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Storia della filosofia/Patristica latina

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Storia della filosofia

La letteratura patristica in latino si sviluppò con un certo ritardo rispetto a quella greca. Durante il I e il II secolo, il greco della koinè era infatti la lingua utilizzata sia dalle persone colte sia dai mercanti che commerciavano nel Mediterraneo. Era inoltre la lingua parlata dai primi evangelizzatori, che provenivano tutti dall'Oriente, ed erano scritti in greco anche i testi sacri del cristianesimo.[1]

La preminenza del greco nelle prime comunità cristiane era tale che anche i primissimi testi della Chiesa latina furono scritti in quella lingua. Solo con l'apologetica, nel III secolo, il cristianesimo iniziò a esprimersi anche in latino, principalmente grazie ad autori come Tertulliano, Minuccio Felice e Cripriano. Erano autori provenienti dalle classi colte, che sfruttarono la retorica e la cultura classica non solo per difendere la nuova fede, ma anche per mostrare le debolezze del culto pagano.[2]

Tertulliano

Il più originale apologeta latino, Tertulliano, è anche considerato il padre della teologia latino-occidentale.[3] Scarse sono le notizie sulla sua vita. Sappiamo che nacque a Cartagine tra il 150 e il 160, figlio di un centurione proconsolare, e studiò filosofia, retorica, grammatica, storia e diritto. La conversione al cristianesimo avvenne attorno al 190, si sposò e, secondo la testimonianza di Girolamo, forse fu anche ordinato sacerdote. Aspro polemista, compose varie opere in cui difese il cristianesimo dagli attacchi dei pagani, ricorrendo alle armi della retorica. Tra queste, l'opera più famosa è l'Apologeticum, in cui si rivolge ai governatori delle province romane dimostrando l'illegalità delle persecuzioni contro i cristiani e l'inconsistenza delle calunnie che venivano loro rivolte.

Tertulliano fu però anche un acceso nemico di molte dottrine eretiche. Particolare importanza ebbe il trattato De praescriptione haereticorum, in cui si stabilisce il primato dottrinale della Chiesa cattolica, unica depositaria della dottrina apostolica. Viene così precisato il concetto di traditio, che sarà centrale nel cristianesimo: le dottrine del cristianesimo sono state trasmesse ininterrottamente dagli apostoli ai loro successori, fino ai tempi attuali. È la tradizione, quindi, a garantire la purezza delle dottrine difese dalla Chiesa cattolica. Non altrettanto possono dire gli eretici, che sostengono dottrine sorte in un secondo momento.

A Tertulliano si deve anche l'introduzione della parola trinitas, Trinità, usata per la prima volta nell'Adversus Praxean. Altre opere sono invece dedicate alle rigide norme normali che dovevano essere osservate da un cristiano, con considerazioni che riguardano l'abbigliamento, il costume e anche la condotta sessuale (erano proibiti l'adulterio e il divorzio, mentre pressanti erano gli inviti a non risposarsi). L'autore prevedeva anche elenchi di mestieri che i cristiani non avrebbero potuto esercitare perché a vario titolo contrari alla fede (come l'astrologo, il mercante o il mago).

D'altra parte, l'estremo rigore professato da Tertulliano lo portò a rompere con i cattolici e ad abbracciare, tra il 203 e il 207, la vita ascetica del montanismo. Non soddisfatto, fondò in seguito una propria setta ancor più austera, nota come tertullianesimo, che sopravvisse fino al IV secolo, quando gli ultimi seguaci furono convertiti da Agostino d'Ippona. Non si conosce la data esatta in cui morì Tertulliano, ma sembra che ciò avvenne dopo il 220.[4]

Gli altri apologisti latini

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Come Tertulliano, anche Minuccio Felice, vissuto a Roma tra il 160 e il 220-230, ebbe una formazione giuridica ed esercitò l'avvocatura. È ricordato come autore di un'unica opera, l'Octavius, un dialogo destinato a confutare i filosofi scettici. Essendo dedicata a un pubblico di pagani colti, l'opera non insiste su temi dottrinali. La sua fede è piuttosto presentata come un misticismo illuminato, per il quale Dio è la ragione somma che governa il mondo. Minuccio ne dimostra l'esistenza partendo proprio dall'armonia del creato, senza citare la Bibbia ma recuperando tesi già sostenute da Cicerone nel libro II dello scritto Sulla natura degli dèi. Il suo può quindi essere interpretato come un tentativo di convertire i pagani utilizzando gli stessi mezzi della cultura pagana.[5]

Cipriano (Cartagine, 210 – Sesti, 14 settembre 258), vescovo di Cartagine e martire, fu invece un autore ben più prolifico. I suoi scritti, e in particolare le lettere, sono una importantissima fonte di informazioni sulla vita del cristianesimo tra il III e il IV secolo. Vengono affrontate delicate questioni, come quella dei lapsi, cioè degli apostati che durante le persecuzioni di Decio avevano abbandonato il cristianesimo ed erano tornati al paganesimo; Cipriano e la Chiesa di Cartagine, in proposito, decisero di riaccoglierli dopo un'adeguata penitenza. Altro tema di contrasto è il battesimo amministrato dagli eretici, che veniva per tradizione riconosciuto valido dal vescovo di Roma ma rifiutato dalle Chiese del Nord Africa. Queste posizioni diedero luogo a una violenta polemica tra Cipriano, seguito dalle Chiese d'Africa e d'Asia, e il papa Stefano, controversia che fu bruscamente interrotta dalle persecuzioni di Valeriano (257).[6]

Tra gli altri apologisti del III secolo si possono ricordare Arnobio, autore di un'opera polemica contro i pagani (Adversus nationes), e Lattanzio, a cui si devono il De opificio Dei e le Divinae Istitutiones, in cui sfrutta i mezzi della filosofia, della retorica e del diritto per difendere il cristianesimo.

Probabile ritratto di Ambrogio. Sacello di San Vittore in ciel d'oro, Milano, IV secolo

Insieme all'allievo Agostino e a Girolamo, Ambrogio è una delle figure più rappresentative del cristianesimo del IV secolo. Nato nel 340 a Treviri (in Gallia) da una famiglia aristocratica cristiana, ricevette un'educazione giuridica a Roma. Fu presto avviato alla carriera politica e nel 370 fu inviato a Milano come governatore di Emilia e Liguria. Nel 374 intervenne per sedare i conflitti tra cattolici e ariani che seguirono la morte di Aussenzio, vescovo di Milano di fede ariana. Per la sua opera di mediazione conquistò i favori del popolo, che lo acclamò nuovo vescovo di Milano. Ambrogio fu quindi battezzato e consacrato sacerdote e vescovo nel giro di pochi giorni. Ebbe un ruolo di piano nella vita religiosa e politica del tempo. Fu consigliere degli imperatori Graziano e Teodosio, e intervenne in varie questioni religiose. In vita la sua persona fu inoltre circondata da un'aura di leggenda, e gli furono attribuiti vari esorcismi e guarigioni miracolose. Morì il 4 aprile 397; i suoi resti furono sepolti della basilica di Milano da lui stesso fondata.[7]

Nel duplice ruolo di politico e di pastore della Chiesa, Ambrogio si scagliò sia contro il paganesimo sia contro le eresie. Celebre, per esempio, è l'intervento nella disputa per la rimozione dell'ara alla dea Vittoria che si trovava al Senato a Roma. Il prefetto dell'Urbe, Simmaco, ne pretendeva il ripristino e chiedeva sovvenzioni per il culto pagano. Ambrogio rispose a queste richieste attraverso alcune lettere, in sostenne l'inutilità del culto pagano. Dimostrò tuttavia di accogliere nel cristianesimo i principali aspetti della morale dei costumi romani, indicati come le principali cause della grandezza di Roma.

Intenso fu anche la polemica contro gli eretici, giudicati uno dei maggiori mali per la fede. Polemizzò in particolare contro gli ariani, sostenendo le tesi sulla Trinità formulata dal concilio di Nicea. Questo è evidente nelle due opere composte per la catechesi dell'imperatore Graziano, il De fide e il De Spiritu Sanctu. Ambrogio fu inoltre il primo padre della Chiesa occidentale a trattare dello Spirito Santo: suoi punti di riferimento erano i padri greci Didimo il Cieco e Basilio di Cesarea.

Compose anche molti scritti esegetici, tra cui l'Hexameron (commentario ai sei giorni della Creazione narrati nella Genesi) e l'Expositio Evangelii secundum Lucam, in 10 libri.[8]

San Girolamo in meditazione, di Caravaggio. Museo del Monasterio de Santa Maria, Montserrat, 1605 circa

Altra figura chiave nel cristianesimo occidentale del IV secolo fu Sofronio Eusebio Girolamo, nato attorno al 347 a Stridone n Dalmazia. Proveniente da una famiglia cristiana, studiò a Roma sotto la guida del grammatico Elio Donato. Dopo avere ricevuto il battesimo iniziò una serie di peregrinazioni. Fu dapprima a Treviri, alla corte dell'imperatore Valentiniano I, quindi condusse una vita ascetica ad Aquileia e poi in Oriente. Ad Antiochia, nel 377-379, fu ordinato sacerdote, mentre a Costantinopoli strinse rapporti con Gregorio di Nazianzo, grazie al quale si avvicinò all'opera di Origene. Dal 382 fu nuovamente a Roma, dove divenne segretario del papa Dàmaso, il quale lo incaricò di revisionare la traduzione latina della Bibbia. Dopo la morte del papa, tornò in Oriente, dove fondò vari conventi e comunità ascetiche. Stabilitosi infine a Betlemme, vi morì il 30 settembre 419.[9]

Girolamo scrisse opere polemiche, erudite, agiografiche e lettere. Compì inoltre studi sulla Sacra Scrittura: tradusse in latino l'Antico Testamento dall'ebraico e dal greco (la cosiddetta Vulgata di san Girolamo), e compose opere esegetiche. Intervenne in varie dispute su temi dottrinali che interessavano la vita della Chiesa. Nella Adversus Iovinianum difese il culto delle reliquie, nella Adversus Helvidium sostenne la verginità di Maria anche dopo il parto, mentre nella Contra Pelagios ribadì la dottrina ortodossa della Grazia e del libero arbitrio.

Complesso è il rapporto con le teorie di Origene. Se in un primo momento fu suo ammiratore, in seguito dedicò aspre critiche ad alcune sue dottrine accusate di eresia, come la subordinazione del Figlio al Padre e la preesistenza delle anime alla nascita. Sebbene poco significativi dal punto di vista dell'originalità teologica, gli scritti di Girolamo spiccano per vis polemica e fa sfoggio della sua maestria retorica.

Decisamente importante fu la sua attività come biblista. Oltre a tradurre l'Antico Testamento, Girolamo scrisse anche commentari alle lettere paoline, al Vangelo di Matteo e ai libri profetici. La sua ermeneutica parte dall'interpretazione allegorica, sul modello di Origene, a cui unisce un'analisi storico-letterale, fornendo dati storici e informazioni linguistiche. Quest'ultimo aspetto fu particolarmente enfatizzato dopo il distacco di Girolamo dalla dottrina di Origene.[10]

  1. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, p. 294.
  2. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, p. 298.
  3. Tertulliano, Quinto Settimio Florente, su treccani.it. URL consultato il 20 gennaio 2019.
  4. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, pp. 298-307.
  5. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, p. 311.
  6. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, pp. 314-317.
  7. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, p. 335.
  8. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, pp. 338-343.
  9. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, p. 346.
  10. Giovanni Cipriani, Storia della letteratura latina, Torino, Einaudi, pp. 350-354.