Storia della filosofia/Seicento
Di fronte alle acquisizioni scientifiche galileiane della verità oggettiva va in crisi quello che Galilei definì il mondo di carta.
Secondo alcuni interpreti la filosofia della natura rinascimentale intrisa di magia o che riprendeva la ricerca della sostanza dell'antica filosofia greca[1] sembrava non potesse reggere dinanzi al nuovo sapere scientifico; secondo altri, invece, fu proprio il rinnovato interesse per la magia, rimasto alquanto sopito durante il Medioevo, a causare lo sviluppo del sapere scientifico.[2]
Va quindi in crisi non solo l'antica fisica aristotelica ma la stessa metafisica che già nel Medioevo serviva essenzialmente come strumento già pronto per sostenere la conversione alla fede.
Contesto storico
[modifica | modifica sorgente]La guerra dei trent'anni
[modifica | modifica sorgente]| Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Guerra dei trent'anni. |
All'inizio del Seicento gli Asburgo tentano nuovamente di imporre il cattolicesimo in tutto il Sacro Romano Impero. Ne nasce un conflitto tra protestanti e cattolici che ben presto finisce per coinvolgere gran parte dell'Europa per un trentennio: la guerra dei trent'anni (1618-1648).
Ferdinando II d'Asburgo, re di Boemia dal 1617 e imperatore dal 1619, si dimostra da subito uno strenuo oppositore della Riforma: questo provoca la reazione dei protestanti boemi e poi dei principi tedeschi. Nel 1625, dopo alcune vittorie dell'esercito imperiale, alleato degli spagnoli, entra nel conflitto anche la Danimarca in aiuto dei protestanti. La guerra, che sembra sul punto di concludersi nel 1629 con il trattato di Lubecca e la vittoria cattolica, si riaccende con l'editto di Restituzione, con cui l'imperatore impone ai principi protestanti di restituire le terre confiscate alla Chiesa nel secolo precedente, e li priva dei diritti acquisiti dopo la Riforma.[3]
Nel 1630 la Svezia entra in guerra contro l'impero asburgico, ma Ferdinando II, nel 1635, riesce a respingere le forze svedesi. A questo punto si apre un nuovo fronte del conflitto. La Francia, sotto la guida del cardinale Richelieu, si sente minacciata dagli Asburgo ed entra in guerra al fianco di Svezia, Province Unite e principi protestanti. Ferdinando III, succeduto a Ferdinando II nel 1637, non riesce a rispondere alla nuova offensiva e nel 1648 è costretto a firmare la pace di Westfalia. Gli Asburgo perdono quindi la loro egemonia sull'Europa, la Germania risulta suddivisa in vari stati autonomi e la Svezia ottiene importanti possedimenti nel Baltico. La Francia strappa il controllo delle regioni tedesche dell'Alsazia e della Lorena, e si appresta a diventare la maggiore potenza continentale.[3]
La Spagna asburgica, invece, inizia un inesorabile declino. Nel 1641 perde il Portogallo (sottoposto all'autorità spagnola dal 1580) e, dopo la guerra dei trent'anni, subisce anche la politica aggressiva della Francia, guidata dal cardinale Mazzarino. Con il trattato dei Pirenei (1659), infatti, la Spagna cede alla Francia parte delle Fiandre, dell'Artois, dell'Hainaut e del Lussemburgo, oltre al Rossiglione.[3] Inoltre, nel 1648 Filippo VI di Spagna è costretto anche a riconoscere l'indipendenza delle Province Unite (Olanda),[4] danno vita a un impero coloniale, ottenendo alcuni scali commerciali che in precedenza erano controllati da spagnolo e portoghesi. Tra XVI e XVII secolo l'Olanda è la principale potenza commerciale europea.[5]
L'età dell'assolutismo
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Il Seicento è però anche il secolo in cui nasce e si afferma l'assolutismo, un modello politico in cui il sovrano è il detentore assoluto di tutti i poteri dello Stato. Nel XVII secolo l'assolutismo monarchico si afferma in Francia e in altri Paesi dell'Europa continentale, come la Prussia e la Russia degli zar.
In Francia, in particolare, è il re Luigi XIV ha incarnare questo modello politico: a lui si attribuisce la frase L'État c'est moi!, «Lo stato sono io». Luigi XIV è noto anche come il Re Sole, per la sua politica che accentra i poteri nelle mani del sovrano. L'affermazione dell'assolutismo monarchico in Francia si deve però ai cardinali Richelieu e Mazzarino. Quest'ultimo, in qualità di primo ministro del giovanissimo Luigi XIV, riporta all'obbedienza la nobiltà, che si era ribellata durante la Fronda (1648-1653). A partire da questa eredità, il lungo regno personale del Re Sole (1661-1715) porta all'apogeo dell'assolutismo e rappresenta un modello per altre nazioni. Nel corso del Settecento, l'assolutismo si trasformerà in assolutismo illuminato, una forma di assolutismo riformatrice e innovatrice.[6]
La dinastia Stuart e la rivoluzione inglese
[modifica | modifica sorgente]Nel 1603 Giacomo I Stuart, già re di Scozia dal 1567, succede alla regina Elisabetta come re d'Inghilterra. Inaugura così la dinastia degli Stuart, il cui governo si caratterizza per una politica assolutistica. Gli Stuart, inoltre, favoriscono il cattolicesimo, provocando la ribellione degli anglicani inglesi e degli scozzesi vicini al calvinismo. Nel 1625 la Scozia insorge contro Carlo I e nel 1638 dichiara l'indipendenza della Chiesa scozzese. L'insurrezione dell'Irlanda e la Grande Rimostranza (1642), con cui il parlamento inglese elenca tutti gli errori e le mancanze del sovrano, inducono Carlo I a ritirarsi a York. Scoppia così una guerra civile tra i fedeli del re e i sostenitori del parlamento. Sconfitto da Oliver Cromwell nel 1645, Carlo I viene arrestato e giustiziato (1649).[7]
Cromwell proclama la repubblica (Commonwealth) e istituisce, di fatto, una dittatura personale. Inoltre, riconquista l'Irlanda e sfida la potenza commerciale olandese, contro la quale vince due guerre. Alla sua morte, però, la repubblica crolla e il potere torna nelle mani degli Stuart (1660). Carlo II cerca di instaurare un dialogo con il parlamento. Il suo successore Giacomo II (1685-1688), però, tenta di ripristinare una politica assolutistica: esplode una nuova rivoluzione (la Glorious Revolution), che nel 1989 porta al trono Guglielmo III d'Orange e Maria II Stuart. Viene inoltre emanato il Bill of Rights, che riconosce le prerogative del Parlamento e i limiti posti all'autorità regia.[7] L'Inghilterra diventa così una monarchia costituzionale.
Il metodo come strumento del filosofare risolutivo
[modifica | modifica sorgente]Gli uomini di cultura laica dell'età moderna rifiutano il linguaggio della metafisica medievale che a loro appariva farraginoso, astratto e formale. Cartesio infatti ora assegnerà alla filosofia un nuovo scopo, occorrerà egli dice che: «un uomo dabbene, che non ha l'obbligo di aver letto tutti i libri né di aver imparato con cura tutto ciò che s'insegna nelle scuole» possa avere un sapere che gli consenta di affrontare e risolvere i problemi quotidiani dell'esistenza.[8]
Esigenza questa di una filosofia ordinata sistematicamente e utile all'uomo già sentita da Bacone che distingue la filosofia naturale (le scienze sperimentali), la filosofia umana (logica, psicologia ed etica) e la filosofia civile (la politica). Alla base di tutte la filosofia prima.[9]
In questo nuovo significato del filosofare risolutivo, che dà soluzioni, Cartesio riprende il suo ambito tradizionale per il quale la filosofia è come un «albero le cui radici sono la metafisica, il tronco la fisica, e i rami che se ne dipartono tutte le altre scienze».[10] Ritorna qui l'impostazione aristotelica della filosofia come scienza prima nel cui ambito acquistano senso e significato tutte le altre scienze particolari.
La vera novità di Cartesio nell'uso del filosofare sarà il metodo - di cui anche Bacone aveva sentito l'esigenza come novum organum, nuovo strumento del sapere cui però non era riuscito ad indicare le regole - applicato secondo un'impostazione geometrica e algebrica alla scomposizione e composizione dei problemi filosofici.[11] L'uso del metodo per l'analisi e la soluzione di problemi metafisici, etici, cosmologici diverrà prevalente nei filosofi seguenti come Spinoza e Leibniz.
Quando Bacone, pur nella sua incapacità di capire l'importanza della matematica nella scienza e nel non considerare la prospettiva meccanicistica dei fenomeni naturali, sosteneva che il metodo dovesse consistere nella connessione di videre e cogitare, nella collaborazione tra senso ed intelletto[12] anticipava la grande scoperta del metodo sperimentale galileiano. Metodo che del resto è figlio diretto del metodo cartesiano che delle sue regole, che nascono dalla matematica, indicava quella finale della enumerazione e revisione, del controllo cioè dell'analisi e della sintesi, che sarà tradotta da Galilei in quella della verifica sperimentale della ipotesi.
Cartesio sosteneva l'origine della verità dal dubbio, ma questa, per Cartesio, rimane sempre di carattere metafisico più che scientifico: da qui i travisamenti in fisica e astronomia che toccherà a Newton correggere. Dal dubbio fonte di verità non rimaneva fuori neppure l'esistenza di Dio che però, una volta dimostrata l'infallibilità del metodo, era semplice, seguendo le sue regole, dimostrarne l'esistenza riprendendo magari l'argomento ontologico rivalutato alla luce del cogito ergo sum. Ma non è fuori luogo anche ricordare che per Cartesio di tutto si poteva dubitare, ma non del divino nell'anima, quale res cogitans calata dall'alto nella materiale res extensa.
La filosofia non si è mai fondata sul metodo sperimentale proprio della scienza moderna, come del resto appare evidente anche nella filosofia antica e medievale (va tuttavia ricordato che il metodo scientifico è un'acquisizione successiva a queste epoche). Quando Democrito ad esempio parlava degli atomi aggiungeva che questi «si vedevano con gli occhi della mente». Ma filosofi scienziati come Bacone e Newton o filosofi matematici come Cartesio e Leibniz sentirono l'esigenza di un metodo certo, che fondasse in modo indubitabile la loro conoscenza.[13] I primi hanno proposto metodi basati sul metodo empirico, mentre i secondi hanno proposto metodi logici con forti valenze metafisiche. Gli uni e gli altri hanno poi distinto la loro speculazione filosofica dalle loro opere più strettamente scientifiche o teologiche. Nel caso di Leibniz ad esempio la teodicea ha segnato profondamente anche la sua speculazione in ogni campo.
L'Empirismo e l'insufficienza del metodo
[modifica | modifica sorgente]La corrente dell'empirismo sosterrà che il confronto della filosofia con la scienza non dev'essere condotto sul piano del metodo, ma verificando che ogni forma di conoscenza possa sostenere il cimento dell'esperienza sensibile. Questo dev'essere il banco di prova delle verità filosofiche e quindi il nuovo significato della filosofia che con Locke si assumerà il compito di critica del sapere definendo: «l'origine, la certezza e l'estensione della conoscenza umana».[14] Locke è convinto che l'insolubilità di alcuni problemi filosofici dipenda dalla mancata analisi preventiva della questione da risolvere: se questa, cioè rientri o meno nell'ambito della ragione:
«...essendosi cinque o sei amici riuniti a discutere...ben presto ci trovammo in un vicolo cieco...a me venne il sospetto...che prima di applicarci a ricerche di quel genere, fosse necessario esaminare le nostre facoltà e vedere con quali oggetti il nostro intelletto fosse atto a trattare e con quali no».[15] Da questa critica propedeutica ne deriva che non esiste principio, nella morale come nella scienza, che possa ritenersi assolutamente valido tale da sfuggire ad ogni controllo successivo dell'esperienza.
Sia Bacone, per via empirica, che Cartesio, attraverso la pura ragione si erano posti lo stesso problema pensando di averlo risolto tramite l'adozione di un metodo le cui regole, se osservate, potevano portare a conoscenze assolute, a verità indiscutibili in ogni campo del sapere. Essi si rifacevano alla conoscenza verificata dalle conferme dell'esperienza ma poi consideravano fuori da questa la struttura razionale matematico-quantitativa della realtà, attribuendole un valore assoluto di verità. Galilei affermava persino che l'intelletto umano, quando ragiona matematicamente, è uguale a quello divino:
«...quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina [..]»[16]
Questo potere assoluto della ragione, in cui credevano Cartesio e Galilei, per Locke non esiste. Quindi noi dobbiamo, per non girare a vuoto su argomenti inaccessibili alla ragione, prima ancora di stabilire le regole di un metodo conoscitivo, cercare di capire quali siano i limiti del nostro conoscere.
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Telesio, De rerum natura iuxta propria principia, e Tommaso Campanella, Metaphysica
- ↑ «Troverete persino gente che scrive del XVI secolo come se la magia fosse una sopravvivenza medioevale, e la scienza la novità venuta a spazzarla via. Coloro che hanno studiato l'epoca sono più informati. Si praticava pochissima magia nel Medioevo: XVI e XVII secolo rappresentano l'apice della magia. La seria pratica magica e la seria pratica scientifica sono gemelle».(C.S. Lewis)
- ↑ 3,0 3,1 3,2 Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, p. 291.
- ↑ Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, p. 301.
- ↑ Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, pp. 302-303.
- ↑ Assolutismo, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- ↑ 7,0 7,1 Atlante storico, in La biblioteca del sapere - Corriere della Sera, vol. 30, Milano, Rizzoli-Larousse, 2004, p. 309.
- ↑ Cartesio, La ricerca della verità, Introduzione
- ↑ Bacone,De dignitate et augmentis scientiarum, III, 1
- ↑ Cartesio, Lettera a Picot, in Opere, ed. Adam-Tannery
- ↑ Cartesio,Discorso sul metodo, Parte II
- ↑ Famosa l'allegoria di Bacone sul metodo scientifico: non dobbiamo fare come gli empirici che badano solo all'esperienza e si affidano solo alla sensibilità. Gli empirici sono come le formiche che ammucchiano tutto ciò che trovano, esaminano ogni fatto che gli si presenta senza prima elaborarlo, ordinarlo. Né dobbiamo imitare i razionalisti che trascurano invece i dati sensibili e fanno come i ragni, che intessono da sé la propria tela e s'avviluppano nei loro stessi ragionamenti, nella loro ragnatela. I nuovi scienziati, devono essere invece come le api che da tutti i fiori traggono il polline per trasformarlo in miele, così lo scienziato deve elaborare tutti i fatti e trasformarli in teorie. Dispongono in modo ordinato i loro sforzi e si servono di tutti gli strumenti per arrivare alla verità.
- ↑ H. G. Gadamer, Cartesio. Leibniz e l'Illuminismo
- ↑ Locke,Saggio sull'intelletto umano, Introduzione
- ↑ J. Locke, Prefazione Epistola al lettore del Saggio sull'intelletto umano
- ↑ G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (Salviati, Prima giornata).
