Gli dèi della Grecia/Gli Erotes

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Particolare dell'anfora del IV secolo a.C. (opera del c.d. "Pittore di Afrodite") conservata al Museo archeologico di Paestum. La figura rappresentata è Afrodite, dea della fertilità, e richiama il suo arrivo sull'isola di Cipro: al suo passaggio la vegetazione esplode rigogliosa. La dea è circondata da due erotes con ali di colomba.
Sarcofago romano risalente al III secolo d.C., in marmo tasio; oggi conservato al The Walters Art Museum in Baltimora. L'immagine in altorilievo rappresenta simbolicamente la celebrazione della vittoria della vita sulla morte: le due figure poste ai lati di un grande scudo con testa di Gorgone rappresentano la dea Vittoria; le due figure poste sotto lo scudo centrale, inserite come barbari sconfitti in un trionfo, sono di sesso femminile (la particolarità risiede in quella di destra, in atteggiamento di sofferente lamento, mentre la figura di sinistra assume un atteggiamento di orgoglio con la testa ben sollevata); verso gli angoli, figure grandi di Eros (erotes) che indossano ghirlande di alloro; sulla parte superiore del sarcofago, ancora figure alate di erotes imitano la medesima scena centrale posta in basso, mentre altri ancora innalzano un trofeo consistente in un'armatura.
Amor e Psyche. Scultura romana su modello greco risalente al II secolo d.C. conservata all'Altes Museum di Berlino. La vicenda di Amor e Psyche è narrata nelle Metamorfosi[1] di Apuleio (II d.C.). Il dio Amor (Eros) si innamora della bellissima fanciulla Psyche e le fa visita ogni notte con il patto che ella non cerchi mai di vedere il suo volto. Psyche tradisce il patto e Amor si allontana da lei. Per riconquistare l'amato, Psyche si sottopone a durissime prove impostegli da Venere (Afrodite) finché lo stesso dio Giove (Zeus), mosso a compassione, non l'aiuta facendogli così conquistare l'immortalità e quindi accogliendola sull'Olimpo come sposa di Amor. Amor e Psyche rappresentano l'amore umano e quello divino, inteso come il percorso spirituale che l'anima umana (Psyche) deve intraprendere per tornare ad essere puramente "divina" dopo aver scontato i propri errori. Il tema è spesso raffigurato nei sarcofaghi come immagine della felicità nell'oltretomba.
Cammeo raffigurante il dio Ermafrodito con erotes. Conservato al Museo dell'Hermitage (San Pietroburgo, Russia) l'opera, risalente al I secolo d.C. proviene dall'Egitto ed è attribuita a Sostratos. Nel IV secolo a.C. Ermafrodito viene rappresentato come un ragazzo con i seni sviluppati, successivamente come la dea Afrodite ma con i genitali maschili[2].
Eros che incorda l'arco - Copia romana in marmo dall'originale di Lisippo conservata nei Musei Capitolini di Roma.
La prima menzione di Eros armato di arco e frecce la si riscontra nell'opera di Euripide Ifigenia in Aulide[3]
:
« Avventurato chi prova fa
della dea dell'amore con
temperanza e misura,
e con grande placidità
lungi dagli estri folli, perché
duplice è l'arco della beltà
che l'Amore (Eros) tende su di noi:
l'uno ci porta felicità,
l'altro la vita torbida fa. »
(Euripide Ifigenia in Aulide 542-50. Traduzione di Filippo Maria Pontani in Euripide Le tragedie. Milano, Mondadori, 2007)
Statua di Pothos, copia in marmo di età adrianea da originale del IV secolo a.C. attribuito a Skopas (Σκόπας)[4]. Rinvenuta nell'area di via Cavour (Roma) nel 1940 è oggi conservata ai Musei capitolini di Roma. Skopas, secondo Pausania[5] è anche autore di un Eros, di un Imeros e di un Pothos collocati nel tempio di Afrodite Prassi, questo già ricordato da Senofonte[6]. Pausania, rispetto a queste figure divine ricorda anche che «se diversi sono i loro nomi, così diverse sono anche le loro funzioni.»
Affresco di epoca romana da Pompei, oggi conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli. Sulla sinistra la dea Suada (lat., gr. Peitho, Persuasione) accompagna Amor (Eros) da Venus (Afrodite, Venere) per farlo punire per aver scagliato su un bersaglio errato la sua freccia. Alle spalle di Venus, Anteros.
Ganimede con aquila. Particolare di una scultura della seconda metà del II secolo d.C., da un modello tardo ellenistico a sua volta derivato dall'ambito figurativo greco del IV secolo a.C. Conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli. Ganimede (Γανυμήδης) è nell'Iliade[7], rapito da dagli dèi per divenire il coppiere di Zeus. Nell'inno omerico Ad Afrodite[8] viene trascinato via da un vento. Successivamente[9] si immagina rapito dall'aquila di Zeus, oppure dallo stesso Zeus che ha preso le sembianze di un'aquila[10]. Se precedentemente sono gli dèi, o lo stesso Zeus, a volere semplicemente un bel coppiere identificato in Ganimede, a partire da Teognide la tradizione greca eroticizza il racconto in senso pederastico trasformandolo nell'amasio di Zeus[11]:
(IT)
« Amare i fanciulli è dolce: anche il Cronide,
re degli immortali, s'innamoro di Ganimede. Lo rapì, lo portò in Olimpo, lo fece dio,
perché aveva il fiore amato di giovinezza. »
(GRC)
« Παιδοφιλεῖν δέ τι τερπνόν, ἐπεί ποτε καὶ Γανυμήδους
ἤρατο καὶ Κρονίδης, ἀθανάτων βασιλεύς,
ἁρπάξας δ' ἐς Ὄλυμπον ἀνήγαγε καί μιν ἔθηκεν
δαίμονα, παιδείης ἄνθος ἔχοντ' ἐρατόν. »
(Teognide, I, 1345. Traduzione di Marina Cavalli. Milano, Mondadori, 2007, pp. 186-187.)
Imene (Ὑμέναιος), in un mosaico rinvenuto ai Bagni di Nettuno (Ostia antica). Imene, il cui corrispondente romano è Talassio[12], è una divinità del matrimonio derivata dai canti dell'epitalamio. Viene rappresentato di belle fattezze, biondo e mentre reca una torcia per il corteo nuziale serale.

Gli Erotes (Ἒρωτες), adattati in lingua italiana anche come Eroti, Amori o Amorini, sono un insieme di figure collettivamente associate all'amore divino e alla sessualità, presenti all'interno della poesia e della letteratura[13] e dell'arte classica ed ellenistica[14] fondate sulla mitologia e sulla religione greca. Erotes è il plurale di Eros (Ἔρως), questo il dio e la potenza divina del desiderio sessuale[15][16], e dell'amore divino a cui appartiene una ricca letteratura mitologica e teologica.

Con il termine erotes si indicano anche quei devoti alla divinità di Eros nei suoi centri di culto a Filadelfia e a Pario nella Misia[17].

Nella filosofia neoplatonica di Plotino[18] gli Erotes sono quei due aspetti, o dèmoni, individuali, delle anime degli uomini che corrispondono rispettivamente da una parte a quell'Afrodite intesa come "Anima universale", purissima ed esclusivamente rivolta al Nous (νοῦς) nella cui contemplazione genera l'Eros divino, e dall'altra a quella Afrodite intesa come "Anima del mondo" che invece genera un altro Eros che presiede alle unioni umane.

Gli Erotes, spesso raffigurati nella forma di fanciulli alati, divengono motivo costante dell'arte ellenistica, ma possono anche apparire spesso nell'arte romana in forma di Erotes, Cupido o di Amorini[19] laddove tuttavia:

« Le innumerevoli figurazioni ellenistiche e romane di eroti o amorini (Eros viene chiamato a Roma Amor o Cupido) sono spesso simboli della vicenda del neofita durante l'iniziazione o dell'anima nell'aldilà, vicenda che si collega la favola di Amore e Psiche, narrata da Apuleio nelle Metamorfosi»
(Antichità classica vol. I (coordinamento editoriale: Eugenia Dossi). Milano, Garzanti, 2005, p.518)

Nella successiva tradizione classica dell'arte occidentale (soprattutto nel barocco e nel rococò), gli Erotesdivengono sempre più onnipresenti come motivo decorativo e indistinguibili dalle figure conosciute col nome di putti o amorini[20].

Ambito mitologico e letterario[modifica]

  • La prima apparizione di Eros (Ἔρως) è nelle opere attribuite ad Omero. In tale contesto Eros non viene personificato, quanto piuttosto come principio divino corrisponde all'irrefrenabile desiderio fisico come quello vissuto da Paride nei confronti di Elena (Iliade III, 441-2) o ancora lo stesso desiderio provato da Zeus nei confronti di Era (Iliade XIV, 293-5) o, infine, ciò che rende tremanti le membra dei proci di fronte a Penelope (Odissea XVIII, 212-3).
  • Nei lirici greci del VII/VI a.C. tale principio divino si spiritualizza ma presenta comunque delle caratteristiche crudeli e ingestibili. Manifestandosi improvvisamente, Eros agita in modo cupo le sue vittime:

(IT)
« Eros che scioglie le membra mi scuote nuovamente:
dolceamara invincibile belva »

(GRC)
« Ἔρος δηὖτέ μ' ὀ λυσιμέλης δόνει,
γλυκύπικρον ἀμάχανον ὄρπετον »
(Saffo 61. Traduzione di Marina Cavalli, in Lirici greci. Milano, Mondadori, 2007, pag.273)

  • Nell'opera teogonica di Esiodo sono due i passaggi che riguardano Eros qui attestato per la prima volta come quel dio primordiale in grado di domare con la passione sia gli dèi che gli uomini:

(IT)
« Orbene, innanzitutto venne all'esistenza lo Spazio beante[21], poi a sua volta
la Terra dal largo petto, sede per sempre sicura di tutti
gli immortali che abitano le cime del nevoso Olimpo,
e il Tartaro nebbioso nel fondo della Terra dalle larghe strade,
poi Eros che è il più bello tra gli dei immortali
e scioglie le membra[22], e di tutti gli dei, come di tutti gli uomini,
doma nel petto il pensiero e la saggia volontà. »

(GRC)
« Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽, αὐτὰρ ἔπειτα
Γαῖ᾽ εὐρύστερνος, πάντων ἕδος ἀσφαλὲς αἰεὶ
ἀθανάτων, οἳ ἔχουσι κάρη νιφόεντος Ὀλύμπου,
Τάρταρά τ᾽ ἠερόεντα μυχῷ χθονὸς εὐρυοδείης,
ἠδ᾽ Ἔρος, ὃς κάλλιστος ἐν ἀθανάτοισι θεοῖσι,
λυσιμελής, πάντων δὲ θεῶν πάντων τ᾽ ἀνθρώπων
δάμναται ἐν στήθεσσι νόον καὶ ἐπίφρονα βουλήν. »
(Teogonia 120-2. Traduzione di Cesare Cassanmagnago, in Esiodo. Tutte le opere e i frammenti con la prima traduzione degli scolii. Milano, Bompiani, 2009, pag.121)

  • In un secondo passaggio Esiodo evidenzia Eros come quel dio che, insieme ad Himeros (Ἵμερος,[23]), accompagna Afrodite appena nata[24]:

(IT)
« L'accompagnò Eros e il bel Desiderio la seguì
non appena venuta alla luce e avviata a raggiungere la razza degli dei »

(GRC)
« Τῇ δ᾽ Ἔρος ὡμάρτησε καὶ Ἵμερος ἕσπετο καλὸς
γεινομένῃ τὰ πρῶτα θεῶν τ᾽ ἐς φῦλον ἰούσῃ. »
(Teogonia 201-2. Traduzione di Cesare Cassanmagnago, in Esiodo. Tutte le opere e i frammenti con la prima traduzione degli scolii. Milano, Bompiani, 2009, pag.127)

Nota lo scoliaste che mentre Eros nasce dalla vista, Himeros nasce dal sentimento di brama (epythimeìn) dopo aver visto.

  • In un frammento di una tragedia perduta di Euripide, da lui scritta prima del 422 a.C., Stheneboia (Σθενέβοια) si sostiene che esistano due Eros[25] Così come nella sua Ifigenia in Aulide (406 a.C.) compaiono due ambiti del dio Eros:
« Avventurato chi prova fa
della dea dell'amore con
temperanza e misura,
e con grande placidità
lungi dagli estri folli, perché
duplice è l'arco della beltà
che l'Amore (Eros) tende su di noi:
l'uno ci porta felicità,
l'altro la vita torbida fa. »
(Euripide Ifigenia in Aulide 542-50. Traduzione di Filippo Maria Pontani in Euripide Le tragedie. Milano, Mondadori, 2007)

Uno degli Amori provoca la sophia, mentre l'altro distrugge l'anima dell'uomo[26].

  • Accanto alle divinità di Eros e Himeros, si pone il dio Anteros (Ἀντέρως, lett. "contro amore" inteso come amore ricambiato[27]) come divinità che si oppone o completa la potenza di Eros, intendendo sia l'amore ricambiato sia l'amore di chi è amato confrontato a quello di chi ama. In quest'ultimo senso era anche la divinità propria dell'amore pederastico proprio dei ginnasi[28]. Pausania ci narra di un altare di Eros e di un controaltare di Anteros collocati nel ginnasio di Elide[29] e nell'Accademia di Atene in qualità di divinità vendicatrice dell'amore respinto:

(IT)
« Davanti all'ingresso dell'Accademia c'è un altare di Eros la cui epigrafe attesta che Carmo fu il primo degli Ateniesi che abbia dedicato un altare a Eros. Invece quello che è in città, ed è chiamato Anteros, sarebbe stato dedicato dai meteci per il seguente motivo. Un meteco di nome Timagora si era innamorato del giovanetto ateniese Melete. Questi però disdegnava quell'attenzione e un giorno invitò Timagora a salire sul punto più alto della rupe e a gettarsi giù. Timagora, che era pronto a dare senza risparmio la vita e a favorire il giovanetto in ogni cosa che gli avesse chiesto, senza alcun indugio si precipitò. Quando Melete vide morto Timagora, tanto grande fu il suo rimorso, che saltò giù da quella stessa roccia e così, precipitatosi, morì. In seguito a questo fatto è d'uso per i meteci onorare lo spirito vendicatore di Timagora nell'aspetto del demone Anteros. »

(GRC)
« πρὸ δὲ τῆς ἐσόδου τῆς ἐς Ἀκαδημίαν ἐστὶ βωμὸς Ἔρωτος ἔχων ἐπίγραμμα ὡς Χάρμος Ἀθηναίων πρῶτος Ἔρωτι ἀναθείη. τὸν δὲ ἐν πόλει βωμὸν καλούμενον Ἀντέρωτος ἀνάθημα εἶναι λέγουσι μετοίκων, ὅτι Μέλης Ἀθηναῖος μέτοικον ἄνδρα Τιμαγόραν ἐρασθέντα ἀτιμάζων ἀφεῖναι κατὰ τῆς πέτρας αὑτὸν ἐκέλευσεν ἐς τὸ ὑψηλότατον αὐτῆς ἀνελθόντα: Τιμαγόρας δὲ ἄρα καὶ ψυχῆς εἶχεν ἀφειδῶς καὶ πάντα ὁμοίως κελεύοντι ἤθελε χαρίζεσθαι τῷ μειρακίῳ καὶ δὴ καὶ φέρων ἑαυτὸν ἀφῆκε: Μέλητα δέ, ὡς ἀποθανόντα εἶδε Τιμαγόραν, ἐς τοσοῦτο μετανοίας ἐλθεῖν ὡς πεσεῖν τε ἀπὸ τῆς πέτρας τῆς αὐτῆς καὶ οὕτως ἀφεὶς αὑτὸν ἐτελεύτησε. καὶ τὸ ἐντεῦθεν δαίμονα Ἀντέρωτα τὸν ἀλάστορα τὸν Τιμαγόρου κατέστη τοῖς μετοίκοις νομίζειν. »
(Pausania, in Viaggio in Grecia, I, Attica XXX, 1. Traduzione di Salvatore Rizzo. Milano, Rizzoli, 2007, pp. 268-269)

In Cicerone in De natura deorum (III, 23), Anteros è figlio di Afrodite e di Ares, quindi fratello di Eros. Sempre Cicerone rende conto dei complessi mitologemi afferenti a queste figure:

(IT)
« Il primo Cupido si dice che sia figlio di Mercurio e della prima Diana, il secondo di Mercurio e della seconda Venere, il terzo che è lo stesso che Antero, di Marte e della terza Venere »

(LA)
« Cupido primus Mercurio et Diana prima natus dicitur, secundus Mercurio et Venere secunda, tertius qui idem Anteros Marte et Venere tertia »
(Cicerone, De natura deorum, III, 23. Traduzione di Cesare Marco Calcante, pp. 356-359)

  • Una ulteriore figura accanto a Himeros viene a delinearsi con l'opera di Platone il quale, nel Cratilo[30] gli affianca Pothos (Πόθος, "nostalgia") già presente nella precedente letteratura ma che tuttavia nell'opera del filosofo ateniese viene ulteriormente a configurarsi come quel desiderio struggente per qualcuno o qualcosa che non può essere conquistato o comunque è lontano, a differenza di Himeros che si brama in quanto presente.

Così Meleagro:

(IT)
« Vento invernale. Eros dolceamaro mi strappa alle baldorie
e mi trascina, Muisco, verso di te,
Il Desiderio infuria con soffi violenti:
Tu accogli in porto il navigante nel mare di Cipride »

(GRC)
« χειμέριον μὲν πνεῦμα: φέρει δ᾽ ἐπὶ σοί με, Μυΐσκε,
ἁρπαστὸν κώμοις ὁ γλυκύδακρυς Ἔρως.
χειμαίνει δὲ βαρὺς πνεύσας Πόθος, ἀλλὰ μ᾽ ἐς ὅρμον
δέξαι, τὸν ναύτην Κύπριδος ἐν πελάγει. »
(Meleagro, In Poesia ellenistica n. 107 (Antologia Palatina, XII, 167). Traduzione di Giulio Guidorizzi. Milano, Mondadori, 1978,p. 578-579)

Plinio in Historia Naturalis[31] ci narra di una sua statua scolpita da Skopas (IV, sec. a.C.) e di un suo culto in Samotracia come sanctissimis caerimoniis[32]. Pausania[33] ci dice di una sua statua, sempre di Skopas, nel santuario di Afrodite a Megara.

Nonno di Panopoli[34], riprendendo Alcmane[35] ci dice che Pothos è figlio della dea Iris (Ἶρις), questa anghelos (messaggera) degli dèi e potenza dell'arcobaleno.

(IT)
« Se Zefiro imperversa, mostrate alla sposa di Zefiro,
Iris, madre di Desiderio, Arianna oltraggiata. »

(GRC)
« εἰ Ζέφυρος κλονέει, Ζεφυρηίδι δείξατε νύμφῃ ἴριδι μητρὶ Πόθοιο βιαζομένην Ἀριάδνην: »
(Nonno di Panopoli, Le dionisiache, XLVII, 340. Traduzione di Domenico Accorinti, Milano, Rizzoli, 2004, pp. 546-549.)

  • Figura emergente in questo ambito è anche Peithó (Πειθώ, Persuasione) che, se nella teogonia esiodea[36] è una figlia di Oceano, risulta anche essere un appellativo di Afrodite in qualità di titolo cultuale[37], o anche una dea del matrimonio[38], ponendosi spesso, nella letteratura e nelle arti, al seguito di Afrodite.

Pindaro, nel frammento 122[39] ricorda così il Senofonte della XIII olimpiade che dona cento etère al tempio di Afrodite di Corinto:

(IT)
« Voi fanciulle che accogliete gli ospiti
come ancelle di Peitho nella suntuosa Corinto
che bruciate ambrate lacrime d'incenso
spesso nel pensiero volate verso la madre degli
Amori, Afrodite urania
che a voi concede, libero da rimprovero,
o innocenti, di donare su morbidi cuscini,
il frutto della vostra tenera giovinezza. Perché
è bello quando si rispetta la Necessità. »

(GRC)
« Πολύξεναι νεάνιδες, ἀμφίπολοι
Πειθοῦς ἐν ἀφνειῷ Κορίνθῳ,
αἵ τε τᾶς χλωρᾶς λιβάνου ξανθὰ δάκρη
θυμιᾶτε, πολλάκι ματέρ’ ἐρώτων οὐρανίαν πτάμεναι
νοήματι πρὸς Ἀφροδίταν,
ὑμῖν ἄνευθ’ ἐπαγορίας ἔπορεν,
ὦ παῖδες, ἐρατειναῖς <ἐν> εὐναῖς
μαλθακᾶς ὥρας ἀπὸ καρπὸν δρέπεσθαι.
σὺν δ’ ἀνάγκᾳ πὰν καλόν »
(Pindaro, framm. 122 Maehler, 1-9)

  • Imene (Ὑμέναιος) è un'ulteriore figura di questo ambito. Il suo nome deriva probabilmente dal canto proprio dell'epitalamio (ἐπιϑαλάμιος [λόγος]): Ὑμήν, Ὑμήναι ὢ ο ὢ Ὑμήν, Ὑμήναιε[40]. Da qui la nascita di racconti che lo volevano figlio di Dioniso e di Afrodite o ancora di Apollo (o Magnete) e una Musa. In arte viene rappresentato biondo, vestito di color zafferano e con la testa coronata di fiori mentre impugna una fiaccola per il corteo nuziale serale. La sua divinità riguarda quindi il matrimonio. Lo si immaginava morto (o rapito) il giorno prima delle sue nozze o ancora che avrebbe cantato melodiosamente al matrimonio di Dioniso e Altea (o Arianna) e subito dopo perito (nella tradizione orfica viene resuscitato da Asclepio). Gli Ateniesi lo vollero fanciullo povero che ambiva sposare una ragazza benestante e non potendo ottenere la sua mano, la seguiva ovunque fino a seguirla nel suo viaggio ad Eleusi insieme ad altre compagne. Catturate dai briganti che scambiarono Imene per una ragazza, questi li uccise nel sonno, salvando l'amata e le altre fanciulle, e ottenendo la sua mano al rientro ad Atene.
  • Una ulteriore figura che non compare in letteratura ma solo su una pyxis del V secolo a.C., oggi conservata al British Museum di Londra[41], è Hedylogos (Ἡδυλογος, "dolce discorso").
  • Le storie che riguardano gli Erotes sono piene anche di scherzi, dispetti e burle maliziose, un tema popolare nella cultura ellenistica, in particolare nel II secolo a.C.[42], ma anche oggetto di lamentazioni:

(IT)
« Via scagliate, Amorini! Bersaglio per molti son io
Senza risparmio, da pazzi! Vincendo,
voi vi farete fra i numi la fama di celebri arcieri,
d'una fàretra immensa detentori. »

(GRC)
« ναὶ ναὶ βάλλετ᾽, Ἔρωτες: ἐγὼ σκοπὸς εἷς ἅμα πολλοῖς
κεῖμαι. μὴ φείσησθ᾽, ἄφρονες: ἢν γὰρ ἐμὲ
νικήσητ᾽, ὀνομαστοὶ ἐν ἀθανάτοισιν ἔσεσθε
τοξόται, ὡς μεγάλης δεσπόται ἰοδόκης. »
(Posidippo, in Antologia Palatina, XII, 45. Traduzione di Filippo Maria Pontani. Torino, Einaudi, 1978, vol IV, pp. 27-28)

(IT)
« Sì mi ferì la vorace Filènio: segreta la piaga,
morde il dolore fino alle radici.
Sono finito, Amorini, sparisco, perisco: dormendo
quest'etèra calcai: tocco l'Averno. »

(GRC)
« ἡ λαμυρὴ μ᾽ ἔτρωσε Φιλαίνιον εἰ δὲ τὸ τραῦμα
μὴ σαφές, ἀλλ᾽ ὁ πόνος δύεται εἰς ὄνυχα.
οἴχομ᾽, Ἔρωτες, ὄλωλα, διοίχομαι: εἰς γὰρ ἑταίραν
νυστάζων ἐπέβην, οἶδ᾽, ἔθιγον τ᾽ Ἀίδα. »
(Asclepiade, La vipera. In Antologia Palatina, V, 162. Traduzione di Filippo Maria Pontani. Torino, Einaudi, 1978, vol I, pp. 198-199)

  • Gli Erotes furono invocati in antichità anche in diversi incantesimi al fine di indurre all'amore o al suo contrario[43].

Ambito teologico e filosofico[modifica]

  • Il tema di Eros/Amore è citato in Parmenide (V sec. a.C.)[44] ma in Empedocle (V sec. a.C.) acquisisce un ampio impianto teologico quando il filosofo siceliota pone accanto alle quattro "radici" (ριζώματα), poste a fondamento del cosmo, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, due ulteriori principi: Φιλότης (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince»[45]), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων[46]). Egli è Dio. Significativo è il fatto che Empedocle appelli Amore con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)[47], o con il suo appellativo di Kýpris (Κύπρις)[48], indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»[49]. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto.
  • Con Platone (V-IV sec. a.C.) si compie il fondamentale passo filosofico e teologico inerente a Eros. Nel Fedro[50] l'anima (ψυχή, psyché) umana decade dal mondo perfetto e intelligibile nel corpo fisico, durante il suo esilio prova un'irresistibile nostalgia per la condizione perduta. Nel Simposio[51] Eros è un demone figlio di Indigenza (Πενία Penia, la madre) e Espediente (Πόρος, Poros, il padre). Povero come la madre, Eros aspira alla ricchezza del padre: Eros è quindi anche una tendenza, una mania (μανία), uno stato emotivo provocato dalla bellezza terrestre che stimola il ricordo di quella perfetta e intelligibile, celeste, da cui l'anima è caduta[52]. Non è tuttavia la "bellezza" l'oggetto del desiderio dell'anima ma la sua fecondità[53]. A questo punto il filosofo ateniese individua due tipi di Eros: l'amore sensuale (πάνδημος ἔρως, pandemos eros) attratto dalla bellezza dei corpi provocante la fecondità fisica, e l'amore celeste (ουράνιος ἔρως, oruanios eros) attratto dall'amore spirituale e provocante al fecondità spirituale[54]: «E malvagio è quell'amante che è volgare e ama il corpo più dell'anima»[55]. Il vero amante si eleva quindi per sei gradi di attrazione che lo conducono dall'attrazione fisica alla realizzazione spirituale[56]: amore per un corpo bello; amore per la bellezza fisica in sé; amore per la bellezza delle attività, delle condotte; amore per la bellezza del sapere; amore per la Bellezza in sé: «È questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di Mantinea-, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e ai bei fanciulli [...] Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare -disse- se ad uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non affatto contaminato da carni umane e da colori e da altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino?».
  • Il filosofo ed esegeta di Platone, Plotino (III sec. d.C.), continuatore coerente dell'opera del filosofo ateniese, riprende, nelle Enneadi, le conclusioni dello stesso inserendo tuttavia tra le tre entità/persone da lui indicate con il termine di hypostasis (ὑπόστᾰσις): Hen (ἕν, l'Uno), il Nous (νοῦς, l'Intelletto) e la Psyche (ψυχὴ, Anima) una relazione di "processione" (πρόοδος). Dal che l'unica "realtà" consiste in queste tre hypostasis che procedono una dall'altra: dall'Uno (il Bene, il primo, inconoscibile e ineffabile mistero dell'unità, intuibile solo per mezzo dell'esperienza religiosa) procede l'Intelletto (altro dall'Uno, è la prima molteplicità che "pensa", il mondo eterno delle Idee, è il logos dell'Uno che contempla l'Uno e da questa contemplazione deriva la sua generazione delle Idee), dall'Intelletto procede l'Anima universale (Afrodite celeste) che intermedia fra l'essere costituito dalle tre hypostasis e il mondo sensibile. Se l'Uno rende conto dell'unità del reale, e l'Intelletto della sua intelligibilità, l'Anima universale rende conto della vita e del movimento contemplando l'Intelletto con la sua parte superiore, mentre rende conto delle forme sensibili con la sua parte inferiore (Afrodite terrestre). Al di fuori di queste tre ipostasi eterne tutto il resto, quindi il mondo sensibile, è privo di realtà, è pura apparenza, inganno e non-Essere. Dall'Anima universale (Afrodite celeste) procedono l'Anima del mondo (Afrodite terrena) e le anime individuali dei viventi. Ma se l'Anima del mondo essendo vincolata al corpo dell'universo con un legame non dissolubile risulta eterna nelle sue caratteristiche sensibili, le anime individuali sono in qualche modo destinate a "ribellarsi" alle leggi dell'universo, oppure ad armonizzarsi alle stesse. Nel primo caso sono destinate alla corruzione, trasmigrando di esistenza in esistenza, cambiando corpi fisici ma potendo, se lo vogliono, riconquistare la condizione dell'unità perduta. Nella teologia plotiniana ciò che è relativo ai sensi non solo riguarda quell'ambito, ma rimanda sempre alla realtà intellegibile da cui procede. Quindi ciò che è "bello" per i sensi rimanda sempre all'"Idea" del Bello assoluto di cui l'arte ne è una rivelazione. Quindi l'artista non produce da sé, ma rivela l'Essere di cui intuisce la portata. Chi contempla l'opera d'arte esce da sé per vivere l'esperienza dell'opera solo apparentemente, in realtà è l'opera stessa con la sua bellezza che lo mette in contatto con la sua vera natura, con l'anima che è in lui. Allo stesso modo nella vita affettiva il bello corporeo può avere la funzione di rivelare ciò che è vero in noi stessi. Ne consegue che se l'uomo ricerca i beni o le bellezze sensibili lo fa innanzitutto perché questi lo richiamano all'Uno, al Bene, alla sua vera natura di cui sono immagine. Così Eros è sia una divinità che aiuta l'uomo a ricongiungersi al Bene, sia un diverso essere, un demone, che lo spinge a mischiare l'anima con la materia. Essendo molteplici gli Eros delle anime, Plotino li intende come Erotes.
  • Il filosofo tardo platonico Proclo (V sec. d.C.) è, tra l'altro, autore di un inno ad Afrodite che riassume poeticamente la teologia platonica sul tema:

(IT)
« Cantiamo la stirpe onorata di Afrogenia
e l'origine grande, regale, da cui tutti
nacquero gli immortali alati Amori,
dei quali alcuni con dardi intellettivi saettano
le anime, affinché punte da stimoli sublimanti di desideri,
agognino vedere le sedi d'igneo splendore della madre[57];
altri, invece, in obbedienza ai voleri e ai previggenti, salutari consigli del padre[58],
desiderosi d'accrescere con nuove nascite il mondo infinito,
eccitano nelle anime il dolce desiderio della vita terrena.
Altri ancora sui vari sentieri degli amplessi nuziali
incessantemente vigilano, onde da stirpe mortale
immortale rendere il genere degli uomini oppressi dai mali
e a tutti stanno a cuore le opere di Citerea, madre d'amore.
Ma, o dea, poiché tu dovunque porgi orecchio attento,
o che circondi il vasto cielo, dove dicono che tu
sia l'anima divina del mondo eterno,
o che risiedi nell'etere al di sopra dell'orbite dei sette pianeti[59],
riversando su di noi, che da te discendiamo, indomite energie,
ascolta, e il doloroso cammino della mia vita
guida coi tuoi santissimi strali, o veneranda,
placando l'impeto gelido dei desideri non pii. »

(GRC)
« ῾Υμνέομεν σειρήν πολυώνυμον ’Αφρογενείης
καί πηγήν μεγάλην βασιλήιον, ής άπο πάντες
αθάνατοι πτερόεντες ανεβλάστησαν ’’Ερωτες,
ών οι μέν νοεροίσιν οιστεύουσι βελέμνοις
ψυχάς, όφρα πόθων αναγώγια κέντρα λαβούσαι
μητέρος ισχανόωσιν ιδείν πυριφεγγέας αυλάς:
οι δέ πατρός βουλήσιν αλεξικάκοις τε προνοίαις
ιέμενοι γενεήσιν απείρονα κόσμον αέξειν
ψυχαίς ίμερον ώρσαν επιχθονίου βιότοιο.
άλλοι δέ γαμίων οάρων πολυειδέας οίμους
αιέν εποπτεύουσιν, όπως θνητής από φύτλης
αθάνατον τεύξωσι δυηπαθέων γένος ανδρών:
πάσιν δ’ έργα μέμηλεν ερωτοτόκου Κυθερείης.
αλλά, θεά, πάντη γάρ έχεις αριήκοον ούας,
είτε περισφίγγεις μέγαν ουρανόν, ένθα σέ φασι
ψυχήν αενάοιο πέλειν κόσμοιο θεείην,
είτε καί επτά κύκλων υπέρ άντυγας αιθέρι ναίεις
σειραίς υμετέραις δυνάμεις προχέουσ’ αδαμάστους,
κέκλυθι, καί πολύμοχθον εμήν βιότοιο πορείην
ιθύνοις σέο, πότνα, δικαιοτάτοισι βελέμνοις
ουχ οσίων παύουσα πόθων κρυόεσσαν ερωήν. »
(Proclo, Inno ad Afrodite. Traduzione di Davide Giordano, in Proclo, Inni, Firenze, Fussi, 1957, pp.26-29)

Gli Erotes nell'arte[modifica]

Gli Erotes compaiono nell'arte greca, segnatamente nella pittura vascolare, a partire dal 520 a.C. Inizialmente come compagni della dea Afrodite, successivamente da soli. La prima attestazione di Afrodite che tiene in braccio Eros e Himeros risale invece al 570 a.C., a una pinax attica a figure nere oggi conservata al Museo archeologico nazionale di Atene (cfr. [1]).


Note[modifica]

  1. Metamorphoseon anche conosciuta come L'asino d'oro (Asinus aureus)
  2. OCD2 p. 835.
  3. George M. A. Hanfmann. Oxford Classica Dictionary. Oxford Univeristy Press, 1970. In italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849.
  4. Cfr. Salvatore Rizzo, in Pausania, I, p.460 nota 9.
  5. I, 18,6.
  6. Elleniche V,4,58.
  7. V, 265; XX, 232.
  8. Cfr. 208.
  9. Cfr. Virgilio, Eneide, V, 225
  10. Ovidio, Metamorfosi, X, 155 e sgg.
  11. Cfr. OCD2 p.1004 e OCD4 p. 603
  12. Tito Livio Ab Urbe condita (I, 9, 11) e Plutarco ( Quaestiones Romanae, XXXI)
  13. Cfr. ad es. Ateneo XIII, 562; Anthologia Palatina; Apollonio Rodio III, 452, 687, 765, 937.
  14. « Il sentimento, la capacità di sentire, è un elemento impalpabile, che trascende propriamente la vista; ma a partire dalla fine del V secolo a.C., e per quasi tutto il IV secolo, gli artisti greci si preoccuparono di dare una rappresentazione visiva dell'uomo come essere sensibile. È questa l'epoca in cui figure alate di Eros e degli Erotes svolazzanti divengono l'allegoria più comune del sentimento amoroso [...] »
    (Otto J. Brendel, in Calame, p.239)
  15. « Eros was the ancient Greek god of sexual (either homosexual or heterosexual) love or desire. »
    (M. L.West (1987) Eleonora Cavallini (2005). Eros in Encyclopedia of Religion, vol.4. New York, Macmillan, 2004, pag. 2832)
  16. Il corrispondente dio romano è indicato come Amor o Cupìdo
  17. Dizionario di antichità classiche (Oxford Classical Dictionary OCD2), p. 850
  18. Enneadi, III, 5.
  19. Nel capitolo Beyond death John Ferguson, The Religions of the Roman Empire (Cornell University Press, 1970), p. 145 spiega
    « More frequently they are Erotes, Cupid, Amorini; the theme goes back to Hellenistic art and is found at Rome from the early Empire or even before; sometimes the Erotes appear in their own right. It seems clear that they represent the soul, and that in the hunting and racing scenes we have the agon, the trial or struggle of the soul. »
  20. Leonard Barkan, Unearthing the Past: Archaeology and Aesthetics in the Making of Renaissance Culture (Yale University Press, 1999), p. 138.
  21. Nota Cesare Cassanmagnago, allievo di Giovanni Reale, (Op.cit. pag.927 n.23) come sia del tutto inopportuno rendere Χάος (Chaos) con il termine italiano di "caos" indicando questo uno stato di confusione che nulla ha a che fare con la nozione greca. Lo scoliaste lo indica come kenòn, lo spazio vuoto tra cielo e terra dopo che una possibile unità originaria fu spezzata. D'altronde lo stesso Esiodo lo indica come eghèneto non il principio quindi, ma ciò che da questo per prima appare.
  22. George M. A. Hanfmann, nell'Oxford Classica Dictionary (Oxford Univeristy Press, 1970, in italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849) nota il collegamento tra questo passo esiodeo e il precedente omerico.
  23. "Desiderio ardente"
  24. Nota George M. A. Hanfmann, nell'Oxford Classica Dictionary (Oxford Univeristy Press, 1970, in italiano Dizionario delle antichità classiche Cinisello Balsamo, Paoline, 1995, pag.849) come molti studiosi ritengano che in realtà Eros non si limiti ad accompagnare Afrodite, ma può accompagnare qualsivoglia altra divinità quando ciò concerne episodi di amore.
  25. T. G. Rosenmeyer, Eros-erotes Phoenix 5 (1951): 12.
  26. T. G. Rosenmeyer, Eros-erotes Phoenix 5 (1951): 12-13.
  27. In tale senso Platone, Fedro 255d
  28. Ferrari I, 386.
  29. Pausania, VI, 23, 3 e 5
  30. 420
  31. XXXVI, 25
  32. «Scopae laus cum is certat. Is fecit Venerem et Pothon, qui Samothrace sanctissimis caerimoniis coluntur»
  33. I, 43, 6
  34. Le dionisiache XLVII, 340
  35. Alcm. frag. 58 Page,
  36. Teogonia, 349
  37. Farnell, Cults II, 664
  38. Plutarco, Q.R. 2
  39. Conservato al XIII 573e-574b in Ateneo.
  40. Cfr. Aristofane, La pace, 1334 e sgg.; riferimenti anche in Euripide Le troiane, 310-325; e in Pindaro Framm. 128c 7-8; Catullo LXI 4 e LXII 5: a Roma gli corrispondeva il dio Talassio.
  41. Cfr. qui
  42. Strong, p. 265
  43. Collins, pp. 100, 167.
  44. Fr. 13
  45. D-K 31 B 19
  46. D-K 31 B 28
  47. D-K 31 B 17, B 22, B 66, B 71
  48. D-K 31 B73, B 75, B 95, B 98.
  49. Werner Jaeger, La teologia... p. 215.
  50. Cfr. 245-249
  51. 203 C-D
  52. Fedro 250 A.
  53. Simposio 206 B.
  54. Simposio 180 D
  55. Simposio 183 D-E
  56. Simposio 210-211
  57. L'anima incarnata nella materia ricorda la bellezza divina quando incontra la bellezza terrena da cui è attratta per la sua ultima natura celeste: in tal senso vanno intesi i "dardi intellettivi". Quindi allo stesso modo di Afrodite celeste (l'Anima universale) che si volge al Nous, le anime colpite dai "dardi intellettivi" si sollevano a contemplare il Bene.
  58. L'amore intellettivo dell'anima individuale corrisponde all'amore dell'Anima universale (Afrodite celeste); ma quando l'amore dell'anima individuale è stimolato dall'Anima del mondo (Afrodite terrena) esso si rivolge ai piaceri sensibili che tuttavia procurano il succedersi delle generazioni, in tal senso va inteso il richiamo ai "salutari consigli del padre".
  59. Cfr. il sistema dei pianeti in Cicerone Somnium Scipionis, IV.