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Thomas Bernhard/Esagerazione

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Indice del libro
Thomas Bernhard e la sua casa nello sfondo
Thomas Bernhard e la sua casa nello sfondo


« Noi cerchiamo quale sia il progetto del mondo — quel progetto siamo noi. »
(NovalisEsergo di I mangia a poco)

L'esagerazione dell'arte

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Iniziamo subito con una citazione che ha un suono molto contemporaneo, specie dalle mie parti: "Ogni giorno, se ci mettiamo a pensare, non avvertiamo altro che questo, che siamo retti da un governo ipocrita e bugiardo e volgare, che per di più è anche il governo più stupido che uno possa immaginare... e pensiamo che non possiamo farci niente, ecco l'atrocità, che non possiamo farci niente, che dobbiamo semplicemente stare a guardare, impotenti, questo governo che ogni giorno diventa più bugiardo e ipocrita e volgare e abietto, che dobbiamo stare a guardare, in uno stato di sconcerto pressoché perenne, questo governo che diventa ogni giorno peggiore, ogni giorno più insopportabile." Ora, questa osservazione potrebbe sembrare molto recente ma, in effetti, è del 1985 e detta da un personaggio del romanzo di Bernhard, Antichi Maestri (Alte Meister). "Ci sono più nazisti ora a Vienna di quanti ne esistessero nel '38—" Questa invece non è una citazione di origine recente, ma tuttora valida. È tratta dal dramma di Bernhard del 1988, Heldenplatz o Piazza degli eroi.

È possibile trasporre semplicemente l'importanza di uno scrittore come Thomas Bernhard da una cultura all'altra? È possibile parlare persino di "importanza" quando vogliamo vedere Bernhard letto in un'altra lingua in condizioni molto diverse? Inoltre: il termine "importanza" è veramente appropriato? Ad ogni modo, vorrei fare un'osservazione. Negli ultimi due decenni, Thomas Bernhard è riuscito ad assumere il ruolo di scrittore classico moderno, e non solo in Austria o in altri paesi di lingua tedesca, ma ben oltre questi confini, sebbene con intensità variabile. Ciò è particolarmente vero per l'Europa, per cui il forte interesse nei paesi delle lingue romanze colpisce maggiormente. In Italia, Spagna e Francia, ad esempio, quasi tutto ciò che è disponibile nell'originale tedesco è lì disponibile in traduzione. In Gran Bretagna, invece, sembra esserci un certo grado di esitazione. Apparentemente questo scrittore non piace tanto al buonsenso anglosassone. Ma lì e anche negli Stati Uniti è, perlomeno, un passaparola interno. La sua ricezione nelle letterature slave è stata, negli ultimi tempi, specialmente in Russia e nelle ex repubbliche sovietiche, eccezionale. E il fatto che esista una "Thomas Bernhard Society" in Corea è di per sé rivelatore. Ed è bello sapere, e molto importante per noi bernhardiani, vedere che anche in Cina sembra esserci un crescente interesse. Ciò che è evidente in ogni caso è che questo fascino per Bernhard non è il risultato di una qualche campagna pubblicitaria speciale da parte del suo editore o di eventuali connessioni personali. Le critiche letterarie hanno reagito all'autore in modo spontaneo, come abbiamo visto nei precedenti capitoli, e questo ci consente di concludere che l'opera di Bernhard ha ovviamente qualità che destano interesse oltre le barriere di altre lingue e culture. Non deve quindi essere considerato un caso speciale, austriaco o tedesco. Piuttosto, è un esempio di autore che è, anche in tempi di diffuse lamentazioni sulla posizione traballante della letteratura, la prova vivente che esiste una letteratura mondiale. Questa è solo un'osservazione sobria, ma una che può essere sostenuta da fatti. Certo, ci sono altri autori che sono più popolari – Stefan Zweig potrebbe essere un esempio – ma l'interesse mostrato per Bernhard da persone di origini e contesti educativi diversi in verità richiede una spiegazione.

Questo fascino per Bernhard potrebbe essere incoraggiante, ma allo stesso tempo ha teso a sminuire l'interesse per la sua oeuvre. La quale è stata sostituita – prima di tutto in Austria – dall'uomo stesso e dalle sue apparizioni pubbliche. Bernhard divenne una star dei media, sebbene meno per i suoi libri e più per i suoi atti provocatori attentamente mirati e sapientemente realizzati, con i quali riuscì a sconvolgere la coscienza collettiva. La gente parlava di lui, di ciò che diceva o faceva, ma non della sua opera letteraria. La presenza pubblica di Bernhard era diventata una qualità della sua stessa opera e ne era diventata parte integrante. Bernhard aveva lasciato il ghetto a cui la letteratura tende essere bandita nella nostra civiltà occidentale, ed era diventato un nome, una parola familiare. Sembra giusto chiedersi ora quali fattori abbiano contribuito a farlo diventare uno scrittore importante — importante almeno in termini di cultura europea. Per trovare una risposta, suggerirei di tornare, una volta ancora, ai testi e di esaminarli più da vicino. Perdonatemi l'insistenza...

Per approfondire, vedi Thomas Bernhard/Opere.

Durante la sua vita relativamente breve (1931-1989) Bernhard pubblicò una quantità considerevole di libri. Nove romanzi principali, cinque racconti lunghi, quattro volumi di storie raccolte, due volumi di prosa breve, cinque volumi di un'autobiografia, diciotto opere a lunghezza intera per il teatro, più una manciata di drammi brevi, tre volumi di poesie, molte interviste e "lettere all'editore". E va notato che il suo lascito letterario contiene una quantità di inediti quasi uguale al materiale pubblicato — in particolare, dal suo primo periodo (fino al 1960 circa). In altre parole, stiamo considerando una voluminosa massa di testi. Inutile dire che non è la quantità di materiale scritto che è un risultato in sé ma, detto ciò, ci troviamo di fronte a un risultato che è – solo in termini di quantità – del tutto rispettabile.

Di fronte al compito di presentare l'importanza di questo risultato, devo confessare che è compito difficile nel tempo umanamente a mia disposizione, e diventa sempre più difficile per me man mano che invecchio. E ho studiato Thomas Bernhard con passione per la maggior parte di trent'anni, e più passa il tempo e più enigmatico mi diventa. Ma permettetemi di menzionare alcuni punti che rendono credibile il mio fascino per questa oeuvre. Vorrei iniziare introducendo una serie di criteri estetici e quindi affrontare l'effetto dei testi e, allo stesso tempo, soffermarmi brevemente sulla dimensione sociale e politica che è così tanto una parte dei testi. Infine, vorrei presentare l'autore in questo contesto — cosa che n on ho fatto nei primi due capitoli.[1]

Vorrei iniziare, quindi, rivolgendomi alle opere di Bernhard. Chiunque legga i testi avrà l'impressione che lo stile della scrittura sia omogeneo, che abbiamo a che fare con un autore la cui lingua è in qualche modo autonoma e unica e che, per questo motivo, le opere stesse sono intercambiabili, che le frasi all'interno delle singole opere sono intercambiabili. Per farla breve: la monotonia, la perseveranza, l'insistenza sulle espressioni, le ripetizioni e i testi a spirale creano un tipo di corrente che risucchia il lettore. La monotonia dei testi è certamente una delle caratteristiche più sorprendenti, ma detto ciò, il lettore che dà un'occhiata molto da vicino rileverà le sottili differenze. E nell'arte oltre che nella critica d'arte, la percezione di queste sottili differenze è ciò che conta. Lo vedremo palesemente in Antichi Maestri. In un'intervista, Bernhard ha usato un'immagine affascinante che ci aiuta a caratterizzare ciò che rende così speciale questa mono-tonia: "Quando guardi un muro bianco ti accorgerai che non è né bianco né nudo. Se sei da solo per molto tempo e ti abitui a stare da solo e sei più o meno allenato alla solitudine, allora inizi a scoprire sempre di più in luoghi che, per le persone normali, sono (essenzialmente) nudi. Sul muro scopri crepe, sottili crepe, macchie irregolari, parassiti. C'è un tremendo movimento nei muri — in realtà il muro e la pagina di un libro si assomigliano completamente." (Bernhard 1970, p. 153). Dobbiamo prendere sul serio questa immagine: i testi di Bernhard sono un muro bianco e siamo chiamati a esaminare le sue opere in modo simile, come un muro bianco, al fine di rilevarne le crepe e le fessure, il "tremendo movimento". In altre parole, leggere Bernhard significa che il lettore deve abbassare la mira, per così dire, perché non incontrerà un ritratto della società come ci aspetterebbe da un grande romanzo realistico. Al contrario, abbiamo a che fare con una forma ridotta. La varietà di colori è ridotta a un solo colore. D'ora in poi, abbiamo a che fare con una superficie bianca. Proviamo quindi a fare un approccio esaminando qualcosa di tipico di Bernhard, vale a dire la formula della negazione. La cancellazione dell'affresco e la sua sostituzione con un muro bianco serviranno come nostro punto metaforico di partenza.

Questi sono processi di negazione, di estinzione, di correzione — questi ultimi, tra l'altro, sono titoli di due dei suoi romanzi. Il punto è anche quello di obliterare gli elementi narrativi, di distruggerli. Thomas Bernhard una volta si riferiva a se stesso come un "Geschichtenzerstörer", come un "distruttore di storie", come qualcuno che avrebbe abbattuto una storia, una narrazione, se mai avesse osato uscire da "dietro una collina di prosa" (Bernhard 1970, p. 156). Bernhard si ribella così contro uno dei nostri bisogni fondamentali nella vita: tutti vogliamo raccontare storie, ma ora Bernhard (insieme a molti altri autori come Rilke e Musil) ci sta dicendo che i giorni della narrazione sono finiti. La grande narrazione, la narrazione coerente è impossibile, tutto ciò che rimane è un frammento. Lo stesso vale per le sue opere drammatiche. Qui, il dialogo, che alla fine dà vita a queste opere, viene sistematicamente distrutto. A dire il vero, è un affare rischioso. Dopotutto, il dialogo e il conflitto sono essenziali per il dramma. Bernhard invece sposta tutto al monologo e l'arte del monologo assume una forma propria sia nella sua prosa narrativa che nei suoi drammi. Si potrebbe essere inclini a pensare che sia tutto piuttosto noioso, e i critici, in effetti, hanno trovato fastidiosa questa monotonia. Hanno parlato di "Alpenbeckett und Menschenfeind" (Beckett delle Alpi e misantropo) in un ovvio riferimento al titolo di un'opera di Ferdinand Raimund.[2] Tuttavia, i parallelismi con Beckett sono solo parzialmente accurati. In ogni caso, Bernhard ha creato un certo grado di suspense sul palcoscenico proprio a causa di questa monotonia. Una figura parla, l'altra rimane in silenzio e lo spettatore sa quanto sia importante questa figura silenziosa che semplicemente ascolta. Questo silenzio è essenzialmente una critica. Bernhard costringe gli attori sul palco a fare le cose più semplici: stirare vestiti o aiutare qualcuno a vestirsi e all'improvviso si presenta la vita quotidiana, la pantomima. E queste stesse azioni silenziose assumono un enorme significato nel corso della trama. Credo che ci siano pochi drammaturghi in grado di ottenere effetti simili attraverso l'arte del silenzio.

Tuttavia, il lettore o lo spettatore al teatro hanno la sensazione di essere stati fregati: non c'è una bella storia, non c'è un finale spettacolare. Le opere di Bernhard si interrompono, rimangono aperte, aprono. È risaputo che, nell'arte, non c'è nulla di "rotondo", niente viene più arrotondato, che un impegno in una forma frammentaria equivale a un impegno per l'onestà estetica. Non possiamo enunciare le storie che Bernhard racconta, ogni narrazione sfida i nostri tentativi di mettere insieme un tutto attraverso la nostra interpretazione.

Bernhard ci irrita soprattutto perché la sua prosa non può essere misurata in base al criterio che usiamo per i testi realistici. "Nei miei libri tutto è artificiale", ha sottolineato in svariate occasioni. È del tutto consapevole del fatto che è impossibile riprodurre la realtà e che ciò può provocare solo false apparenze nel migliore dei casi. Il linguaggio dell'assoluto, il processo di rendere le cose assolute fa parte di questo. Chiunque legga un testo di Thomas Bernhard sarà impressionato dalla pletora di superlativi, dalle espressioni di esclusività e totalità.

È sempre la stessa cosa, ancora e ancora. Sempre più terribile, sempre più tremenda. Bernhard sigilla il suo linguaggio e lo rende immune a qualsiasi sfida mimetica e realistica con "All– und Existenzsutze" (Rudolf Carnap). Qui si fa riferimento a quella che egli stesso ha descritto come la cosiddetta "arte dell'esagerazione". In effetti, l'artista deve esagerare per scacciare la verità dalle cose e immetterla nel linguaggio. Vuole distorcere per rendere le cose distinguibili. Qui spicca una frase: "Ogni cosa è ridicola, se paragonata alla morte". Bernhard fece l'osservazione in un discorso di ringraziamento del 1968, dopo aver ricevuto il Premio Nazionale Austriaco per la Letteratura e io stesso la considero il principio fondamentale della sua estetica. È il principio di tutte le linee di pensiero bernhardiane. Tutto ciò che facciamo diventa ridicolo di fronte alla morte — fatto che costituisce il punto assoluto dell'esistenza umana. La cosa decisiva è dove uno pone l'accento e credo che sia qui che possiamo trovare criteri utili (possibilmente: uno strumento) per differenziare. Nei primi lavori di Bernhard, la morte è un tema centrale e tramite la morte ogni cosa sembra ridicola. Nelle sue opere successive come, ad esempio, quelle del 1975, l'elemento del ridicolo viene alla ribalta. Abbiamo quindi toccato un ulteriore principio che Bernhard usa per infastidire o irritare i suoi lettori: il confine tra il comico e il tragico viene superato. Si possono trovare ripetutamente cose orribili in mezzo a cose ridicole e ridicole in mezzo a cose orribili; questi testi sono commedie-tragedie e la vecchia intuizione, espressa in particolare da Schopenhauer, che le grandi tragedie sono le grandi commedie, è uno dei principi che Bernhard usa per far sentire irritato il suo lettore nonché emotivamente coinvolto, e per intrattenerlo allo stesso tempo. Ist es eine Komödie? Ist es eine Tragödie? (È una tragedia? È una commedia?) è il titolo di un'opera narrativa precoce, un titolo che, allo stesso tempo, assume il carattere di programma per l'intera oeuvre di Bernhard. In altre parole: se una cosa sia tragedia o commedia viene interamente lasciato al lettore o allo spettatore. Le reazioni ai testi di Bernhard variano notevolmente, anche da parte di persone che sono comunque del tutto ragionevoli. Alcune persone non riescono a ridere, mentre altre devono ridere. Sappiamo, ad esempio, che Kafka dovette ridere mentre leggeva ad alta voce dal suo Il processo, e Kafka e Bernhard hanno molto in comune.

So che ci sono molti approcci diversi ai testi di Bernhard e basta uno sguardo alla letteratura secondaria su Bernhard per farti uscir pazzo (e forse questo era l'ultimo scopo di Bernhard stesso! che ora se la ride...). Difficilmente esiste una disciplina accademica che non ha provato a scandagliare Bernhard. Ci sono i costruttivisti e poi i decostruttivisti, seguiti dai Rezeptionsästhetiker fino agli aderenti irriducibili dell'ermeneutica e dell'ontologia della scuola tardiva di Heidegger (che Bernhard ha sempre disprezzato: "Quel ridicolo filisteo nazista in calzoni alla zuava" – vedi primo capitolo). Per non parlare degli analisti del discorso della scuola di Foucault o dei marxisti, oppure dei devoti teologi o altri esperti di storia sociale della letteratura, nonché psicologi letterari delle scuole di Freud e Lacan: tutti hanno il loro Bernhard, unicuique suum: ognuno il suo. Sento le risate di Bernhard dall'oltretomba!

Invece di impantanarsi in tutti gli argomenti, avanti e indietro e su e giù, per cercare di schierarmi con qualche movimento interpretativo, preferirei porre una domanda, vale a dire: innanzitutto, come siamo arrivati a questa polifonia di critica, questa anarchia ermeneutica ? Anche se abbiamo visto sviluppi simili nel caso di altri scrittori come Kafka, possiamo supporre che la diversa accoglienza delle opere di Bernhard abbia qualcosa a che fare con i testi stessi. Allo stesso tempo, possiamo anche supporre che tutti abbiano trovato qualcosa nel testo che può essere supportato da rispettivi argomenti. Quello che penso dovremmo fare è provare a cercare il fattore che sembra destabilizzare la ricezione dei testi di Bernhard a tale livello. È solo all'interno di un sistema chiuso che questo processo di destabilizzazione sembra non diventare operativo. In questo caso, è anche il sistema che parla e non è più Bernhard l'autore che – alle nostre spalle perché è sardonico e cattivo – si vendica del sistema.

Natura: per valutare l'importanza della natura come tema nelle opere di Bernhard, è consigliabile dare una breve occhiata al significato del concetto di natura nella letteratura austriaca complessivamente. L'Austria è un paese che quasi abitualmente vuole vedersi definito in termini di ambiente naturale, uno splendido ambiente naturale. La Natura è più o meno il garante dell'identità austriaca e la Natura assicura che le persone in questo ambiente naturale siano brave persone. E poiché le persone in questo ambiente naturale sono buone, anche la natura è buona e bella. È quindi in questo argomento circolare piuttosto disastroso che la Natura è chiamata a conferma dell'identità austriaca. Ed ecco che arriva Bernhard e interrompe questa discussione circolare con i suoi testi e distrugge questo ciclo infinito di autoconferma. Nel caso di Bernhard, la Natura semplicemente non è più buona, inoltre è antagonista, è ciò che fa ammalare le persone. Ci sono anticorpi in Natura, la Natura ti gira il collo, Oh maledetta Natura: "A volte anche la Natura ti torce il collo, la Natura derubata di semplicità, allora uno riconosce questa infinita complessità della natura terribile", è il modo in cui Bernhard la inserisce nel romanzo Frost (Gelo) (17° giorno). In tal modo, Bernhard lavora in opposizione ad un'interpretazione tacita che ha avuto effetto duraturo sul pensiero e sul comportamento dell'umanità per secoli: Madre Natura è un topos che è in circolazione dai tempi dell'Antichità, ma questa madre è, nel caso di Bernhard, crudele e distrugge ciò che ha prodotto. Inversamente, distrugge noi perché noi la distruggiamo. La letteratura occidentale è determinata dall'idea che noi agiamo e dovremmo agire secondo natura, tipo massima stoica comprovata. "Naturalmente" è una delle parole preferite di Bernhard, tuttavia ha per lui una connotazione negativa, anche se l'autore è, in effetti, affascinato dalla bellezza della natura. "Quando equilibrate la bellezza del paese con la cattiveria della gente, allora vi ritrovate al suicidio", ha osservato in un'occasione. È una peculiare operazione matematica che, tuttavia, è accattivante proprio per la sua irrazionalità. La natura è sempre presente nelle opere di Bernhard; si nutre della vita delle persone. È un principio distruttivo e allo stesso tempo corroborante.

Questo potrebbe essere il momento giusto per soffermarsi in termini più generali sul rapporto tra scrittori austriaci e storia. È normale che le persone leggano la letteratura austriaca con un occhio alla storia del paese. Allo stesso tempo, però, l'idea che questa letteratura è tale da contrastare qualsiasi cambiamento storico, vale a dire che è in qualche modo anti-hegeliana o anti-dialettica, è diventata essa stessa un topos tra i critici. Il padre di questo atteggiamento anti-dialettico è Adalbert Stifter, e il titolo del libro di Ulrich Greiner Der Tod des Nachsommers (Morte della tarda estate),[3] apparso nel 1979, praticamente dice tutto. In questo libro, la tesi ampiamente nota di Claudio Magris sul "Mito degli Asburgo" nella letteratura austriaca viene perpetuata ad includere il periodo successivo al 1945. Qualunque cosa si pensi di queste tesi, hanno davvero qualcosa – se non proprio tutto – di buono. Ad ogni modo, possiamo dire che a metà degli anni ’60 la tendenza degli autori a scrivere contro le proprie immagini storiche positive diventa sempre più diffusa. Nel suo romanzo del 1985 intitolato Dessen Sprache du nicht verstehst (La lingua di chi non capisci),[4] Marianne Fritz procede alla liquidazione del mito asburgico nel modo più radicale. Racconta il destino della famiglia di un lavoratore nell'anno 1914 e la battaglia per la fortezza di Przemyśl. La monarchia asburgica appare qui non come lo stato multiculturale e multietnico, ma invece come un potere coloniale che ha derubato i popoli della loro vera religione e della loro cultura indigena. Il punto che sto cercando di sottolineare non è confermare se questa visione sia giusta o sbagliata, ma piuttosto mostrare come la storia del proprio paese può essere demistificata. Non solo nel senso della critica ai cliché e alle convenzioni, ma come critica degli accordi (taciti) su cui poggiavano le basi della Monarchia e che, oltre a ciò, riuscirono a ottenere un notevole rispetto.

Uno dei principali testimoni d'accusa contro questa amministrazione della nostra identità attraverso la storia è Peter Handke, ora controverso Nobel per la letteratura (2019). È stato lui a notare che i tedeschi sono un popolo affondato nell'abisso della storia. Odia tutte le persone, afferma Handke, che hanno bisogno della storia per definirsi. Ernst Jandl, nella sua opera teatrale "Aus der Fremde", fa dire al suo protagonista principale quanto segue: "Geschichtsha? habe sie empfangen zur nazizeit/ geschichtsverlangen kenne sie auch heute noch nicht (= Ha cominciato ad odiare la storia durante l'era nazista / persino oggi non conosce la sensazione del desiderio di storia).

Anche Bernhard tende a cancellare fatti storici concreti, e questo mi sembra essere uno dei suoi principali principi narrativi: fatti e date, figure e opere — non vengono chiaramente definiti –fin dopo il processo di obliterazione, cancellazione, o ricopertura. Sembrerebbe che Bernhard faccia con i suoi testi letterari ciò che Arnulf Rainer, per esempio, fa con i suoi quadri.[5]

Nel romanzo Auslöschung (Estinzione), le cose sembrano completamente diverse. Qui Bernhard rende riconoscibile la storia concreta dell'Austria, anche se, ovviamente, non ripropone la storia in quanto tale. Tuttavia – e penso che valga la pena di notarlo – questa storia sembra concentrarsi su un'unica posizione, quella del Castello di Wolfsegg. Il "castello" è una cifratura comune e multivalente nella letteratura austriaca. Il codice rappresenta una serie di costellazioni: il sovrano e dominatore, la sovranità territoriale, come mezzo per contrastare passato e presente. L'Austria preferisce presentare il suo passato secolare sotto forma di castelli e fortezze. A dire il vero, questo è un fenomeno che s'incontra anche in altre parti d'Europa. Pertanto, il Castello di Wolfsegg è proprio un luogo in cui la storia austriaca sembra essere conservata in forma cristallina.

L'Austria viene fatta apparire come un paese di ignoramus politici, soprattutto come un luogo in cui l'immaginazione è del tutto carente. Si parla molto della "patria e del governo, della democrazia, del comunismo e del socialismo... Ma i democratici non (sembrano) sapere o non vogliono sapere cosa sia veramente la democrazia, e i comunisti non sanno cosa sia il comunismo e i socialisti non sanno cosa sia il socialismo, ecc." (Politische Morgenandacht in «Wort in der Zeit», 12, 1966, p. 12).

Ciò porterebbe a credere che dovrebbero esserci cose come la democrazia, il socialismo, il comunismo (per non parlare della patria e del governo) nel vero senso della parola, ma invece non è qualcosa che può essere facilmente compreso. Un'idea brilla di continuo negli scritti di Bernhard: quelle persone che rappresentano una "Weltanschauung" sono in realtà molto lontane dall'attuale suo concetto utopico. I veri socialisti falliscono perché, con le loro idee utopiche, non possono che fallire. E anche qui la persona che parla non ci viene in aiuto e non ci assiste con una definizione di ciò che il comunismo e il socialismo potrebbero, dopo tutto, significare.

Potremmo, in realtà, definire più da vicino la natura dell'iperbole negli scritti di Bernhard. In ogni caso, qui abbiamo a che fare con un argomento che parla e che è decisamente impegnato in questa pratica, una pratica che, va detto, persegue un interesse cognitivo. Il punto è che per mezzo dell'esagerazione si può fare qualcosa di "anschaulich", cioè di vivido e illustrativo. E, in questo sistema, qualcosa funziona.

L'arte è "la cosa più ripugnante e allo stesso tempo la più grande in circolazione", afferma il suo protagonista Reger nel romanzo Antichi Maestri, che nel sottotitolo Bernhard definisce una "commedia". Questo libro contiene il giudizio più radicale non solo dell'arte austriaca ma dell'arte in generale. Penso che questo sia uno dei testi più divertenti e allo stesso tempo più enigmatici che Bernhard ha scritto: Bernhard, maestro nel passare da commedia a tragedia, cerca qui di accentuare l'elemento comico, qualcosa che è alquanto evidente in alcune parti del romanzo Gelo. Il critico musicale e filosofo ottantaduenne Reger è in una crociata, fa visita al Museo di Storia dell'Arte di Vienna ogni due giorni per cercare il difetto letale su un dipinto di Tintoretto chiamato "L'uomo con la barba bianca". Il suo principio: si può trovare un difetto letale in ogni opera d'arte — ed essere pur sempre così perfezionisti. L'opera perfetta deve essere distorta, il più grande quadro deve essere trasformato in una caricatura. Il testo contiene un'ardente filippica contro le tradizioni nell'arte, in particolare contro gli artisti austriaci: Stifter, leggiamo, non ha mai scritto una frase corretta (nella sua vita), Mahler rappresenta il livello più basso per quanto riguarda la musica, Mozart ha anche composto "Unterhöschenkitsch" e Klimt era assolutamente spaventoso. Inutile dire che molte persone considerano tali osservazioni come vera e propria provocazione.

Qui, la critica si mobilita contro l'arte. Considerando che è normalmente compito della critica sublimante scoprire le belle imprese dell'arte, dimostrare come un'opera d'arte sia completa in sé e salvaguardare la santità di un'opera d'arte contro giudizi avventati e dimostrare la qualità o il valore dell'opera d'arte venendo profondamente assorbiti dalle circostanze che ne circondano la creazione, con Bernhard è diverso. La critica è ora usata come mezzo per opporsi all'opera d'arte: l'idea è di falsificare l'opera d'arte e non di verificarne la struttura perfetta. E il protagonista di Bernhard, Reger, è convinto di riuscire a farlo con ogni opera d'arte. Uno può scoprirne il difetto fatale in ogni caso. In altre parole, è una manifestazione di arte che distrugge l'arte. Nella letteratura europea è impossibile trovare un altro attacco altrettanto coerente e senza compromessi sull'arte stessa. Vorrei sostenere l'argomentazione secondo cui ciò ha una funzione reale e non è una semplice provocazione, aggiungendo alcuni riferimenti. Abbiamo in Bernhard qualcuno davanti a noi che scrive principalmente contro se stesso; scrive contro l'arte, contro la propria professione, il che, dopo tutto, gli consente di guadagnarsi da vivere e sopravvivere; in tal modo, distrugge più o meno i principi della sua stessa esistenza.

Nel romanzo Estinzione del 1986, l'ultima grande opera in prosa pubblicata durante la sua vita, Bernhard ha trovato una formula per questa tecnica: l’arte dell'esagerazione. Scrive: "Se non avessimo la nostra arte dell'esagerazione... saremmo condannati a una vita tremendamente noiosa, a un'esistenza ormai neanche più degna di essere vissuta. E la mia arte dell'esagerazione io l'ho sviluppata fino a vette incredibili... Per rendere comprensibile una cosa, dobbiamo esagerare, gli avevo detto, solo l'esagerazione dà alle cose forma visibile; anche il pericolo di esser presi per pazzi non ci disturba più, a una certa età" (p. 124). In realtà, potremmo definire più da vicino la natura dell'iperbole negli scritti di Bernhard. In ogni caso, qui abbiamo a che fare con un argomento discorsivo che è decisamente impegnato in tale pratica, una pratica che, va detto, persegue un interesse cognitivo. Il punto che sta cercando di fare è che, esagerando, qualcosa può essere reso "anschaulich", ovvero: vivido e illustrativo. Esagerare significa distorcere qualcosa e quindi attraverso la distorsione qualcosa diventa distinguibile.

Naturalmente, i "colpi d'ascia" che Bernhard sferra contro l'arte – e non solo l'arte – mediante le sue figure letterarie sono caratterizzati da esagerazione. Ma è importante rendersi conto che stiamo parlando di una forma d'arte, vale a dire l’arte dell'esagerazione. Non è semplicemente una manovra retorica o una denuncia che vuole pubblicizzare per una serie di ragioni. Bernhard attribuisce a questa arte dell'esagerazione un ruolo speciale nell'industria della cultura austriaca. Ma non solo in Austria.

È proprio attraverso la costante esagerazione che Bernhard sottolinea quanto sia realmente brutta la realtà. E sa che questa "brutta realtà" può essere esposta solo attraverso l'arte dell'esagerazione. Fu nel più perfetto dei sistemi – e questo include il mondo della grande arte (che egli personalmente apprezzò molto) – che Bernhard cercò e successivamente ne scoprì i difetti. Ogni volta che c'era un massimo consenso di opinioni su una persona o una cosa, Bernhard ci si volgeva contro. Ciò vale soprattutto per il mondo della politica. Ad esempio, Bernhard attaccò il rispettato cancelliere austriaco Bruno Kreisky quando quest'ultimo era all'apice della sua carriera alla fine degli anni ’70. E ci sono anche esempi dal mondo della letteratura. Bernhard attaccò con veemenza Elias Canetti, che altrimenti ammirava, prima che ricevesse il premio Nobel. Ma lo stesso vale per lo stesso Bernhard: mise a rischio se stesso e la sua arte sapendo benissimo che questo era l'unico modo possibile per salvare se stesso e la sua arte.

Arte, storia e natura — tutti questi discorsi si sovrappongono tra loro nelle opere di Bernhard ed è difficile (almeno per me) parlare di questi temi centrali senza fare riferimento allo stesso Bernhard. Nei suoi testi Bernhard revoca tutta la tacita comprensione che abbiamo riguardo a cose come arte, natura, storia — e probabilmente potremmo includerci anche la scienza. Nel suo necrologio di Thomas Bernhard alla sua morte avvenuta nel 1989, la Nobel Elfriede Jelinek osservò: "An diesem toten Giganten kommt keiner vorbei" (Nessuno supererà mai questo gigante morto). E sembrerebbe come se quasi tutti gli scrittori in Austria fossero ancora incantati da questa potente negazione con cui riusciva a far parlare tutti. Forse il principale risultato di Bernhard è stato il fatto di aver costretto persone di contesti educativi e ideologici diversi ad alzarsi e dire il proprio pezzo: nessuno è rimasto indifferente nei suoi confronti. Nel suo gesto di negazione, tutto ciò che è negato – e che include arte, scienza, storia, natura – sembra riapparire e assumere la sagoma di Bernhard. Nessuno è riuscito a praticare questa "dialettica negativa" (cfr. Adorno) in un modo così succinto come Bernhard. L'arte può sopravvivere solo se viene negata, lo ha detto anche Wilde, la cui Prefazione al suo Il ritratto di Dorian Gray riporto qui appresso, perché... perché ci sta bene!

« L'artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l'arte e celare l'artista: questo è lo scopo dell'arte.
Il critico è colui che traduce in una nuova forma o in una diversa materia la percezione delle cose belle.
La critica, elevata o infima che sia, è una forma di autobiografia.
Coloro che trovano significati brutti nelle cose belle sono corrotti, e peraltro privi di fascino. Questa è una colpa.
Coloro che trovano bei significati nelle cose belle sono colti.
Per essi c'è speranza.
Sono questi gli eletti, per i quali le cose belle significano soltanto Bellezza.
Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o male. Nient'altro.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto nello specchio.
La moralità dell'uomo fa parte dei temi dell'artista, ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di un mezzo imperfetto.
Un artista non ha bisogno di dimostrare nulla. Tutte le verità possono essere dimostrate.
L'artista non ha convinzioni etiche. Una convinzione etica in un artista è un imperdonabile manierismo dello stile.
L'artista non è mai morboso. L'artista può esprimere tutto.
Pensiero e linguaggio sono per l'artista gli strumenti dell'arte.
Vizio e virtù sono per l'artista i materiali dell'arte.
Dal punto di vista formale, la musica è il modello di tutte le arti. Dal punto di vista del sentimento, il modello è l'arte dell'attore.
L'Arte è, insieme superficie e simbolo.
Coloro che si avventurano al di sotto della superficie lo fanno a loro rischio.
Coloro che interpretano i simboli lo fanno a loro rischio.
L'arte rispecchia lo spettatore, non la vita.
La diversità delle opinioni su un'opera d'arte dimostra che l'opera è nuova, complessa e vitale.
Quando i critici sono in disaccordo, l'artista è in accordo con se stesso.
Possiamo perdonare a qualcuno di aver fatto qualcosa di utile, purché non se ne compiaccia. L'unica giustificazione per fare una cosa inutile è ammirarla intensamente.
L'arte, tutta, è perfettamente inutile»

(Oscar Wilde[6])


Per approfondire, vedi Emozioni e percezioni, Generi letterari e Ragionamento sull'assurdo.
  1. Nell'ultima parte di questo libro, esaminerò Bernhard alla luce di uno dei suoi libri per me più belli e ossessionanti, Antichi Maestri, mettendolo a confronto proprio con l'Antico Maestro che forma la base del romanzo, il Tintoretto.
  2. Ferdinand Raimund, Der Alpenkonig und der Menschenfeind – (Il re delle Alpi e il misantropo; del 1829).
  3. Ulrich Greiner, Der Tod des Nachsommers – Aufsätze, Kritiken, Porträts zur österreichischen Gegenwartsliteratur ("Morte della tarda estate – saggi, recensioni e ritratti della letteratura contemporanea austriaca"), Hanser, 1979.
  4. Marianne Fritz, Dessen Sprache du nicht verstehst, 3 voll., Frankfurt am Main: Suhrkamp 1985.
  5. L'artista austriaco Arnulf Rainer si cimenta spesso in quelle che lui chiama Ubermalungen (pitture sovrapposte), Uberzeichnungen (disegni sovrapposti) e Zumalungen (pitture parzialmente sovrapposte).
  6. Oscar Wilde, Prefazione a Il ritratto di Dorian Gray, Giunti, 2010, pp. 21-22.