Storia della letteratura italiana/Carlo Collodi

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Indice del libro

La produzione letteraria della fine dell'Ottocento si sviluppa nell'orizzonte segnato dal naturalismo, registrando però anche risultati molti lontani dal verismo. Già negli anni ottanta, la ricerca della realtà si accompagna all'affermarsi di nuove tendenze religiose, mistiche e estetizzanti che preludono al decadentismo. Si diffonde inoltre una narrativa media, che si rivolge a un pubblico ampio e borghese, e che è orientata a fini educativi. Attraverso questa letteratura vengono proposti anche in Italia gli schemi narrativi della letteratura europea e inizia a circolare una produzione di consumo (sentimentale, d'avventura) che mira a suscitare l'interesse e l'attenzione dei lettori.[1]

Particolarmente importante diventa la letteratura per ragazzi. Dopo l'unità d'Italia cresce l'attenzione per l'educazione. La produzione di testi scolastici diventa uno dei cardini dell'editoria, grazie anche a varie riforme della scuola che ampliano la popolazione studentesca allo scopo di costruire nelle giovani generazioni, attraverso l'istruzione, l'identità nazionale (riforma Casati del 1859, riforma Coppino del 1877). Strettamente legata all'editoria scolastica è la produzione di libri per l'infanzia, che avevano lo scopo di contribuire alla formazione dei giovani italiani come cittadini della neonata nazione. Emblematico, come vedremo, è il caso di Cuore di Edmondo De Amicis.

Tra gli autori più importanti si possono ricordare Vamba (pseudonimo di Luigi Bertelli; Firenze, 19 marzo 1858 – Firenze, 27 novembre 1920) con il suo Giornalino di Giamburrasca ed Emilio Salgari (Verona, 21 agosto 1862 – Torino, 25 aprile 1911), autore di vari romanzi d'avventura che godono tuttora di larga fortuna, soprattutto presso il pubblico più giovane; si possono poi menzionale alcune scrittrici per l'infanzia che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento conoscono molta fortuna, come Ida Baccini (Firenze, 16 maggio 1850 – Firenze, 28 febbraio 1911), Sofia Bisi Albini (Milano, 1856 - Rapallo, 1919), Emma Perodi (Cerreto Guidi, 31 gennaio 1850 – Palermo, 5 marzo 1918), Anna Vertua Gentile (Dongo, 1850 – Lodi, 1926).[2] Tra i più originali autori di questo periodo c'è lo scrittore e giornalista Carlo Lorenzini, meglio noto come Collodi, divenuto celebre come autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, uno dei romanzi italiani di maggior successo nel mondo.

La vita[modifica]

Carlo Collodi

Carlo Lorenzini nasce il 24 novembre 1826 a Firenze. Il padre Domenico era cuoco e la madre, Angiolina (Maria Angela Carolina) Orzali, lavorava come domestica, insieme al marito, a servizio dei marchesi Ginori.[3] La madre in particolare, figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi era nata a Veneri,[4] presso Collodi, frazione di Pescia. In seguito il nome di questa località ispirò lo pseudonimo che rese lo scrittore famoso in tutto il mondo. Poté studiare grazie all'aiuto della famiglia Ginori. Dal 1837 fino al 1842 entrò in seminario a Colle di Val d'Elsa, con l'intenzione di diventare prete e contemporaneamente ricevere un'istruzione. Fra il 1842 e il 1844, seguì lezioni di retorica e filosofia a Firenze, presso un'altra scuola religiosa degli Scolopi.

Interruppe gli studi superiori nel 1844 e incominciò a lavorare come commesso nella libreria Piatti[5] a Firenze. Entrò così nel mondo dei libri e in seguito diventò redattore e cominciò a scrivere. Nel 1845 ottenne una dispensa ecclesiastica che gli permise di leggere l'Indice dei libri proibiti. Nel 1847 iniziò a scrivere recensioni ed articoli per la Rivista di Firenze.

Nel 1848, allo scoppio della prima guerra d'indipendenza si arruolò volontario e combatté con altri studenti toscani a Curtatone e Montanara. Tornato a Firenze fondò una rivista satirica, Il Lampione (censurata da lì a breve). Nel 1849 diventò segretario ministeriale.

Nel 1850 diventò amministratore della libreria Piatti, che, come spesso accadeva all'epoca, svolgeva anche attività editoriale. Collodi collabora con i giornali L'Opinione, il Nazionale, la Gazzetta d'Italia e l'Arte. Nel 1853 abbandonò l'Arte per dirigere la Scaramuccia,[6] che poi acquistò con il contributo dello zio paterno. Si occupò di tutto: musica, teatro, letteratura. Nel 1856 collaborò con la rivista umoristica La Lente dove firmò per la prima volta con lo pseudonimo di Collodi.[7] Dello stesso anno sono le sue prime opere importanti: Gli amici di casa e Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno.

Nel 1859 partecipò alla seconda guerra d'indipendenza come soldato regolare piemontese nel Reggimento Cavalleggeri di Novara. Finita la campagna militare ritornò a Firenze. Nel 1860 diventò censore teatrale. Nel 1868, su invito del Ministero della Pubblica Istruzione, entrò a far parte della redazione di un dizionario di lingua parlata, il Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze.

Nel 1875 ricevette dall'editore Felice Paggi l'incarico di tradurre le fiabe francesi più famose. Collodi tradusse Charles Perrault, Marie-Catherine d'Aulnoy, Jeanne-Marie Leprince de Beaumont. Effettuò anche l'adattamento dei testi integrandovi una morale; il tutto uscì l'anno successivo sotto il titolo de I racconti delle fate.

Nel 1877 apparve Giannettino, e nel 1878 fu la volta di Minuzzolo. Il 7 luglio 1881, sul primo numero del periodico per l'infanzia Giornale per i bambini (pioniere dei periodici italiani per ragazzi diretto da Fernandino Martini), uscì la prima puntata de Le avventure di Pinocchio, con il titolo Storia di un burattino.[8] Vi pubblicò poi altri racconti (raccolti in Storie allegre, 1887).

Nel 1883 pubblicò Le avventure di Pinocchio raccolte in volume. Nello stesso anno diventò direttore del Giornale per i bambini.

All'apice del successo, il 26 ottobre 1890, a un mese dal compimento del suo sessantaquattresimo anno, Collodi viene stroncato sull'uscio di casa, probabilmente da un infarto.

Le avventure di Pinocchio[modifica]

Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino.
Pinocchio in un'illustrazione di Enrico Mazzanti

Collodi si dedica alla stesura delle Avventure di Pinocchio in età avanzata, nella fase finale della sua vita. Il libro per la sua struttura ricorda il romanzo picaresco, poiché è composto da una serie di avventure che avvengono sullo sfondo di un mondo crudele, in cui abbondano pericoli e tranelli.[9]

Trama

Il falegname Maestro Ciliegia, trovatosi in casa un pezzo di legno parlante, lo regala all'amico Geppetto, che vuole utilizzarlo per farne un burattino. Mano a mano che lo costruisce, però, il burattino dimostra una vita propria, e Geppetto finisce per chiamarlo Pinocchio e adottarlo come un figlio. Pinocchio tuttavia trasgredisce i doveri verso il padre e ben presto abbandona la casa del vecchio falegname. Venduto l'abbecedario che Geppetto aveva acquistato rinunciando alla propria casacca, Pinocchio compera i biglietti per uno spettacolo di burattini e finisce nelle grinfie del burattinaio Mangiafoco, che vuole bruciarlo per cucinarsi la cena. Pinocchio riesce a impietosire il burattinaio, che lo grazia e gli regala cinque monete d'oro da dare al padre. Sulla strada incontra però il Gatto e la Volpe, che si propongono di accompagnarlo al Campo dei Miracoli, dove grazie a un prodigio potrà moltiplicare il suo denaro. In realtà i due lo abbandonano dopo una sosta in una locanda e, travestiti da assassini, lo aggrediscono sulla via per sottrargli le monete. Credendo che le tenga in bocca e non riuscendo a prenderle, decidono di lasciarlo impiccato a un ramo, per recuperare i soldi il giorno dopo.

Pinocchio viene soccorso dalla Fata dai capelli turchini, che lo cura e lo manda in cerca del padre, con la promessa di poter vivere tutti e tre insieme. Tuttavia incontra una seconda volta il Gatto e la Volpe, che questa volta riescono a rubargli i soldi dopo averglieli fatti sotterrare nel Campo de' Miracoli. Accortosi del furto, Pinocchio si rivolge a un giudice gorilla, ma questi invece di dargli ragione lo condanna a quattro mesi di prigione. Dopo essere stato liberato, si incammina per tornare dalla fata, ma viene preso in una tagliola e costretto da un contadino a fare la guardia al posto del suo cane, morto poche ore prima. Riesce così a fermare un gruppo di faine che tentano di razziare il pollaio, e come ringraziamento riottiene la sua libertà.

Arrivato al luogo dove si trovava la casa della fata, Pinocchio trova al suo posto una lapide tombale. Sul luogo incontra però anche un colombo, che lo porta in volo fino alla spiaggia, dove vede Geppetto, partito alla ricerca del figlio, su una barca in balia della tempesta. Dopo avere tentato invano di raggiungere il padre a nuoto, Pinocchio si ritrova sull'isola delle Api Industriose, dove ritrova la fata, alla quale promette di studiare e di diventare un bravo ragazzo. Mantiene la promessa per un certo periodo, finché non è coinvolto in un rissa sulla spiaggia con alcuni ragazzi, uno dei quali rimane ferito. Per fuggire ai carabinieri e al loro cane si butta in acqua, ma finisce nella rete di un pescatore, che lo vuole friggere insieme ad altri pesci e poi mangiarlo. Scampato anche a questo pericolo, torna dalla fata, che gli promette di trasformarlo finalmente in un ragazzo.

Quella sera stessa viene però convinto dall'amico Lucignolo a seguirlo nel Paese dei balocchi, dove è sempre vacanza e i bambini possono fare tutto ciò che vogliono. Qui rimangono per cinque mesi, dopo i quali i due ragazzi si trasformano in ciuchini e come tali vengono venduti. Pinocchio finisce a lavorare in un circo, ma dopo essersi azzoppato durante un'esibizione viene venduto a un uomo, il quale vuole annegarlo per poi usarne la pelle come membrana per un tamburo. L'intervento della fata, che lo fa tornare burattino, gli salva la vita, ma l'uomo infuriato per i soldi spesi minaccia di utilizzarlo per accendere il fuoco. Pinocchio è costretto a gettarsi in mare e viene ingoiato da un enorme pescecane, lo stesso in cui Geppetto è imprigionato ormai da due anni. Dopo essere scappati dal corpo del pesce, Pinocchio trova un lavoro e si prende cura dell'anziano padre. Avendo così dimostrato di essere diventato responsabile, viene infine trasformato dalla fata in un ragazzo.
Prima pagina del Giornale per i bambini con il terzo capitolo de Le avventure di Pinocchio (14 luglio 1881)

La fortuna di Pinocchio si deve alla sua forza narrativa, che utilizzando vari elementi fiabeschi è in grado di evocare immagini, situazioni e personaggi misteriosi e inquietanti. Queste fantasie si confrontano però con il mondo contemporaneo e con una realtà quotidiana fatta di lavoro, miseria e prevaricazioni. D'altra parte, poiché il pubblico del romanzo è composto da ragazzi, Collodi indugia su aspetti pedagogici, inserendo ammonizioni e riflessioni di carattere moralistico, in un'ottica piccolo-borghese: si invita quindi a fuggire da ogni facile piacere per dedicarsi allo studio, al duro lavoro e al risparmio, evitando le cattive compagnie.[10] Questo orientamento pedagogico è osservabile dalla stessa trama del romanzo, tanto che il libro può essere considerato un piccolo romanzo di formazione. Pinocchio non ha rispetto per quello che gli dice il babbo Geppetto, né presta attenzione alle raccomandazioni del Grillo parlante, e finisce sempre per farsi traviare da cattive amicizie. Tuttavia, le esperienze negative e i buoni consigli della fata turchina lo conducono sulla retta via: avendo capito l'importanza dello studio e del lavoro, il burattino viene così trasformato in un bambino.[9]

Tuttavia, al di là degli intenti pedagogici, il romanzo deve il suo fascino alle avventure che capitano al protagonista. Collodi non dà dell'infanzia un'immagine edulcorata, come una fase felice della vita, ma la descrive come uno spazio di sofferenza e miseria. Pinocchio si ritrova spesso in situazioni pericolose da cui esce all'ultimo momento, senza d'altra parte apprendere una vera e propria lezione: è infatti sempre pronto a ripetere i propri errori, cacciandosi ogni volta in avventure ancora più rischiose. Qui gioca un ruolo importante la natura del protagonista, che se da un lato scopre il mondo attraverso gli occhi di un bambino, dall'altro in quanto burattino presenta una certa meccanicità nei comportamenti e nell'ostinazione con cui ritorna immancabilmente sugli stessi errori.[9]

Altro aspetto che caratterizza il romanzo è il realismo con cui viene descritto questo mondo duro e crudele, in cui la vita sociale è segnata dalla violenza, dalla sopraffazione, dalla cattiveria e dall'indifferenza tra le persone. Nelle sue avventure Pinocchio incontra molti personaggi perfidi, sempre pronti a sfruttare le debolezze altrui, e perfino le autorità come i gendarmi e i giudici, invece di tutelare gli inermi, puniscono e incarcerano gli innocenti.[9] L'originalità di Pinocchio è dovuta al fatto che questo realismo si esprime attraverso elementi magici e fantastici, che vanno oltre il reale e che affondano le loro radici in tradizioni molto antiche (come per esempio l'immagine di Geppetto nel ventre del pescecane). Tutto questo viene raccontato con una prosa semplice che utilizza un fiorentino agile e concreto, lontano dal modello manzoniano.[11]

Note[modifica]

  1. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2002, p. 807.
  2. Alberto Cadioli e Giuliano Vigini, Storia dell'editoria italiana dall'unità ad oggi, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, p. 33-.
  3. Rossana Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 14.
  4. Domenico Proietti, Carlo Collodi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 2007. URL consultato il 15 settembre 2015.
  5. Rossana Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 43.
  6. Rossana Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 66.
  7. Rossana Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 68.
  8. Silvia Ronchey, Il burattino framassone, in La Stampa, 27 febbraio 2002, p. 25.
  9. 9,0 9,1 9,2 9,3 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 809.
  10. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 808.
  11. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 810.