Storia della letteratura italiana/Vincenzo Monti
Vincenzo Monti è una figura centrale nella letteratura italiana tra Settecento e Ottocento, e in particolare del classicismo dell'età napoleonica. Gode di grande fama sia in vita sia dopo la morte: un indizio dell'importanza che gli era attribuita è dato dal fatto che Cesare Cantù nella sua Storia della letteratura italiana (1865-1866) dedica al poeta di Alfonsine ben 35 pagine, contro le sole 5 per Ugo Foscolo. Oggi la critica è più propensa a considerare la sua opera per il suo valore documentario, cioè come testimonianza - peraltro superficiale - del gusto del tempo.[1]
La vita
[modifica | modifica sorgente]Vincenzo Monti, figlio di Fedele e Domenica Maria Mazzari, proprietari terrieri, nasce a Fusignano, presso Alfonsine, il 19 febbraio 1754. Dopo avere ricevuto la prima educazione presso il seminario di Faenza, studia diritto e medicina all'università di Ferrara. Già nel 1775 Monti è ammesso all'Accademia dell'Arcadia e può pubblicare il suo primo libro, La visione di Ezechiello. Tre anni dopo, invitato dal legato pontificio a Ferrara - il cardinale Scipione Borghese - si reca a Roma dove sposa Teresa Pikler, che gli darà due figli: Costanza e Francesco (quest'ultimo morirà tuttavia in tenera età). Nella città eterna lavora al servizio del conte Luigi Braschi Onesti, nipote di papa Pio VI.
Stimolato dalle opere di Vittorio Alfieri, Monti inizia a scrivere pezzi teatrali e nel 1785 debutta con grande successo con la tragedia Aristodemo. Nel gennaio 1793 l'inviato francese Ugo di Basseville è ucciso nella via pubblica dove circolava esibendo la coccarda, il simbolo dei rivoluzionari francesi. Monti riprende l'evento nella celebre Cantica in morte di Ugo di Basseville (meglio nota come Bassvilliana).
Inizialmente su posizioni contrarie alla rivoluzione francese (che trovano spazio nella Feroniade o nella Musogonia), Monti in seguito accoglie positivamente i mutamenti politici portati dall'arrivo in Italia di Napoleone, divenendo addirittura un collaboratore dell'amministrazione cisalpina. In effetti già il 18 luglio 1797, solo pochi giorni dopo la proclamazione della costituzione della Repubblica Cisalpina, era giunto a Milano da Roma. Tornati gli austriaci in Lombardia durante la Campagna d'Egitto, Monti si rifugia a Parigi, per tornare in Italia al seguito di Napoleone nel marzo 1801, alcuni mesi dopo la battaglia di Marengo. Al periodo parigino risale la Mascheroniana, opera in tre canti rimasta incompleta, scritta da Monti in occasione della morte di Lorenzo Mascheroni il 14 luglio 1800.
È nominato professore di retorica all'università di Pavia, dove tiene tuttavia soltanto il discorso inaugurale. Dopo che Napoleone si fa incoronare re d'Italia nel 1805, Monti diventa lo storico e poeta ufficiale di corte. Compone molte liriche inneggianti a Bonaparte, alle sue vittorie e alla sua politica, come il Bardo della selva nera. Dopo la sconfitta di Napoleone, Monti non si fa scrupoli a tessere le lodi del nuovo sovrano Francesco I, imperatore d'Austria e re del Lombardo-Veneto. Come ricompensa, conserva il ruolo di poeta di corte. Agli ultimi anni di vita del Monti, che si spegne a Milano il 13 ottobre 1828, risale la celebre traduzione dell'Iliade di Omero.
Le opere
[modifica | modifica sorgente]Per l'elenco delle opere di questo autore presenti su Wikisource, vedi Autore:Vincenzo Monti
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Il periodo romano
[modifica | modifica sorgente]Negli anni giovanili Monti si dedica a sperimentare diversi generi, esercitandosi sia in componimenti di gusto arcadico, sia in opere classicistiche più misurate e razionali, sia infine in poesie religiose e visioni sacre. Anche durante il soggiorno a Roma dimostra una spiccata capacità di adattarsi ai diversi stili, tanto da diventare il poeta ufficiale della corte papale. A Roma all'epoca è diffusa l'illusione di poter resuscitare i fasti del Cinquecento, un'illusione che viene alimentata anche dai ritrovamenti archeologici di quegli anni. La produzione poetica di questo periodo è sterminata e viene qui riproposto lo schema offerto da Ferroni, che classifica le opere principali in base alle tendenze a cui si ricollegano.[2]
Vi è anzitutto una poesia ufficiale, composta in occasioni particolari e finalizzata a esaltare l'età presente, evidenziando l'affinità e la continuità con quella classica (Prosopopea di Pericle, 1779; Al signor di Mongolfier, 1784). Oltre a questa, però, c'è anche una produzione più vicina al Barocco, che dà un'immagine spettacolare della natura e della religione (La bellezza dell'universo, 1781). C'è poi una poesia d'amore intrisa di malinconia e pessimismo, ispirata al Werther (A don Sigismondo Chigi, Pensieri d'amore), e una produzione che ha espliciti caratteri neoclassici (Musogonia, 1793). A queste si aggiunge una serie di drammi (Aristodemo, 1786; Galeotto Manfredi, 1788).
L'opera più importante del periodo romano è però la Bassvilliana, poemetto in terzine composto da quattro canti e rimasto incompiuto. Come già ricordato, l'opera trae origine da un fatto di sangue: il repubblicano francese Nicolas Jean Hugou de Bassville (italianizzato in Ugo de Bassville) viene ucciso nel 1793 a Roma dalla folla, aizzata dagli antirivoluzionari. Bassville in punto di morte aveva ritrattato le sue convinzioni repubblicane, ricevendo quindi un funerale a spese del papa. Nel poemetto, l'anima del francese viene accompagnata da un angelo, il quale gli mostra gli orrori della rivoluzione, sottolineando quindi la moderazione della politica cristiana. Monti riprende qui il genere delle visioni sacre, oltre a vari termini danteschi, riproposti in chiave moderna.[3]
Il periodo milanese
[modifica | modifica sorgente]L'aver criticato gli ideali rivoluzionari non gli impedisce in seguito di aderire ai valori repubblicani una volta trasferitosi nella Repubblica Cisalpina. Mantenendosi su posizioni moderate, canta le imprese di Napoleone con varie liriche (tra cui il poema incompiuto Prometeo, 1797). Durante l'esilio a Parigi scrive la tragedia Caio Gracco, rappresentata al teatro alla Scala nel 1802: in essa il protagonista rappresenta un modello di virtù civile, che soccombe sotto l'azione antipopolare e i rivoluzionari estremisti. La Mascheroniana, invece, è un poema in cinque canti in terzine, nel quale viene espressa la delusione per l'esito degli eventi del 1799. Alla mitologia classica sono ispirate altre composizioni dedicate all'esaltazione di Napoleone, mentre Il bardo della Selva nera è più vicino ai modelli della letteratura nordica.[3]
Raccoglie buoni risultati poetici con le sue traduzioni della Pulcella d'Orléans di Voltaire (1798-1799) e dell'Iliade di Omero (1810). Quest'ultima è composta in endecasillabi sciolti e prende spunto da altre traduzioni precedenti (Monti aveva scarsa conoscenza del greco). Tuttavia, benché poco fedele all'originale, si caratterizza per l'equilibrio delle sue forme classiche.[4]
Agli ultimi anni risale un tipo di poesia più legato agli affetti familiari, come per esempio la canzone Pel giorno onomastico della mia donna Teresa Pikler (1826). La Feroniade è invece un poemetto mitologico in tre canti in versi sciolti, iniziato durante il periodo romano e stampato postumo nel 1832. Nel 1826 Monti interverrà anche nella polemica tra classicisti e romantici con il sermone Sulla mitologia, in cui difende una poesia fondata sulla meraviglia generata dalla mitologia, opposta all'«arido vero» dei romantici.[4] Tra il 1813 e il 1814 pubblicò inoltre sul «Poligrafo» una serie di articoli sulla questione della lingua, opponendosi al purismo, e tra il 1817 e il 1826 elaborò insieme ad altri letterati una Proposta di alcune correzioni e aggiunte al «Vocabolario della Crusca».[5]
Sull'opera di Monti pesano le critiche dei suoi contemporanei, e in particolare di Leopardi, che lo accusano di comporre poesie esteriori e formali, prive di autenticità. Ha avuto, d'altra parte, la capacità di dare voce attraverso la letteratura ai poteri e ai gusti di volta in volta dominanti, rappresentando l'ultimo esponente di una poesia cortigiana abituata a identificarsi con i sistemi politici. Ha inoltre dato vita a un nuovo modello, quello che Ferroni definisce un «classicismo borghese dai caratteri nazionali», che ricorre a forme auliche e anticheggianti per dare voce a una moderata fiducia nel progresso. La sua poesia, in ultima analisi, si pone quindi come strumento di consenso sociale.[6]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, Il Neoclassicismo e il Romanticismo, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 29.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 560.
- ↑ 3,0 3,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 561.
- ↑ 4,0 4,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 562.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 564.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 563.