Storia della filosofia/Blaise Pascal

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Indice del libro

I primi lavori di Pascal sono relativi alle scienze naturali e alle scienze applicate, contribuendo in modo significativo alla costruzione di calcolatori meccanici e allo studio dei fluidi: ha chiarito i concetti di pressione e di vuoto ampliando il lavoro di Torricelli; scrisse inoltre importanti testi sul metodo scientifico.

A sedici anni scrisse un trattato di geometria proiettiva e dal 1654 lavorò con Pierre de Fermat sulla teoria delle probabilità [1] che influenzò fortemente le moderne teorie economiche e le scienze sociali.[2]; dopo un'esperienza mistica seguita ad un incidente in cui aveva rischiato la vita[3], nel 1654, abbandonò matematica e fisica per dedicarsi alle riflessioni religiose e filosofiche; morì due mesi dopo il suo 39º compleanno, nel 1662, dopo una lunga malattia che lo affliggeva dalla fanciullezza. Il suo quoziente d'intelligenza è stato stimato, da alcuni studiosi moderni, in un punteggio di 185.[4]

Biografia[modifica]

Scultura di Augustin Pajou (1730–1809) - Museo del Louvre. Pascal che studia la cicloide: ai suoi piedi le pagine sparse dei Pensieri, a destra il libro aperto delle Lettere provinciali.

Nato a Clermont-Ferrand nell'Alvernia, Pascal all'età di tre anni perse la madre Antoinette Begon, che non si era più ripresa dopo il parto della figlia Jacqueline Pascal (1625-1662). A causa di questo il padre, Étienne Pascal (1588 - 1651), magistrato e matematico[5], si occupò personalmente della sua educazione e di quella delle sorelle Jacqueline e Gilberte. Il giovane Blaise si rivelò assai precoce nello studio e nella comprensione della matematica e della fisica, tanto che fu ammesso alle riunioni scientifiche del circolo intorno a Marin Mersenne, che era in corrispondenza con i più grandi ricercatori del tempo, tra cui Girard Desargues, Galileo Galilei, Pierre de Fermat, René Descartes ed Evangelista Torricelli.[6]

Dal 1639 al 1647 fu a Rouen, dove suo padre aveva avuto un incarico da parte del cardinale Richelieu. Qui, nel 1640, Blaise Pascal compose la sua prima opera scientifica "Sulle sezioni coniche" (Essai pour les coniques),[6] basata sul lavoro di Desargues, e nel 1644 costruì la sua prima macchina calcolatrice, la Pascalina.[6] Nel 1646, inoltre, suo padre, che si era ferito in una caduta, fu curato da due gentiluomini della corrente dei giansenisti, che in breve convinsero sia lui che i figli ad abbracciare le idee religiose e morali gianseniste.[7]

Abbazia di Port-Royal des Champs

Nel 1650, a causa della sua salute cagionevole, Pascal lasciò temporaneamente lo studio della matematica. Nel 1653, quando la salute migliorò, scrisse il Traité du triangle arithmétique, nel quale descrisse il triangolo aritmetico che porta appunto il suo nome. A seguito di un incidente avvenuto nel 1654 sul ponte di Neuilly, nel quale i cavalli finirono oltre il parapetto ma la carrozza si salvò miracolosamente, Pascal abbandonò definitivamente lo studio della matematica e della fisica per dedicarsi alla filosofia e alla teologia.[8] Da quel momento, Pascal entrò a far parte dei "solitari", dell'abbazia di Port-Royal, laici dediti alla meditazione e allo studio, fra i quali vi era già sua sorella, e qui diventò membro del movimento dei giansenisti, fondato dal vescovo Giansenio. Proprio in quel periodo si era accesa un'aspra controversia tra i giansenisti e i teologi dell'Università della Sorbona di Parigi, ed egli intervenne in tale disputa in difesa del Giansenismo.

Epitaffio di Pascal

Il 23 gennaio 1656 pubblicò le sue prime lettere, con lo pseudonimo di Louis de Montalte, scritte da un provinciale ad uno dei suoi amici, sulle dispute della Sorbona. A queste seguirono altre 17 lettere (l'ultima è datata 24 marzo 1657). Nel 1660, il re Luigi XIV ordinò però la distruzione delle Lettere provinciali di Pascal, scritte in difesa del giansenista Antoine Arnauld.

La chiesa di Saint-Étienne-du-Mont dov'è sepolto Pascal

Proprio mentre pubblicava le sue Lettere, Pascal aveva concepito l'intenzione di scrivere una grande opera apologetica del Cristianesimo (oltre che del giansenismo). La sua salute già malferma, era divenuta ancor più fragile: morì il 19 agosto 1662, a soli trentanove anni; nei mesi successivi sua sorella Gilberte scrive La vie de Monsieur Pascal.

L'autopsia a cui fu sottoposto rivelò gravi disturbi a carico dello stomaco e dell'addome, nonché danni al tessuto cerebrale[9], tuttavia la causa della morte e della salute cronicamente malferma non furono mai del tutto chiarite. Si pensa alla tubercolosi, ad un tumore allo stomaco, oppure ad una combinazione delle due malattie. Egli seguiva comunque, per ragioni etiche e morali, una dieta leggera, di tipo vegetariano[10]. Le emicranie che afflissero Pascal furono molto probabilmente causate dai danni al cervello. Fu sepolto nella chiesa di Saint-Étienne-du-Mont.

Le bozze e gli appunti delle sue lettere furono raccolte da familiari e amici nei suoi celebri Pensieri, una profonda opera filosofica, morale e teologica dove è già tracciata la linea apologetica in favore del cristianesimo. Per riassumere la sua vita e il suo pensiero, lo scrittore e pensatore francese François-René de Chateaubriand scrisse:

« Ci fu un uomo che a 12 anni, con aste e cerchi, creò la matematica; che a 16 compose il più dotto trattato sulle coniche dall'antichità in poi; che a 19 condensò in una macchina una scienza che è dell'intelletto; che a 23 dimostrò i fenomeni del peso dell'aria ed eliminò uno dei grandi errori della fisica antica; che nell'età in cui gli altri cominciano appena a vivere, avendo già percorso tutto l'itinerario delle scienze umane, si accorge della loro vanità e volge la mente alla religione; [...] che, infine, [...] risolse quasi distrattamente uno dei maggiori problemi della geometria e scrisse dei pensieri che hanno sia del divino che dell'umano. Il nome di questo genio è Blaise Pascal. »
(François-René de Chateaubriand, Genio del Cristianesimo, Terza parte, Libro II, Capitolo VI.[11])

I Pensieri[modifica]

Blaise Pascal

Secondo alcuni autori Pascal progettava di scrivere un'immensa opera in cui riversare tutto il suo genio: una Apologetica|Apologia del Cristianesimo, una difesa contro i libertini e gli atei che, a suo dire, chiunque l'avesse letta per intero avrebbe dovuto infine confessare la sua fede o ammettere la sua completa follia. Secondo altri, invece, il progetto di una grande opera non fu mai nelle intenzioni di Pascal. In realtà di questo ambizioso progetto, incompleto a causa della sua morte prematura a soli trentanove anni, restano dei frammenti sparsi, intitolati Pensieri (in francese, Les pensées), pubblicati postumi, nel 1670.

Pascal, infatti aveva l'abitudine, quando aveva un qualche progetto letterario, di elaborare e revisionare le frasi e i vari capitoli tenendo tutto a mente, avendo una memoria prodigiosa, e di scriverli su carta solo quando fosse convinto della loro forma definitiva. Perciò iniziò a scrivere i Pensieri, almeno come appunti sparsi, solo quando capì che la malattia non gli avrebbe permesso di portare a compimento l'opera. Alcuni di essi furono scritti (dai suoi familiari ed amici fidati) sotto sua dettatura, perché alla fine non era più nemmeno in grado di scrivere.[12]

L'uomo fra due abissi[modifica]

La filosofia di Pascal ha come centro la profonda analisi della condizione umana, in rapporto alla verità divina rivelata dal Cristo. Egli scrive:

« [...] Noi navighiamo in un vasto mare, sempre incerti e instabili, sballottati da un capo all'altro. Qualunque scoglio, a cui pensiamo di attaccarci e restar saldi, vien meno e ci abbandona e, se l'inseguiamo, sguscia alla nostra presa, ci scivola di mano e fugge in una fuga eterna. Per noi nulla si ferma. [...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 72)

Dunque, per Pascal la condizione umana è nient'altro che estrema precarietà, impossibilità di raggiungere punti fermi, insanabile contraddizione fra il volere e l'ottenere, volubilità e continuo movimento nell'avere e nel volere stesso. L'uomo è una pura contraddizione in sé, posto tra i due abissi dell'infinito e del nulla, fra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo, fra l'essere spirituale (eterno) e l'essere corporeo (temporale). L'uomo non può sapere né ignorare totalmente. In sostanza:

« [...] che cos'è l'uomo nella natura? Un nulla in confronto all'infinito, un tutto in confronto al nulla, un qualcosa di mezzo fra nulla e tutto. [...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 72)

Per descrivere la natura umana, Pascal ha preso come maestri Epitteto e Michel de Montaigne, oltre a rimandarsi a Pico della Mirandola[13]; il primo infatti ha evidenziato la grandezza e la dignità dell'uomo, che, pur essendo un essere infinitamente piccolo e debole, può ritrovare il suo valore nella propria coscienza e nel proprio pensiero. Montaigne, invece, ne ha evidenziato soprattutto la debolezza, tracciando un limite al suo conoscere e al suo vivere, pur sostenendo anch'egli la duplice natura (misera e dignitosa) dell'uomo. Infine, Pico della Mirandola ha espressamente parlato della dignità dell'uomo, che, unico fra le creature, può scegliere che creatura essere. Pascal scrive ancora:[14]

« Se si vanta, l'abbasso; se s'abbassa, lo vanto; lo contraddico sempre fino a che comprenda che è mostro incomprensibile. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 420)

In sostanza, Pascal vuole dare all'uomo l'autentica misura della sua condizione, ché è un intreccio di "angelo" e di "bestia". Inoltre, secondo Pascal, l'uomo vive perennemente nell'illusione e nell'errore, indotti soprattutto dall'immaginazione, lasciandosi ingannare persino dai principi etici e morali, che mutano in realtà da luogo a luogo, da tempo a tempo, dimostrandone la relatività; quest'ultimo pensiero, che era stato usato dagli stessi libertini per sostenere la loro posizione, viene rivoltato da Pascal contro la limitatezza della ragione umana, che non basta mai a se stessa, ma che necessita della fede, per aver significato e fine.

Il divertissement[modifica]

Un punto molto importante della filosofia pascaliana è la critica al divertissement, inteso da lui nel senso originale di deviazione e allontanamento (dal latino devertere, cioè deviare, allontanarsi). Tale divertimento non è dunque la festa o il gioco, ma è ogni azione ed attività che conduce l'uomo "lontano" dal pensare a se stesso e dal considerare la propria interiorità.[15] L'uomo ricerca cioè ogni forma di divertimento (e anche d'impegno in un'attività o un'occupazione più gratificante) come uno strumento di distrazione, un diversivo che è in realtà un risibile tentativo di sottrarsi a ciò che genera infelicità nella sua misera vita: l'ignoranza, il pensiero della morte, la propria pochezza ecc.[16]

Egli scrive infatti:

« [...] ho scoperto che tutta l'infelicità degli uomini proviene da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una camera. [...] ho voluto scoprirne la ragione, ho scoperto che ce n'è una effettiva, che consiste nella infelicità naturale della nostra condizione, debole, mortale e così miserabile che nulla ci può consolare quando la consideriamo seriamente. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 139)

Il divertimento, per Pascal, è dunque la peggiore e la più vasta piaga del mondo, in quanto ogni uomo cerca di "distrarsi" dalla propria condizione debole, mortale e così miserabile, per questo si disperde in infinite attività che lo illudono e, al contempo, s'impegna egli stesso ad illudere gli altri. L'uomo è sempre in movimento, ma, se si ferma, sente il nulla; ma stare sempre in movimento è dannoso, poiché l'uomo è vero solo nella stasi; lo stare tranquillo in una camera non sarebbe dunque la causa dell'infelicità, ma solo la rivelazione di tale infelicità, che in realtà è sempre presente. Quindi, per la vita di un cristiano, dice Pascal, il divertissement è una cosa ignobile e assai pericolosa, in quanto solo nella meditazione (una sorta di otium latino) l'uomo può, riconoscendo la propria miseria, accostarsi a Dio Gesù attraverso la preghiera ed il pensiero. In altri suoi pensieri, poi, dice:

« Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 168)

« L'unica cosa che ci consola dalle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 171)

Il divertimento è la nostra più grande miseria poiché, per Pascal, ci distoglie dalla nostra unica dignità e ricchezza, cioè il pensiero, con l'illusione della dignità stessa (cioè lo svago). Infatti, l'uomo non ha dignità se non nel riconoscere che è senza dignità, e questo lo rende più di una bestia, anche se egli continua ad esser meno di un angelo. Nel divertimento non ci si può dunque accostare a Dio, perché tale accostamento dev'essere l'umiliazione (e quindi il riconoscimento) di se stessi e della propria infinita miseria di fronte all'Onnipotente, per riceverne così la Sua misericordia e la Sua Grazia.

La critica alla "casistica"[modifica]

Ritratto

Pascal ottenne fama anche per il suo forte attacco alla "casistica",[17] ovvero un metodo etico usato dai pensatori cattolici dell'inizio dell'era moderna (specialmente i Gesuiti); esso era un sistema d'interpretazione accomodante verso le debolezze umane, che riconduceva tali atti (cioè i peccati) ad una casistica che li classificava e li valutava in modo tale da ridurre la colpa (e quindi la penitenza) del peccatore.

Pascal, nelle sue Lettres provinciales (Lettere provinciali), denunciò la casistica come un mero utilizzo di ragionamenti vuoti e complessi per giustificare il lassismo morale dell'epoca e ridurre così la responsabilità etica dell'uomo di fronte a se stesso e di fronte a Dio.

Lo stesso Papa Alessandro VII, spinto anche dalle Lettere provinciali di Pascal, condannò diverse proposizioni e tesi dei gesuiti casisti.

Il Dio dei filosofi e quello dei cristiani[modifica]

Dunque, la miseria dell'uomo, secondo Pascal, è di essere senza Dio; la sua natura è decaduta dalla natura immortale e divina in cui era nato, a causa del peccato originale:

« Dio ha creato l'uomo con due amori, l'uno per Dio, l'altro per se stesso; ma con questa legge: che l'amore di Dio doveva essere infinito, cioè senza altro limite che Dio stesso, e l'amore di se stesso doveva essere limitato, e riferito a Dio. L'uomo, in questa condizione, non solo si amava senza peccato, ma non poteva amarsi che senza peccato. Poi, venuto il peccato, l'uomo perdette il primo di questi due amori, ed essendo rimasto solo l'amore di sé in quella grande anima capace d'un amore infinito, l'amor proprio si è esteso e diffuso nel vuoto che l'amore di Dio ha lasciato; e così ha amato solo se stesso, e tutte le cose per se stesso, cioè infinitamente. Ecco l'origine dell'amor proprio, il quale era naturale in Adamo, e giusto nella sua innocenza; ma è diventato colpevole e smodato, in seguito al peccato. »
(Blaise Pascal, lettera inviata alla sorella in occasione della morte del padre, 17 ottobre 1651)

L'uomo, abbandonato col peccato l'amore per Dio, ha nell'anima uno spazio vuoto di dimensione infinita (prima occupato dall'amore per Dio), che tenta di riempire con l'amore proprio e verso i beni terreni, che vengono quindi investiti di amore infinito che non sono in grado di soddisfare, essendo finiti. Da ciò deriva il senso di finitezza e incompletezza che, secondo Pascal, fa parte della natura umana.[18]

Solo l'infinita pienezza del divino può riempire l'infinito vuoto dell'umano, e, tra le tante, solo la religione cristiana, secondo Pascal, ci conduce a tale idea di duplicità e di contraddizione, che è alla base delle radici dell'uomo. L'unico modo per sciogliere tale, inestricabile "nodo" è umiliarsi, rinnegando la propria natura e ponendosi di fronte a Dio passivamente, liberi dalla propria volontà per accogliere la Sua. Dunque, le dimostrazioni razionali dell'esistenza di Dio, per Pascal, sono insensate, poiché:

« [...] Il Dio dei Cristiani non è un Dio semplicemente autore delle verità geometriche e dell'ordine degli elementi, come la pensavano i pagani e gli Epicurei. [...] il Dio dei Cristiani è un Dio di amore e di consolazione, è un Dio che riempie l'anima e il cuore di cui Egli s'è impossessato, è un Dio che fa internamente sentire a ognuno la propria miseria e la Sua misericordia infinita, che si unisce con l'intimo della loro anima, che la inonda di umiltà, di gioia, di confidenza, di amore, che li rende incapaci d'avere altro fine che Lui stesso. [...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 556)

Con queste parole rimarcava la differenza fra un Dio che è pensato solamente come Architetto dell'universo, come Ente meccanico e non come Essere libero, Padre degli uomini e nostro Salvatore, che opera nella storia per amore; in Pascal vi è anche un riferimento ad un'esperienza comune ad altri filosofi (come Plotino), oltre che a religiosi, di un contatto con la divinità, di cui parlerà ampiamente. Inoltre, dopo la morte fu rinvenuto un suo scritto cucito nel suo vestito che ci documenta il suo spirito. Ecco alcune frasi:

« Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe. Non dei filosofi e dei dotti. Certezza. Certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo. [...] »
(Blaise Pascal, Memoriale)

Le critiche al cartesianesimo[modifica]

Pascal ebbe anche modo di scontrarsi col cartesianesimo, assai diffuso nella Francia della sua epoca. Col criticare il cartesianesimo, Pascal metteva sotto accusa soprattutto il razionalismo di Cartesio per il quale criterio di verità e di conoscenza sono le idee chiare ed evidenti del nostro intelletto. Infatti, tali obiettivi non sarebbero perseguibili dall'uomo, che, al contrario, per sua natura è pieno di incertezza, di dubbio e di contraddizione.[19]

Seguendo il percorso razionale di Cartesio, Pascal critica ciò a cui giunge il filosofo con la sua ragione, ovvero la dimostrazione dell'esistenza di Dio attraverso il metodo del dubbio. Quando infatti Pascal nega il mero "Dio dei filosofi", si riferisce soprattutto al Dio pensato da Cartesio come motore dell'universo.
Dice, infatti:

« Non posso perdonarla a Cartesio, il quale in tutta la sua filosofia avrebbe voluto poter fare a meno di Dio, ma non ha potuto evitare di fargli dare un colpetto al mondo per metterlo in moto; dopo di che non sa più che farne di Dio. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 77)

Pascal si riferisce al pensiero di Cartesio secondo cui noi abbiamo certezza del mondo fisico solo perché vi è un Dio a darne garanzia; tuttavia, critica Pascal, tale divinità non sarebbe affatto utile, ma una semplice idea usata per dare ragione di altre cose. Cartesio, dunque, secondo Pascal si dimentica che Iddio non è una semplice macchina che serve a muovere ogni altra macchina, ma è il Dio d'infinito amore e misericordia di cui scrive poi nel Memoriale.

Altre due critiche precise mosse da Pascal contro il pensiero di Cartesio sono la negazione del conatus recedendi (la forza centrifuga che animerebbe tutti i corpi) e degli spiriti vitali (cause delle passioni), e la critica alla spiegazione dell'Eucaristia data dallo stesso Cartesio (unione dell'anima di Gesù Cristo alla materia dell'ostia, e dunque l'ostia sarebbe l'intero corpo di Cristo).

Riguardo alla prima critica, Pascal nega, quasi ironicamente, sia il conatus recedendi che gli spiriti vitali; riguardo alla seconda, invece, Pascal ribatte che l'ostia non è una semplice unione di anima e materia, ma è tutto il corpo di Cristo, inteso come carne, anima, sangue e divinità.
Ciò richiederebbe una cambiamento della sostanza dell'ostia nella sostanza del corpo di Gesù. Pascal, dunque, sostiene che l'Eucaristia sia un pieno mistero, nonostante la chiarezza che voleva dargli Cartesio.

La scommessa di Pascal[modifica]

Pascal afferma che bisogna, dopotutto, "scommettere" sull'esistenza di Dio. Bisogna, cioè, decidere di vivere come se Dio ci fosse o come se Dio non ci fosse; non si può non scegliere, poiché il non scegliere è già una scelta. In realtà, come dice il commentatore pascaliano Jacques Chevalier, la scommessa è meno banale e superficiale di quanto sembri: infatti, egli dice:

« [...] Valutiamo questi due casi: se vincete, vincete tutto, se perdete non perdete nulla. Scommettete, dunque, che Dio esiste, senza esitare.[...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 233)

Ovvero, "scommettendo" che Dio non esiste, non si vince nulla, ma si perde tutto (cioè il bene finito); al contrario, "scommettendo" che Dio esiste si vince tutto (cioè la beatitudine eterna ed infinita) e non si perde nulla; ed il fatto che la scommessa a favore di Dio è totalmente ed infinitamente propizia e vantaggiosa a coloro che la compiono, ciò significa che è fondata, e diventa dunque la scommessa stessa una "prova" di tale esistenza divina, e dunque la "vittoria" della scommessa è nella scommessa stessa, che in tal modo non è più scommessa, ma è già vittoria certa.[20]

Esteriorità ed interiorità[modifica]

Inoltre, per coloro che mancassero totalmente di fede, dice che, essendo gli uomini, oltre che spiriti, anche automi, possono trovare ogni forza che manca nell'abitudine, compresa la fede. Dunque, afferma che coloro che non hanno fede dovrebbero comportarsi come se l'avessero, praticando riti e frequentando i Sacramenti per un certo tempo, finché alla fine, sottomessi ai dettami della fede, la fede stessa nascerà nei cuori, non perché essa sia frutto dell'abitudine, ma perché l'abitudine e l'umiltà preparano il cuore a riceverla, che è dono di Dio. Come dice lui stesso, infatti:

« [...] Seguite il sistema con cui essi [i Santi] hanno cominciato: facendo tutto come se credessero, usando l'acqua benedetta, facendo celebrare messe, ecc.. Naturalmente anche questo vi farà credere e vi renderà simili a bestie [vous abêtira]. [...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 233)

Quest'espressione vous abêtira (traducibile anche "vi abbruttirà", "vi istupidirà", "vi umilierà"), apparentemente sconcertante, si riferisce alla tesi secondo cui la fede deve investire non soltanto lo spirito dell'uomo, ma anche l'automa che è nell'individuo, cioè il complesso delle abitudini che fissano la fede stessa e contribuiscono a sottrarla al dubbio. Pertanto, assumendo cartesianamente che le bestie siano solo macchine, Pascal propone di farsi meccanismo in nome del bene.

In quest'ultima frase Pascal si riallaccia soprattutto al Vangelo, dove è scritto, ad esempio:

« Allora Gesù li fece venire avanti e disse: "Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il Regno dei Cieli. In verità vi dico: chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non vi entrerà." »
(Lc, 18,16-17)

A tale proposito è utile ricordare anche la predicazione di San Giovanni Battista, che cita il profeta Isaia:

« [...] Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sia riempito,
ogni monte e ogni colle sia abbassato;
i passi tortuosi siano diritti;
i luoghi impervi spianati. »
(Lc, 3,4-5)

Dunque, Pascal afferma che la sottomissione alle formalità religiose non ha valore di per sé, ma ha valore in quanto umilia i superbi, rendendoli come bambini, pronti a ricevere la Grazia divina. Come dice in un suo altro pensiero:

« Significa proprio essere superstizioso voler fondare la propria speranza nelle formalità; ma significa essere superbo non volersi sottomettere ad esse. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 249)

Questo concetto apologetico della religione cristiana[21] è spiegato ancor meglio in un suo altro pensiero, dove dice:

« Le altre religioni, come ad esempio le pagane, sono più popolari, perché si fondano sull'esteriore; ma non sono fatte per le persone intelligenti. Una religione puramente intellettuale sarebbe più adatta per gli intellettuali, ma non servirebbe al popolo. Soltanto la religione cristiana è proporzionata a tutti, perché fatta di esteriore e di interiore. Essa eleva il popolo all'interiorità ed abbassa i superbi all'esteriorità, e non è perfetta senza questi due aspetti, perché il popolo deve sentire lo spirito della lettera e le persone intelligenti devono sottomettere il loro intelletto alla lettera. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 251)

Per Pascal è altresì vero che, proprio perché la vera cristianità si trova in un punto mediano tra esteriorità ed interiorità, allora:

« Esistono pochi veri cristiani, intendo dire di fede. Ce ne sono tanti che credono, ma per superstizione; ce ne sono tanti che non credono, ma per dissolutezza; pochi stanno tra gli uni e gli altri. Non includo tra costoro quelli che sono di costumi veramente e profondamente pii e tutti coloro che credono per un sentimento del cuore. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 256)

Spirito di geometria e spirito di finezza[modifica]

Infine, Pascal, attraverso la sua filosofia, si accosta anche alle discipline scientifiche, facendo delle importanti considerazioni. Infatti, secondo lui, la conoscenza umana è limitata sempre dai due abissi dell'infinito e del nulla, dai quali nessun uomo (e quindi nessuna scienza) può prescindere. Il pensiero è infatti ovviamente finito, e coloro che hanno indagato la natura hanno invece pensato di poterne scoprire i principi primi ed ultimi (cioè il tutto), che però si trovano proprio al "limite" di tali abissi infiniti (infinitamente grande e infinitamente piccolo). Pascal, dunque, afferma che del mondo si può avere solo una conoscenza limitata, parziale, ma comunque valida. Detto ciò, fa una differenza sostanziale nel campo della conoscenza, cioè, afferma che ci sono due possibili forme di conoscenza, che partono da fondamenti diversi: la prima è data dal cosiddetto "spirito di geometria" ("esprit géométrique"[22], ed è appunto la conoscenza scientifica e analitica, ottenuta con procedimenti perfettamente geometrici e razionali, seppur lontani dall'uso comune. L'altra forma di conoscenza è quella data dallo "spirito di finezza" (esprit de finesse), ed è la conoscenza esistenziale dell'uomo, dei moti della sua anima, dei principi che governano la sua sfera spirituale; inoltre è di tipo sintetico, questo tipo di conoscenza si rivolge ai principi e fenomeni di "uso comune" e riesce a cogliere tali fenomeni nella loro interezza e complessità. Pascal dice che lo "spirito di geometria" non è sufficiente per comprendere la realtà, poiché non arriva a capire i fondamenti dell'esistenza umana, ed è così limitato; infatti, ogni scienza che non consideri l'uomo è una scienza inutile, se non addirittura dannosa. Per comprendere i temi esistenziali dell'uomo si ha invece bisogno del "cuore", che per Pascal non è nulla di romantico o irrazionale, ma è il centro pulsante dell'interiorità umana, lo strumento dello "spirito di finezza".[23] Famosa è la sua frase:

« Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce [...]. Io dico che il cuore ama l'Essere universale naturalmente, e ama se stesso naturalmente, [...] e s'indurisce contro l'uno o l'altro, a sua scelta. [...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 277)

Dunque, il cuore non agisce irrazionalmente, ma ha dei precisi procedimenti che seguono un'altra specie di "ragione", differente dalla "ragione scientifica". Egli dice anche, in tre pensieri:

« È il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ed ecco che cos'è la fede: Dio sensibile al cuore, e non alla ragione. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 278)

« Quanta distanza c'è tra la nostra conoscenza di Dio e l'amarlo! »
(Blaise Pascal, Pensieri, 280)

« Conosciamo la verità non solo con la ragione, ma anche col cuore; ed è in questo secondo modo che conosciamo i principi primi, e inutilmente il ragionamento, che non vi ha parte, s'industria di combatterli. [...] »
(Blaise Pascal, Pensieri, 282)

Tuttavia, Pascal non approva lo "spirito di finezza" senza lo "spirito di geometria", poiché, se lo "spirito di geometria" senza lo "spirito di finezza" è sterile e vano, lo "spirito di finezza" senza lo "spirito di geometria" è debole, e non potrà discendere fino ai principi più profondi e più veri dell'uomo. In sostanza, per Pascal la scienza e la filosofia non hanno due direzioni totalmente differenti, né tanto meno si avversano l'un l'altra, ma sono l'una il completamento dell'altra. Pascal è dunque uno dei primi pensatori che hanno tentato di conciliare la scienza (che si fonda sullo "spirito di geometria") e la fede (che si fonda sullo "spirito di finezza"), ponendo i due campi complementari e necessari l'uno all'altro. Infine, Pascal conclude così il suo pensiero:

« [...] Sappiamo di non sognare; per quanto siamo impotenti a darne le prove con la ragione, questa impotenza ci porta a concludere per la debolezza della nostra ragione, ma non per l'incertezza di tutte le nostre conoscenze [...]. Infatti la conoscenza dei principi primi [...] è più salda di qualunque altra che ci viene dai nostri ragionamenti. E proprio su tali conoscenze del cuore e dell'istinto la ragione deve appoggiarsi, e su di esse fondare tutto il suo ragionamento. [...] Questa impotenza non deve dunque servire ad altro che a rendere umile la ragione -la quale vorrebbe giudicare di tutto-, ma non già a combatter la nostra certezza [...]. »
(Blaise Pascal, Pensieri, 282)

Note[modifica]

  1. Sandro Petruccioli, Storia della scienza, Volume 5, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2004 p.314
  2. Tony Crilly, Cinquanta grandi idee di matematica, Edizioni Dedalo, 2009, p.125
  3. Mario Bonfantini, Disegno storico della letteratura francese, ed. La Goliardica, 1966 p.95
  4. Richard Lynn, Eugenics: A Reassessment, Greenwood Publishing Group, 2001 p. 82
  5. Nei suoi "Mémoires", Saint-Simon racconta che nel 1626, dopo la morte della moglie, Étienne assunse in casa una cameriera, la Delfaut. Questa, già amica e probabilmente anche amante di Jean de La Fontaine, il compositore delle celebri "Fables", sposò Étienne, e dopo la morte di questi, avvenuta nel 1651, riceverà da Blaise una parte dell'eredità paterna.
  6. 6,0 6,1 6,2 Pensieri, p. 7.
  7. Battista Mondin, Storia dell'antropologia filosofica, Volume 1, Edizioni Studio Domenicano, 2002 p. 475 e sgg
  8. M.Bonfantini, op. cit., ibidem: «Il pericolo mortale in cui Pascal si trovò per un incidente di carrozza e, circa un anno dopo, la famosa notte di crisi ed estasi...»
  9. Introd. a Blaise Pascal. Pensées a cura di Ernest Havet, ed.Dezobry et E. Magdeleine, 1852 p.XXVIII
  10. AA.VV., La grande cucina | Vegetariana, RCS, Milano, 2005, p. 140. ISSN 1824-5692.
  11. In Ernesto Riva, Manuale di filosofia Dalle origini a oggi, p.153
  12. Alberto Peratoner, Pascal, ed.Corriere della Sera - 2014
  13. B. Pascal, Colloquio con il Signore di Sacy su Epitteto e Montagne in B. Pascal, Pensieri, a cura di Paolo Serini, Einaudi, Torino, 1967, pagg. 423–439
  14. Pensieri, p. 27.
  15. Ernesto Riva, Manuale di filosofia. Dalle origini a oggi, ed.Lulu.com p.153 e sgg.
  16. Blaise Pascal, Della necessità della scommessa, Edizioni Studio Tesi, 1994 p.59
  17. Michele Federico Sciacca,Opere complete: Pascal, Marzorati, 1962 p.103 e sgg.
  18. M. Schoepflin, La felicità secondo i filosofi, Città Nuova, 2003 p.97 e sgg.
  19. Ernst Cassirer, Saggio sull'uomo, Armando Editore, 2004, p.59
  20. Pier Aldo Rovatti, Il paiolo bucato. La nostra condizione paradossale, Raffaello Cortina Editore, 1998, pp. 201-209
  21. Battista Mondin, Storia della metafisica, Volume 3, Edizioni Studio Domenicano, 1998, p.203
  22. B.Pascal, De l'Esprit géométrique et de l'Art de persuader
  23. Hans U. von Balthasar, Gloria. Una estetica teologica, Volume 3, Editoriale Jaca Book, 1986, p.166