Gli dèi della Grecia/Dike
Díkē (Δίκη, anche Diche) è, nella religione greca, la divinità e quindi la potenza divina della giustizia.
In Esiodo è figlia di Zeus e di Themis (Θέμις, anche Temi), la dea, sorella dei Titani, figlia di Urano e Gaia, è annoverata tra le Horai (Ὥραι, anche Ore), avendo come sorelle Eunomie (Εὐνομία) ed Eirene (Eἰρήνη), le quali, come lei, vegliano sulle opere degli uomini. [1]. Dike riferisce a Zeus le colpe degli uomini perché, per via delle loro colpe, lei viene offesa[2]; quando gli uomini la scacciano la dea li segue piangendo e avvolta nella foschia gli procura del male [3].
Pindaro[4] le attribuisce una figlia Ἠσῠχία (Hēsychía) intendendola come "tranquillità", "quiete" dello stato.
In Pausania[5] Dike punisce Ἀδικία (Adikía, l'Ingiustizia); mentre in Euripide [6] essa cattura i criminali.
Viene presentata come "vergine" e Platone[7] considera questa condizione come incorrotta, perché tale deve essere la "giustizia".
Arato di Soli (III secolo a.C.) nei Fenomeni (96 e sgg.) rende Dike protagonista di una vicenda che Esiodo[8] aveva assegnato a Nemesis (Nέμεσις, Distribuisce[9]) e ad Aidós (il delicato pudore), le due divinità che abbandoneranno gli uomini della stirpe di ferro[10] ai loro mali; qui Dike, figlia di Astreo, abbandona l'umanità andando a formare la costellazione della Vergine, così, più tardi, verrà identificata con la vergine Astrea[11].
Negli Atti degli apostoli Dike viene richiamata, come credenza "pagana", nel ruolo di punire gli assassini. Così quando Paolo di Tarso, giunto naufrago sull'isola di Malta e accolto benevolmente dalla popolazione, mentre ravvivava un fuoco viene morso da un serpente:
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Cfr. Esiodo, Teogonia 902 e sgg.
- ↑ Esiodo, Le opere e i giorni 256 e sgg.
- ↑ Esiodo, Le opere e i giorni 222 e sgg.
- ↑ Pitica VIII, 1.
- ↑ V, 18,2
- ↑ Eracle 941
- ↑ Leggi 943E
- ↑ Opere e giorni, 200 e sgg.
- ↑ Intesa come lo "sdegno che castiga la tracotanza umana" Cassanmagnago 931 (44).
- ↑ Esiodo Opere e giorni, 174 e sgg.
- ↑ Cfr. ad es. Ovidio, Metamorfosi, I, 149-150