Storia della filosofia/Evoluzionismo
L'evoluzionismo, cioè il riconoscimento che le specie mutano nel tempo e la comprensione di come avvengono tali processi, ha le sue radici nell'antichità. Con la nascita della moderna tassonomia biologica alla fine del XVII secolo, due idee opposte si affermarono nel pensiero biologico occidentale. Da un lato c'era l'essenzialismo, la convinzione che ogni specie abbia caratteristiche essenziali che sono inalterabili, una teoria sviluppata dalla metafisica aristotelica medievale e che si adattava alla teologia naturale e all'idea del disegno provvidenziale. Dall'altro lato si sviluppò però un approccio anti-aristotelico: con l'Illuminismo, la filosofia meccanica si estese dalle scienze fisiche alla storia naturale. I naturalisti iniziarono a concentrarsi sulla variabilità delle specie; l'emergere della paleontologia e il concetto di estinzione minarono ulteriormente le visioni statiche della natura. All'inizio del XIX secolo, prima del darwinismo, Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829) propose la sua teoria della trasmutazione delle specie, la prima teoria dell'evoluzione completamente formata.
Nel 1858 Charles Darwin e Alfred Russel Wallace formularono una nuova teoria evolutiva, descritta nel dettaglio da Darwin in L'origine delle specie (1859). Darwin basò la sua teoria sull'idea di selezione naturale e raccolse un'ampia gamma di prove dalla zootecnia, dalla biogeografia, dalla geologia, dalla morfologia e dall'embriologia. Il dibattito sul lavoro di Darwin portò rapidamente ad accettare il concetto generale di evoluzione, ma il meccanismo specifico da lui proposto, quello della selezione naturale, non fu ampiamente accettato fino a quando non fu ripreso tra gli anni venti e quaranta del Novecento.
L'evoluzionismo prima di Darwin
[modifica | modifica sorgente]L'età moderna
[modifica | modifica sorgente]Nella prima metà del XVII secolo, la filosofia meccanica di Cartesio diffuse la metafora dell'universo come macchina, concetto che segnerà profondamente la rivoluzione scientifica.[1] Tra il 1650 e il 1800, alcuni naturalisti, come Benoît de Maillet, svilupparono teorie secondo cui l'universo, la Terra e la vita si fossero sviluppate meccanicamente, senza la guida di una divinità.[2] Al contrario, la maggior parte delle teorie contemporanee sull'evoluzione, come quelle di Gottfried Leibniz e Johann Gottfried Herder, consideravano l'evoluzione come un processo fondamentalmente spirituale.[3] Nel 1751 Pierre Louis Maupertuis virò verso posizioni più materialiste: parlò di modificazioni naturali che si verificano durante la riproduzione e si accumulano nel corso di molte generazioni, producendo razze e persino nuove specie, teoria che anticipava in termini generali il concetto di selezione naturale.[4]
Le idee di Maupertuis si contrapponevano alle posizioni dei primi tassonomisti come John Ray. Alla fine del XVII secolo, Ray aveva dato la prima definizione formale di specie biologica, che descrisse come caratterizzata da caratteristiche essenziali immutabili, e affermò che il seme di una specie non avrebbe mai potuto dare origine a un'altra.[5] Le idee di Ray e di altri tassonomisti del XVII secolo furono influenzate dalla teologia naturale e dall'argomento del disegno provvidenziale.[6]
La parola "evoluzione" (dal latino evolutio, che significa "srotolare come un rotolo") era inizialmente usata per riferirsi allo sviluppo embrionale; il suo primo utilizzo in relazione allo sviluppo delle specie risale al 1762, quando Charles Bonnet lo utilizzò per il suo concetto di "pre-formazione", secondo cui le femmine portano in sé una forma in miniatura di tutte le generazioni future. Il termine ha gradualmente acquisito un significato più generale di crescita o sviluppo progressivo.[7]
Nel XVIII secolo il francese Georges-Louis Leclerc, conte de Buffon, uno dei principali naturalisti dell'epoca, suggerì che ciò che la maggior parte delle persone chiamava "specie" fosse in realtà un insieme di caratteristiche ben marcate, nate attraverso modificazioni da una forma originale, dovute a fattori ambientali. Ad esempio, credeva che leoni, tigri, leopardi e gatti domestici potessero avere tutti un antenato comune. Ipotizzò inoltre che le circa 200 specie di mammiferi allora conosciute potessero discendere da almeno 38 forme animali originali. Le idee evolutive di Buffon erano limitate: credeva che ciascuna delle forme originali fosse sorta attraverso la generazione spontanea e che ciascuna fosse modellata da "stampi interni" che limitavano i cambiamenti. Le opere di Buffon, Histoire naturelle (1749-1789) ed Époques de la nature (1778), contengono teorie che spiegano l'origine della Terra a partire da considerazioni materialistiche. Le sue idee che mettevano in discussione la fissità delle specie furono estremamente influenti.[8][9]
Denis Diderot scrisse invece che gli esseri viventi potevano essere nati per la prima volta attraverso la generazione spontanea e che le specie mutavano attraverso un processo costante in cui nuove forme sorgevano e sopravvivevano o sparivano sulla base di prove ed errori, una teoria che può essere considerata un'anticipazione parziale della selezione naturale.[10] Tra il 1767 e il 1792 James Burnett, Lord Monboddo, affrontava nei suoi scritti non solo l'idea che l'uomo discendesse dai primati, ma anche che, in risposta all'ambiente, le creature avevano trovato metodi per modificare le loro caratteristiche nell'arco di lunghi intervalli di tempo.[11] Il nonno di Charles Darwin, Erasmus Darwin, pubblicò Zoonomia (1794-1796), in cui suggeriva che tutti gli animali a sangue caldo fossero nati da un filamento vivente.[12] Nella sua poesia Temple of Nature (1803), descrisse la diffusione della vita, partendo da minuscoli organismi che vivevano nel fango per arrivare alla sua moderna diversità biologica.[13]
L'inizio del XIX secolo
[modifica | modifica sorgente]All'inizio dell'Ottocento, le scoperte nei campi della paleontologia e della geologia ampliarono la conoscenza delle antiche specie estinte (nel 1796 Georges Cuvier pubblicò le sue scoperte sulle differenze tra gli elefanti e i mammuth, di cui furono trovati nei reperti fossili) e a definire meglio la scala temporale geologica.
Jean-Baptiste Lamarck propose, nella sua Philosophie zoologique del 1809, una teoria della trasmutazione delle specie. Lamarck non credeva che tutti gli esseri viventi condividessero un antenato comune, ma piuttosto che forme di vita semplici venissero create continuamente attraverso la generazione spontanea. Credeva anche che fosse una forza vitale innata ad aver portato le specie a diventare con il tempo più complesse. Lamarck riconobbe che le specie si erano adattate al loro ambiente e spiegò questo fenomeno sostenendo che la stessa forza innata che guida il crescere della complessità aveva causato il cambiamento degli organi di un animale (o di una pianta) in base all'uso o al non uso di quegli stessi organi, proprio come l'esercizio fa aumentare la massa dei muscoli. Sostenne che questi cambiamenti sarebbero poi stati ereditati dalla generazione successiva e avrebbero prodotto un lento adattamento all'ambiente. Questo meccanismo di adattamento attraverso l'ereditarietà delle caratteristiche acquisite diventò noto come lamarckismo e influenzò le successive discussioni sull'evoluzione.[14][15]
Le idee sulla trasmutazione delle specie erano associate al materialismo illuminista e furono attaccate da pensatori più conservatori. Cuvier criticò le idee di Lamarck e Geoffroy, concordando con Aristotele sul fatto che le specie fossero immutabili. Cuvier credeva che le singole parti di un animale fossero troppo strettamente correlate tra di loro per consentire a una singola parte di cambiare indipendentemente dalle altre, e sostenne che i reperti fossili mostravano schemi di estinzioni catastrofiche seguite da ripopolamento, e non un graduale cambiamento nel corso del tempo. Ha anche notato che i disegni di animali e le mummie animali provenienti dall'Egitto, che avevano migliaia di anni, non mostravano segni di cambiamento rispetto agli animali moderni. La forza delle argomentazioni di Cuvier e la sua reputazione scientifica contribuirono a mantenere la trasmutazione delle specie ai margini del dibattito scientifico per decenni.[16]
Darwin e la sua eredità
[modifica | modifica sorgente]Darwin e la selezione naturale
[modifica | modifica sorgente]Mentre stava sviluppando la sua teoria, Darwin studiò l'attività di selezione negli allevamenti di animali e rimase colpito da un'osservazione di Sebright, secondo cui un inverno rigido o la scarsità di cibo, distruggendo gli esemplari deboli e malaticci, aveva effetti positivi sulla selezione degli esemplari migliori, perché impediva ai deboli e ai malati di riprodursi e propagare le loro infermità.[17] Darwin fu influenzato anche dalle idee di Charles Lyell sui cambiamenti ambientali che provocano cambiamenti ecologici, portando a quella che Augustin de Candolle aveva definito una guerra tra specie vegetali concorrenti.[18]
Gli ambienti che Charles Darwin osservò in luoghi come le isole Galápagos durante il secondo viaggio dell'HMS Beagle gli fecero dubitare della fissità delle specie. Le osservazioni lo portarono a vedere la mutazione come un processo di divergenza e ramificazione, piuttosto che una progressione come immaginato da Jean-Baptiste Lamarck e altri. Nel 1838 lesse An Essay on the Principle of Population, scritto alla fine del XVIII secolo da Thomas Robert Malthus. L'idea di Malthus secondo cui la crescita della popolazione porta a una lotta per la sopravvivenza, combinata con considerazioni su come gli allevatori selezionavano le caratteristiche degli animali da allevamento, portò alla teoria darwiniana della selezione naturale. Darwin non divulgò le sue idee sull'evoluzione per vent'anni. Tuttavia, condivise le sue teorie con altri naturalisti e amici, a cominciare da Joseph Dalton Hooker, con il quale discusse il suo saggio inedito del 1844 sulla selezione naturale.[19][20]
A differenza di Darwin, Alfred Russel Wallace, influenzato dal libro Vestiges of the Natural History of Creation (1844) di Robert Chambers, fin dall'inizio della sua attività sospettava l'esistenza della trasmutazione delle specie. Nel 1855 le sue osservazioni durante il lavoro sul campo in Sud America e nell'arcipelago malese lo resero abbastanza fiducioso del suo modello ramificato di evoluzione, secondo cui ogni specie ha avuto origine da una specie strettamente affine e già esistente. Anche Wallace studiò come le idee di Malthus potessero essere applicate alle popolazioni animali e giunse a conclusioni molto simili a quelle raggiunte da Darwin sul ruolo della selezione naturale. Nel febbraio 1858, Wallace, ignaro delle idee inedite di Darwin, raccolse le sue teorie in un saggio e lo inviò a Darwin, chiedendo la sua opinione. Il risultato fu la pubblicazione congiunta di un estratto dal saggio di Darwin del 1844 insieme alla lettera di Wallace. Darwin iniziò anche a lavorare a un'opera che riassumeva la sua teoria, che avrebbe pubblicato nel 1859 con il titolo L'origine delle specie.[21]
L'origine delle specie
[modifica | modifica sorgente]La pubblicazione de L'origine delle specie modificò radicalmente la discussione sulle origini biologiche degli esseri viventi.[22] Darwin sostenne che la propria teoria dell'evoluzione spiegasse una gran quantità di fenomeni osservabili in biogeografia, in anatomia, in embriologia e in altri campi della biologia. Fornì anche il primo meccanismo convincente su come il cambiamento evolutivo poteva avvenire: la teoria della selezione naturale.[23]
Uno dei primi naturalisti a essere convinto della realtà dell'evoluzione fu l'anatomista britannico Thomas Henry Huxley. Huxley riconobbe che, a differenza delle precedenti idee di Jean-Baptiste Lamarck, la teoria di Darwin forniva per l'evoluzione un meccanismo che non prevedeva il coinvolgimento di un ente soprannaturale, anche se Huxley stesso non era completamente convinto che la selezione naturale fosse il meccanismo evolutivo chiave. All'inizio degli anni settanta dell'Ottocento nei paesi di lingua inglese, grazie in parte a Huxley, l'evoluzione era diventata la principale spiegazione scientifica dell'origine delle specie.[24] Huxley ricorse inoltre a nuove prove per l'evoluzione tratte dalla paleontologia. Tuttavia, la teoria dell'evoluzione si diffuse più lentamente tra gli scienziati delle nazioni non anglofone come la Francia e i paesi dell'Europa meridionale e dell'America Latina. Un'eccezione a questo è stata la Germania, dove sia August Weismann che Ernst Haeckel sostennero questa idea.
La teoria di Darwin riuscì a modificare profondamente l'opinione scientifica sullo sviluppo della vita e a produrre una piccola rivoluzione filosofica.[25] Tuttavia, Darwin non fu in grado di spiegare la causa della variazione dei tratti all'interno di una specie e nemmeno di identificare il meccanismo attraverso cui fosse possibile trasmettere i tratti da una generazione all'altra.
L'evoluzione dell'uomo
[modifica | modifica sorgente]Darwin era consapevole della dura reazione che, in alcune parti della comunità scientifica, era seguita all'ipotesi gli che gli esseri umani fossero sorti dagli animali mediante un processo di trasmutazione. Pertanto, ignorò quasi completamente il tema dell'evoluzione umana nell'Origine delle specie. Nonostante questa precauzione, la questione ebbe un posto di primo piano nel dibattito che seguì la pubblicazione del libro. Per la maggior parte della prima metà del XIX secolo, la comunità scientifica credeva che, sebbene la geologia avesse dimostrato che la Terra e la vita erano molto antiche, gli esseri umani fossero apparsi improvvisamente solo da poche migliaia di anni. Tuttavia, una serie di scoperte archeologiche negli anni quaranta e cinquanta dell'Ottocento mostrarono strumenti di pietra associati ai resti di animali estinti. All'inizio degli anni sessanta era ampiamente accettato che gli esseri umani fossero esistiti durante il periodo preistorico, che si estendeva per molte migliaia di anni prima dell'inizio della storia scritta. Questa visione della storia umana era compatibile con l'idea che l'umanità avesse avuto origine da un processo di evoluzione. A ogni modo, a quel tempo non c'erano prove fossili per dimostrare l'evoluzione umana. Gli unici fossili umani trovati prima della scoperta dell'uomo di Giava negli anni novanta dell'Ottocento erano di uomini anatomicamente moderni o di Neanderthal che erano troppo vicini, specialmente per quanto riguarda la capacità cranica, agli esseri umani moderni per essere considerati come intermedi tra umani e altri primati.[26]
Pertanto, il dibattito che seguì alla pubblicazione dell'Origine delle specie si incentrò sulle somiglianze e differenze tra l'uomo e le moderne scimmie. Già Linneo era stato criticato nel XVIII secolo per aver raggruppato uomini e scimmie come primati nel suo sistema di classificazione.[27] Richard Owen difese vigorosamente la classificazione suggerita da Georges Cuvier e Johann Friedrich Blumenbach, che poneva gli esseri umani in un ordine separato da qualsiasi altro mammifero. D'altra parte, Thomas Henry Huxley cercò di dimostrare una stretta relazione anatomica tra umani e scimmie. Un altro punto di vista fu sostenuto da Lyell e Alfred Russel Wallace. Concordarono sul fatto che gli umani condividessero un antenato comune con le scimmie, ma si chiedevano se un meccanismo puramente materialistico potesse spiegare tutte le differenze tra umani e scimmie, in particolare alcuni aspetti della mente umana.[28]
Nel 1871 Darwin pubblicò L'origine dell'uomo e la selezione sessuale, che conteneva le sue teorie sull'evoluzione umana. Darwin sostenne che le differenze tra la mente umana e le menti degli animali superiori erano una questione di grado piuttosto che di genere. Ad esempio, vedeva la moralità come una conseguenza naturale di istinti già osservabili negli animali che vivevano in gruppi sociali. Sosteneva che tutte le differenze tra umani e scimmie erano spiegabili da una combinazione delle pressioni selettive che provenivano dai nostri antenati, che si spostavano dagli alberi alle pianure, con la selezione sessuale. Il dibattito sulle origini dell'umanità e sulla sua unicità proseguì fino al XX secolo.[29]
Alternative alla selezione naturale
[modifica | modifica sorgente]Il concetto di evoluzione fu ampiamente accettato negli ambienti scientifici entro pochi anni dalla pubblicazione delle opere di Darwin, ma non c'era accordo sul fatto che l'evoluzione avvenisse per selezione naturale. Le quattro principali alternative alla selezione naturale alla fine del XIX secolo erano l'evoluzionismo teistico, il neo-lamarckismo, l'ortogenesi e il saltazionismo. Le alternative sostenute dai biologi in altri tempi includevano lo strutturalismo, il funzionalismo teleologico ma non evolutivo di Georges Cuvier e il vitalismo.
Secondo l'evoluzionismo teistico, Dio interviene nel processo evolutivo per guidarlo: in questo modo si può continuare a sostenere la tesi che il mondo naturale sia frutto di un disegno provvidenziale. Questa posizione fu promossa dal più grande sostenitore americano di Charles Darwin, Asa Gray. Tuttavia, questa idea è gradualmente caduta in disgrazia tra gli scienziati, sempre più convinti che gli appelli diretti al coinvolgimento di un essere soprannaturale fossero scientificamente improduttivi. Nel 1900 l'evoluzionismo teistico era in gran parte scomparso dalle discussioni scientifiche, sebbene conservasse un forte seguito popolare.[30][31]
Alla fine del XIX secolo, il termine neo-lamarckismo venne associato alla posizione dei naturalisti che consideravano l'ereditarietà delle caratteristiche acquisite come il meccanismo evolutivo più importante. I sostenitori di questa posizione includevano lo scrittore britannico Samuel Butler, il biologo tedesco Ernst Haeckel e il paleontologo americano Edward Drinker Cope. Consideravano il lamarckismo filosoficamente superiore all'idea di selezione darwiniana, che si basava sulla variazione casuale. Cope cercò, e pensò di aver trovato, modelli di progressione lineare nei suoi studi sui fossili. L'ereditarietà delle caratteristiche acquisite faceva parte della teoria di Haeckel dell'evoluzione, secondo cui lo sviluppo embriologico di un organismo ripete la sua storia evolutiva.[32][33] I critici del neo-lamarckismo, come il biologo tedesco August Weismann e Alfred Russel Wallace, sottolinearono che nessuno aveva mai prodotto prove concrete dell'eredità delle caratteristiche acquisite. Nonostante queste critiche, il neo-lamarckismo rimase l'alternativa più popolare alla selezione naturale alla fine del XIX secolo e sarebbe rimasta la posizione di alcuni naturalisti fino al XX secolo.[34][35]
L'ortogenesi era l'ipotesi secondo cui la vita ha una tendenza innata a cambiare, in modo unilineare, verso una sempre maggiore perfezione. Ha avuto un seguito significativo nel XIX secolo e i suoi sostenitori includevano il biologo russo Leo S. Berg e il paleontologo americano Henry Fairfield Osborn. L'ortogenesi era popolare tra alcuni paleontologi, i quali credevano che i ritrovamenti fossili mostrassero un cambiamento unidirezionale graduale e costante.
Il saltazionismo era l'idea che nuove specie nascessero come risultato di grandi mutazioni. Era visto come un'alternativa molto più semplice al concetto darwiniano di un processo graduale di piccole variazioni casuali su cui agisce la selezione naturale, ed era popolare tra i primi genetisti come Hugo de Vries, William Bateson e, all'inizio della sua carriera, Thomas Hunt Morgana.[36][37]
Genetica mendeliana, biometria e mutazione
[modifica | modifica sorgente]La scoperta delle leggi sull'eredità di Gregor Mendel nel 1900 accese il dibattito tra i biologi. Da una parte c'erano i mendeliani, che si erano concentrati sulle variazioni discrete e sulle leggi dell'eredità. Erano guidati da William Bateson (che coniò la parola "genetica") e Hugo de Vries (che coniò la parola "mutazione"). I loro oppositori erano i biometrici, interessati alla continua variazione delle caratteristiche all'interno delle popolazioni. Alla loro guida c'erano Karl Pearson e Walter Frank Raphael Weldon, i quali seguirono la tradizione di Francis Galton, che si era concentrato sulla misurazione e sulla analisi delle variazioni all'interno di una popolazione. I biometrici rifiutarono la genetica mendeliana sulla base del fatto che unità discrete di ereditarietà, come i geni, non potevano spiegare la gamma continua di variazioni osservate nelle popolazioni reali. Il lavoro di Weldon con granchi e lumache fornì la prova che la pressione selettiva dell'ambiente avrebbe potuto spostare l'intervallo di variazione nelle popolazioni selvatiche. I mendeliani, da parte loro, sostenevano che le variazioni misurate dai biometrici erano troppo insignificanti per spiegare l'evoluzione di nuove specie.[38][39]
Quando Thomas Hunt Morgan iniziò i suoi esperimenti con il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), era un saltazionista e sperava di dimostrare che una nuova specie poteva essere creata in laboratorio grazie alla sola mutazione. Invece il suo lavoro tra il 1910 e il 1915 confermò la genetica mendeliana e fornì solide prove sperimentali che la collegavano all'ereditarietà cromosomica. Il suo lavoro dimostrò che la maggior parte delle mutazioni ha effetti relativamente piccoli, come un cambiamento nel colore degli occhi, e che invece di creare una nuova specie in un unico passaggio, le mutazioni sono servite ad aumentare la variazione all'interno della popolazione esistente.[40][41]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Bowler, Peter J. (2003). Evolution: The History of an Idea (3rd ed.). Berkeley, CA: University of California Press, pp. 33–38. ISBN 978-0-520-23693-6.
- ↑ Bowler, Peter J. (2003). Evolution: The History of an Idea (3rd ed.). Berkeley, CA: University of California Press, pp. 72. ISBN 978-0-520-23693-6.
- ↑ Schelling, Sistema dell'idealismo trascendentale
- ↑ Bowler, Peter J. (2003). Evolution: The History of an Idea (3rd ed.). Berkeley, CA: University of California Press, pp. 73–75. ISBN 978-0-520-23693-6.
- ↑ Wilkins, John (July–August 2006). "Species, Kinds, and Evolution". Reports of the National Center for Science Education. 26 (4): 36–45. Retrieved 2011-09-23.
- ↑ Bowler, Peter J. (2003). Evolution: The History of an Idea (3rd ed.). Berkeley, CA: University of California Press, pp. 41-42. ISBN 978-0-520-23693-6.
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- ↑ Bowler, Peter J. (2003). Evolution: The History of an Idea (3rd ed.). Berkeley, CA: University of California Press, pp. 75–80. ISBN 978-0-520-23693-6.
- ↑ Larson, Edward J. (2004). Evolution: The Remarkable History of a Scientific Theory. New York: Modern Library, pp. 14–15. ISBN 978-0-679-64288-6.
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- ↑ Henderson, Jan-Andrew (2000). The Emperor's Kilt: The Two Secret Histories of Scotland. Edinburgh: Mainstream Publishing. ISBN 978-1-84018-378-8.
- ↑ Darwin, Erasmus (1794–1796). Zoonomia; or, the Laws of Organic Life. London: Joseph Johnson.
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