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Alla ricerca di Marcel Proust/Capitolo 10

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Le seul véritable voyage ce ne serait pas d’aller vers de nouveaux paysages, mais d’avoir d’autres yeux (Marcel Proust)

La filosofia

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Come molti studenti, Marcel Proust amava uscire la sera. All'inizio del 1895, all'età di ventitré anni – e in netto contrasto con l'immagine popolare di Proust, il recluso malato e costretto a letto – era diventato una "personaggio ben noto" nella società parigina, "una specie di dandy uscito da Balzac".[1] Secondo Jean-Yves Tadié, tra gennaio e aprile 1895, Proust fu visto in circa diciotto serate e spettacoli (musicali, teatrali). Nel frattempo, nonostante il ritmo frenetico della sua vita sociale e notturna, Proust completò anche una laurea in letteratura e filosofia alla Sorbona. Tra l'ottobre 1894 e il marzo 1895, frequentò lezioni nel Quartiere Latino tenute dallo psicologo ed epistemologo Victor Egger (ricevendo un modesto 11/20 per un saggio sulla "filosofia di Socrate"), dal filosofo idealista della scienza e della religione Émile Boutroux (le cui lezioni nel 1894-5, a giudicare dagli argomenti assegnati per gli esami scritti, si concentrarono su Descartes e il suo rapporto con la filosofia classica) e dall'esteta Gabriel Séailles, sotto la cui istruzione Proust conobbe l'opera degli idealisti tedeschi F. W. J. Schelling e Arthur Schopenhauer. Prese anche lezioni private con Alphonse Darlu, il suo ex maestro di filosofia al Lycée Condorcet (dove Proust fu allievo tra il 1882 e il 1889), sul quale si dice spesso che si basi M. Beulier, l'insegnante di Jean Santeuil.

Henri Bergson, firma
Henri Bergson, firma

Sebbene si sappia poco del contenuto preciso del curriculum filosofico seguito da Proust tra il 1894 e il 1895 o negli anni precedenti, furono, secondo Tadié, Boutroux e Darlu a fare l'impressione più profonda sul giovane studente. Attraverso il loro insegnamento, fu introdotto alle "nozioni di fede nello spirito umano, all'idealismo kantiano, ... in una realtà nascosta dietro le apparenze e ai rigori dell'analisi, che andavano contro la nebbiosa imprecisione cara ai simbolisti e talvolta a Bergson" (torneremo sull'influenza di Henri Bergson a tempo debito).[2] Per Tadié, "quell'anno di studio per la sua laurea in filosofia fu tanto vitale per lo sviluppo di Proust quanto la sua vita emotiva o sociale".[3] In effetti, in un questionario compilato intorno al 1895, Proust nomina Boutroux e Darlu come i suoi "eroi della vita reale" (ASB, 114; CSB, 337).

In un'epoca in cui l'influenza del positivismo rimaneva piuttosto forte, Darlu e Boutroux abbracciarono una metafisica idealista. Mentre i positivisti sostenevano che la fonte di ogni conoscenza autentica risiedeva nei dati dell'esperienza sensoriale accompagnata da certe operazioni logiche,[4] Darlu e Boutroux proposero che la realtà, o la realtà come possiamo conoscerla, è in sostanza costruita mentalmente, o altrimenti immateriale:

« In un'epoca in cui il positivismo e lo scientismo ereditati da Taine erano ancora molto influenti, ecco una filosofia francese derivata da Aristotele e, in particolare, da Kant, insieme a Ravaisson, Renouvier, Fouillée e Boutroux..., che difendeva la causa della metafisica, dell'idealismo e dello spiritualismo. »
(Tadié, Marcel Proust, p. 79)

In un breve articolo intitolato "L’irréligion d’état", pubblicato per la prima volta il 3 maggio 1892 su Le Banquet, una rivista letteraria fondata da Proust con alcuni dei suoi amici (tra cui Robert Dreyfus, Fernand Gregh e Daniel Halévy),[5] Proust (che firma l’articolo ‘Laurence’) deride la ‘filosofia materialista’ del ‘radicalismo di coloro che sono al potere’, posizionandosi dalla parte dei ‘grandi filosofi idealisti’ (CSB, 348). Nella sua breve biografia di Proust, Edmund White suggerisce che ‘once Proust’s idealism is noticed it appears in nearly every line of his great novel’.[6] A titolo di esempio, White cita un brano dalla fine di Du côté de chez Swann in cui il Narratore va alla ricerca di Gilberte agli Champs-Élysées. Marcel osserva che

« come il filosofo idealista il cui corpo tiene conto del mondo esterno nella cui realtà il suo intelletto si rifiuta di credere, lo stesso sé che mi aveva fatto salutarla prima che la identificassi ora mi spingeva ad afferrare la palla che mi porgeva (come se ella fosse una compagna con cui ero venuto a giocare, e non un'anima sorella con cui ero venuto a unirmi). »
(1: 483; i, 394[7])

Per Tadié, l’influenza del pensiero neokantiano (idealista) francese su Proust è così profonda – e così evidente in À la recherche e altrove – che i tentativi di altri critici di situarlo nell’orbita dell’idealismo filosofico tedesco, e di Schelling e Schopenhauer in particolare, sono vani:

« Questo [insegnamento di Darlu] è ciò che ci impedisce di fare di Proust un erede del Romanticismo tedesco e della filosofia di Schelling e Schopenhauer. Per lui, come per i discepoli francesi di Kant, vedi Darlu, Lachelier... o Boutroux, i concetti erano sempre lucidi e definiti, gli esempi erano precisi, il ragionamento era impeccabile, la scrittura modesta poiché era necessario rifiutare gli effetti dello stile, le illusioni oscure e l’alibi dell’immagine. »
(Tadié, Marcel Proust, p. 204)

Le affermazioni inequivocabili di Tadié sono, almeno in parte, una risposta ad Anne Henry. Nel suo notevole Marcel Proust: théories pour une esthétique, Henry sostiene che, da Jean Santeuil in poi, Proust fornisce una trasposizione letteraria della filosofia di natura, arte e identità di Schelling.[8] Altrove, Henry afferma che proprio come "la partitura di Vinteuil è scritta da Schopenhauer", così À la recherche è "la traduzione più letterale" di Il mondo come volontà e rappresentazione (1818) di Schopenhauer.[9]

Tali affermazioni enfatiche, come ha osservato Joshua Landy, "should come as a bit of a surprise'".[10] Sebbene possa essere vero, come sostiene Henry, che Proust è un ingegnoso sfruttatore delle idee di Schopenhauer o Schelling, gli scritti di Proust non concordano su "every single point and down to the finest detail with a given philosophical system", che sia di Schopenhauer, Schelling o di chiunque altro, né, come credono Henry e Tadié, "are generated from that system, each character or event representing one of its aspects, in a vast and slavishly accurate allegory".[11] In effetti, per quanto riguarda l'influenza della filosofia di Schopenhauer, Proust potrebbe infatti finire in una posizione molto simile a quella di Nietzsche "simply by reacting in the same way [as Nietzsche] against Schopenhauer, while knowing almost nothing of Nietzsche’s work".[12] Ci sono, naturalmente, echi in tutta l’immensa opera di Proust di un numero impressionante di filosofi, tra cui, come sottolinea Duncan Large, “the pre-Socratics, Plato, and the neo-Platonics through Descartes, Leibniz, and Spinoza, Locke, Kant, and Hegel, to Kierkegaard and Emerson” – molti dei quali potrebbe non aver mai letto.[13]

Ralph Waldo Emerson, firma
Ralph Waldo Emerson, firma

I pericoli di presentare Proust come nient'altro che un imitatore filosofico sono altrettanto evidenti se lo consideriamo in relazione all'opera di John Ruskin e Henri Bergson. A partire dal 1895, Proust trascorse diversi anni a leggere Ruskin e Ralph Waldo Emerson. Attraverso la lettura e la successiva traduzione dell'opera di Ruskin, Proust iniziò ad affinare le sue teorie sull'arte e sul ruolo dell'artista nella società. Notoriamente, in Le Temps retrouvé, Marcel ricorda di aver tradotto Sesame and Lilies di Ruskin (cfr. 6: 175; iv, 411–12). Mentre, come Ruskin, i Narratori di Proust sono spesso deliziati dalle comuni glorie naturali (ranuncoli, biancospini, lillà e così via), non assimilano semplicemente l'ontologia di Ruskin o la sua estetica senza modifiche o spostamenti. Infatti, in diverse occasioni, ciò che sembra un'inversione modernista di Ruskin si rivela molto aderente alle parole di Emerson. Si consideri, ad esempio, la descrizione di Marcel in À l’ombre des jeunes filles dell’alba che studia attraverso il finestrino del treno durante il suo viaggio verso Balbec (2: 267–8; ii, 15–16). Mentre questo passaggio è prevalentemente ruskiniano – nella misura in cui dà priorità all’immaginazione e al “visto” piuttosto che alle limitanti nozioni intellettuali e al “conosciuto” – è anche, come suggerisce Sara Danius, profondamente non ruskiniano sotto un aspetto importante.[14] Il Narratore ammira una serie di scene riccamente evocative attraverso un finestrino, ma è il finestrino di un treno, il cui rapido movimento attraverso il paese gli offre la vista non di una scena ma di molte. Ciò non sarebbe piaciuto affatto a Ruskin, poiché egli denigrava a gran voce la maggior parte della tecnologia e dell’architettura moderne, in particolare i treni e le stazioni ferroviarie, nonostante i rari sforzi di Turner di rendere sublimi il vapore e la velocità. In The Seven Lamps of Architecture, egli osserva con amarezza che "the whole system of railroad travelling is addressed to people who, being in a hurry, are therefore, for the time being, miserable".[15] A prima vista, quindi, sembra che Proust renda omaggio ai valori estetici di Ruskin e allo stesso tempo capovolga la sua posizione completamente antimoderna. Ma dovremmo stare attenti a suggerire, come fa Danius, che questa inversione implichi un approccio completamente o inequivocabilmente moderno, di "avant-garde", a un programma estetico ottocentesco vecchio stile. I commenti di Emerson suggeriscono che il trattamento datto da Proust delle scene osservate attraverso il finestrino del treno forse non è (completamente) post-ruskiniano, e quindi non è così paradossale o moderno come potrebbe sembrare a prima vista. Ad esempio, in "Nature" (1836), esclama: "What new thoughts are suggested by seeing a face of country quite familiar, in the rapid movement of the railroad car! Nay, the most wonted objects (make a very slight change in the point of vision), please us most".[16] È molto sorprendente (anche se forse non del tutto inspiegabile) che Proust menzioni Emerson solo una volta in À la recherche (3: 318; ii, 574), perché sembra riflettersi chiaramente non solo nella descrizione proustiana del paesaggio visto attraverso il finestrino del treno, ma anche nelle descrizioni di oggetti visti da treni, da carrozze (i campanili di Martinville sono l’esempio più ovvio) e da auto che compaiono in À la recherche.


[17]Vincent Descombes, Proust: Philosophie du roman, trad. (EN) Proust: Philosophy of the Novel (Stanford University Press, 1992), p. 35.

  1. Jean-Yves Tadié, Marcel Proust: A Life, trad. Euan Cameron (Harmondsworth: Penguin, 2000), p. 211.
  2. Tadié, trad. Cameron, Marcel Proust, p. 204.
  3. Tadié, trad. Cameron, Marcel Proust, p. 205.
  4. Come filosofia della scienza, il positivismo fu sviluppato all'inizio del diciannovesimo secolo dal filosofo e sociologo Auguste Comte e negli anni successivi dal critico e storico Hippolyte Taine. Fuori dalla Francia, The Problems of Philosophy di Bertrand Russell fu pubblicato nel 1912, un anno prima di Du côté de chez Swann. Russell dà priorità alla conoscenza empirica rispetto alla metafisica: se possiamo osservare dati sensoriali, sostiene, non c'è motivo di dubitare dell'esistenza degli oggetti. In seguito, come positivista logico influenzato dal Circolo di Vienna, Russell sposò una teoria del significato che sosteneva che solo le affermazioni su osservazioni empiriche e proposizioni logiche formali sono significative.
  5. Per la seconda edizione di Le Banquet, pubblicata nell’aprile 1892, Proust produsse quattro ‘studi’. Questi apparvero dopo un articolo di Halévy e Gregh su Nietzsche e estratti da Al di là del bene e del male di Nietzsche (questa era la prima volta che il testo di Nietzsche, o passaggi da esso, erano resi disponibili in francese).
  6. Edmund White, Proust (Londra: Weidenfeld & Nicolson, 1999), p. 29.
  7. Per quanto istruttivo possa essere l'esempio di White (dimostra, tra le altre cose, che Marcel si paragona esplicitamente a un filosofo idealista), egli inoltre annulla la filosofia di Marcel da quella di Proust. La distinzione tra Proust e Marcel è, come hanno osservato numerosi critici, una distinzione importante. Cfr. per esempio, Joshua Landy, Philosophy as Fiction: Self, Deception and Knowledge in Proust (Oxford University Press, 2004), pp. 14–49.
  8. Cfr. Anne Henry, ‘La révélation d’une philosophie de l’art’, in Marcel Proust, théories pour une esthétique (Parigi: Klincksieck, 1981), pp. 45–97.
  9. Anne Henry, ‘Proust du côté de Schopenhauer’, in Schopenhauer et la création littéraire en Europe, cur. Anne Henry (Parigi: Klincksieck, 1989), pp. 149–64 (p. 24). Qui sentiamo echi distinti della monografia di Samuel Beckett del 1931 su Proust, in cui egli suppone che ‘the influence of Schopenhauer on this aspect [music] of the Proustian demonstration is unquestionable’. Samuel Beckett, Proust and Three Dialogues with Georges Duthuit (Londra: John Calder, 1965), p. 91.
  10. Landy, Philosophy as Fiction, p. 6.
  11. Landy, Philosophy as Fiction, p. 7; corsivo nell'originale.
  12. Landy, Philosophy as Fiction, p. 6.
  13. Duncan Large, Nietzsche and Proust: A Comparative Study (Oxford University Press, 2001), p. 18.
  14. Cfr. Sara Danius, ‘The Aesthetics of the Windshield: Proust and the Modernist Rhetoric of Speed’, Modernism/Modernity, 8 (2001), 100–26 (106).
  15. John Ruskin, Selected Writings, cur. Kenneth Clark (Harmondsworth: Penguin, 1991), p. 246.
  16. Ralph Waldo Emerson, Selected Essays, cur. Larzer Ziff (Harmondsworth: Penguin, 1982), p. 64.
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