Gli dèi della Grecia/Le caratteristiche di un dio greco
Il termine con cui in lingua greca antica si indica genericamente un dio è Theós (Θεός; pl. Theoí Θεοί)[6]. Se l'equivalenza tra l'italiano e il greco antico è questa, tali termini si differenziano però nei loro significati. Già Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff aveva evidenziato come il termine theós non dispone in greco antico del vocativo, osservazione dirimente se prendiamo in considerazione l'importanza del culto in questa religione. Infatti con il vocativo vengono indicati esclusivamente i nomi propri degli Dei. Károly Kerényi[7] osserva in aggiunta che theós possiede la funzione di predicato, chiarendo che «è specificatamente greco dire di un evento: "È theós!». Kerényi cita ad esempio Euripide che in Elena fa sostenere che «O dèi! Perché è dio quando si riconoscono i propri cari.»[8]. Theós è quindi l'irrompere dell'"evento divino" (theîon θεῖον). E tale "divino" è, per la concezione religiosa dei Greci, nota Walter F. Otto:
Sulla domanda inerente alla natura del "dio" greco lo studioso statunitense di origini tedesche, Albert Henrichs[9], chiarisce infine che le risposte possono risultare diverse, dipendendo soprattutto da chi pone la domanda. Così se ponessimo questa domanda a un greco del periodo classico, questi probabilmente risponderebbe che potrebbe descrivere tale "dio" solo nel momento in cui, per mezzo di visioni o sogni, lo ha incontrato; anche se un greco più attento potrebbe subito aggiungere che un incontro con la manifestazione reale di una divinità è sempre estremamente pericoloso vista la loro “potenza” [10].
Henrichs ci ricorda inoltre che un’importante risposta alla domanda in cosa consista un dio greco è conservata in un oracolo riferito ad Apollo Klarios (Κλάριος), inciso su un altare rinvenuto nella città di Oinoanda (nord della Licia) e risalente al III secolo d.C.
In questo oracolo il dio è indicato come "autogenerato", "innato", "privo di madre", "incrollabile", "privo di nome", "pieno di nomi", "dimorante nell’etereo fuoco"[11].
Il nome, e quindi le caratteristiche misteriose del dio greco, di per sé eterno, ingenerato e dimorante nel fuoco etereo, è ineffabile ma al contempo pieno.
Un quadro descrittivo del "dio" greco che si riscontra nelle teologie, in altri testi oracolari, negli inni orfici e nei papiri magici. Un "dio" circondato dai suoi messaggeri, gli ἄγγελοι, che sono sue emanazioni, fino agli uomini, che in età imperiale saranno considerati, nelle cerchie filosofiche, parti stesse del "dio"[12].
La nozione greca della divinità
[modifica | modifica sorgente]Come ha acutamente evidenziato Jean-Pierre Vernant[13] gli dèi greci non sono persone con una propria identità, quanto piuttosto risultano essere "potenze" (δύναμις) che agiscono assumendo poliedriche forme e segni non identificandosi mai completamente con tali manifestazioni. Gabriella Pironti[14] ricorda a tal proposito l'Anabasi (VII, 8, 6-1) di Senofonte (430-354 a.C.) il quale si trova in condizioni di difficoltà economiche perché pur avendo onorato Zeus Basileus (βασιλεύς, Re) si è dimenticato di onorare Zeus Meilichios (μειλίχιος termine che evoca il miele) collegato alle fortune familiari e quindi economiche.
Queste potenze sono, come già ricordava Walter F. Otto nel classico Die Götter Griechenlands. Das Bild des Göttlichen im Spiegel des griechischen Geistes (Bonn 1929)[15] "il motore del mondo".
E André Motte aggiunge:
Così in Omero non si sostiene che si 'ha' un modo giusto di vedere, ma si 'comprende' tale modo, e lo si comprende perché esso ci appare per mezzo delle divinità[16] (nozione della atē ἄτη espressa anche dal verbo aasasthai, in quest'ultimo caso senza l'intervento divino[17]). E tale apparizione può essere da loro offuscata come denunciano Omero e i tragici, quindi chi sbaglia non lo fa per cattiva volontà ma perché gli dei decidono di offuscargli la mente[16]. Allo stesso modo «in ogni azione importante dell'uomo agisce un Dio»[18].
Anche se, come evidenzia Max Pohlenz, persino nei momenti in cui è condizionato da tali "potenze" egli non si percepisce come privo di "libera scelta":
Gli dèi greci sono dunque "potenze" caratterizzate dall'essere estranee agli affanni (ἀκηδής akēdḗs) e dalla sofferenza (ἀχεύω acheúō) come ricorda l'eroe Achille:
Anche se, notano Giulia Sissa e Marcel Detienne[19], questa demarcazione tra dèi e uomini non sempre è rispettata come nel caso, ad esempio, di Efesto e di Teti che si qualificano come colpiti dal dolore (achnymenoi)[20][21].
Il corpo fisico, spesso di forma umana, con cui possono manifestarsi gli dèi non coincide con quello naturale: in esso, infatti, non circola il sangue ma un altro umore, l'ichór (ἰχώρ). Questo perché gli dèi non si alimentano di cereali e di vino[22]:
Purtuttavia questi corpi fisici si manifestano come potenze come quando Apollo colpisce con la mano Patroclo[23], e sono individuabili anche se utilizzano corpi simili agli uomini, proprio per mezzo delle loro tracce (ichnos, ἴχνος) come osserva Aiace Oileo dopo aver scorto Posidone[24].
Resta che, come notano Giulia Sissa e Marcel Detienne:
Gli dèi greci posseggono inoltre la caratteristica di differenziarsi nell'ambito delle loro rispettive "potenze" e di pagarne caro il prezzo qualora si avventurassero in ambiti che non gli sono propri, come ricorda Zeus ad Afrodite ferita da Diomede dopo il suo tentativo di proteggere Enea[25]. O ancora corrono a chiedere il sostegno della potenza altrui, come fa Era, ottenendo il nastro ricamato "dov'erano tutti gli incanti" proprietà di Afrodite, allo scopo di sedurre il re degli dèi Zeus[26].
Separati dagli uomini per natura, condizione e destino, gli dèi vengono rappresentati dai greci secondo i canoni assoluti della bellezza. In questo, sottolinea Mircea Eliade, si distingue un tratto preciso della religione greca:
Origine del termine e nozione di "politeismo"
[modifica | modifica sorgente]La religione greca è dunque indubbiamente, almeno nei suoi aspetti più diffusi, una religione politeistica. Occorre tuttavia precisare che sia il termine che la nozione di "politeismo" non sono conosciuti nel mondo greco.
Il termine "politeismo" è attestato nelle lingue moderne per la prima volta nella lingua francese (polythéisme) a partire dal XVI secolo [27]. Il termine polythéisme fu coniato dal giurista e filosofo francese Jean Bodin, e quindi utilizzato per la prima volta nel suo De la démonomanie des sorciers (Parigi, 1580), per poi finire nei dizionari come il Dictionnaire universel françois et latin (Nancy 1740), il Dictionnaire philosophique di Voltaire (Londra 1764) e, l'Encyclopédie di D’Alembert e Diredot (seconda metà del XVIII secolo), la cui voce polytheisme è curata dallo stesso Voltaire. Utilizzato in ambito teologico in opposizione a quello di "monoteismo"; entra nella lingua italiana nel XVIII secolo [28].
Il termine polythéisme, quindi "politeismo", è formato da termini derivati dal greco antico: πολύς (polys) + θεοί (theoi) ad indicare "molti dèi"; quindi da polytheia, termine coniato dal filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria (20 a.C.-50 d.C.) per indicare la differenza tra l'unicità di Dio nell'Ebraismo rispetto alla nozione pluralistica dello stesso propria delle religioni antiche[29], tale termine fu poi ripreso dagli scrittori cristiani (ad esempio da Origene in Contra Celsum).
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Cfr. Salvatore Rizzo nota 2 p.485 e nota 1 p.491, in Pausania, Viaggio in Grecia (Libri V e VI). Milano, Rizzoli, 2001.
- ↑ Cfr. Igino Astronomo, 223.
- ↑ «Figlio di Zeus è l’oro, non lo intacca né tarma né tarlo» (Pindaro, fr. 222 M.). «Le statue dedicate a Zeus venivano ritualmente decorate con il prezioso metallo che, essendo l'unico materiale immutabile nel colore, nella lucentezza e nella resistenza veniva destinato in Grecia, come in tutto il Mediterraneo all'ambito del sacro.» Lia Luzzatto e Renata Pompas. Il significato dei colori nelle civiltà antiche. Milano, Bompiani, 2005, p. 189.
- ↑ L'avorio è considerato "carne divina" e quindi destinato all'arte sacra, questo sia per la sua preziosità sia per il fatto che rappresentava meglio del "bianco" il fulgore divino (cfr. Valentina Manzelli. La policromia nella statuaria greca arcaica. Roma, L'Erma di Bretschneider, 1994, p. 64; Lia Luzzatto e Renata Pompas. Il significato dei colori nelle civiltà antiche. Milano, Bompiani, 2005, p. 108).
- ↑ Cfr. anche:
- ↑ L'origine è incerta, dopo una disamina sulle possibili connessioni, Pierre Chantraine, nel suo Dictionnaire étymologique de la langue grecque Tomo II, Parigi, Klincksiec, 1968 pag. 430, conclude: Émile Benveniste, tuttavia, nel suo Le Vocabulaire des institutions indo-européennes(2 voll., 1969, Paris, Minuit. Ed. italiana, a cura di Mariantonia Liborio, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1981) collega theós a thes- (relazionato sempre al divino). Quindi thésphatos (θέσφατος stabilito da una decisione divina), thespésios (θεσπέσιος, 'meraviglioso' inerente al canto delle sirene, "enunciato di origine divina"), théskelos (θέσκελος, più incerto, "prodigioso o divino"); e questo a *dhēs che si ritrova nel plurale armeno dikc (gli "dèi", -kc è il segno plurale). Quindi per Émile Benveniste: «è del tutto possibile -ipotesi già avanzata da tempo- che si debba mettere in questa serie Theós 'Dio' il cui prototipo più verosimile sarebbe proprio *thesos. L'esistenza dell'armeno dikc 'dèi' permetterebbe allora di formare una coppia lessicale greco armena»(cfr. Volume II, pag. 385).
- ↑ Cfr. Károly Kerényi. Griechische Grundbegriffe. Zurigo, Rhein-Verlag, 1964.
- ↑ Cfr. Károly Kerényi. Religione antica (Antike Religion). Milano, Adelphi, 2001, p. 209.
- ↑ Albert Henrichs. What is a Greek God? In The Gods of Ancient Greece. Identities and Transformations (a cura di Jan N. Bremmer e Andrew Erskine). Edinburgh University Press, Edinburgh, 2010, pp. 19 e sgg.
- ↑ Cfr. Iliade XX, 131
- ↑ αὐτοϕυής, ἀδίδακτος, ἀμήτωϱ, ἀστυϕέλικτος, οὔνομα μὴ χωϱῶν, πολυώνυμος, ἐν πυϱὶ ναίων, τοῦτο θεός· μικϱὰ δὲ θεοῦ μέϱις ἄγγελοι ἡμεῖς
- ↑ Albert Henrichs. What is a Greek God? In The Gods of Ancient Greece. Identities and Transformations (a cura di Jan N. Bremmer e Andrew Erskine). Edinburgh University Press, Edinburgh, 2010, pp. 19 e sgg.
- ↑ Cit. in Gabriella Pironti Op.cit. p. 31
- ↑ Gabriella Pironti. Op.cit. p. 31.
- ↑ Traduzione in italiano: Gli dèi della Grecia, Adelphi, Milano 2004.
- ↑ 16,0 16,1 Walter F. Otto. Theophania, pagg. 63-4
- ↑ Eric R. Dodds. I greci e l'irrazionale. Milano, Rizzoli, 2009, p.47.
- ↑ Walter F. Otto. Theophania, p. 67
- ↑ Giulia Sissa e Marcel Detienne. La vita quotidiana degli dei greci. Bari, Laterza, 2006, p. 20
- ↑ Iliade I, 588; XIX, 8
- ↑ In tal senso Fritz Graf in Gli dèi greci e i loro santuari, "Storia Einaudi dei Greci e dei Romani" vol.3. Torino-Milano, Einaudi/Sole 24 Ore, 2008, p.346 dove evidenzia che gli dèi greci conoscono il dolore sia fisico che spirituale: ciò che li distingue dagli uomini è il fatto di essere immortali, sempre giovani e "singolarmente irresponsabili di tutto ciò che fanno".
- ↑ Qui va citata la nota n.8 (del capitolo II) di Giulia Sissa e Marcel Detienne. La vita quotidiana degli dei greci. Bari, Laterza, 2006, p. 20 dove si evidenzia che non è la carne a rendere tale il sangue agli uomini.
- ↑ Iliade XVI 789 e segg.
- ↑ Iliade XIII, 43 e segg.
- ↑ Iliade V, 330 e segg.
- ↑ Iliade XIV, 198 e segg.
- ↑ Paolo Scarpi, Politeismo in Dizionario delle religioni, Torino, Einaudi, 1993, p. 573.
- ↑ Alberto Nocerini, L'Etimologico, Firenze, Le Monnier, edizione elettronica
- ↑ Gabriella Pironti. Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione vol.6 della Grande Storia dell'antichità (a cura di Umberto Eco). Milano, Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag.22.