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Storia della filosofia/Karl Marx

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Storia della filosofia

Il pensiero di Karl Marx, incentrato sulla critica in chiave materialista dell'economia, della società, della politica e della cultura capitalistiche, esercitò un peso decisivo sulla nascita delle ideologie socialiste e comuniste dalla seconda metà del XIX secolo in poi, dando vita alla corrente socioeconomico politica del marxismo. Teorico della concezione materialistica della storia e, assieme al sodale Friedrich Engels, del socialismo scientifico, Marx è considerato tra i pensatori maggiormente influenti sul piano politico,[1] filosofico ed economico[2] nella storia dell'Ottocento.

Sulla questione ebraica

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In un articolo comparso sugli Annali franco-tedeschi nel 1844 intitolato Sulla questione ebraica Marx risponde alla teoria di Bruno Bauer, il quale ne La questione ebraica e ne La capacità degli ebrei e dei cristiani di oggigiorno di ottenere la libertà, analizzando il caso prussiano, affrontava la critica della coscienza religiosa e del riformismo politico entrando in aperto conflitto con la sinistra hegeliana, che opponendosi al cardine politico della religione di Stato invocava l'emancipazione politica degli ebrei. Pur condividendo la critica liberale all'uso politico della religione da parte dello Stato, Bauer intendeva la libertà politica come rinuncia a ogni particolarismo e muoveva perciò una critica agli argomenti di quanti ebrei e non ebrei sostenessero la causa dell'emancipazione sulla base del riconoscimento di un'identità particolare. Anche Marx giudicava possibile l'emancipazione degli ebrei in Prussia, ma soltanto se si fossero emancipati dalla religione, che genera sempre al suo interno contrasti e discriminazioni tra le varie confessioni: «La forma più rigida del contrasto tra l'ebreo e il cristiano è il contrasto religioso. Come si risolve un contrasto? Rendendolo impossibile. Come rendere impossibile un contrasto religioso? Eliminando la religione. Quando ebreo e cristiano riconosceranno che le reciproche religioni non sono altro che differenti stadi di sviluppo dello spirito umano, non sono altro che differenti pelli di serpente deposte dalla storia, e che l'uomo è il serpente che di esse si era rivestito, allora non si troveranno più in rapporto religioso, ma ormai soltanto in un rapporto critico, scientifico, umano».[3]

Marx ritiene che la risposta di Bauer poggi su un equivoco in quanto questi pensa che l'emancipazione umana coincida con l'emancipazione politica, affermando che «noi rileviamo l'errore di Bauer nel fatto che egli sottopone a critica solo lo «Stato cristiano», non lo «Stato in sé», che non ricerca il rapporto tra l'emancipazione politica e l'emancipazione umana, e perciò pone condizioni che sono spiegabili soltanto con un'acritica confusione tra l'emancipazione politica e quella umana in generale».[4] Invece per Marx esistono tre possibili emancipazioni: religiosa, politica e umana. Bauer si è fermato alle prime due forme mentre Marx ritiene fondamentale giungere alla terza. L'emancipazione politica non è ancora quella umana e a suffragio di questa tesi porta l'esempio degli Stati Uniti d'America in cui nonostante esista uno stato laico nella vita reale esistono differenze colossali nei comportamenti a seconda che siano rivolti a un protestante o a un ateo. Marx quindi ritiene che l'emancipazione politica non riguardi l'uomo reale o terreno, bensì un uomo astratto con pari diritti e dignità, celando invece le enormi sperequazioni esistenti realmente: «Il limite dell'emancipazione politica appare immediatamente nel fatto che lo Stato può liberarsi da un limite senza che l'uomo ne sia realmente libero, che lo Stato può essere un libero Stato senza che l'uomo sia un uomo libero [...] e la stragrande maggioranza non cessa di essere religiosa per il fatto di essere religiosa privatim. [...] Ma il comportamento dello Stato verso la religione, e particolarmente dello Stato libero, non è tuttavia altro che il comportamento degli uomini che formano lo Stato, verso la religione. Ne consegue che l'uomo per mezzo dello Stato, politicamente, si libera di un limite, innalzandosi oltre tale limite, in contrasto con sé stesso, in un modo astratto e limitato, in un modo parziale».[5]

Lo Stato con le sue leggi riguardanti l'uomo (costruito sorvolando sugli elementi particolari per poter costruire un'universalità) scinde l'essere umano tra il cielo delle leggi, lo Stato politico e la terra, la realtà e la società civile. Sdoppia quindi la vita dell'uomo tra il citoyen, il cittadino soggetto politico con diritti e doveri; e il bourgeois, il borghese membro della società civile avente i propri interessi privati: «Il conflitto nel quale si trova l'uomo come seguace di una religione particolare, con sé stesso in quanto cittadino, con gli altri uomini in quanto membri della comunità, si riduce alla scissione mondana tra lo Stato politico e la società civile. La contraddizione nella quale si trova l'uomo religioso con l'uomo politico, è la medesima contraddizione nella quale si trova il bourgeois con il citoyen, nella quale si trova il membro della società civile con il suo travestimento politico».[6] La critica di Marx si sposta così ai diritti dell'uomo, che sono il prodotto storico della rivoluzione americana e di quella francese e in essi quindi si cela una mistificazione. L'uomo, soggetto di questi diritti, non è altro che l'individuo privato della società civile e perciò caratterizzato da interessi particolari celati sotto una fasulla universalità: «Nessuno dei cosiddetti diritti dell'uomo oltrepassa dunque l'uomo egoistico, l'uomo in quanto è membro della società civile, cioè individuo ripiegato su se stesso, sul suo interesse privato e sul suo arbitrio privato, e isolato dalla comunità. Ben lungi dall'essere l'uomo inteso in essi come specie, la stessa vita della specie, la società, appare piuttosto come una cornice esterna agli individui, come limitazione della loro indipendenza originaria».[7] Nella società borghese sussistendo questa scissione tra pubblico e privato l'uomo è quindi solo sulla carta e astrattamente membro dello Stato in quanto solo nella sfera giuridica e politica ogni uomo è uguale agli altri, non già nell'ambito reale della vita economica e sociale in cui tutti gli uomini sono diseguali. Quando l'uomo reale riassume in sé l'astratto citoyen nella sua vita empirica diventando membro della specie umana dove tutti gli uomini in quanto tali sono eguali soltanto allora l'emancipazione umana è compiuta. La società umana (non quale è, ma quale dovrebbe essere) è perciò ipotizzata da Marx come razionale, unitaria e priva di conflitti, tanto che in essa non è necessaria l'esistenza di diritto e di politica in quanto la libertà è in essa realizzata in un'unità organica di tutti gli individui («unità di società e di individuo»).[8] L'egualitarismo e l'anti-liberalismo di Marx muovono dal presupposto di un «intransigente organicismo, che non lascia margini di autonomia all'individuo».[9]

Critica alla filosofia hegeliana del diritto pubblico

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In quest'opera del 1843 (pubblicata solo nel 1927), nota anche con il titolo Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Marx si confronta con i Lineamenti di filosofia del diritto (1821) in cui Hegel aveva preso in considerazione secondo la sua concezione dialettica il diritto (Recht), inteso come diritto astratto, come primo momento (in sé) dello spirito oggettivo, che si rapporta con l'antitesi (per sé) della moralità (Moralität), cioè la morale formale di tipo kantiano.

Questa relazione che si configura come opposizione si risolve con la sintesi (in sé e per sé), la conciliazione rappresentata dall'eticità (Sittlichkeit), unità vivente, cioè superamento e conservazione (Aufhebung) delle unilateralità del diritto e della moralità. L'eticità dunque si realizza dialetticamente in istituzioni storiche come la famiglia, la società civile e lo Stato. Quest'ultimo come sostanza etica sussume come sintesi gli altri momenti e l'individuo ha il compito di riconoscersi completamente in esso poiché solo nello Stato etico l'individuo acquista «realtà, verità ed oggettività». Pur apprezzando la distinzione hegeliana tra società civile e stato, Marx critica lo Stato hegeliano perché non è affatto etico in quanto in realtà è fondato sulla «religione della proprietà privata».[10] Marx privilegia invece la società civile, che anche in Hegel aveva già un ruolo importante, come momento dell'antitesi e del negativo (per sé), rendendo possibile per la prima volta uno studio scientifico della società stessa dove secondo Marx agiscono le classi che originate dalla divisione fra possidenti e non possidenti sono in lotta tra loro.

Contro il conservatorismo di Hegel, che giustificava in Prussia la monarchia ereditaria, i grandi proprietari terrieri e il maggiorascato, Marx invece prospetta una democrazia egualitaria fondata sul suffragio universale, influenzato dal concetto di volontà generale di Rousseau. In seguito con la scoperta del proletariato come classe rivoluzionaria Marx passa da questa posizione democratica egualitaria, il cui scopo ultimo era costituito dal suffragio universale, a una concezione rivoluzionaria. Con il proletariato che diventa classe dominante si ha l'abolizione della proprietà privata e la nascita di una società senza classi, arrivando anche al superamento dello Stato. La critica alla filosofia del diritto di Hegel rappresenta il momento in cui l'analisi marxiana matura in analisi del movimento storico-concreto nel quale spicca il confronto tra il regno della libertà e il regno della necessità. La critica allo Stato etico è il conseguimento del nuovo punto di vista dal quale si osserva la storia e l'organizzazione della società civile.[11]

Religione e Ludwig Feuerbach

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« La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l'oppio dei popoli.[12] »
(Karl Marx, Critica della filosofìa hegeliana del diritto pubblico)

L'introduzione alla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico fu pubblicata sugli Annali franco-tedeschi durante il primo soggiorno parigino di Marx nel 1844. Avrebbe dovuto precedere un'opera che Marx aveva composto nel 1843, riguardante appunto la filosofia del diritto di Hegel, ma che non venne edita. Venne peraltro ritrovata solo nel 1927 da ricercatori sovietici in forma di manoscritto incompiuto.

In questa importante introduzione e in contrasto con Ludwig Feuerbach, che sosteneva che l'epoca in cui viveva segnava il tramonto della religione, Marx precisa che la critica della religione è la premessa di ogni altra critica e come nella religione coabitino un'istanza critica oltre che quella illusoria.[13] Se per Feuerbach la religione è frutto della coscienza capovolta del mondo, per Marx ciò è dovuto al fatto che la società stessa sia un mondo capovolto. La religione è espressione e critica della miseria reale in cui l'uomo si trova, con la sua stessa presenza denuncia l'insopportabilità del reale per l'uomo,[14] ma nello stesso tempo genera l'illusione del conseguimento della giustizia sociale nell'aldilà.

La religione è «il gemito della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio dei popoli»,[15] ottunde i sensi nel rapporto con la realtà, è un inganno che l'uomo perpetra a se stesso. Incapace di cogliere le motivazioni della propria condizione, l'uomo la considera come dato di fatto (causa del peccato originale), cercando consolazione e giustificazione nei cieli religiosi.

Una concreta liberazione dalla religione non si ha eliminando la religione stessa, come affermò Bruno Bauer, bensì cambiando le condizioni e i rapporti in cui l'uomo si trova degradato e privato della sua propria essenza.

L'emancipazione del proletariato

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All'emancipazione politica portata avanti dalla borghesia liberale deve seguire l'emancipazione umana. Essa è raggiungibile attraverso una classe universale priva di interessi particolari, che avendo subito non un torto particolare, ma l'ingiustizia totale, non rivendica un solo diritto particolare, ma può emancipare se stessa e l'intera società.

Il soggetto dell'emancipazione umana è il proletariato, classe in cui l'essenza dell'uomo è andata completamente perduta e che per ciò stesso può riappropriarsene. Occorre rendere cosciente il proletariato che ha perso la sua essenza e quindi il suo scopo rivoluzionario. In questo modo la filosofia e la teoria diventano realizzabili praticamente e il proletariato diventa «il vero erede della filosofia classica tedesca».[16]

Manoscritti economico-filosofici del 1844

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Stimolato dalla lettura dell'Abbozzo di una critica dell'economia politica di Friedrich Engels in cui si mostra come l'accumulazione capitalistica generi crisi economiche che acutizzano i conflitti sociali, Marx intraprende a Parigi lo studio degli economisti classici e dei loro critici (Pierre-Joseph Proudhon e Simondo Sismondi). Frutto di questo intenso periodo di studio sono i Manoscritti economici-filosofici del 1844, editi solo nel 1932.

George W. F. Hegel

In una suggestiva analisi che utilizzando lo strumento della dialettica unisce la concretezza dell'indagine economica alla critica della falsificazione della stessa dialettica in chiave spiritualista operata da Hegel e dai suoi seguaci, Marx dà la prima definizione teoretica del comunismo come «la vera risoluzione dell'antagonismo fra esistenza ed essenza, tra oggettivazione e autoaffermazione, tra libertà e necessità, tra l'individuo e la specie». La società comunista è «l'unità essenziale [...] dell'uomo con la natura, la vera resurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell'uomo e l'umanesimo compiuto della natura».[17]

I Manoscritti sono costituiti da tre parti in base ai seguenti temi:

  • la critica all'economia classica;
  • la descrizione del comunismo;
  • la critica della dialettica hegeliana.

Critica dell'economia classica e alienazione

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Nella trattazione del primo tema indaga le leggi che regolano il mercato e l'industria e contrariamente a quanto sosteneva Adam Smith scrive che non vi era proprio nulla di armonico e naturale nei rapporti economici, bensì l'economia è terreno di conflitti da cui non si può astrarre (come fecero gli economisti classici considerandoli accidentali).

Marx contesta agli economisti classici di aver occultato e mascherato un certo modo di produzione, quello capitalista, con leggi ritenute naturali e immutabili ritenendo un dato di fatto l'esistenza della proprietà privata. Alla domanda, nonché titolo dell'opera, «Che cos'è la proprietà privata?» Proudhon aveva risposto «un furto».

Per Marx l'economia politica aveva trascurato il rapporto tra l'operaio, il suo lavoro e la produzione per celare l'alienazione, caratteristica del lavoro nella società industriale moderna. L'alienazione, termine che Marx recupera da Hegel, è il «diventare altro», il «cedere ad altri ciò che è proprio». Nella produzione capitalistica può assumere vari aspetti tra di essi legati in cui «l'operaio diviene tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che egli produce [...]. [L'operaio] diventa una merce tanto più vile quanto più grande la quantità di merce prodotta [e] viene a trovarsi rispetto all'oggetto del suo lavoro come a un oggetto estraneo [...]. [L]'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diviene di fronte a lui una potenza per sé stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto gli si contrappone ostile ed estranea».[18]

Ludwig Feuerbach
  • L'alienazione riguarda l'operaio e il prodotto del suo lavoro. Tale prodotto del suo lavoro non gli appartiene ma appartiene al capitalista, gli è estraneo.
  • L'attività produttiva non è il soddisfacimento di un bisogno, ma un mezzo per soddisfare dei bisogni estranei al lavoro stesso. Infatti il lavoro non appartiene al lavoratore, ma appartiene a un altro e dunque egli lavorando non appartiene a sé, ma a un altro. L'operaio così si estrania da sé e non considera il lavoro come parte della sua vita reale (che si svolge fuori dalla fabbrica).
  • L'operaio perde la sua essenza generica, cioè ciò che contrassegna l'essenza dell'uomo. Per uomo Marx intende l'essere che si realizza storicamente nel genere di cui fa parte. Caratteristica del genere umano è il lavoro, che lo differenzia dall'animale e gli consente di istituire un rapporto con la natura attraverso cui si appropria della natura stessa.[19]
  • Il lavoro in fabbrica viene ridotto a mera sopravvivenza individuale, non è quindi espressione positiva della natura umana. In fabbrica si perde la dimensione di comunità. Si parla così di alienazione della sua essenza sociale.

L'operaio così si sente un uomo soltanto nelle sue funzioni animali (mangiare, bere, procreare e così via) mentre si sente un animale nel lavoro, cioè in quella che dovrebbe essere un'attività tipicamente umana.[20] L'unità organica dell'umanità, che si realizza nell'attività e nei rapporti sociali, è frantumata dalla proprietà privata, la quale separa l'uomo dalle sue attività e dai prodotti di esse.

Tanto Hegel quanto gli economisti classici hanno visto il lavoro come elemento costitutivo dell'essenza umana. Gli economisti però videro nel lavoro il solo lato positivo, accettandolo come un qualcosa di naturale esente da mutamenti storici. Hegel aveva quindi colto il carattere storico del lavoro in quanto lo spirito è autoproduzione (tramite la perdita e la riappropriazione) di sé stesso così come l'uomo è frutto del proprio lavoro. L'unica pecca è stato limitare questo processo al pensiero all'autocoscienza. L'alienazione o oggettivazione, anche se riconosciuti come sviluppo del soggetto, vengono ridotti a un processo spirituale in cui il pensiero (il soggetto) di fronte a un oggetto altro da sé si oggettiva, cioè si perde in esso, così che la disalienazione non è che un disoggettivarsi del soggetto dal mondo esterno per tornare in sé stesso (pensiero).

Marx recupera quindi secondo l'insegnamento di Ludwig Feuerbach la corporeità e la sensibilità come aspetto essenziale come elemento primo ineliminabile dell'uomo. L'uomo è un essere naturale e non c'è negatività che vada superata nel suo oggettivarsi nella natura, ma è anche un essere storico in quanto capace di rimuovere l'alienazione (oggettivazione) recuperando la sua essenza generica che si basa sul rapporto con l'oggettività, cioè l'appropriazione della natura in collaborazione con gli altri uomini.

Se la proprietà privata è quindi l'espressione della vita umana alienata, la soppressione di essa e dei rapporti sociali che la generano e la tutelano non è che la soppressione di qualsiasi alienazione. Il comunismo è l'eliminazione dell'alienazione, quindi della proprietà privata, operazione che coincide con il recupero di tutte le facoltà umane e la liberazione dell'essenza umana. A differenza delle forme che Marx definisce di comunismo rozzo o utopista, esso è l'esito verso cui procede lo sviluppo storico.[21]

Nei manoscritti Marx ha lasciato anche un'acuta analisi della forza sovvertitrice del denaro. Infatti nella società che ha a sua base la proprietà privata «il denaro è il potere alienato dell'umanità. Quello che non posso come uomo e quindi quello che le mie forze individuali non possono, lo posso mediante il denaro. Dunque il denaro fa di ognuna di queste forze essenziali qualcosa che essa in sé non è, cioè ne fa il suo contrario».[22]

Il denaro soddisfa i desideri e li traduce in realtà, realizza ciò che è immaginato, ma al contrario trasforma anche la realtà in rappresentazione: «Se ho vocazione allo studio, ma non ho denaro per realizzarla [...] non ho nessuna vocazione efficace, nessuna vocazione vera. Al contrario, se non ho realmente nessuna vocazione, ma ho volontà e denaro, ho una vocazione efficace. [...] [I]l denaro è dunque l'universale rovesciamento delle individualità che capovolge nel loro contrario[,] muta la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, l'odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù [ed] è l'universale confusione e inversione di tutte le cose».[23]

Il denaro si incarna nel suo possessore: «Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. [...] Ciò che io sono e posso, non è quindi affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l'effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio. [...] Io sono un uomo malvagio, disonesto, stupido; ma il denaro è onorato, e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo, e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di essere disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido, ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora come potrebbe essere stupido chi la possiede? [...] [C]ostui [lo stupido ricco] potrà sempre comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti non è più intelligente delle persone intelligenti?».

Il denaro trasforma ogni umana fallacia nel suo esatto contrario. Il denaro è dunque una «potenza sovvertitrice. [...] [C]onfonde e inverte ogni cosa, è la universale confusione e inversione di tutte le cose, e quindi il mondo rovesciato, la confusione e l'inversione di tutte le qualità naturali ed umane. Il denaro muta la fedeltà in infedeltà, l'amore in odio, l'odio in amore, la virtù in vizio, il vizio in virtù, il servo in padrone, il padrone in servo, la stupidità in intelligenza, l'intelligenza in stupidità».

Senza la necessità sociale del denaro, cioè senza la proprietà privata, Marx scrive:

« Se presupponi l'uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore solo con amore, fiducia solo con fiducia. Se vuoi godere dell'arte, devi essere un uomo artisticamente educato; se vuoi esercitare qualche influsso sugli altri uomini, devi essere un uomo che agisce sugli altri uomini stimolandoli e sollecitandoli realmente. Ognuno dei tuoi rapporti con l'uomo e la natura dev'essere una'manifestazione determinata e corrispondente all'oggetto della tua volontà, della tua vita individuale nella sua realtà. Se tu ami senza suscitare un'amorosa corrispondenza, se il tuo amore come amore non produce una corrispondenza d'amore, se nella tua manifestazione vitale di uomo amante non fai di te stesso un uomo amato, il tuo amore è impotente, è un'infelicità.[24] »

L'analisi marxiana sul denaro si conclude infine con un auspicio che suona enfaticamente quasi come un richiamo mistico se non si consideri che in questa occasione Marx si rivolge all'essenza e alla definizione universale dell'uomo, non alla sua esistente materialità: «La proprietà privata ci ha resi ottusi e unilaterali. [...] L'essenza umana dovrà essere ricondotta a un'assoluta povertà per comprendere e trarre da sé la sua ricchezza interna, intima».[25]

Alienazione religiosa

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Marx riprende inoltre l'interpretazione di Feuerbach dell'alienazione religiosa che egli tuttavia estende all'ambito economico individuato come fondamento di tutte le alienazioni umane:

« L'estraneazione religiosa avviene solo nella sfera della coscienza, dell'interiorità umana; l'estraneazione economica è invece l'estraneazione della vita reale, per cui la sua soppressione abbraccia entrambi i lati.[26] »

Marx è anche prossimo il distacco da Feuerbach e le fondazioni del materialismo storico laddove scrive che «la religione, la famiglia, lo Stato, il diritto, la morale, l'arte non sono che modi particolari della produzione» e della filosofia della prassi quando asserisce che «la soluzione delle opposizioni teoretiche [è] possibile solo in maniera pratica [e] non [è] solo un compito teoretico, ma un compito reale».[27]

Grazie ai rapporti della polizia prussiana sappiamo come nell'estate del 1844 frequentasse i circoli degli operai e degli artigiani parigini e i socialisti Pierre-Joseph Proudhon, Louis Blanc e l'anarchico russo Michail Bakunin. Il governo prussiano ne chiede l'espulsione dalla Francia e Marx, con la moglie e la piccola figlia Jenny, il 5 febbraio 1845 si stabilisce a Bruxelles, dove è accolto a condizione che non pubblichi alcuno scritto politico.

Una concezione della natura che esula dal panorama filosofico dell'Ottocento è quella che Marx espone ne I manoscritti economico-filosofici del 1844. A seguito di quest'opera la tematica dell'alienazione viene intesa in un senso più profondo e non più semplicemente politico. Marx stabilisce una connessione tra ciò che rappresenta l'essenza dell'uomo, l'attività dove l'uomo esprime tutto se stesso spirito e corpo, ovvero il lavoro, che al di fuori di ogni separazione tra teoria e prassi si identifica con l'oggetto lavorato, il quale a sua volta non è altro che l'oggetto naturale che l'uomo appunto modifica. La natura stessa quindi è il risultato dell'attività umana.

Questa connessione tra uomo-lavoro-oggetto lavorato-natura viene fatta saltare dall'alienazione che espropria il lavoratore non solo del prodotto del lavoro, ma anche dell'atto della produzione. Come effetto del lavoro alienato l'uomo restringe la propria umanità alla sfera dei bisogni bestiali, si trasforma in una merce e subisce le conseguenze dello sconvolgimento del rapporto uomo e natura. L'uomo è un ente che si pone consapevolmente in rapporto di continuità con la natura in quanto vive della natura e nella sua attività produttiva la natura gli si manifesta come opera dell'uomo. Quando gli viene sottratto con l'alienazione l'oggetto del lavoro anche la natura gli viene sottratta. La natura, cioè da corpo inorganico dell'uomo,[28] amica benigna quando soddisfaceva i bisogni sociali dell'uomo, diviene mezzo di produzione subordinato al bisogno individuale. La vita umana che era inserita in una natura amica e non estranea (la vita del genere) quando diventa un mezzo per il soddisfacimento di egoistici bisogni individuali si trasforma in una forza nemica estranea:

« [XXII] L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea. [XXIII] Ed ora consideriamo più da vicino l'oggettivazione, la produzione dell'operaio, e in essa l'estraniazione, la perdita dell'oggetto, del suo prodotto. L'operaio non può produrre nulla senza la natura, senza il mondo esterno sensibile. Questa è la materia su cui si realizza il suo lavoro, su cui il suo lavoro agisce, dal quale e per mezzo del quale esso produce. Ma come la natura fornisce al lavoro i mezzi di sussistenza, nel senso che il lavoro non può sussistere senza oggetti su cui applicarsi; così essa, d'altra parte, fornisce pure i mezzi di sussistenza in senso più stretto, cioè i mezzi per il sostentamento fisico dello stesso operaio. Quindi quanto più l'operaio si appropria col proprio lavoro del mondo esterno, della natura sensibile, tanto più egli si priva dei mezzi di sussistenza nella seguente duplice direzione: prima di tutto, per il fatto che il mondo esterno cessa sempre più di essere un oggetto appartenente al suo lavoro, un mezzo di sussistenza del suo lavoro, e poi per il fatto che lo stesso mondo esterno cessa sempre più di essere un mezzo di sussistenza nel senso immediato, cioè un mezzo per il suo sostentamento fisico.[29] »

Rovesciamento della filosofia hegeliana e materialismo storico

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Bruno Bauer

Il periodo di Bruxelles è fecondo di studi teorici. Già nel settembre del 1844 aveva scritto insieme con Engels La sacra famiglia, pubblicata nel 1845, una satira di quegli hegeliani di sinistra, come Bruno Bauer e altri, i quali si illudevano di trasformare la società limitandosi alla critica. In quest'opera Marx e Engels fanno propria la concezione dell'umanesimo reale di Feuerbach, come confermò lo stesso Marx più di vent'anni dopo, scrivendo a Engels che quello scritto gli sembrava ancora buono, «quantunque il culto di Feuerbach faccia ora un'impressione molto umoristica».[30]

In essa viene mostrata e messa in ridicolo la genesi dell'astrazione della realtà sensibile, la mistificazione della realtà prodotta dall'hegelismo:

La sacra famiglia
« Se io, dalle mele, pere, fragole, mandorle, reali, mi formo la rappresentazione generale «frutto», se vado oltre e immagino che «il frutto», la mia rappresentazione astratta, ricavata dalle frutta reali, sia un'essenza esistente fuori di me, sia anzi l'essenza vera della pera, della mela, ecc., io dichiaro - con espressione speculativa - che «il frutto» è «la sostanza» della pera, della mela, della mandorla ecc. Io dico quindi che per la pera non è essenziale essere pera, che per la mela non è essenziale essere mela. L'essenziale, in queste cose, non sarebbe la loro esistenza reale, sensibilmente intuibile, ma l'essenza che io ho astratto da esse e ad esse ho attribuito, l'essenza della mia rappresentazione «il frutto». Io dichiaro allora, che mela, pera, mandorla, ecc. sono semplici modi di esistenza, modi «del frutto». Il mio intelletto finito, sorretto dai sensi, distingue certamente una mela da una pera e una pera da una mandorla, ma la mia ragione speculativa dichiara questa diversità sensibile inessenziale e indifferente. Essa vede nella mela la stessa cosa che nella pera, e nella pera la stessa cosa che nella mandorla, cioè «il frutto». Le particolari frutta reali non valgono più che come frutta parventi, la cui vera essenza è «la sostanza», «il frutto». [...] Il minerologo la cui scienza si limitasse a dire che tutti i minerali sono in verità il minerale, sarebbe un minerologo - nella sua immaginazione.[31] »

Mentre l'uomo comune sa di non dire nulla di straordinario dicendo che ci sono mele e pere, «il filosofo [hegeliano, speculativo], quando esprime queste esistenze in modo speculativo, ha detto qualche cosa di straordinario. Egli ha compiuto un miracolo, ha prodotto, dall'essere intellettuale irreale «il frutto», gli esseri naturali reali, la mela, la pera, ecc.; cioè, dal suo proprio intelletto astratto, che egli si rappresenta come un soggetto assoluto esistente fuori di sé, che egli si rappresenta qui come «il frutto», ha creato queste frutta, ed in ogni esistenza che esprime, egli compie un atto creativo [e] dichiara la sua propria attività, mediante la quale egli passa dalla rappresentazione mela alla rappresentazione pera, essere l'autoattività del soggetto assoluto, «del frutto». Questa operazione si chiama, con espressione speculativa: concepire la sostanza come soggetto, come processo interno, come persona assoluta, e questo concepire forma il carattere essenziale del metodo hegeliano».[32]

In polemica con Bauer e i suoi seguaci (che vedevano nel romanticismo l'esito obbligato dell'illuminismo),[33] Marx ricostruisce la genesi del moderno materialismo filosofico, riconoscendo in esso il precursore sia della moderna scienza naturale sia del socialismo e del comunismo.[34] Nei confronti della Rivoluzione francese Marx manifesta invece in quest'opera un atteggiamento piuttosto critico. Secondo Marx i giacobini francesi hanno senza volerlo istituito un nuovo tipo di schiavitù da parte della borghesia: «Robespierre, Saint-Just ed il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica, che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno rappresentativo, spiritualmente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell'uomo la società civile moderna, la società dell'industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell'anarchia, dell'individualità naturale e spirituale alienata a se stessa».[35]

Tesi su Feuerbach

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Se ancora nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Feuerbach era «il solo che sia in un rapporto serio e critico con la dialettica hegeliana, che abbia fatto vere scoperte in questo campo e che sia il vero vincitore della vecchia filosofia», già nella primavera del 1845 Marx aveva scritto poche righe su un quaderno ritrovato da Engels dopo la sua morte e pubblicato nel 1888 col titolo di Tesi su Feuerbach.

In esse Marx indica che se Feuerbach aveva smascherato il mondo rovesciato della religione ritrovando l'essenza alienata dell'uomo, egli non aveva colto il carattere storico dell'uomo stesso, né che la religione è frutto di condizioni storiche che la rendono possibile. Feuerbach concepisce l'uomo come ente dotato di sensibilità e corporeità, quindi segnato dalla passività e inserito in un mondo già costituito. Marx alla passività oppone la prassi, cioè attività trasformatrice della natura e il mondo diventa prodotto dell'attività umana, come già accennato nei Manoscritti economico-filosofici del 1844.

Nelle Tesi espone l'idea dell'uomo come ente pratico, scrivendo che «nella prassi deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non realtà del pensiero - isolato dalla prassi - è una questione meramente scolastica».[36] Questa è la risposta alla concezione di Feuerbach e di ogni materialismo volgare per il quale la realtà esterna è sempre e soltanto qualcosa che sta di fronte all'uomo senza tener conto che essa è un prodotto dell'attività umana perché la prassi è essenzialmente oggettiva e volta all'esterno.

Come tutti i filosofi prima di lui, Feurbach si era posto il problema della verità del pensiero, ma il pensiero non può verificare se stesso astrattamente, occorre che sia l'attività pratica volta allo scopo a verificare la verità delle idee. È questo il difetto di tutta la filosofia e non solo di Feuerbach, ovvero quello di essersi limitata a cercare di conoscere la realtà, a interpretare il mondo, «ma si tratta di trasformarlo».[37]

L'ideologia tedesca

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Caricatura di Max Stirner disegnata a matita da Engels

Marx e Engels ne L'ideologia tedesca portano un attacco alla filosofia tedesca del tempo rappresentata da Ludwig Feuerbach, l'esponente più avanzato del panorama filosofico tedesco, da Bruno Bauer e Max Stirner.

Gran parte del libro è dedicata alla critica, volutamente sarcastica e sprezzante, dell'opera principale di Max Stirner, L'Unico e la sua proprietà, inizialmente salutata con un certo favore da Engels, ma individuata come un pericolo da Marx. Del resto Stirner, deciso individualista e egoista, nonché ateo conseguente, non aveva risparmiato le critiche a quella «società degli straccioni» a cui avrebbe portato secondo lui la rivoluzione comunista.

L'opera fu pubblicata solo nel 1932 perché dopo l'avvenuta impossibilità di pubblicazione il manoscritto fu abbandonato «alla critica roditrice dei topi» dai due autori, i quali avendo chiarito a sé stessi i fondamenti teorici del nuovo materialismo erano decisi ad affrontare i problemi più urgenti e politicamente più rilevanti della critica dell'economia e del diretto impegno nell'attività politica.

Materialismo storico

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Nell'opera è contenuta la prima formulazione organica della concezione materialistica della storia.

Marx e Engels vi esprimono l'esigenza di un sapere che sia prodotto immediatamente dalla realtà concreta e positiva, empirica e verificabile e che non discenda invece da un presupposto e idealistico «Spirito assoluto» che deduce speculativamente i vari aspetti della realtà secondo un non dimostrato e indimostrabile sviluppo di questo stesso presunto Spirito.

Marx e Engels intendono muovere da «presupposti reali, dai quali si può astrarre solo nell'immaginazione. Essi sono gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti, quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Questi presupposti sono dunque constatabili per via puramente empirica».[38]

Rapporti tra gli uomini e con la natura

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Poiché gli esseri umani non vivono isolati in sopramondi, ma in reali comunità e nell'immediato contatto con la natura, occorre analizzare tanto i rapporti che essi istituiscono fra di loro, la loro organizzazione sociale, quanto quelli istituiti con la natura, ossia il modo con il quale essi si appropriano della natura e la trasformano.

Riguardo al primo punto occorre premettere che il termine comunità (Gemeinwesen) in Marx ha un significato più pregnante di quello riconducibile alla concezione borghese capitalistica della comunità nazionale e statale, la società (Gesellschaft) cioè dove l'esistenza del singolo è strettamente connessa a quella di tutti gli altri al punto che la vita del singolo «anche nelle sue manifestazioni più individuali è divenuta l'esistere stesso della comunità».[39]

La vera comunità è invece quella fondata sulla comune essenza umana dove l'uomo è libero da vincoli e limitazioni. La società capitalista e statalista ha invece causato la scissione tra l'uomo e il cittadino:

« Lo Stato politico compiuto è per sua essenza la vita di genere [Gattungslaben] dell'uomo, in opposizione alla sua vita materiale [...] Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l'uomo conduce non soltanto nel pensiero e nella coscienza, bensì nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena: la vita nella comunità politica [politischen Gemeinwesen], nella quale si considera come collettivo [Gemeinwesen], e la vita nella società civile, nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzi, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee. Lo Stato politico si rapporta alla società civile nel modo spiritualistico con cui il cielo si rapporta alla terra.[40] »

Dall'alienazione dell'individuo rispetto alla sua comunità umana si originano i primi segni delle rivoluzioni:

« Ma non scoppiano forse tutte le rivolte, senza eccezione, nel disperato isolamento dell'uomo dalla comunità [Gemeinwesen]? Ogni rivolta non presuppone forse necessariamente questo isolamento? Avrebbe avuto luogo la rivoluzione del 1789 senza il disperato isolamento dei cittadini francesi dalla comunità? Essa era appunto destinata a sopprimere tale isolamento.[41] »

Nella società capitalista che ha privatizzato il mondo l'individuo, ridotto a monade, deve recuperare sé stesso opponendosi alla comunità (Gesellschaft), fondata sul principio del capitale-mercato-moneta dove predomina l'egoismo e la lotta della concorrenza, per recuperare il senso di appartenenza alla comunità umana (Gemeinwesen).

I rapporti tra gli uomini e quelli con la natura non sono scindibili.[38] Poiché gli uomini non sono nemmeno puro spirito, essi devono produrre i propri mezzi di sussistenza con i quali «producono indirettamente la loro stessa vita materiale» e poiché i mezzi di sussistenza si producono sempre in un qualche modo determinato, quel modo di produrre è già «un modo determinato di estrinsecare la loro vita, un modo di vita determinato [...]. Come gli uomini esternano la loro vita, così essi sono. Ciò che essi sono coincide immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono, quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione».[38]

Produzione base della storia umana

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Il modo di produzione è storicamente determinato da un particolare sviluppo delle forze produttive, è il risultato di determinate conoscenze scientifiche e della tecnologia connessa, ma è anche il prodotto di relazioni che si sono storicamente determinate fra gli stessi uomini, è il risultato di una particolare organizzazione sociale e insieme è un elemento che condiziona la forma e lo sviluppo di quelle relazioni sociali.

La produzione è la base reale della storia umana: «Finora tutta la concezione della storia ha puramente e semplicemente ignorato questa base reale della storia, oppure l'ha considerata come un semplice fatto marginale, privo di qualsiasi legame con il corso storico. Per questa ragione si è sempre costretti a scrivere la storia secondo un metro che ne sta al di fuori; la produzione reale della vita appare come qualcosa di preistorico, mentre ciò che è storico [...] appare come extra- e sovra-mondano. Il rapporto dell'uomo con la natura è quindi escluso dalla storia, e con ciò è creato l'antagonismo tra natura e storia».[42]

Neanche il materialismo di Ludwig Feuerbach è in grado di cogliere i reali rapporti esistenti tra gli uomini poiché egli concepisce l'uomo come essere naturale, ma non vede che il rapporto dell'uomo con la natura è anche un rapporto dell'uomo con gli altri uomini, è un rapporto sociale.[43]

Forme della proprietà nella storia

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Ne L'ideologia tedesca è delineato un excursus storiografico che a grandi linee dà conto dello sviluppo delle forme sociali succedutesi nel corso della storia umana.[44]

La crescita demografica e la soddisfazione dei bisogni primari genera nuovi bisogni i quali richiedono una maggior divisione del lavoro. La divisione del lavoro è un fenomeno storico, quindi dinamico, che ha assunto varie forme tra cui la divisione tra città (industria e commercio) e campagne (agricoltura). Con il mutare della divisione del lavoro sono mutate anche le forme della proprietà:

  • proprietà tribale, fondata sulla raccolta dei prodotti della terra, sulla caccia, la pesca e più tardi sulla pastorizia e ancora in seguito sull'agricoltura. La divisione del lavoro è poco sviluppata e alla fine appare la schiavitù, prodotta dalle guerre con le altre tribù;
  • proprietà della comunità antica in cui ormai si è formato lo Stato e la differenziazione del lavoro appare come antagonismo tra città e campagne, con gli schiavi che forniscono la forza produttiva di cui fanno uso i loro proprietari. Si sviluppano le proprietà mobiliari, immobiliari e il commercio;
  • proprietà feudale in cui domina l'agricoltura e la società è organizzata gerarchicamente per cui iniziano a formarsi le prime forme di capitale; e
  • proprietà del modo di produzione capitalistico in cui si sviluppa il capitale, il lavoro salariato, la proprietà mobiliare e immobiliare, l'industria, il commercio e la finanza. La natura acquista così dinamicità in quanto essa è legata inscindibilmente con i processi dell'industria e i rapporti umani. La storia umana non è più la storia dell'essenza umana generale, ma lo sviluppo delle forme di produzione e dell'organizzazione sociale.

Struttura e sovrastruttura

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Se i modi di produzione non racchiudono l'intera vita sociale, di sicuro ne determinano le istituzioni e i rapporti sociali e politici. La coscienza non determina più la realtà, ma è la realtà a determinare la coscienza. Marx fa due distinzioni:

  • «struttura», i modi di produzione, l'organizzazione economica e sociale; e
  • «sovrastruttura», la produzione delle idee e della cultura.

Quindi la realtà strutturale condiziona inevitabilmente la sovrastruttura (religione, filosofia, politica, diritto e così via). Secondo Marx la divisione del lavoro tra lavoro manuale e lavoro intellettuale ha senz'altro contribuito a sviluppare una fittizia autonomia della sovrastruttura, cioè l'ideologia.

Critica dell'ideologia

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L'ideologia non indica più, come per ideologi e illuministi, lo studio delle sensazioni e l'origine delle idee. Per Marx essa indica la funzione che religione, filosofia e produzioni culturali in genere possono avere nel giustificare la situazione esistente: «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante [...]. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali dominanti presi come idee».[45] Per comprendere il processo storico, più che prestare attenzione alle idee e alla cultura occorre indagare i modi in cui si produce la vita materiale. Per Marx e Engels la concezione materialistica della storia pone il socialismo su basi scientifiche poiché analizza il processo storico e le condizioni reali che gli apriranno la strada.

Manifesto del Partito Comunista

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Nel Manifesto del Partito Comunista si analizza la forma sociale borghese come prodotto di un lungo processo storico:

« Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà, e fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine, dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno. Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese.[46] »

Con la trasformazione dei rapporti sociali e lo sviluppo delle forze produttive «anche le idee, le opinioni e i concetti, insomma, anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della loro esistenza sociale. Cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di un'epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante. Si parla di idee che rivoluzionano un'intera società; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di una nuova, e che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti d'esistenza».

È la divisione del lavoro intellettuale e manuale che produce all'interno della stessa borghesia i suoi ideologi, gli intellettuali apologeti, in buona o cattiva fede, dei valori politici, economici, religiosi, morali e giuridici, elaborati in sistemi filosofici e sociologici, riportati ed esaltati nelle interpretazioni dei fatti storici, separando tali idee dominanti dai rapporti che caratterizzano il modo di produzione della società, credendo e propagandando la falsa teoria del dominio storico delle idee le quali si svilupperebbero attraverso un loro moto interno e indipendente. Tali ideologie, o false coscienze, non possono trasformare la struttura sociale ed economica, come alcuni ideologi, più o meno ingenuamente, possono ritenere, essendo esse stesse il prodotto delle relazioni umane materiali che giustificano spiritualmente i rapporti di produzione esistenti e diventano strumento di conservazione del dominio di classe e del potere politico. Non è la critica o il pensiero che riflette su sé stesso, ma è la rivoluzione la forza motrice della storia.[47]

La borghesia è infatti stata storicamente una forza rivoluzionaria nella sua lotta contro l'organizzazione feudale della società, nella quale è sorta e si è sviluppata: «[L]a borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti».[48]

Il sovvertimento dei rapporti di produzione e lo sviluppo delle forze di produzione da essa operato ha comportato un radicale mutamento delle sovrastrutture ideologiche che si accompagnavano ai rapporti di produzione feudali:

« Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo pagamento in contanti. Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli[,] ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche[,] ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi.[48] »

Il suo carattere rivoluzionario ha permesso un'accelerazione di trasformazioni quali non si erano viste in migliaia d'anni. Ha sviluppato come non mai la scienza e la tecnica, ha assoggettato la campagna alla città, ha creato metropoli, ha costretto tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione capitalistico, pena la loro rovina: «In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza».[49]

Tuttavia se lo sviluppo delle forze produttive diventa tale da non essere adeguato ai rapporti di produzione, questo genera la crisi e un'inevitabile transizione rivoluzionaria in cui il proletariato diventa la classe dominante. Così come è stato in Francia dove la borghesia è stata motore del cambiamento della società feudale, così dovrebbe accadere nel sistema capitalistico prodotto da essa. Intensificando al massimo la produzione per l'ottenimento del massimo profitto si favorisce una crisi di sovrapproduzione, si deve distruggere parte della produzione e delle forze produttive perché il capitale possa perpetuarsi e si deve distruggere ricchezza e provocare miseria per produrre nuova ricchezza:

« La borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che le porteranno la morte ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle armi: gli operai moderni, i proletari.[50] »

Marx e Engels affermano la continuità degli antagonismi di classe in tutte le società che si sono storicamente determinate di modo che il motore della storia è la lotta tra le classi, o conflitto di classe:

« La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta. Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi [...]. La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.[51] »

Per la critica dell'economia politica

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I risultati sono degli appunti riuniti sotto il titolo Grundrisse e Per la critica dell'economia politica, quest'ultimo pubblicatp nel 1859, affrontando l'analisi della merce e del denaro in un'introduzione all'opera stessa teorizzando la creazione del valore di scambio della merce mediante la quantità di lavoro sociale immesso in essa. La prefazione a quest'opera è un compendio del materialismo storico:

« Nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere ma è, al contrario, il loro essere sociale a determinare la loro coscienza [...]. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (il che è l'equivalente giuridico di tale espressione) entro i quali queste forze fino ad allora si erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono nelle loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.[52] »

Marx richiama la necessità di distinguere tra lo sconvolgimento delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali: e le forme ideologiche (giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche) attraverso le quali gli uomini prendono coscienza e combattono questi conflitti: «Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che ha di sé stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente tra le forze produttive della società e i rapporti di produzione». Inoltre aggiunge:

« Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; i nuovi superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose da vicino, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione [...]. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese, possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghesi sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana.[53] »
Ritratto fotografico di Marx del 1861

A differenza degli economisti classici ritiene che l'oggetto dell'economia politica non siano gli individui che producono isolatamente bensì in società. L'indagine deve quindi partire dalla realtà, dal concreto. Per quanto caotico esso è il punto di partenza per poter fare delle astrazioni per poter creare le categorie dell'analisi economica (per esempio lavoro astratto, strumento di produzione, soggetto del lavoro e così via). Tali categorie, cioè concetti astratti, possono dar vita a legami che sono semplici leggi logiche generali, ma difficilmente dato il carattere storico possono dar vita a leggi naturali che richiederebbero l'assolutizzazione ed eternizzazione di certi rapporti (nel caso specifico la società borghese).

Tramite quest'analisi Marx ci ricorda come persino l'astratto, come le categorie, ha radici nella realtà storica e con essa muta al cambiare delle condizioni. Il procedimento corretto nell'analisi dell'economia politica comporta quindi la sostituzione a queste categorie astratte dei dati storici specifici di ogni società. Marx non si ferma alla semplice astrazione, così come gli economisti classici, ma riporta l'astratto al concreto concludendo la vera dialettica: concreto (caos), astratto (categorie) e concreto (relazioni, ordine). Il concreto raggiunto non è più caotico come quello iniziale, ma una totalità di relazioni correttamente individuate.

Marx riporta ancora una volta la dialettica hegeliana a poggiare sui piedi e non sulla testa: «il mio metodo dialettico non solo è diverso da quello hegeliano, ma ne sta all'opposto. Per Hegel, il processo del pensiero, che egli sotto il nome di Idea trasforma in soggetto indipendente, è il demiurgo della realtà, mentre la realtà è solo il suo fenomeno esteriore. Invece, per me il fattore ideale è solamente il fattore materiale trasferito e tradotto nella mente degli uomini [...] la mistificazione cui è soggetta la dialettica nelle mani di Hegel non impedisce che egli sia stato il primo ad averne esposto distesamente e consapevolmente le forme generali di movimento. In lui è piantata sulla testa. Occorre rovesciarla per trovare il nocciolo razionale dentro il rivestimento mistico».

La dialettica, concepita concretamente, rappresentando la nascita, lo sviluppo, la decadenza e la morte degli organismi sociali, «è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi portavoce dottrinari, perché nella componente positiva della realtà delle cose include nello stesso tempo anche la comprensione della negazione di essa e del suo inesorabile declino, perché considera ogni forma divenuta nel fluire del movimento, perciò anche dal suo lato transitorio, perché non si lascia impaurire da nulla ed è critica e rivoluzionaria nel suo intimo. Quello che più vivamente fa avvertire al pratico borghese il movimento contraddittorio della società capitalistica, sono le incerte vicende del ciclo periodico che ha percorso la moderna industria e il loro termine ultimo, la crisi generale».[54]

La necessità di analizzare il modo di produzione capitalistico in base alle categorie da lui individuate porterà Marx alla stesura nel 1867 de Il Capitale, pubblicato dall'editore Meissner di Amburgo. Prevede un secondo libro sul processo di circolazione del capitale (pubblicato postumo a cura di Engels) nel 1885; nel 1895 un terzo libro sulla formazione del processo complessivo e dal 1905 al 1910 a cura di Karl Kautsky, dirigente e principale teorico del Partito Socialdemocratico di Germania; e un quarto libro sulla storia delle teorie economiche, intitolato anche Teorie sul plusvalore.

Marx nel 1866

L'economista russo Ilarion Kaufman nel 1872 recensisce il I volume de Il Capitale descrivendone il metodo di analisi: «Stando alla forma esteriore dell'esposizione, Marx appare come il più grande filosofo idealista[,] ma in effetti è infinitamente più realista di tutti i suoi predecessori nel campo della critica economica [...]. [P]er Marx, solo una cosa è importante: trovare la legge dei fenomeni che è volto a indagare. E per lui è importante non solo la legge che li governa[,] è importante soprattutto la legge del loro cambiamento, del loro svolgimento da una forma all'altra [e] appena scoperta questa legge, indaga nei dettagli le conseguenze con cui la legge si manifesta nella vita sociale [...].

In seguito a ciò, Marx si sforza solo a una cosa: di dimostrare [...] la necessità di determinati rapporti sociali e di constatare [...] i fatti che gli occorrono come punti di partenza o come punti di appoggio. A questo scopo è sufficiente provare sia la necessità dell'ordinamento attuale che la necessità di un diverso ordinamento in cui il primo deve trapassare, essendo indifferente che gli uomini ne siano o meno consapevoli. Marx considera il movimento della società come un processo di storia naturale governato da leggi che non dipendono soltanto dalla volontà, dalla coscienza e dall'intenzione degli uomini ma, al contrario, determinano la loro volontà, la loro coscienza e le loro intenzioni [...].

Se l'elemento cosciente ha nella storia della civiltà un posto così subordinato, è evidente che la critica della civiltà meno d'ogni altra cosa potrà prendere a fondamento una qualunque forma o risultato della coscienza [...]. La critica si restringerà alla comparazione di un fatto non con l'idea, ma con un altro fatto. È importante che tutti e due i fatti [...] rappresentino veramente diversi momenti di sviluppo l'uno di fronte all'altro e soprattutto che sia indagata la serie degli ordinamenti, la successione e il legame in cui si manifestano i gradi di sviluppo. Si potrebbe obiettare che le leggi generali dell'economia siano uniche e medesime, sia che si riferiscano al presente che al passato. Marx nega proprio questo. Per lui queste leggi astratte non esistono[,] ogni periodo storico ha le sue proprie leggi [e] appena la vita economica [...] è passata da un determinato stadio di sviluppo a un altro, comincia a essere retta da leggi diverse [...]. I rapporti e le leggi che regolano i gradi di sviluppo cambiano con la differenza di sviluppo delle forze produttive [...]. Il valore scientifico di questa indagine sta nella spiegazione delle leggi specifiche che regolano nascita, esistenza, sviluppo, morte di un organismo sociale e la sua sostituzione con un altro, superiore».[55]

Valore e plusvalore

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La prima edizione de Il Capitale

La merce, forma elementare della ricchezza nella società capitalistica, ha innanzi tutto un valore d'uso, un valore intrinseco che consente di soddisfare un bisogno e che si realizza soltanto nel consumo di essa. Ogni merce è depositaria anche di un altro valore che permette il suo scambio con certe quantità di altre merci, ovvero il valore di scambio. Per esempio, si può scambiare mezza tonnellata di ferro con 13 chili di grano o in generale X quantità della merce A con Y quantità di merce B e Z di merce C e così via. Dunque una determinata merce ha insieme un valore d'uso in relazione alla sua qualità e un valore di scambio in relazione alla sua quantità, con il primo valutato in funzione del consumo e il secondo in funzione dello scambio. La risposta alla domanda sul perché X merce A è scambiabile con Y merce B e così via è che devono avere in comune qualcosa della stessa grandezza che non sia né A né B né C e così via.

Teorie sul plusvalore

Per Marx il fattore comune è la quantità di lavoro impiegato per produrle, lavoro inteso indipendentemente dalla sua qualità specifica (di sartoria, di meccanica, di edilizia e così via), cioè lavoro come dispendio di energia, il lavoro astratto.[56] Il valore di scambio di una merce è allora determinato dalla quantità di lavoro astratto racchiuso in essa e la quantità di lavoro è misurabile per durata temporale, cioè il tempo di lavoro necessario in media e socialmente necessario per produrre una certa merce. Un bene o una merce ha tale valore perché in esso è oggettivato del lavoro umano. Nel mercato gli scambi delle merci si rifanno a una merce che funge da equivalente generale e questa merce è il denaro, che può esser equivalente di ogni altra. Il denaro consente di stabilire tramite la legge della domanda e dell'offerta il prezzo di un bene sul mercato.

In una società mercantile la circolazione denaro-merci è M-D-M in cui vi è la vendita della merce dalla quale si ricava del denaro da reinvestire per l'acquisto di altra merce. Nella società capitalista la conversione di merce in denaro e di denaro in merce non è finalizzata al consumo della merce stessa, ma all'aumento di denaro, ossia al profitto o plusvalore. In questo modo si realizza il processo di scambio D-M-D', in cui D'>D. Si ha un incremento di denaro d = D'-D. La merce che consente di ottenere un profitto, cioè l'aumento di denaro, non è da ricercarsi nel circuito di circolazione, ma in quello della produzione. Infatti nessuno acquisterebbe mai una merce il cui prezzo sia superiore al suo valore di scambio.

Per Marx la merce dotata della capacità produttiva e dalla quale possa estrarsi profitto, cioè un guadagno rispetto a quanto speso per acquistarlo, è la forza-lavoro. La forza-lavoro è venduta per sopravvivere dagli individui che non possiedono altro che loro stessi sul libero mercato ed è acquistata dal capitalista, il quale detiene come sua proprietà i mezzi di produzione, corrispondendo un salario. Alla domanda che chiede come faccia il capitalista a ricavare un profitto Marx risponde spiegando come questi acquisti non solo materie prime, macchinari, combustibile e così via, denaro investito nella forma di capitale costante (C), ma anche forza-lavoro come merce nella forma del salario. La forza-lavoro ha un valore di scambio proprio come ogni altra merce, dunque vale il tempo medio di lavoro necessario per produrla. Tuttavia il valore della forza lavoro non è calcolato al suo rendimento, bensì sul costo necessario perché possa riprodursi.

Il pluslavoro può generare profitto o plusvalore se il capitalista corrisponde un salario che equivale a una sola parte del tempo impiegato dall'operaio in produzione, che quindi non equivale al suo rendimento effettivo. Il capitalista corrisponde all'operaio solo quanto è necessario alla sua sopravvivenza (cioè alla riproduzione di forza-lavoro). Se la parte di lavoro necessaria all'operaio per la propria sopravvivenza sono sei ore, le altre ore di lavoro di quella giornata non gli sono pagate e quindi sono pluslavoro (gratuito) che genera plusvalore o profitto di cui il capitalista si appropria legittimamente in quanto egli ha acquistato con regolare contratto la merce forza-lavoro per il suo valore di scambio. Ad esempio, il capitalista assume l'operaio per dieci ore, ma a lui ne retribuisce solo sei, che è il costo che sostiene tramite il salario perché sopravviva.

La merce prodotta dall'operaio contiene il valore della materia prima e il valore corrispondente all'usura dei mezzi di produzione C, il valore del lavoro retribuito V e il plusvalore corrispondente a quattro ore non retribuite PV. Se nella circolazione avviene lo scambio delle merci prodotte in quel giorno con denaro il capitalista ha recuperato il capitale investito (C+V) e realizzato il plusvalore PV.[57]

Caduta tendenziale del saggio di profitto

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Il capitalista può consumare il plusvalore nel reddito (riproduzione semplice) o reinvestirlo (riproduzione allargata) ad esempio nell'acquisto di macchine per incrementare la produttività. La concorrenza spinge il capitalista a investire nelle macchine, capitale costante; e a ridurre i salari, cioè il capitale variabile. L'introduzione delle macchine in sostituzione agli operai creano un immiserimento crescente tra gli operai e una forte disoccupazione (che Marx definisce esercito industriale di riserva) e quindi un aumento di forza-lavoro sul mercato che abbassa ulteriormente i salari. Questa per Marx è la legge tendenziale di caduta del saggio di profitto che porta a una crisi. La società capitalista genera da sé la propria negazione.

Monumento dedicato a Marx a Chemnitz in Germania

È possibile produrre maggior quantità di plusvalore aumentando la giornata lavorativa e ottenendo così ulteriore pluslavoro quanto sono le ore lavorate in più. Tuttavia tale aumento ha un limite in quanto se non è possibile ricavare più plusvalore assoluto si può ottenere plusvalore relativo retribuendo il lavoro dell'operaio non per sei ore, ma per esempio per cinque, non solo o non tanto con un brutale taglio del salario, bensì diminuendo il valore di scambio della forza-lavoro, cioè diminuendo i prezzi dei mezzi di sussistenza. La diminuzione del prezzo delle merci comporta la diminuzione del tempo necessario di lavoro perché la forza-lavoro si riproduca e la riduzione di tale tempo necessario comporta la diminuzione del salario. Pertanto il valore dell'ora di lavoro non più necessaria all'operaio diventa un'ora in più di pluslavoro e perciò di plusvalore relativo.

Si può diminuire il prezzo delle merci aumentando la produttività tanto con una maggiore divisione del lavoro che permette agli operai lavorazioni più semplici e perciò più rapide tanto contemporaneamente utilizzando macchinari più sofisticati e perciò più efficaci che permettano al lavoratore di produrre nel medesimo tempo una maggiore quantità di merci. In ogni singola merce viene così incamerata una minore quantità tanto di capitale costante (C) che di quello variabile (V) e può andare sul mercato a un prezzo inferiore in quanto il costo della vita dell'operaio diminuisce e diminuendo il salario aumenta il plusvalore relativo.

Tuttavia la rivoluzione tecnologica comporta una perdita per il capitalista che sostituisce le vecchie macchine senza averle pienamente utilizzate e diminuisce l'utilizzo della forza-lavoro, diminuendo il tasso di plusvalore PV/V e mutando la composizione del capitale investito. Con l'aumento del capitale costante e la diminuzione di quello variabile, che produce plusvalore (PV), il saggio di profitto P=PV / (C+V) diminuisce.[58]

  1. Riprendendo la definizione di Benedetto Croce, che lo chiama «Machiavelli del proletariato», alla voce corrispondente dell'Enciclopedia Garzanti di filosofia viene descritto come «uomo politico».
  2. Secondo l'apprezzamento di Joseph Schumpeter (Marx «genio e profeta» della teoria economica (Joseph Schumpeter, Capitalismo, socialismo, democrazia, Milano, Etas, 1977, p. 21) viene definito «filosofo, economista» in Enciclopedia Treccani alla voce corrispondente.
  3. Karl Marx, Scritti politici giovanili, p. 357.
  4. Karl Marx, Scritti politici giovanili, p. 360.
  5. Karl Marx, cit., pp. 353-364.
  6. Karl Marx, cit., p. 367.
  7. Karl Marx, cit., p. 377.
  8. Aldo Zanardo, La teoria della libertà nel pensiero giovanile di Marx, in «Studi storici», I, 1966, p. 45.
  9. Giuseppe Bedeschi, Introduzione a Marx, Laterza, Roma-Bari, 1981, p. 31.
  10. Stato e società nella filosofia dell'800, p. 9.
  11. Guglielmo Rinzivillo, Karl Marx, dialettica e memoria, Roma, Armando, 2013
  12. Karl Marx, introduzione della Critica della filosofìa hegeliana del diritto pubblico.
  13. Karl Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel, Introduzione, in Scritti politici giovanili, cit., p. 394.
  14. Karl Marx, Introduzione, cit., pp. 394-395.
  15. Karl Marx, Introduzione, cit., p. 395.
  16. Karl Marx, Introduzione, cit., pp. 410-412.
  17. Karl Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1968, p. 111
  18. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 72.
  19. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 76-77.
  20. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 75.
  21. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 111-112.
  22. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 154.
  23. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 155.
  24. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 156-157.
  25. Karl Marx, Manoscritti, cit., ibidem.
  26. Karl Marx, Sociologia del diritto.
  27. Karl Marx, Manoscritti, cit., p. 112.
  28. K. Marx, I manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino 1968, p. 77.
  29. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, XXII-XXIII.
  30. Karl Marx, Friedrich Engels, Carteggio, 1867, V, Edizioni Rinascita, Roma, 1951, p. 137.
  31. Karl Marx, Friedrich Engels, La sacra famiglia, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 71-72.
  32. Karl Marx, Friedrich Engels, La sacra famiglia, cit., p. 74.
  33. Karl Marx, Friedrich Engels, La sacra famiglia, cit., p. 163
  34. Karl Marx, Friedrich Engels, La sacra famiglia, cit., p. 172.
  35. Karl Marx, Friedrich Engels, La sacra famiglia, cit., p. 160.
  36. Karl Marx, Tesi su Feuerbach, II, in Umberto Cerroni, cit., p. 143.
  37. Karl Marx, Tesi su Feuerbach, XI, in Umberto Cerroni, cit., p, 146
  38. 38,0 38,1 38,2 Karl Marx, Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1967, p. 17.
  39. Karl Marx, Manoscritti economici-filosofici del 1844.
  40. In Luciano Parinetto, Livio Sichirollo, Marx e Shylock: Kant, Hegel, Marx e il mondo ebraico: con una nuova traduzione di Marx, La questione ebraica, Unicopli, 1982 p.128
  41. Karl Marx, Glosse critiche in Marx-Engels, Opere, III, Editori Riuniti, 1976 p. 216.
  42. Karl Marx, Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, cit., pp. 182-183.
  43. Giuseppe Bedeschi, Introduzione a Marx, cit., p. 77.
  44. Karl Marx, Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, cit., pp. 9-12 e 39-52.
  45. Karl Marx, Friedrich Engels, L'ideologia tedesca, cit., pp. 35-36.
  46. Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito comunista, in U. Cerroni, cit., 208.
  47. Nell'iniziale concezione dell'ideologia, determinata dalla separazione di teoria e prassi, per cui le idee e i principi nascono dalla materialità della storia e vengono disgiunti da essa, al fine anche di giustificare surrettiziamente l'ordine esistente, Marx successivamente sostituì al rapporto teoria-prassi, quello tra sovrastruttura, intesa come il complesso delle idee, delle leggi, delle istituzioni e così via; e struttura, la base materiale, economica e storica. Mentre nel rapporto teoria-prassi la prima rimane separata dalla prassi, nel rapporto sovrastruttura-struttura la prima nasce dalla seconda, ma poi torna a influire sulla situazione materiale e storica modificandola. Per esempio, è vero che l'illuminismo è l'ideologia della classe sociale dominante nel XVIII secolo, ma è pur vero che la cultura illuministica, nata dalla reale situazione storica della Francia del Settecento, non rimase separata astrattamente da essa, ma modificò la situazione storica ispirando e determinando la Rivoluzione del 1789. Quindi la critica della borghesia illuministica non rimase una contestazione astratta limitata alla deprecazione della situazione storica sociale e al desiderare un mondo migliore, come nel socialismo ideologico di Ludwig Feuerbach, ma la sua fu una critica rivoluzionaria.
  48. 48,0 48,1 Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, cit., p. 209.
  49. Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, cit., p. 211.
  50. Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, cit., p. 213.
  51. Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, cit., p. 206.
  52. Karl Marx, Introduzione a Per la critica dell'economia politica, Editori Riuniti, Roma, 1969, pp 5-6.
  53. Karl Marx, Per la critica dell'economia politica.
  54. Karl Marx, Il Capitale, Introduzione alla II edizione, 24 gennaio 1873.
  55. Viestnik Evropij, maggio 1872.
  56. Secondo altre interpretazioni del concetto di merce in Marx il lavoro astratto non sta ad indicare il «lavoro inteso indipendentemente dalla sua qualità specifica», ma il fatto che ogni merce contiene oltre al lavoro concreto, lavoro impiegato di fatto per produrre una merce, anche il lavoro astratto, quello cioè che la società riconosce socialmente utile ai suoi fini (cfr. lavoro astratto e lavoro concreto nella merce secondo Marx). Proprio quest'ultimo elemento spiega perché due prodotti che a parità d'abilità del produttore hanno la stessa quantità di lavoro concreto, poi non abbiano lo stesso prezzo, non vengano cioè scambiati alla pari. Per il prodotto a prezzo minore la società gli riconosce minore utilità sociale, cioè in quella merce il lavoro astratto era inferiore alla quantità di lavoro concreto necessario a produrla. In una società raffinata anche se il lavoro concreto per produrre un profumo è di molto inferiore a quello necessario per allevare una pecora, il profumo avrà un prezzo più elevato perché per esso il lavoro astratto è molto superiore a quello connesso alla pecora. La produzione capitalistica ha proprio questo di caratteristico che essa orienta la produzione in vista dei prodotti che la società ritiene più utili ai propri fini. È chiaro quindi che parlare della merce in sé senza fare ricorso all'attività lavorativa dell'uomo è un feticcio. Avviene quello che accade per la sfera religiosa. Quello che è un puro prodotto del cervello umano viene fatto valere come un essere indipendente: Dio. Quelli che sono semplici prodotti della mano umana vengono rappresentati come «cose sociali» dotati di vita propria.
  57. La teoria del valore e della formazione del plusvalore è svolta da Marx nel I libro de Il Capitale, III e IV sezione.
  58. La legge della caduta tendenziale del saggio del profitto è svolta nel III libro de Il Capitale, III sezione