Gallerie di piazza Scala/XI
Sezione XI
[modifica | modifica sorgente]La pittura alpestre. Dalla poetica del sublime al paesaggio come espressione delle sensazioni e delle emozioni (Sale 19 e 20)
Sono presenti 16 opere che mostrano grandi dipinti scenografici, dominati da vasti panorami montuosi pervasi da un nuovo sentimento della natura; i pittori intendevano interpretare lo smarrimento dell’uomo contemporaneo di fronte a una realtà urbana sempre più alienante e l'aspirazione a ritrovare se stessi a contatto con la natura.
- 161. Julius Lange, Paesaggio nordico con montagne, 1852
- 162. Ercole Calvi, Veduta della Brianza, 1860-1865
La tela ripropone uno dei soggetti più ricorrenti nella produzione dell’artista che, in seguito al suo rientro a Verona nel 1858 da un lungo soggiorno milanese, si dedicò principalmente al paesaggio abbandonando la pittura di veduta urbana. La maestosa visione della natura si rivela nelle imponenti montagne che sovrastano il ponte, nel torrente che scorre rapido, nelle grandi rocce. Un raggio di luce proveniente da sinistra illumina dall’alto la scena generando una ricchezza di passaggi chiaroscurali, dall’ombra alla piena luce, che diventeranno il tratto distintivo della pittura di paesaggio di Ercole Calvi. L’artista coniugò nelle opere della maturità la visione romantica della veduta, ereditata dal suo maestro, Giuseppe Canella, e contraddistinta dall’attenzione per i valori atmosferici e luministici, con le suggestioni della innovativa pittura tedesca, giunta in Italia attraverso i canali espositivi di Milano e Venezia. Una produzione realizzata nel corso degli anni Settanta con un repertorio piuttosto ripetitivo di vedute lacustri e paesaggi brianzoli ricavati dai modelli del suo maestro e, verosimilmente, dalla tradizione pittorica lombarda inaugurata all’inizio del secolo da Marco Gozzi con la rappresentazione delle prime vedute topografiche del territorio. L’adozione di uno schema collaudato di facile comprensione e la piacevolezza dei soggetti garantirono uno straordinario successo di mercato al pittore che, in breve tempo, raccolse però un severo giudizio della critica che gli rimproverava una certa ripetitività insieme ad una condotta pittorica manierata.
- 163. Carlo Mancini, Buoi aggiogati al carro sulle rive del Lago di Annone, 1857
All’Esposizione di Belle Arti di Brera del 1857, l’esordiente Carlo Mancini presentò sei dipinti tra i quali Bovi aggiogati al carro sulle rive del Lago di Annone, raccogliendo un discreto successo da parte della critica che riconosceva nello studio dal vero la componente fondamentale delle sue opere. L’artista rappresenta una scena semplice di vita rurale al tramonto, sulle rive del lago di Annone in Brianza. L’osservazione dal vero si traduce nella raffigurazione minuta, caratteristica della pittura di genere, di ogni dettaglio del carro e del suo carico, dell’abbigliamento dei personaggi e degli animali che occupano il primo piano del grande dipinto, ma pari interesse è rivolto all’ambiente naturale, indagato nel trascorrere della luce e nella resa atmosferica del cielo. La visione acquista profondità con il punto di fuga, rappresentato da una donna che percorre il declivio verso il lago accompagnata da un bambino, in evidenza lungo la diagonale che congiunge le figure. Fin dagli esordi, Carlo Mancini - avviato alla carriera artistica dallo zio, il pittore paesaggista Rinaldo Barbiano di Belgioioso - si accostò agli esempi del paesismo inglese facendosi interprete di una pittura di paesaggio portatrice delle prime istanze naturalistiche, raffigurando scene campestri nel loro aspetto ordinario, ma senza rinunciare a suggestivi effetti di luce al tramonto di derivazione romantica. L’acquerello preparatorio per il dipinto entrò a far parte della collezione d’arte di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, nella casa-museo milanese di via Manzoni (Museo Poldi Pezzoli, Milano).
- 164. Francesco Gnecchi, Fondo Toce (Il Sempione dal Lago Maggiore), 1884
All’Esposizione Nazionale di Torino del 1884, Francesco Gnecchi presentò due vedute del Lago Maggiore, rispettivamente dedicate a Riviera e a Fondo Toce. L’opera in Collezione è forse identificabile con quest’ultima, dal momento che ritrae una vista della sponda occidentale del lago tra Baveno e Pallanza verso Fondo Toce, oggi riserva naturale. Il punto focale della composizione coincide con la foce del fiume, cui è conferito il massimo risalto attraverso l’adozione di un punto di vista leggermente rialzato. L’ampio paesaggio con il Sempione sullo sfondo si articola attraverso la successione di piani paralleli che degradano lentamente e acquistano profondità grazie al cielo che sfuma in lontananza in una foschia indistinta, in contrasto con la vista limpida e tersa del primo piano. L’artista propone un panorama molto apprezzato dagli esponenti del naturalismo lombardo e piemontese, più volte rappresentato da Eugenio Gignous, Filippo Carcano e Uberto Dell’Orto. A quest’ultimo Gnecchi fu legato da intima amicizia, e verosimilmente i due pittori si recavano insieme a dipingere dal vero sul lago, dove entrambi disponevano di una residenza estiva, condividendo l’interesse per i valori luministici e atmosferici del paesaggio. Nel ricco repertorio di vedute del Lago Maggiore l’opera in Collezione si distingue per una pennellata condotta a brevi tratti, ancora descrittiva, e per un gusto aneddotico dei dettagli che animano e vivacizzano la scena, tra i quali la donna e la carrozza che percorrono il sentiero sulla destra e le caratteristiche imbarcazioni che solcano le acque calme del lago.
- 165. Lorenzo Gignous, Veduta del Lago Maggiore, 1885
Nel 1884 Lorenzo Gignous aveva ottenuto il Premio Mylius all’Accademia di Belle Arti di Brera per il paesaggio storico, quell’anno con soggetto libero, con una veduta di Sesto Calende (Milano, Accademia di Brera), località sul Lago Maggiore dove sbarcarono i reggimenti dei Cacciatori delle Alpi guidati da Garibaldi nel maggio del 1859. A partire da questo successo espositivo, amplificato dalla replica dell’opera eseguita per il ministro Riccardo Bianchi, il pittore avvia un repertorio di paesaggi del Lago Maggiore e delle località di Pallanza, Miazzina e Sesto Calende, destinato a contraddistinguere in maniera definitiva la sua produzione più nota e popolare, tra le quali Veduta del Lago Maggiore presso Sesto Calende (collezione Banca Intesa). Riferibile alla seconda metà degli anni ottanta dell’Ottocento per le stringenti analogie stilistiche con i paesaggi lacustri di questo periodo, l’opera in Collezione ritrae la sponda piemontese del Lago Maggiore, ripresa dalla riva dell’isola dei Pescatori. La veduta ampia e spaziata è arricchita da numerosi dettagli che guidano lo spettatore dal primo piano, con le figure dei pescatori e delle loro compagne affaccendate attorno alle loro barche, fino alla costa opposta, dove si distinguono le dimore signorili - la bianca e imponente Villa Durazzo e la rossa e caratteristica Villa Henfrey-Branca - e, in successione, la città di Baveno dominata dalle cave di marmo, seguita dal Montorfano. Una fitta trama di pennellate abbreviate e filamenti di diversa corposità suggerisce la consistenza del prato in primo piano, mentre il cielo e la distesa delle acque sono rese con una condotta pittorica più fluida e trasparente, attraverso la quale il pittore restituisce l’atmosfera vibrante del lago. Una puntuale corrispondenza nel soggetto e nel taglio compositivo tra l’opera in Collezione e Il Lago Maggiore e Baveno dall’isola dei Pescatori di Eugenio Gignous, zio di Lorenzo ed esponente di punta del naturalismo lombardo, rivela la stretta dipendenza tematica e stilistica del giovane allievo verso il proprio modello di riferimento. I frequenti soggiorni nel Verbano, ospite a Stresa, dove Eugenio si era trasferito con la famiglia dal 1887, favorirono la definizione del repertorio tematico di Lorenzo sui luoghi e sui modelli pittorici già affrontati dallo zio, replicati in innumerevoli versioni fino alla maturità, come attesta anche Case e montagne in Collezione.
- 166. Achille Formis, Erica in fiore, 1906
Il dipinto è stato in passato identificato con Presso Sesto Calende, opera con la quale Achille Formis partecipa all'Esposizione nazionale artistica di Venezia nel 1887, riproponendola l'anno seguente a Bologna. Da una descrizione del dipinto apparsa su un periodico pubblicato durante i mesi di apertura della mostra veneziana, tuttavia, si ha modo di riconoscervi un soggetto certamente diverso, raffigurante una passeggiata lungo le rive del Ticino o del lago Maggiore.
Recenti ricerche hanno permesso di identificarlo, invece, con Erica in fiore, dipinto presentato dal pittore nel 1906 – pochi mesi prima della sua scomparsa – alla Mostra nazionale di belle arti di Milano, e, in tale occasione, riprodotto su “L’Illustrazione Italiana”. L’opera raffigura un pascolo della campagna lombarda e rientra nella pittura di paesaggio a cui Formis si accosta a partire dagli anni Settanta, dopo un periodo trascorso spostandosi spesso in Egitto e nel vicino Oriente. Rientrato a Milano, dove si era trasferito alcuni anni prima abbandonando la nativa Napoli, Formis rinsalda i legami di amicizia con gli artisti conosciuti all'Accademia di Brera, tra i quali Eugenio Gignous, e come questi diventa interprete sensibile dei temi del naturalismo lombardo.
La veduta campestre è tra i soggetti più ricorrenti nella produzione del pittore che nel 1880 partecipa all’Esposizione nazionale di belle arti di Torino con Ritorno al piano e quasi due decenni dopo, nel 1899, presenta all'Esposizione internazionale d'arte della città di Venezia Lavori agricoli nel mantovano in cui si nota, rispetto a Erica in fiore, un taglio prospettico più ardito. La pittura, sempre attenta ai valori cromatici, è caratterizzata da una stesura materica a fitti e minuti tocchi di colore con cui si rende l’effetto quasi tattile della distesa di erica in primo piano.
- 167. Ercole Calvi, Brughiera lombarda, 1887
La presenza di un’etichetta autografa sul retro del telaio con il titolo Brughiera lombarda ha permesso l’identificazione dell’opera con il dipinto apparso all’Esposizione Nazionale di Venezia del 1887. La tela fu accolta favorevolmente dalla critica che evidenziò l’aggiornamento condotto da Ercole Calvi sulle ricerche della coeva pittura verista. Una svolta attuatasi fin dall’inizio degli anni Ottanta con il progressivo allontanamento da una produzione quasi seriale di paesaggi, molto richiesta dal mercato, ma ancora fortemente debitrice dei modelli romantici. Il dipinto in Collezione ripropone lo stesso scorcio della tela intitolata Monte Rosa (Verona, Galleria d’Arte Moderna) presentata all’Esposizione di Belle Arti di Verona nel 1886. In entrambe le opere si ritrova la distesa desolata della campagna, chiusa in lontananza dalla sagoma imponente della montagna innevata, e attraversata da un sentiero percorso da una donna con un bambino. Nell’opera in Collezione il senso di solitudine è però stemperato dall’inserimento del villaggio con i suoi abitanti, in primo piano. La ripetizione del medesimo soggetto in diversi momenti del giorno, la maggiore caratterizzazione dei personaggi e l’attenzione ai valori luministici, qui tradotti in pennellate abbreviate e dense, non più descrittive, lasciano supporre una prassi di lavoro condotta en plein air, sulla suggestione della pittura di paesaggio di matrice naturalista. Non è forse del tutto estranea alla ricerca dell’artista di questi anni la riflessione sulle opere mature del suo maestro Giuseppe Canella, dedicate alle vaste e desolate distese della campagna romana.
- 168. Mosè Bianchi, Chiostro, 1890
Databile al 1890, appartiene a un gruppo di opere ispirate al paesaggio e alla vita contadina nei pressi di Formaga, località sul lago di Garda vicina a Gargnano. Il dipinto mostra in particolare evidenti legami con due opere riferibili a questa serie: Pascolo a Formaga, tela di grandi dimensioni già nella collezione G. R., venduta all’asta presso la Galleria Scopinich di Milano nel 1933, e Nel chiostro, piccolo studio oggi in collezione privata. Riprendendo un’iconografia già usata da Leonardo Bazzaro (Altri tempi, 1885, ubicazione ignota), come Bianchi tra i principali esponenti del naturalismo lombardo, il pittore raffigura nei tre dipinti un gregge al pascolo entro la cornice architettonica del chiostro del convento della chiesa di San Francesco a Gargnano, edificato nella prima metà del XIV secolo. Rispetto a Pascolo a Formaga e Nel chiostro questa veduta acquista tuttavia maggiore respiro: la scena non è più delimitata dal perimetro del chiostro ma si allarga al paesaggio circostante dove si erge il profilo del monte Baldo. La stesura pittorica, fatta di sapienti tocchi di colore e di accesi valori cromatici, ben esemplificata nella pittura di paesaggio elaborata negli stessi anni a Gignese nel Verbano, si fa qui più libera e abbreviata per diventare al contrario quasi calligrafica nella descrizione dell’architettura. Questa variabilità pittorica è accentuata dal contrasto tra la zona d’ombra in primo piano e la luce che colpisce un lato del chiostro, quasi abbagliando lo spettatore, e rischiara la catena montuosa sullo sfondo.
- 169. Guglielmo Ciardi, Il Civetta, 1896]]
- 170. Francesco Filippini, Prime nevi, 1889
Una recente ipotesi critica riconosce nella tela il dipinto Prime Nevi, esposto nel 1889 a Milano, alla Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, e offerto in vendita nella stessa occasione per la consistente somma di 1500 lire. L’identificazione è supportata dai caratteri stilistici dell’opera, che coincidono con la produzione matura dell’artista, dalla corrispondenza del soggetto e dalle grandi dimensioni, che giustificherebbero l’ingente cifra richiesta per la sua cessione.
La composizione è costruita, all’interno dell’inquadratura verticale, per larghe masse giustapposte e impiega un punto di vista leggermente rialzato che dilata lo spazio visivo fino alla linea dei monti all’orizzonte. Le montagne appena imbiancate, con i loro profili frastagliati contro il cielo carico di neve, sovrastano un ambiente naturale nel quale la presenza umana è appena suggerita dalle abitazioni sulla destra. All’approssimarsi della stagione invernale, una natura ostile e aspra si rivela nella tavolozza austera dei bruni e dei verdi, stesi sul fondo ocra con una trama di pennellate abbreviate e di diversa consistenza che costituisce un vero e proprio segno di riconoscimento del gesto pittorico di Filippini. Esponente di rilievo del naturalismo lombardo, fortemente influenzato dal paesaggismo di Filippo Carcano, sodale di Eugenio Gignous e amico di Giovanni Segantini, dal 1880 alla morte, nel 1895, Fillippini si dedicò quasi esclusivamente alla pittura di paesaggio, con un linguaggio pittorico personalissimo che giunse nella produzione matura ad una estrema sintesi della rappresentazione, perlopiù incompresa dalla critica contemporanea.
- 171. Filippo Carcano, Prealpi bergamasche. In montagna, 1888
- 172. Filippo Carcano, In pieno inverno (Inverno in Engadina), 1909
Carcano partecipa nel 1909 con questo dipinto e un altro paesaggio di uguale formato, Estate in alta montagna (Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro), all’VIII Esposizione internazionale d’arte della città di Venezia. L’opera entra quindi a far parte della collezione milanese di Zaccaria Pisa, dispersa con la vendita all’asta del 1934. Databile allo stesso anno dell’esposizione veneziana, In pieno inverno ed Estate in alta montagna raffigurano due diverse vedute dei ghiacciai dell’Alta Engadina, valle delle Alpi svizzere nel Cantone dei Grigioni. Nel dipinto in Collezione Carcano raffigura in primo piano una distesa di neve rischiarata dal sole e un gruppo di abeti oltre i quali si apre la vallata, incastonata entro i ghiacciai del massiccio del Bernina con il monte Scerscen sullo sfondo. La composizione, resa con una sequenza di piani scanditi dalla diversa messa a fuoco, mostra evidenti analogie con il linguaggio fotografico al quale Carcano guardò sempre con interesse. Il soggetto, forse da leggere anche come un omaggio a Giovanni Segantini che in quei luoghi visse e morì, e del quale ricorreva nel 1909 il decennale della morte, era tra i preferiti della pittura di paesaggio di alta montagna alla quale gli artisti lombardi si erano rivolti già nell’ultimo decennio dell’Ottocento. Proseguendo la sua ricerca pittorica nell’ambito del naturalismo lombardo, Carcano rende con grande abilità l’effetto quasi tattile della neve sugli alberi e sulle montagne, ricorrendo a spessi tocchi di colore puro sulla tela priva di preparazione. La vivacità degli accostamenti cromatici accomuna inoltre il dipinto ad altre tele eseguite dal pittore sempre sulle alture al confine con la Svizzera, come Ghiacciaio di Cambrena (collezione privata) esposto nel 1897 alla II Triennale di Brera o Il monte Cervino (1890 circa, Milano, Galleria d’Arte Moderna).
- 173. Arnaldo Soldini, Montagne, 1900-1910
- 174. Arnaldo Soldini, Montagne, 1900-1910
- 175. Emilio Longoni, Primavera in alta montagna, 1912
- 176. Carlo Cressini, Tramonto sereno (Foscagno - Valtellina), 1920-1925
Raffigura una veduta dell’Alta Valtellina, presa dal Monte Foscagno, con al centro il piccolo lago alpino che si trova ai piedi della cima e sullo sfondo, oltre la Val Viola, le Alpi Retiche con la Cima Piazzi a sinistra. Sul finire dell’Ottocento Cressini abbandona i temi cittadini e campestri del naturalismo lombardo e, condividendo le istanze di altri artisti quali Filippo Carcano, Emilio Longoni e Giuseppe Carozzi, volge la propria pittura di paesaggio verso la raffigurazione dei luoghi dell’alta montagna, traducendoli all’inizio del Novecento nella tecnica pittorica a colori divisi. Tra i dipinti di questo periodo ricordiamo Tramonto (Milano, Galleria d’Arte Moderna), ambientato sulle sponde del lago di Alserio in provincia di Lecco ed esposto nel 1912 all’Esposizione nazionale di belle arti di Milano. Negli anni seguenti il pittore frequenta con assiduità le Alpi piemontesi e lombarde fino a valicare i confini con la Svizzera dipingendo opere come Visione o Paesaggio montano (Milano, Collezione UniCredit Group) presentato all’Esposizione nazionale di belle arti di Milano del 1920 e raffigurante il gruppo del Monte Rosa e Tramonto (collezione privata) esposto a Venezia nel 1928, anno che segna anche il ritiro di Cressini dalle manifestazioni pubbliche e l’abbandono progressivo della pittura. Allo stesso decennio è databile anche questo Tramonto sereno dove la pittura divisionista mostra una sapiente diversità di tocco, passando dalla stesura ad intreccio del primo piano alla pennellata puntiforme del cielo.