Storia della filosofia/Patristica greca
A partire dal II secolo, nelle chiese orientali di lingua greca si sentì l'esigenza di esprimere la nuova fede cristiana ricorrendo alla filosofia greca. In particolare, fu molto forte l'influenza della tradizione platonica: nei primi secoli i padri della chiesa si confrontarono con il medioplatonismo, e successivamente con il neoplatonismo di Plotino e dei suoi successori.
Gli apologisti greci
[modifica | modifica sorgente]La primissima letteratura cristiana fu scritta in greco: nella lingua della koiné si esprimevano i testi sacri del Nuovo Testamento (a esclusione del Vangelo di Matteo, che fu inizialmente redatto in aramaico) e alcuni di quelli compresi nell'Antico Testamento, le opere padri apostolici e gli scritti dei primi apologisti.
L'espansione del cristianesimo incontrò però l'opposizione della politica e della cultura tradizionale, scontro che sfociò in dure repressioni contro i cristiani. Queste iniziarono molto presto: già alcuni apostoli di Cristo subirono infatti il martirio. L'acuirsi delle persecuzioni portò alla nascita di una letteratura destinata a difendere la nuova fede e a glorificare il sacrificio delle vittime. Come già accennato, gli apologisti dovettero condurre una battaglia in difesa del cristianesimo su un doppio fronte, sia politico sia culturale. Questo scontro fece sì che il cristianesimo assumesse presto una precisa identità: grazie a questa presa di coscienza, la nuova religione poté resistere agli attacchi e differenziarsi dagli altri culti misterici diffusi nella parte orientale dell'impero romano.[1]
Il più antico a noi noto degli autori che si impegnò a difendere il cristianesimo fu Quadrato, che attorno al 125 scrisse una Apologia rivolta direttamente all'imperatore Adriano. Allo stesso destinatario si rivolse anche Aristide di Atene, la cui opera è giunta a noi attraverso una traduzione siriana. Aristide sostiene che i cristiani non sono un pericolo per società: sono gli unici a venerare il vero Dio e lo dimostrano attraverso la loro condotta irreprensibile, contribuendo così a conservare la società.
Il maggiore apologista greco del II secolo è però Giustino,[2] uno scrittore di origine palestinese che si era convertito al cristianesimo e che subì il martirio a Roma attorno al 165. A lui vengono attribuite diverse opere, molte delle quali sono andate perdute; tra quelle salvatesi, gli possono essere ascritte con sicurezza due apologie rivolte ad Antonino Pio. Giustino rigetta le accuse rivolte ai cristiani e descrive le dottrine di fede, dimostrandole storicamente e giungendo alla conclusione che il cristianesimo è in rapporto diretto con alcuni aspetti della filosofia greca. Nel Dialogo con Trifone, invece, l'autore immagina di confrontarsi con un rabbino e sostiene la continuità tra cristianesimo ed ebraismo.[3]
A Giustino si deve la prima dottrina del Logos, con la quale inizia l'assimilazione nel cristianesimo di alcuni aspetti della filosofia greca. Il Logos è disseminato in tutti gli uomini (logos spermatikos) e consente loro di conoscere la verità. Più precisamente, il Logos è il Cristo, il Figlio di Dio, il quale ha irradiato la verità già prima della sua incarnazione, facendola conoscere solo parzialmente ai profeti ebraici e ai filosofi greci (e in particolare a Platone). Tuttavia, il Logos negli uomini è limitato, poiché è solo un riflesso della sapienza divina, la quale si è incarnata in Gesù Cristo e per mezzo della quale tutto ciò che esiste è stato creato.[2]
L'atteggiamento di Giustino fu rifiutato e rovesciato dal suo allievo Taziano, convertitosi al cristianesimo dopo varie esperienze religiose e unitosi infine alla dottrina degli encratiti (che praticavano l'astinenza dal sesso, dalle carni e dal vino), che nel suo Discorso ai Greci attaccò la cultura pagana, giudicandola insensata. Più vicino a Giustino è invece Atenagora di Atene (133 - 190), che nella sua Supplica per i cristiani, scritta attorno al 177 e indirizzata a Marco Aurelio e Commodo, tenta una dimostrazione logica del monoteismo e riprende le dottrine di Pitagora e Platone per parlare della resurrezione.[4]
Contro le eresie: Ireneo e Ippolito
[modifica | modifica sorgente]Mentre era in corso la difesa contro i pagani, le comunità cristiane dovettero affrontare anche il sorgere di dispute interne. Per conservare l'unità della Chiesa furono necessari provvedimenti per identificare e condannare le dottrine non ortodosse. Fiorì così una cospicua letteratura impegnata a confutare, dal punto di vista teologico, le eresie, in modo da conservare la coerenza e l'omogeneità delle dottrine ortodosse.
In questo campo l'autore più noto è Ireneo (Smirne, 130 – Lione, 202), che è anche la nostra principale fonte di notizie sullo gnosticismo. Nella sua opera più importante, la Adversus haereses (in 5 libri), svolse una dettagliata descrizione delle sette gnostiche e dimostrò, attraverso argomenti razionali, la falsità dell'eresia valentiniana. Insistette in particolare sul tema della risurrezione, tentando di confutare la tesi gnostica secondo cui il corpo, in quanto materia, è di scarsa importanza e si dissolve dopo la morte. Nelle sue argomentazioni si rifece direttamente alle fonti bibliche, mentre ignorò il dibattito con i pagani avviato da Giustino. Ireneo, infine, fu anche il primo a riconoscere il primato del vescovo di Roma sulle altre chiese.
Un altro autore impegnato nella disputa contro gli eretici fu Ippolito di Roma (170 circa - 235). Originario dell'Asia, si trasferì presto a Roma, dove divenne il primo antipapa, in opposizione a Ponziano, e subì il martirio. La sua opera più importante sono i Philosophumena, una confutazione di tutte le eresie in 10 libri. Partendo dalla premesse che tutte le eresie sono figlie della cultura pagana, Ippolito tenta di dimostrare la falsità di trentatré eresie, attaccando in particolare lo gnosticismo.[5]
La scuola catechetica di Alessandria
[modifica | modifica sorgente]Fin dal 180 circa era attiva ad Alessandria d'Egitto una scuola di filosofia cristiana. Mano a mano che il cristianesimo si diffuse, aumentarono i contatti tra la nuova fede e le classi colte. Nacque così l'esigenza di formulare un sistema che fosse in grado di dialogare con la filosofia classica greca, vista come un irremovibile punto di riferimento. I primi passi in questo senso furono compiuti da autori come Giustino, ma fu con la scuola catechetica di Alessandria che questo dialogo giunse a maturazione. Il primo maestro della scuola fu un filosofo stoico convertitosi al cristianesimo, Panteno (vissuto nella seconda metà del II secolo), che formulò un metodo di interpretazione allegorica dei testi sacri destinato ad avere grande fortuna nel mondo cristiano.
Panteno non lasciò opere scritte, ma il suo insegnamento fu accolto e sviluppato dall'allievo Clemente Alessandrino (Atene, 150 circa – Cappadocia, 215 circa). Alla morte del maestro nel 200, Clemente divenne maestro della scuola di Alessandria, ruolo che mantenne finché la persecuzione anticristiana di Settimio Severo non lo costrinse a fuggire in Cappadocia, dove trascorse gli ultimi anni. In opere come il Protrettico e il Pedagogo, Clemente tentò di dimostrare che cristianesimo e paganesimo non erano in conflitto; piuttosto, il cristianesimo doveva cogliere dalla cultura pagana alcuni importanti aspetti da integrare nella sua dottrina.
Altra grande personalità che diede lustro alla scuola alessandrina fu Orìgene (Alessandria d'Egitto, 185 – Tiro, 254), che ne assunse la direzione dopo Clemente. Dimostrò subito una particolare libertà intellettuale: seguì gli insegnamenti di Ammonio Sacca, maestro di Plotino, e studiò l'ebraico. Questa indipendenza, soprattutto in campo dottrinale, gli provocò tuttavia l'inimicizia del vescovo di Alessandria, che lo scomunicò. Lasciata la città, aprì una sua scuola a Cesarea in Palestina, ottenendo fama e successi. Morì infine martire, vittima delle persecuzioni di Decio.
Fu autore prolifico: le fonti antiche gli attribuiscono oltre 6 mila titoli, tra scritti di filologia, esegesi, apologetica, filosofia e teologia. Difese il cristianesimo dagli attacchi dei filosofia greci, come è evidente del trattato Contro Celso, composto attorno al 246, in cui controbatte punto per punto alle critiche di Celso.
La sua principale opera teologica è però il trattato Sui princìpi, in quattro libri. Ne possediamo alcuni frammenti e una traduzione in latino, emendata però delle dottrine giudicate eterodosse. Profondamente influenzato da Platone e dal neoplatonismo, Origene formulò infatti alcune dottrine poi giudicate contrarie all'ortodossia. Tra queste, le più dibattute furono l'ipotesi che le anime esistano prima del corpo e la tesi della apocatàstasi, cioè la salvezza di tutte le anime alla fine dei tempi. Fu inoltre accusato di sostenere, nella Trinità, la subordinazione del Figlio al Padre. Secoli dopo la sua morte, alcune delle sue tesi furono dichiarate eretiche dal concilio di Costantinopoli del 553.[6]
I padri niceni
[modifica | modifica sorgente]I primi anni che seguirono il concilio di Nicea (325) furono caratterizzati dal conflitto tra gli ariani e i difensori dell'ortodossia. In questa contrapposizione, Eusebio di Cesarea (Cesarea marittima, 265 – ivi probabilmente, 340) tentò di svolgere un ruolo di mediazione tra i due fronti. Vescovo di Cesarea a ammiratore dell'imperatore Costantino, è ricordato soprattutto come storico della Chiesa: a lui si deve infatti una Storia ecclesiastica in dieci libri, che è una fonte importantissima di notizie sul cristianesimo dei primi secoli (dalle origini alla sconfitta di Licinio nel 324). A questi si aggiungono però opere apologetiche e scritti di esegesi biblica. Eusebio, vicino alle tesi di Origene, fu accusato di sostenere la tesi della subordinazione del Figlio al Padre, e di essere quindi vicino all'arianesimo.[7]
Uno dei più accesi oppositori delle dottrine di Ario fu invece Atanasio di Alessandria (Alessandria d'Egitto, 295 circa – Alessandria d'Egitto, 2 maggio 373). Da vescovo di Alessandria, combatté accanitamente l'arianesimo, entrando anche in aperto contrasto con alcuni imperatori, favorevoli alla dottrina ariana. A queste tesi sono dedicati i tre Discorsi contro gli ariani, in cui confuta l'arianesimo a partire dagli stessi passi biblici usati da Ario per sostenere la sua dottrina. Atanasio è inoltre ricordato per avere esteso il concetto di consustanzialità anche allo Spirito Santo, la terza persona della Trinità.[8]
I padri cappàdoci
[modifica | modifica sorgente]La Cappadocia, una regione dell'Asia minore ai margini del mondo ellenizzato, fu nel IV secolo la patria di tre importanti padri della Chiesa, la cui influenza sarebbe stata enorme: Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno e Gregorio di Nissa. A loro si deve infatti la definitiva confutazione teorica dell'arianesimo e la fusione del cristianesimo con i valori della cultura classica.
Basilio di Cesarea, meglio noto come Basilio Magno (Cesarea in Cappadocia, 329 – Cesarea in Cappadocia, 1º gennaio 379), nacque in una famiglia cristiana e studiò retorica a Costantinopoli e Atene presso i maestri pagani Libanio e Imerio. Tornato in patria, si dedicò all'attività di retore, prima di ritirarsi a vita ascetica. Scrisse anche due Regole per la vita monastica. Nel 364 fu poi ordinato sacerdote e nel 370 divenne vescovo di Cesarea. Durante il suo ministero si rivelò un abile politico e condusse un'energica battaglia contro l'arianesimo. Le sue tesi sarebbero in seguito state accettate come ortodosse durante il concilio di Costantinopoli del 381.
Filosofo e asceta fu anche il fratello di Basilio, Gregorio di Nissa, detto anche Gregorio Nisseno (Cesarea in Cappadocia, 335 – Nissa, 395 circa). Fu maestro di retorica e si sposò, prima di ritirarsi anch'egli in un eremo. In seguito fu posto da Basilio come vescovo di Nissa, ma venne presto deposto dalla carica in seguito alle persecuzioni dell'imperatore Valente, vicino agli ariani. Reintegrato alla sede episcopale fu uno dei più acerrimi oppositori dell'arianesimo. Nel 381 partecipò al concilio di Costantinopoli e negli anni successivi fu consigliere dell'imperatore Teodosio.
Scrisse varie opere teologiche. I quattro trattati Contro Eunomio tentano di confutare le tesi degli ariani. Il Grande discorso di catechesi è invece una sintesi organica dei princìpi fondamentali della fede cristiana, che vengono trattati secondo un metodo logico deduttivo. Fu inoltre autore di scritti ascetici ed esegetici.
Gregorio Nazianzeno (Arianzo presso Nazianzo, 329 - Arianzo presso Nazianzo, 390 circa) fu amico di Basilio e con lui trascorse il periodo di formazione ad Atene presso la scuola di Imerio. Di temperamento mite, condusse per un certo tempo vita ascetica, finché Basilio non lo nominò vescovo Sasima; tuttavia non prese mai possesso della sede. In seguito divenne capo della comunità ortodossa di Costantinopoli, che all'epoca era una minoranza nella città, controllata dagli ariani. Dopo il concilio del 381 e la sconfitta dell'arianesimo, Gregorio fu nominato vescovo di Costantinopoli, ma si dimise dopo un anno per tornare alla sua città natale, dove trascorse il resto dei suoi giorni.
Fu principalmente un retore e un oratore, e non compose trattati dogmatici o teologici. Eppure la sua influenza sulla teologia cristiana successiva è stata enorme. Scrisse quarantacinque discorsi, tra cui cinque Discorsi di teologia, in cui parla della Trinità con straordinaria chiarezza e padronanza dottrinale.[9]
La scuola di Antiochia
[modifica | modifica sorgente]Oltre ad Alessandria, un'altra importante scuola di filosofia cristiana sorse ad Antiochia, in Siria, fondata nel III secolo dal sacerdote Luciano di Antiochia. Tuttavia molte opere dei suoi esponenti andarono perdute, anche a causa delle dottrine eretiche sostenute in alcuni di questi scritti: lo stesso Ario era stato allievo di Luciano e si era formato alla sua scuola.
Chi non fu mai sospettato di eresia fu Giovanni Crisostomo (Antiochia di Siria, tra il 344 e il 354 – Comana Pontica, 14 settembre 407), l'esponente più noto della Scuola di Antiochia, autore di una copiosa produzione letteraria. L'appellativo "Crisostomo", cioè "dalla bocca d'oro", gli fu attribuito per la sua straordinaria abilità retorica e oratoria. Allievo del retore pagano Libanio, visse per un certo periodo in un eremo. Tornato ad Antiochia a causa della salute malferma, nel 386 iniziò un'intensa attività di predicatore. La sua fama crebbe a tal punto che nel 397 fu nominato vescovo di Costantinopoli. Entrò presto in contrasto con le autorità politiche della città: destituito ed esiliato, visse gli ultimi anni nella completa miseria. Giovanni scrisse varie opere, per lo più omelie, nelle quali toccava gli argomenti più disparati, dall'esegesi alla morale ai dogmi di fede.
Tra i rappresentanti più importanti della scuola di Antiochia c'è Teodoreto (Antiochia di Siria, 393 circa – 458 circa), vescovo di Cirro e vicino alle tesi nestoriane. Fu condannato a sconfessare le sue tesi durante il concilio di Calcedonia del 451. Nonostante questo, circa un secolo dopo, nel 553, il concilio di Costantinopoli dichiarò eretiche le sue dottrine e molte delle sue opere andarono perdute. Tra quelle sopravvissute c'è la Cura delle malattie dei Greci o Dimostrazione della verità evangelica per mezzo della filosofia greca, in cui risponde a una serie di domande filosofiche e religiose attingendo dal pensiero dei filosofi greci e dalla dottrina cristiana. Autore erudito, scrisse anche una Storia ecclesiastica, sul modello offerto da Eusebio.[10]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, p. 597.
- ↑ 2,0 2,1 Giustino, Santo, su treccani.it. URL consultato il 20 gennaio 2019.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, p. 598.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, pp. 598-599.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, pp. 600-601.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, pp. 602-604.
- ↑ John N.D. Kelly, Patristic literature, su britannica.com. URL consultato il 20 gennaio 2019.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, p. 606.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, pp. 607-609.
- ↑ Dario Del Corno, Letteratura greca, Milano, Principato, pp. 610-611.