Gallerie di piazza Scala/VII
Sezione VII
[modifica | modifica sorgente]Il paesaggio lombardo. Tra la suggestione poetica di Manzoni e la ricerca del vero (Sala 15)
Sono presenti 21 opere che dimostrano le diverse trasformazioni, lungo tutto l’arco dell’Ottocento e sino al primo decennio del Novecento, della pittura di paesaggio, un genere prima considerato minore.
- 91. Marco Gozzi, Paesaggio montano con torrente Ogna, palazzo Moroni e una fabbrica di ferro, 1833 ca
Nel 1807 Marco Gozzi ottenne il prestigioso incarico governativo di eseguire annualmente quattro vedute lombarde, in seguito al contratto stipulato con l’allora ministro dell’interno del Regno Italico, conte Di Breme. Tale impegno fu confermato dal governo austriaco negli anni della Restaurazione con una riduzione del numero di tele richieste, a fronte dell’età ormai avanzata dell’artista. L’incarico era finalizzato alla raccolta di un’immagine topografica del territorio che andava mutando il suo paesaggio grazie alle opere di modernizzazione promosse dallo stato. Le richieste della committenza e l’evoluzione del gusto determinarono l’importante svolta artistica del pittore da un’interpretazione del paesaggio idillica, di matrice settecentesca, verso una visione esatta e realistica, sorretta dallo studio dal vero. L’opera in Collezione, tradizionalmente identificata con una veduta del fiume Adda, potrebbe essere riferita all’inizio del primo decennio dell’Ottocento, sia per le dimensioni che corrispondono a quelle abitualmente preferite dal pittore a queste date, sia per il carattere della veduta ampia e spaziosa che risente dei modelli arcadici di Francesco Zuccarelli e Giuseppe Zais. La scena è impaginata sfruttando la quinta di appoggio con gli alberi, oltre i quali si distende il vasto paesaggio fluviale animato da figurette di pescatori e costellato di rovine. Soltanto il titolo offre uno spunto per l’identificazione del luogo che forse è già ripreso dal vero, ma ancora all’interno di un canone della rappresentazione della pittura di paesaggio tipicamente settecentesco. Un modello ripetutamente adottato da Gozzi all’inizio del secolo in una produzione di varia destinazione, e non esclusivamente riferibile alla committenza statale. Tra le numerose vedute dell’artista conservate alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, un Paesaggio condivide con l’opera in Collezione le stesse dimensioni e ne ricalca la ricca vegetazione che occupa la scena a sinistra, a tal punto da poter essere identificata come il suo pendant.
- 92. Giuseppe Canella, Porta Torre a Como, 1840
- 93. Giuseppe Canella Veduta di Sala sul Lago di Como
- Data 1847
- Tecnica/materiale Olio su tela
- Dimensioni Altezza: 49 cm. Larghezza: 72 cm.
Recenti studi critici hanno identificato il dipinto con Veduta di Sala sul Lago di Como, presentato all’Esposizione di Belle Arti di Brera nel 1847 insieme con Interno del Duomo di Firenze, La piazza del Granduca e altri quattro paesaggi. Alla sua apparizione l’opera riscosse l’apprezzamento entusiastico della critica e fu immediatamente riprodotta in incisione sulle Gemme d’arti italiane, accompagnata da una puntuale descrizione del scrittore liberale Antonio Zoncada. Il lungo testo evidenziava le qualità pittoriche del dipinto, contraddistinto da un’atmosfera suggestiva, da una luminosità chiara e rarefatta e da un’interpretazione del paesaggio in chiave emozionale. Questa stessa veduta dell’abitato rurale di Sala Comacina è fermata dal vero su di un foglio dei taccuini dell’artista con un’inquadratura più ravvicinata. La composizione piuttosto semplificata è costruita lungo la diagonale che dalla riva del lago prosegue lungo i profili delle abitazioni. Nella luce crepuscolare si concludono le attività quotidiane dei popolani (le imbarcazioni sono già ormeggiate, gli animali stanno per riparare nella stalla) mentre su tutto domina un senso di quiete e di malinconia. Al suo rientro dal lungo viaggio attraverso l’Europa orientale, nel 1837, l’artista aveva avviato un’inedita sperimentazione pittorica di matrice naturalista, specializzandosi nell’esecuzione di vedute dal forte potere evocativo di varie località dei laghi di Como, Maggiore e Varese e della campagna lombarda. La connotazione romantica del paesaggio lacustre e, soprattutto l’accento posto sulla quotidianità delle scene spinse la critica a istituire un parallelo tra la pittura di Canella e le opere letterarie di Alessandro Manzoni fin dal 1841, amplificando il successo riscosso dall’artista sulla scena artistica milanese come indiscusso caposcuola di una nuova pittura di paesaggio. L’opera in Collezione, insieme con Ora meridiana sul Lario (1847, collezione privata), appartiene alla produzione estrema del pittore, contraddistinta da una narrazione essenziale e dall’accentuazione dei valori cromatici e luministici.
- 94. Ercole Calvi, Scorcio di lago, 1859
- 95. Eugenio Gignous, Dintorni di Milano (Lavandaie della Magolfa), 1870
L'opera è identificabile con la tela presentata nel 1870 alla XXIX Esposizione della Società per le Belle Arti di Torino. Si tratta di una delle prime opere del pittore che, da poco conclusi gli studi presso l’Accademia di Brera, partecipa alle esposizioni di Genova, Torino e Milano con soggetti ispirati ai luoghi e alla vita contadina della campagna milanese e brianzola. Nell’opera in Collezione, il giovane Gignous descrive la rigogliosa vegetazione nei pressi di una roggia dove sono solite recarsi le donne per fare il bucato. Oltre il sentiero che costeggia il canale si profilano i primi edifici della città, segno del processo di urbanizzazione che sta progressivamente raggiungendo aree fino a questi anni a prevalente destinazione agricola. E proprio nella campagna alle porte della città il pittore è solito recarsi in compagnia degli amici Achille Tominetti e Luigi Rossi per sperimentare la pittura dal vero. Esito dell’intenso lavoro di questi anni sono opere come questo Dintorni di Milano o anche Cortile rustico nelle vicinanze di Milano (Milano, Museo di Milano), premiato nel 1870 all’annuale manifestazione braidense. In tali dipinti la pittura di paesaggio di Gignous risulta ancora influenzata dagli insegnamenti accademici tardo romantici ma lo sguardo al vero risulta già attento e sensibile: con tecnica analitica egli si sofferma sulle chiome degli alberi e sul fogliame delle siepi e con un’abile variazione delle tonalità di verde descrive il diffondersi della luce che dal cielo limpido riverbera sui tetti delle abitazioni e sulla vegetazione. Negli anni seguenti l’assidua pratica en plein air lo porterà ad elaborare una pittura più libera, accogliendo e sviluppando le istanze del naturalismo lombardo.
- 96. Gerolamo Induno (1825–1890) Pescarenico
- Data 1862
- Tecnica/materiale Olio su tela
- Dimensioni Altezza: 57.5 cm. Larghezza: 79.5 cm.
Promessi Sposi dove questo scorcio viene così descritto: "un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti ad asciugare" (I Promessi Sposi, cap. IV). Il soggetto, molto richiesto dai collezionisti nel corso di tutto l’Ottocento, ricorre frequentemente nell’opera di altri pittori quali Bartolomeo Bezzi, Ercole Calvi e Filippo Carcano; lo stesso Induno ne elaborò molte versioni a partire dalla Veduta di Pescarenico esposta a Milano nel 1859, seguita da un’altra presentata alla Promotrice di Torino nel 1862 (Torino, Civica Galleria d’Arte Moderna) per finire almeno con Pescarenico, effetto di neve (già Milano, collezione Arturo Toscanini) esposta a Milano l’anno seguente. Sempre nel 1863 Induno espone alla Promotrice di Genova una Veduta di Pescarenico (Lombardia) che potrebbe essere identificata con l’opera in Collezione. In queste vedute Induno dà prova di grande disinvoltura anche nella pittura di paesaggio, affrontata nell’arco della sua produzione artistica accanto ai più frequenti soggetti storici e alle scene di genere ampiamente documentati nelle altre opere in Collezione. Il dipinto raffigura un’assolata veduta estiva del villaggio, scandita entro una composizione dalla rigorosa prospettiva centrale, dove i caseggiati sfilano lungo la riva del lago aprendosi nel punto dove la spiaggia si fa più larga. Qui i panni stesi al sole e le barche attraccate alludono alla quotidiana vita degli abitanti; sullo sfondo le montagne sono attraversate da dense nubi. Ricercati effetti luminosi, resi con tocchi rapidi, rischiarano gli edifici che si affacciano sul lago sulle cui acque appena increspate si creano riflessi cangianti.
- 97. Ercole Calvi, Pescarenico visto dall'altra sponda dell'Adda, 1875 ca
- 98. Federico Cortese, Pescarenico, 1890
- 99. Federico Cortese, Scorcio di lago, 1880-1890
- 100. Poma Silvio Lago di Como-La punta di Bellagio
L’ampio paesaggio, grazie alla puntuale restituzione dei dati topografici, è identificabile con una veduta del lago di Lecco con la caratteristica punta di Bellagio e le alture di Tremezzo e Menaggio, sullo sfondo. La composizione è costruita impiegando uno schema ricorrente all’interno del repertorio dell’artista, che scandisce la scena per piani paralleli: la striscia di terra animata da gruppi di figurine e barche, lo specchio d’acqua, il profilo dei monti in lontananza, il cielo limpido e luminoso.
La rappresentazione dal vero di luoghi facilmente riconoscibili - talvolta codificati in forme fisse fino a costituire uno stereotipo - e l’impiego di un naturalismo nostalgico e intimista costituiscono la cifra stilistica della produzione artistica di Silvio Poma. Combinando la lezione di Gerolamo Induno e Giovan Battista Lelli con le coeve ricerche del naturalismo lombardo, dalle quali ricavò l’attenzione per una pittura sciolta e luminosa, l’artista si fece interprete di una pittura di paesaggio di facile comprensione, che raggiunse i suoi esiti migliori nell’ottavo decennio del secolo, insieme con uno straordinario successo di vendite.
La ripetizione degli stessi soggetti, raffigurati in modo molto simile, quando non addirittura identico, all’interno di una vasta produzione di paesaggi lacustri, rende difficile avanzare un’ipotesi convincente circa l’identificazione dell’opera in esame tra le numerosissime tele presentate dall’artista alle maggiori rassegne italiane dell’epoca. Un dipinto raffigurante Le alture di Menaggio e la punta di Bellagio (Lago di Como) fu presentato dall’artista all’Esposizione Nazionale di Bologna nel 1888.
- 101. Eugenio Gignous, Feriolo sul Lago Maggiore, 1900 ca
- 102. Lorenzo Gignous, Veduta del Lago Maggiore presso Sesto Calende, 1895-1900
- 103. Emilio Borsa, Angolo di pace, 1900-1910
- 104. Pompeo Mariani, Risaia alla Zelata, 1896
- 105. Pompeo Mariani, Cascina Zelata, 1896
La tavola, datata 1896, fa parte di un nucleo omogeneo di opere eseguite da Pompeo Mariani nel corso degli anni Novanta dedicate al medesimo soggetto. Il dipinto ritrae una lanca del Ticino, uno dei punti dove il fiume dilaga in aree paludose creando un rifugio ideale per la selvaggina, nei pressi della località Zelata nel Pavese. Il luogo, un tempo tenuta di caccia dei Visconti e, in seguito, della famiglia Crespi, a partire dall’ultimo decennio del secolo fu frequentata abitualmente da Mariani, pittore e cacciatore. Al primo piano occupato dai canneti e dagli animali acquatici risolti con una stesura pittorica descrittiva, succede la distesa d’acqua desolata, dove si riflette il cielo nuvoloso, che sfuma in una lontananza indefinita fatta di brevi pennellate. La rappresentazione dello stesso soggetto nelle varie stagioni e in diverse situazioni di luce, come pure la pratica di dipingere en plein air, inaugurata negli anni Ottanta, ha le sue le radici nella pittura del naturalismo lombardo e nella formazione presso Eleuterio Pagliano. Animate da scene di caccia o attraversate da una profonda solitudine, le vedute della Zelata, insieme con la copiosissima produzione di marine liguri, valsero all’artista l’appellativo della critica di “poeta dell’acqua” e ottennero uno straordinario successo di pubblico fin dalla prima esposizione braidense del 1894 dove furono acquistate dai più importanti collezionisti dell’epoca.
- 106. Pompeo Mariani, La raccolta delle olive a Bordighera, 1917
L’iscrizione a inchiostro sul telaio riporta il titolo dell’opera e ne segnala la provenienza originaria dalla raccolta Botta. Allo stato attuale degli studi è questa l’unica traccia documentaria che collega il dipinto alla passione collezionistica di Gustavo Botta, poeta, critico letterario ed esperto conoscitore d’arte. La tela, infatti, non risulta tra i dipinti esposti presso la Galleria Scopinich di Milano nell’aprile del 1934, in occasione della vendita all’asta della sua prestigiosa raccolta che vantava opere dei Sei e del Settecento, accanto alla ricca selezione di dipinti dei maggiori artisti del XIX secolo, tra i quali Emilio Longoni, Arturo Tosi e, soprattutto, Emilio Gola. L’interesse di Gustavo Botta per gli esponenti del naturalismo lombardo - in particolare per Mosè Bianchi, cui Pompeo Mariani era legato da affinità artistica oltre che da stretti vincoli di parentela - avvalora l’ipotesi di questa provenienza per il dipinto in Collezione che potrebbe essere stato ceduto in una occasione, non documentata, diversa dalla vendita all’asta del 1934. Una recente ipotesi critica propone di identificare il quadro con Raccolta di ulive, datato 1917, presentato alla mostra individuale dell’artista presso la Galleria Pesaro di Milano nel 1923 e contrassegnato dal numero 96 del catalogo. In questa significativa occasione espositiva, che ripercorre tutto il repertorio del pittore, compare un folto nucleo di opere dedicato al tema degli uliveti, ricavato dallo studio dal vero dei boschi nei dintorni della località balneare di Bordighera, dove l’artista risiedeva stabilmente dal 1907. I taccuini ne attestano l’interesse fin dal 1898, quando Mariani fu per la prima volta a Bordighera in visita con la madre. A queste date risalgono i primi disegni, tratti dal vero, tra i quali Notturno nell’uliveto e Sera nel bosco e di poco successivi sono alcuni dipinti ad olio, già contraddistinti da un taglio ravvicinato e da una visione da sottinsù che diventeranno poi elementi ricorrenti delle composizioni tarde. Nella maturità gli studi si concentrano sul lavoro dei taglialegna e sulla raccolta delle olive, come attestano un nucleo di fogli datati 1913 e i disegni riferibili agli anni tra il 1917 e il 1918. In questa ripresa del soggetto l’artista attinge al suo ricco corpus grafico sfruttando anche a distanza di molti anni schizzi e disegni, eseguiti a matita o carboncino. Allo stesso tempo prosegue nelle sue indagini sul vero raggiungendo, infine, un’inedita libertà espressiva grazie ad una tecnica pittorica di grande valore evocativo, come in Oliveto del 1912 (Milano, Palazzo Isimbardi). La pennellata si fa sempre meno descrittiva, rapidi tocchi spezzati si alternano a dense lumeggiature; insistendo sui fusti nodosi e sui rami che si intrecciano, i contorni diventano sempre meno definiti arrivando a una grande sintesi formale.
- 107. Augusto Carutti di Cantogno, Dopo la tempesta, 1899-1904
- 108. Augusto Carutti di Cantogno, Paesaggio con specchio d'acqua e buoi, 1900-1910
- 109. Andrea Tavernier, Mattino autunnale, 1902
- 110. Emilio Gola, Presso il ponticello a Mondonico, 1914
- 111. Emilio Gola, Villaggio sotto la neve, 1900