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 518.
- ↑ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 519.
- ↑ Mario Pazzaglia, Letteratura italiana: testi e critica con lineamenti di storia letteraria, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 1979, p. 520.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Il Neoclassicismo e il Romanticismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 185.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Il Neoclassicismo e il Romanticismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 186.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Il Neoclassicismo e il Romanticismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 179.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Il Neoclassicismo e il Romanticismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 180.