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Storia della filosofia/Dottrine cristologiche dei primi secoli

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Storia della filosofia

Il cristianesimo dei primi secoli fu caratterizzato da una miriade di dottrine diverse riguardanti la natura di Cristo e l'interpretazione del suo messaggio. Fin dalle origini, però, si fece strada la tendenza a costituire una «Grande Chiesa», secondo un'espressione molto usata nella storiografia. Le comunità dei cristiani iniziarono presto a organizzarsi al loro interno, suddividendo i compiti e adottando una struttura gerarchica; sorse tuttavia anche l'aspirazione a riunirsi per costituire un'unica chiesa, intesa, nella tradizione paolina, come corpo mistico di Cristo.[1] Allo scopo di raggiungere un'unità teologica, alcune dottrine cristologiche furono contrastate dai padri della Chiesa, che le additarono come errori, tesi eterodosse (eresie) separate dalla linea ortodossa proclamata dalla Grande Chiesa. Nel corso di particolari riunioni tra i rappresentanti delle diverse chiese, detti concili, si arrivò alla condanna delle dottrine giudicate eretiche e alla progressiva formulazione di quella che poi è diventata l'ortodossia dottrinaria cristiana.[2] Quest'ultima è quindi la linea teologica uscita vincitrice da secoli di dispute, mentre le eresie, sconfitte, rimasero dottrine minoritarie.

Cristianesimo ante-niceno

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Il Buon Pastore. Catacombe di Priscilla, Roma, seconda metà del III secolo

Il cristianesimo nei primi anni dopo la morte di Cristo si trovava in una situazione particolarmente complessa. Da un lato la nuova religione si separò progressivamente dall'ambiente ebraico in cui era nata; dall'altro, con la sua diffusione nel bacino del Mediterraneo, entrò in contatto con la filosofia greca e si confrontò con essa. Questi due fattori portarono, nei primi secoli, alla definizione del sistema di credenze che sta alla base del cristianesimo.[3]

Non fu però un percorso lineare. Cristo aveva affidato il suo messaggio alla predicazione orale, senza mai scrivere nessuna opera. Tuttavia, fiorì fin dal I secolo una nutrita letteratura cristiana, che comprendeva diversi vangeli, lettere e apocalissi. A questa varietà di testi corrispondeva un'ampia varietà di dottrine, ciascuna delle quali interpretava diversamente la natura di Cristo e il suo insegnamento. Ma i primi cristiani subirono anche delle persecuzioni, e gli scrittori cristiani di questi secoli dovettero difendere la nuova fede dalle critiche che le venivano mosse.

I padri apostolici

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I primi autori della patristica sono i cosiddetti padri apostolici, così chiamati perché secondo la tradizione avrebbero avuto contatti diretti con gli apostoli. A questi scrittori, molti dei quali anonimi, è attribuito un corpus di opere composte tra il I e II secolo, alcune delle quali, prima che venisse stabilito il canone del Nuovo Testamento alla fine del IV secolo, erano utilizzate per il culto religioso. L'elenco più completo comprende la Didaché (o Insegnamento dei dodici apostoli), la Lettera di Barnaba, la Prima e la Seconda lettera di Clemente, le sette Lettere di Ignazio di Antiochia, la Lettera di Policarpo ai Filippesi, il Martirio di san Policarpo, la Lettera a Diogneto, il Pastore di Erma e i frammenti di Papia di Ierapoli.

Questo gruppo eterogeneo di opere, ancora fortemente legate alla cultura ebraica, fornisce una testimonianza della grande varietà di dottrine diffuse nelle prime comunità cristiane. Ne è un esempio il dibattito sui rapporti tra cristianesimo ed ebraismo, che in alcuni testi, come nelle lettere di Barnaba e di Ignazio di Antiochia, raggiunge toni aspri. Barnaba in particolare propone una nuova interpretazione, in chiave cristiana, dell'Antico Testamento (cioè la Bibbia ebraica), mentre Ignazio critica le tendenze giudaizzanti ancora diffuse nelle comunità cristiane. Questi testi fanno inoltre riferimento a discussioni dottrinali relative a temi come il battesimo, il peccato e l'eucarestia.[3]

Lo gnosticismo

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Nel II secolo il cristianesimo dovette confrontarsi con la diffusione dello gnosticismo, un movimento filosofico e spirituale che incorporava elementi precedenti al cristianesimo stesso. Secondo gli gnostici, il Dio dell'Antico Testamento non era il Dio annunciato da Gesù, ma un demiurgo, un essere inferiore a Dio che aveva dato forma al mondo materiale. Partendo da queste premesse, gli gnostici separavano nettamente lo spirito dal corpo materiale, e ritenevano che fosse possibile ottenere la salvezza solo allontanandosi dalla materia e raggiungendo la gnosi (γνῶσις), cioè la conoscenza del vero Dio. Si trattava di un percorso iniziatico, riservato a pochi, in cui l'uomo passava attraverso gradi di illuminazione interiore.

Bisogna però chiarire da subito che lo gnosticismo non fu un movimento unitario, ma si divise in diverse sette, alcune delle quali non avevano nulla in comune con il cristianesimo. Contro queste dottrine i padri della Chiesa condussero un'accanita battaglia, durata fino al IV secolo.[4] Lo scontro, in ogni caso, contribuì a una formulazione più precisa di quali fossero i caratteri principali dell'ortodossia cristiana.

Le persecuzioni e l'apologetica

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Cristo come Sol Invictus. Necropoli vaticana, Roma, III-IV secolo

Durante il II e il III secolo, però, gli scrittori cristiani dovettero difendere la loro fede da ulteriori attacchi. Da un lato c'erano le aperte ostilità della società pagana, che guardava con sospetto i cristiani e il loro atteggiamento di distacco rispetto alle pratiche pubbliche. Per questo motivo, non di rado venivano accusati di compiere ogni genere di azione immorale e di tramare contro l'ordine costituito. A questo si aggiunsero anche gli attacchi teorici da parte dei filosofi, e tra questi uno dei più agguerriti fu il medioplatonico Celso.

Sorse così nel II secolo un gruppo di scrittori detti apologisti, che difesero il cristianesimo dalla critiche provenienti da ebrei e pagani. Uno dei primi fu Quadrato di Atene, che indirizzò una lettera in difesa del cristianesimo all'imperatore Adriano. Ma gli apologisti dovettero anche contrastare la diffusione, all'interno della stessa Chiesa, di alcune dottrine giudicate contrarie all'ortodossia e quindi eretiche.[3] Il quadro era tuttavia particolarmente complesso: basti pensare che alcuni apologisti criticarono alcune eresie ricorrendo a loro volta ad altre dottrine eterodosse (Tertulliano, per esempio, criticò la Chiesa e dapprima abbracciò il montanismo, poi fondò una sua setta).

Il marcionismo

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Una delle prime dottrine a essere condannate come eretiche fu il marcionismo, che sosteneva la totale inconciliabilità tra il Vecchio e il Nuovo Testamento. Secondo il suo fondatore Marcione (85 - 160), un giovane di famiglia agiata originario di Sinope (sul Mar Nero), il Dio Padre di cui predicava Cristo non poteva essere lo stesso Dio creatore di cui parla la Bibbia ebraica. A suo dire, questa distinzione fu tenuta nascosta fin dagli albori del cristianesimo: per questo motivo lo stesso Marcione si impegnò a curare una propria edizione, conforme alla sua dottrina, delle lettere paoline e del Vangelo di Luca (che riteneva fosse da attribuire a Paolo). In questo modo, fu uno dei primi a tentare di organizzare un canone dei testi cristiani. Oltre a ciò, difese le sue concezioni teologiche in un'opera, intitolata Antitesi.[5]

Marcione sosteneva che il Dio creatore dell'Antico Testamento, che imponeva agli uomini una rigida legge in base alla quale premiava gli onesti e puniva gli ingiusti, non poteva conciliarsi con il Dio Padre misericordioso dei Vangeli. Gesù Cristo era quindi Figlio di un altro Dio, la cui caratteristica principale era la bontà, e che Marcione identificava con il "Dio sconosciuto" di cui Paolo aveva parlato in un suo celebre discorso all'agorà. Commosso per la condizione degli uomini, che erano stati sottomessi dal loro creatore a una dura legge, Dio inviò sulla terra il suo Figlio per annunciare un messaggio di salvezza.[6] Qui è forse riconoscibile un'influenza gnostica, poiché l'antitesi marcionita sembra richiamare la contrapposizione gnostica tra il dio demiurgo, creatore della materia, e il dio perfettamente buono della sfera spirituale. Come conseguenza delle sue dottrine, Marcione sostenne che Gesù non era nato da una donna, che non aveva un corpo di carne e che non era mai stato soggetto alla legge ebraica. Anzi, con il suo messaggio di misericordia aveva sovvertito il sistema di valori ebraico, esaltando i diseredati e perdonando i peccatori. Tutti gli uomini possono così raggiungere la salvezza, svilendo il corpo attraverso il digiuno e l'astinenza.[7]

Queste teorie furono subito condannate dalla Chiesa. Grazie tuttavia all'intensa attività di predicazione svolta da Marcione, la sua dottrina si diffuse in tutto il Mediterraneo e sopravvisse fino al V secolo. Il suo più accanito oppositore fu Tertulliano, che lo criticò aspramente nella Adversus Marcionem[7] (che rappresenta anche la nostra principale fonte di informazioni sul marcionismo). La necessità di controbattere alle tesi di Marcione, d'altra parte, stimolò la Chiesa a stabilire il canone del Nuovo Testamento e a sostenere l'identità di Dio Padre con il Dio creatore dell'Antico Testamento.[8]

Il montanismo

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Sempre nel II secolo si sviluppò in Frigia (nell'attuale Turchia) un'altra dottrina condannata come eretica, il montanismo. I suoi seguaci la consideravano una rivelazione profetica: Montano, poco dopo essersi convertito al cristianesimo, disse di ricevere profezie ispirate dallo Spirito. Attorno al 156 iniziò quindi la sua predicazione, accompagnato da due profetesse, Prisca (o Priscilla) e Massimilla, che dicevano di avere le stesse visioni. In breve, tra l'entusiasmo generale, il loro insegnamento si diffuse i molti villaggi rurali della Frigia.

Montano sosteneva di essere il mezzo attraverso cui era giunto tra gli uomini lo Spirito Santo paraclito, cioè lo Spirito consolatore annunciato da Gesù nel Vangelo. A destare particolare clamore furono le modalità con cui Montano e le due donne riceveva le visioni: dopo essere caduto in trance, teneva dei discorsi che, diceva, provenivano direttamente dallo Spirito Santo. Predicava inoltre l'imminente ritorno di Cristo, per prepararsi al quale era necessario mantenersi puri e osservare rigide regole morali. I suoi seguaci vivevano pertanto in totale ascetismo, praticando il digiuno e rifuggendo il matrimonio.

Anche il montanismo fu combattuto dalla Chiesa come eresia: nel 177 circa la dottrina fu scomunicata e la setta pose il suo centro principale nel villaggio di Pepuza, vicino al luogo in cui, secondo Montano, sarebbe discesa la nuova Gerusalemme celeste. Il montanismo si diffuse nell'Asia minore, dove sopravvisse fino al V secolo, quando fu perseguitato e soppresso dall'imperatore Giustiniano. Secondo alcune testimonianze, tuttavia, la setta resistette fino al IX secolo. Si estese anche nel Mediterraneo occidentale: attorno al 200 raggiunse Roma e successivamente si radicò a Cartagine, dove ebbe tra i suoi principali esponenti Tertulliano.[9]

Dopo il concilio di Nicea

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Il concilio di Nicea in un'icona ortodossa

Nel IV e nel V secolo la letteratura cristiana conobbe una grande fioritura. Molte cose, d'altra parte, erano cambiate. Nel 313, con l'editto di Milano, l'imperatore Costantino aveva riconosciuto la libertà di culto ai cristiani e aveva posto fine al culto pagano dello stato. In seguito, nel 325, aveva indetto un concilio a Nicea, durante il quale fu stabilita la dottrina ortodossa della Trinità. Queste conclusioni sarebbero poi state confermate dal concilio di Costantinopoli del 381. D'altra parte, il dibattito dottrinale nel V secolo sarebbe diventato ancor più complesso, con il proliferare di nuove dottrine, molte delle quali condannate come eretiche. I concili di Efeso (431) e di Calcedonia (451), in particolare, ribadirono che in Cristo vi sono due nature, umana e divina, riunite in una sola persona, condannando le dottrine precedentemente sostenute da Nestorio ed Èutiche.[3]

L'arianesimo

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Battesimo di Cristo. Battistero degli ariani, Ravenna, fine del V secolo

Tra le dottrine cristologiche che ebbero maggiore diffusione a partire dal IV secolo ci fu l'arianesimo, che fu abbracciato anche da alcuni imperatori come Costanzo II o Valente. Contro questo movimento, i fautori dell'ortodossia cristiana condussero una strenua battaglia.

Attorno al 320, il presbitero alessandrino Ario (256 - 336) formulò una dottrina cristologica secondo cui Gesù, in quanto Figlio di Dio, era stato creato da Dio. Sosteneva quella che viene chiamata omoiusia: Padre e Figlio hanno una natura simile, ma non identica. Dio, identificato con il Padre, è immutabile e infinito, e per la propria esistenza non dipende da nient'altro che sia a lui superiore. Diversa è la natura del Figlio, che per esistere dipende dal Padre. Ario sosteneva inoltre che la natura divina non poteva essere condivisa da più persone, e che il Figlio, essendo soggetto a mutamento, doveva essere stato creato dal nulla. Da tutto ciò derivava la tesi che il Figlio non partecipava della conoscenza di Dio, in quanto, a differenza di quest'ultimo, è finito e dipende dal Padre per la sua esistenza. Il Figlio veniva quindi inteso come una creatura, la più perfetta di tutte le creature, e la sua salvezza non consiste nel rinnovare la natura umana, ma nel fornire un modello di bontà e santità.[10] Stando alla testimonianza di Atanasio, che fu il principale avversario di queste dottrine, Ario arrivò a considerare il Figlio come un semidio e di fatto reintrodusse una forma di politeismo.

L'arianesimo fu condannato già nel 325 dal concilio di Nicea, durante il quale furono accettate le tesi di Atanasio sull'omousia: il Padre e il Figlio condividono la stessa identica sostanza (sono cioè consustanziali). Alla morte di Costantino nel 337, tuttavia, l'arianesimo riprese vigore. L'imperatore d'Oriente Costanzio II accettò la dottrina di Ario e tentò di diffonderla anche in Occidente, esiliando i vescovi sostenitori dell'ortodossia. Nel frattempo, anche l'arianesimo conobbe un'evoluzione, e alcuni scrittori giunsero a sostenere che il Figlio era diverso (anomoios) dal Padre. Questi ebbero la meglio al concilio indetto da Costanzo a Sirmio nel 357. Si generò tuttavia una spaccatura con gli ariani più moderati, per i quali invece il Padre era simile (homoios) al Figlio. Il concilio di Costantinopoli del 360 sancì la vittoria di quest'ultima posizione: le precedenti dottrine di fede furono ripudiate, e fu approvata una formula secondo cui il Figlio è simile al Padre che lo ha creato.

Alla morte di Costanzo II nel 361, l'ortodossia cristiana si rafforzò in Occidente, mentre l'imperatore ariano Valente (364 - 378) avviò una persecuzione dei non ariani. La diffusione dell'arianesimo in Oriente fu interrotta dall'editto di Tessalonica del 380, quando gli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II imposero in tutto l'impero il credo niceno e contrastarono la teologia ariana. Questa fu infine condannata dal concilio di Costantinopoli del 381, che confermò le conclusioni raggiunte dal concilio di Nicea. Nel frattempo però l'arianesimo si era diffuso tra le popolazioni germaniche, dove sopravvisse fino al VII secolo.[11]

Il Credo e la consustanzialità di Padre e Figlio

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Il concilio di Nicea si aprì il 20 maggio del 325 sotto la presidenza dell'imperatore Costantino. Vi presero parte soprattutto esponenti delle chiese orientali: tra essi vi erano personalità come Eusebio di Cesarea, Eusebio di Nicomedia, Marcello di Ancira e Atanasio, che è la nostra principale fonte di informazioni sul concilio. L'Occidente latino invece era rappresentato solo da Ossio di Cordova, da due presbiteri romani e da pochi altri. Come si è visto, principale oggetto di disputa erano le dottrine ariane sulla natura del Padre e del Figlio. Il 25 luglio i lavori conciliari si chiusero con la formulazione di un «credo», che fu successivamente approvato anche dal concilio di Costantinopoli del 381 (da qui il nome di «simbolo niceno-costantinopolitano», con cui viene a volte indicato). È un testo particolarmente importante, perché contiene le principali affermazioni di fede ritenute ortodosse dalla Chiesa: basato su un testo più antico, il credo fu modificato per contrastare le tesi ariane.

Viene così affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre: diversamente dalle dottrine di Ario, il Figlio non è una creatura, ma ha la stessa natura divina del Padre. In termini tecnici, Padre e Figlio sono quindi consustanziali. A questa affermazione, gli ariani obiettarono tuttavia che sostanza non è un termine biblico. Si aprì inoltre un dibattito sulla distinzione tra sostanza e ipostasi (persona), che fu risolto dai padri cappàdoci.

Il concilio di Nicea entrò nel merito anche di questioni relative alla disciplina ecclesiastica e risolse lo scisma di Melezio, un vescovo egiziano che aveva ordinato sacerdoti e vescovi senza avere il consenso della sede di Alessandria (l'unica ad avere il diritto di ordinare vescovi in tutto l'Egitto). Dopo lunghe dispute, i meleziani furono accolti nuovamente nella Chiesa.[12]

Lo scisma donatista

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Rovine della basilica e del battistero di Cartagine

Sempre nel III secolo uno scisma si consumò nell'Africa settentrionale, sotto la guida di Donato di Cartagine. Le cause della separazione erano sia sociali sia dottrinali. Nel 311 l'elezione di Ceciliano a vescovo di Cartagine incontrò l'opposizione di molti che lo consideravano un traditore: durante le persecuzioni di Diocleziano del 303, Ceciliano aveva infatti consegnato i libri sacri agli aguzzini. Il vescovo di Tigisi, Secondo, giunse a Cartagine con un folto gruppo di seguaci, dichiarò non valida l'elezione di Ceciliano e sostenne Maiorino come nuovo vescovo. A questo si accompagnava un maggiore rigore e il recupero di pratiche abbandonate dalla Chiesa (come il rifiuto di riconoscere l'autorità imperiale).

L'imperatore Costantino inviò una delegazione, guidata dal vescovo di Roma Milziade, per risolvere la questione. La decisione di riconoscere la legittimità di Ceciliano fu contrastata da Donato, successore di Maiorino. Tra il 317 e il 321 le autorità cercarono senza successo di reprimere lo scisma con la forza. Infine, nel 347 Donato e i suoi seguaci furono esiliati.

I donatisti poterono poi tornare in Africa nel 361, e divennero la maggioranza tra i cristiani della regione. Qui incontrarono l'opposizione dei cattolici, guidati da Agostino. Si arrivò al concilio di Cartagine del 411, che condannò il donatismo come eresia. Seguirono dure leggi contro i seguaci di questa dottrina, a cui venivano negati i diritti civili ed ecclesiastici. Il donatismo sopravvisse comunque per molti secoli, fino alla dominazione araba in Nord Africa, nell'Alto Medioevo.[13]

Il manicheismo

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Gesù Cristo come un profeta manicheo, pittura della dinastia Song del Sud

L'arianesimo non fu l'unica dottrina a occupare le dispute teologiche del IV secolo. Il sacerdote persiano Mani, vissuto nel III secolo, aveva formulato una dottrina dualista, fortemente sincretica, secondo cui il male presente nel mondo era da attribuirsi a un principio negativo, antitetico a quello del bene. Influenzato dallo gnosticismo, Mani si proponeva come un ponte tra zoroastrismo e cristianesimo, tra Oriente e Occidente: sosteneva di essere discepolo di Cristo e ispirato dallo Spirito Santo, e credeva che la sua fede avrebbe sostituito ogni altra religione. Anche il manicheismo, d'altra parte, fu vittima di persecuzioni, e nel 297 un decreto di Diocleziano lo condannò in quanto espressione dell'impero persiano, nemico dello stato romano. In seguito, con la diffusione del cristianesimo, fu nuovamente contrastato su impulso delle autorità religiose.[14]

Sebbene all'epoca fosse considerato un'eresia del cristianesimo e come tale avversato, oggi si tende a considerare il manicheismo come una religione a sé stante. Fin dai primi anni, i seguaci di Mani dimostrarono grande zelo missionario, diffondendo la loro dottrina in Egitto, poi in Nord Africa e infine a Roma all'inizio del IV secolo. Da qui, proseguì la sua espansione verso ovest, fino in Spagna. In seguito a dure repressioni, tuttavia, scomparve dall'Europa occidentale entro la fine del V secolo, mentre nella parte orientale dell'impero sopravvisse fino al VI secolo. Le comunità manichee in Persia rimasero attive fino al X secolo, quando il loro capo fu esiliato dalle autorità islamiche. A partire dal VII secolo il manicheismo iniziò inoltre a espandersi in Asia, diffondendosi in Cina e poi nel Turkistan orientale; le ultime tracce in queste regioni risalgono al XIII-XIV secolo.[15]

Il pelagianesimo

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A cavallo tra il IV e il V secolo, il monaco bretone Pelagio (354 - 427) fu l'iniziatore di una dottrina che enfatizzava l'essenza divina propria della natura umana. L'uomo infatti sarebbe dotato di forze morali sufficienti per salvarsi da sé; la Grazia divina non è un'illuminazione interiore, ma è solo un fattore esterno che facilita il percorso di salvezza. Da qui discendono la negazione del peccato originale e il rifiuto del battesimo e della penitenza.

Pelagio predicò la sua dottrina a Roma, da cui fu però scacciato, e dovette rifugiarsi con i suoi seguaci in Nord Africa. Il pelagianesimo fu infine condannato dal concilio di Cartagine del 411, e fu strenuamente combattuto da Agostino, che gli contrappose la sua dottrina della Grazia e del libero arbitrio. Il pelagianesimo conobbe una breve riabilitazione in Oriente, salvo poi essere nuovamente condannato dal concilio di Efeso del 431.

In seguito, tesi simili furono riprese dal semipelagianesimo, sostenuto da Giuliano di Eclano contro la teoria del peccato originale di Agostino. La polemica fu poi portata avanti da vari monaci di Marsiglia, come Vincenzo di Lérins, Arnobio il Giovane e Fausto di Riez, e trovò molti seguaci in Gallia. Secondo questi scrittori il desiderio di salvezza nasceva spontaneamente negli uomini, che quindi erano in grado di raggiungere da sé la salvezza; la libertà umana inoltre veniva riconosciuta come un valore assoluto e autonomo.

Pelagianesimo e semipelagianesimo furono definitivamente condannati dal concilio di Orange del 529, quando furono definiti i 25 canoni della dottrina cattolica della Grazia, approvati nel 530 da papa Bonifacio II. L'uomo è dotato di libero arbitrio, ma questo non è sufficiente affinché si sviluppi la fede e possa quindi raggiungere la salvezza; per questo è necessaria la Grazia divina, la quale viene data gratuitamente e non c'è nulla che l'uomo possa fare per meritarla. Venne inoltre condannata qualsiasi forma di predestinazione alla salvezza o alla dannazione. Tesi pelagiane sarebbero tuttavia risorte nei secoli successivi della storia del cristianesimo.[16]

Il nestorianesimo

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Parte superiore della stele nestoriana. Beilin Museum in Xi'an, Cina, 781. La stele, eretta al tempo della dinastia Tang, documenta circa 150 anni di presenza cristiana nestoriana in Cina

Al patriarca di Costantinopoli Nestorio la tradizione riconduce un'altra dottrina cristologica giudicata eretica, che conobbe ampia diffusione a partire dal V secolo. Nel 428, sulla scia di Anastasio di Alessandria, Nestorio si pose il problema se a Maria spettasse il titolo di Theotokos, cioè "Madre di Dio". Le sue posizioni crearono clamore: sembrò infatti che, negando che Maria sia Madre di Dio, veniva negata anche la natura divina di Gesù. Trovò uno strenuo oppositore in Cirillo di Alessandria, che scrisse al papa Celestino I per accusarlo di non riconoscere un principio fondamentale dell'ortodossia cristiana: in Cristo la natura umana e quella divina si uniscono indissolubilmente in una sola persona (hypostasis).

Nel 430 un sinodo tenutosi ad Alessandria confermò che la doppia natura umana e divina di Cristo implicava che Maria fosse Theotokos. A Nestorio fu quindi ingiunto di ritrattare le sue tesi. Il patriarca si rivolse allora all'imperatore Teodosio, nella speranza di risolvere la questione. Il concilio che ne seguì, svoltosi a Efeso nel 431, si concluse con la condanna e la deposizione di Nestorio dalla sede di Costantinopoli. Il nestorianesimo sarebbe poi stato confermato come eresia nel concilio di Calcedonia del 451.

Confinato in un monastero ad Antiochia, Nestorio si trasferì nel deserto libico e successivamente si spostò a Panopoli, nell'Egitto settentrionale, dove concluse la sua esistenza. Durante l'esilio compose un trattato, il Libro di Eraclide, in cui riprese le sue dottrine. Il testo, scoperto solo nel 1895, sembra mostrare che in realtà le tesi sostenute da Nestorio erano conformi all'ortodossia.

Tuttavia la dottrina di Nestorio, così come era stata interpretata all'epoca, si diffuse rapidamente. Il nestorianesimo sostiene il difisismo: in Cristo la natura umana e quella divina sono divise in due persone distinte, unite da un'attività comune. I nestoriani inoltre negavano che Dio si fosse effettivamente incarnato e consideravano Gesù come un uomo ispirato da Dio (e non come un Dio fatto uomo). Bandito dall'impero romano, il nestorianesimo si diffuse verso Oriente, fu adottato dall'impero persiano e si estese fino all'India e alla Cina. Attualmente gruppi nestoriani sopravvivono in Iraq e Iran.[17]

Il monofisismo

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Contro le dottrine nestoriane prese posizione anche il monaco Èutiche (forse 378 - dopo il 454). Sostenuto da un suo discepolo, l'eunuco Crisalfio, che godeva di una certa influenza presso l'imperatore d'Oriente Teodosio II, iniziò dopo il 440 un'aspra polemica contro il difisismo. Nel farlo, però, si spinse fino a negare la doppia natura, umana e divina, di Cristo. Èutiche e i suoi seguaci riconoscevano al Figlio la sola natura divina, mentre negavano quella umana. Sostenevano inoltre con decisione che la natura umana di Cristo dopo l'incarnazione era diversa da quella degli altri esseri umani.

La dottrina di Èutiche fu accusata di monofisismo, cioè di attribuire una sola natura a Cristo, e nel 448 fu condannata. Grazie all'appoggio di Teodosio II l'eutichismo ottenne l'assoluzione al concilio di Efeso del 449, ma alla morte dell'imperatore la situazione si rovesciò. Èutiche fu condannato come eretico nel concilio di Calcedonia del 451 e concluse i suoi giorni in esilio.[18] Il concilio stabilì che in Cristo esistono due nature (dyo physeis) dopo l'incarnazione e una sola persona (prosopon) e sussistenza (ypostasis).

Il monofisismo fu una delle più importanti dottrine teologiche tra il V e il VI secolo, ed è tutt'oggi professato dai fedeli della Chiesa copta, della Chiesa siriaca giacobita e della Chiesa armena.

  1. Edmondo Luperini, Fra Gerusalemme e Roma, in Giovanni Filoramo e Daniele Menozzi (a cura di), Storia del cristianesimo, vol. 1, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 105-107.
  2. Giacomo Di Fiore, La definizione della dottrina cristiana e le eresie, su treccani.it. URL consultato l'11 agosto 2022.
  3. 3,0 3,1 3,2 3,3 John N.D. Kelly, Patristic literature, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  4. Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, 1995, p. 599.
  5. Claudio Moreschini e Enrico Morelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina, Brescia, Morcelliana, 1999, p. 78-79.
  6. Claudio Moreschini e Enrico Morelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina, Brescia, Morcelliana, 1999, p. 78.
  7. 7,0 7,1 Marcione, su treccani.it. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  8. Marcion of Pontus, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  9. Montanism, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  10. Claudio Moreschini e Enrico Morelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina, Brescia, Morcelliana, 1999, p. 218.
  11. Arianism, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  12. Claudio Moreschini e Enrico Morelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina, Brescia, Morcelliana, 1999, p. 221.
  13. Donatist, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  14. Claudio Moreschini e Enrico Morelli, Manuale di letteratura cristiana antica greca e latina, Brescia, Morcelliana, 1999.
  15. Manichaeism, su britannica.com. URL consultato il 1º marzo 2020.
  16. pelagianesimo, su treccani.it. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  17. John N.D. Kelly, Nestroius, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  18. Èutiche, su treccani.it. URL consultato il 20 gennaio 2019.