Gallerie di piazza Scala/II

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.

Sezione II[modifica]

Hayez e i grandi temi romantici. Tra pittura storica e melodramma (Sala 5)[modifica]

Sono presenti 4 opere di Francesco Hayez, protagonista assoluto della pittura del Romanticismo storico.

L'ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia (I due Foscari)

  • English: The Last Meeting between Jacopo Foscari and his Family Before Being Sent into Exile
  • Data tra il 1838 e il 1840
  • Tecnica/materiale Olio su tela
  • Dimensioni Altezza: 165 cm. Larghezza: 233 cm.

Descrizione

14. L'ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia (I due Foscari), 1838-1840

Il dipinto fu commissionato nel 1838 dall'Imperatore Ferdinando I, giunto a Milano per la sua incoronazione a re del Lombardo Veneto, e destinato alla Galleria del Belvedere di Vienna. Al compimento dell'opera, nel 1840, il suo valore fu stimato nella cifra altissima di cinquemila fiorini dalla Commissione permanente di Pittura dell'Accademia di Brera, che ne evidenziò così il merito straordinario. Nel 1928 la grande tela fu messa all'asta presso la Galleria Scopinich di Milano, insieme ad altri preziosi dipinti italiani provenienti dalle collezioni imperiali, dove fu acquistata da Antonio Bernocchi, esponente di rilievo dell'imprenditoria italiana e mecenate dell'arte, attivo nel settore tessile e senatore del Regno dal 1929. Da questa prestigiosa raccolta il dipinto è giunto direttamente in Collezione nel 1989.

L'Histoire de la République de Venise dello storico francese Pierre Daru costituisce la fonte letteraria dell'episodio del Doge, costretto ad accettare la condanna di suo figlio Jacopo, ingiustamente accusato di tradimento; ma il tema era già stato affrontato nel 1821 da Lord Byron nella tragedia I due Foscari che ispirò anche l'omonimo melodramma di Giuseppe Verdi del 1844.

La critica riconobbe prontamente il fascino teatrale della pittura di storia che spesso condivideva i propri soggetti con i melodrammi più popolari. Il processo di immedesimazione del pubblico alle vicende rappresentate sulla tela si realizzava attraverso un'accurata ricostruzione scenica di luoghi, costumi, gesti, ma anche mediante l'inserimento di ritratti dei contemporanei che impersonavano figure storiche.

Nella tela in Collezione Hayez presta il suo volto opportunamente invecchiato al protagonista, il Doge, che con un gesto drammatico condanna il figlio ad obbedire alla decisione del Consiglio dei Dieci, mentre si appoggia al suo bastone tremante di emozione. Attorno a lui si succedono le reazioni dei personaggi: il dolore silenzioso delle donne; la freddezza del nemico Loredano, in piedi accanto a Jacopo che stende le mani verso il padre; le emozioni diverse dei bambini.

Il commiato di Jacopo dalla famiglia è reso ancor più struggente dall'allusione all'imminente perdita della patria attraverso l'inserto del paesaggio lagunare, con le navi pronte a partire, che si intravede dal portico di Palazzo Ducale.

Il mito di Venezia e il tema della solitudine dei potenti si condensano nell'episodio che Hayez affrontò ripetutamente in diverse versioni, tra cui la nota tela eseguita su commissione dell'amico e consulente Andrea Maffei tra il 1852 e il 1854 (Firenze, Galleria d'Arte Moderna Palazzo Pitti).

La sensibilità scenica dell'artista e la consonanza della sua pittura con il melodramma verdiano, in particolare, trova un'ulteriore conferma nell'incarico di revisionare i figurini per la messa in scena dei Due Foscari, nel 1858.


Francesco Hayez (1791–1882) Papa Urbano II sulla piazza di Clermont predica la prima crociata

  • English: Pope Urban II Preaching the First Crusade in the Square of Clermont
  • Data 1835
  • Tecnica/materiale Olio su tela
  • Dimensioni Altezza: 157 cm. Larghezza: 265 cm.

Descrizione

15. Papa Urbano II sulla piazza di Clermont predica la prima crociata, 1835

Il dipinto fu eseguito per i fratelli Enrico e Gaetano Taccioli, noti patrioti e committenti di altre importanti opere di Francesco Hayez, e presentato all'Esposizione di Belle Arti di Brera nel 1835. La tela, che risultava in proprietà Litta Modignani nel 1934, ricomparve sul mercato antiquario negli anni Novanta quando fu acquistato dalla Cariplo.

L'episodio della predicazione di Pietro l'Eremita nella piazza di Clermont, alla presenza di Urbano II è ispirato alla Storia delle Crociate di Joseph-François Michaud, tradotta in italiano dal 1826. A conclusione del Concilio tenuto nella città francese nel novembre del 1095, il pontefice lanciò il celebre appello che invitava i cavalieri cristiani ad intervenire in difesa della Chiesa, in aiuto dei fratelli orientali in Terrasanta.

Nella fedele trasposizione pittorica del testo letterario Hayez impagina la scena attorno all'alto trono eretto per il pontefice nella piazza gremita di una immensa folla, concentrando gli episodi principali della predicazione di Pietro l'Eremita e della distribuzione delle croci rosse di stoffa che avrebbero contrassegnato gli abiti di tutti coloro che s'impegnavano a combattere.

In questa tela l'artista dimostrava ancora una volta la sua indiscussa abilità nella rievocazione dei costumi e dell'ambientazione all'interno di una puntuale ricostruzione di un episodio tratto dalla storia medievale; ma soprattutto rivelava le potenzialità della pittura di storia nel farsi interprete dei sentimenti e delle reazioni caratterizzanti una moltitudine. Momenti di grande forza drammatica ed emozionale si alternano a episodi di tono elegiaco-sentimentale, come nel commiato familiare che si chiude con una coppia che sta per baciarsi in primo piano o nella donna rimasta sola con il suo bambino con un'evidente allusione alla partenza del capofamiglia.

Alla sua apparizione nel 1835 il dipinto fu accolto dalla critica in modo contrastante: alcuni rimproverarono al pittore una soluzione compositiva disordinata nell'orchestrazione dei numerosi gruppi e una condotta pittorica troppo affrettata, in particolare, nella rappresentazione della folla in lontananza, ma la maggior parte della pubblicistica elogiò la freschezza esecutiva e la ricchezza delle soluzioni espressive. Al tema delle Crociate, denso di allusioni politiche alla situazione italiana contemporanea e alla necessità di un riscatto nazionale, Hayez dedicò anche il celebre Pietro l'Eremita del 1829 (collezione privata), vero e proprio appello alla causa di indipendenza, e la Sete dei Crociati (Torino, Palazzo Reale).




Francesco Hayez (1791–1882) La morte di Abradate

  • English: The Death of Abradates
  • Data 1813
  • Tecnica/materiale Olio su tela
  • ^Dimensioni Altezza: 74 cm. Larghezza: 95 cm.

Descrizione Il dipinto, proveniente da una raccolta privata bergamasca, è entrato in Collezione nel 1987.

A lungo ritenuta dispersa, l'opera è presentata per la prima volta al grande pubblico nel 1983 in occasione della mostra antologica dedicata a Francesco Hayez presso Palazzo Reale a Milano. In questa importante esposizione - avvio della rilettura critica dell'attività dell'artista, caposcuola del movimento romantico - è stata identificata come un frammento della vasta tela rappresentante La Morte di Abradate, intrapresa nella primavera del 1813 durante il soggiorno romano dell'artista, in previsione del Concorso di Prima Classe dell'Accademia di Belle Arti di Brera.

  • 16. La morte di Abradate, 1813

Nelle sue note autobiografiche Hayez ripercorre le vicende legate alla complessa gestazione del dipinto che vede coinvolti due dei massimi protagonisti del mondo artistico dell'epoca, entrambi decisivi nella formazione del giovane artista: lo scultore Antonio Canova e il conte Leopoldo Cicognara, allora presidente dell'Accademia di Belle Arti di Venezia.

All'inizio del 1813, infatti, il conte Cicognara sollecita Francesco Hayez a concorrere al premio annuale dell'Accademia di Belle Arti di Brera attraverso una lettera destinata al comune amico Antonio Canova. La richiesta nasce dall'insoddisfacente risultato ottenuto dal pittore l'anno precedente, quando aveva presentato una vasta tela con il tema del Laocoonte (Milano, Accademia di Brera) che si era aggiudicata il primo premio ex-aequo con l'opera di Antonio De Antoni, allievo di Andrea Appiani, premier peintre dell'imperatore Napoleone e autorevole membro dell'accademia milanese. Un risultato dettato da motivi di politica interna all'istituzione che scontentava profondamente il giovane artista, consapevole della netta superiorità del suo saggio, e, soprattutto, il suo protettore veneziano che nel 1813 ne sollecitava nuovamente la partecipazione al concorso, certo questa volta di riportare una vittoria schiacciante.

Dopo un primo tentativo di sottrarsi alla prova e, soprattutto, al rischio di una nuova delusione, sulla spinta di Cicognara il pittore affronta il soggetto prescelto dalla Commissione in una tela di proporzioni monumentali e, tuttavia, dopo aver completato le teste del gruppo principale, inscena un incidente facendo cadere sopra al dipinto un grande cavalletto che lo danneggia irrimediabilmente.

Il soggetto richiesto dal concorso di quell'anno, La Morte di Abradate, è tratto da un passo della Ciropedia di Senofonte (Ciropedia, VI, 3 e VII, 3) che narra della pietà mostrata da Ciro, potentissimo re dei Persiani, alla morte di Abradate, inizialmente suo nemico e in seguito alleato nella guerra contro Creso. Un tema che si prestava all'esaltazione delle qualità morali del sovrano persiano, facilmente assimilabile all'imperatore dei francesi, Napoleone Bonaparte. Per questo esemplare saggio di pittura di storia, ancora legato ai dettami della pittura neoclassica, Hayez integra il testo antico con la lettura del popolare romanzo contemporaneo Voyage du jeune Anacharsis en Grece dell'abate Barthelemy (1793).

Il frammento superstite dell'opera mostra il gruppo degli astanti guidato da Ciro; quest'ultimo con un gesto della mano indica i doni del funerale, senza distogliere lo sguardo dal gruppo principale, ora scomparso, che ritraeva la regina Pantea stretta al cadavere del marito Abradate. Nella figura con il cappello a tronco di cono che si volge in direzione opposta rispetto all'avvenimento principale si riconosce il pittore Tommaso Minardi, ricordato da Hayez nella sua autobiografia come ironico e poco sincero. Un intenso ritratto che ferma con realismo l'immagine del futuro caposcuola del movimento purista e si qualifica come una significativa testimonianza del loro rapporto e del momento di formazione comune a Roma, prima che i due artisti intraprendessero percorsi diversi.

17. Francesco Hayez (1791–1882) Valenza Gradenigo davanti agli Inquisitori

  • English: Valenza Gradenigo before the Inquisition
  • Data 1835
  • Tecnica/materiale Olio su tela
  • Dimensioni Altezza: 96 cm. Larghezza: 115.5 cm.
  • Numero d'inventario FCIP 0045
  • Iscrizioni Firma in fondo a sinistra: Hayez F.

Descrizione

Il dipinto è entrato in Collezione nel 1971, proveniente dal mercato antiquario. Eseguito nel 1835 per Andrea Maffei - poeta, traduttore e suggeritore iconografico di Francesco Hayez -, in seguito, fu donato alla moglie Clara che lo espose nel suo noto e frequentato salotto milanese.

L'opera propone un inserto romanzesco all'interno di una vicenda storica, all'epoca ben nota attraverso suggestioni letterarie: la tragedia Antonio Foscarini pubblicata a Firenze nel 1827 da Giovan Battista Niccolini e il romanzo francese Foscarini ou le patricien de Venise.

  • 17. Valenza Gradenigo davanti agli Inquisitori, 1835

Valenza Gradenigo, colpevole di aver tentato di salvare l'uomo da lei amato - il senatore Antonio Foscarini, condannato per tradimento nel 1662 - è condotta davanti agli Inquisitori di Stato della Serenissima, tra i quali il padre, giudice inflessibile, ritratto al centro della stanza. All'impostazione teatrale della scena sapientemente studiata nella contrapposizione delle figure e nei calibrati effetti di luce, si sovrappone un dialogo muto tra i personaggi fatto di sguardi e di espressioni: dalla severa compostezza del padre, all'occhiata furtiva del servitore che sorregge la donna, al volto sprezzante del giovane giudice.

Valenza Gradenigo al cospetto dell'Inquisitore suo padre, prima versione eseguita nel 1832 per il notabile milanese Antonio Patrizio, nel formato ridotto della pittura aneddotica, fu donata nel 1900 all'Accademia di Brera, ed è attualmente in deposito presso Villa Carlotta a Tremezzo, mentre le successive redazioni dello stesso tema del 1845 risultano disperse. Questa seconda versione ottenne un particolare favore di critica e di pubblico; fu ripetutamente riprodotta a stampa e, ancora, in miniatura in smalto - su rame e porcellana - da Pietro Bagatti Valsecchi. L'episodio inaugura una tendenza della pittura di storia dedicata a oscure e tragiche vicende storiche veneziane, spesso replicate in diverse versioni, come L'ultimo abboccamento di Jacopo Foscari con la propria famiglia prima di partire per l'esilio cui era stato condannato, anch'essa in Collezione.