Le religioni della Mesopotamia/Il culto

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Busto in diorite risalente al XXII secolo a.C., proveniente forse da Girsu e conservato presso il British Museum di Londra. Il busto, alto 74 cm, rappresenta un dignitario nella postura orante di fronte alla divinità. La testa calva lo identifica probabilmente come un sacerdote.

L'uomo creato per servire gli dèi e la sua "civiltà" è frutto del dono divino[modifica]

Fin dai primi testi sumerici la nascita dell'intelligenza nell'uomo, e quindi della civiltà sulla terra, questa caratterizzata dall'abbandono della vita nomade con la fondazione delle prime città, viene interpretato come frutto di un intervento divino.

Come abbiamo visto gli dèi creano l'uomo con lo scopo di affidargli il loro posto per il servizio divino, per il servizio agli stessi dèi: l'uomo, per il mondo religioso mesopotamico, è stato quindi creato al solo scopo di servire gli dèi per mezzo del culto.

Ma in principio gli dèi non hanno ancora creato l'agricoltura e l'allevamento e loro stessi vivono in uno stato "naturale", allo stesso modo gli uomini non sono ancora in grado di coltivare la terra (cereali, grano; cuneiforme: ; sumerico: ezina, ezinu; accadico: ašnan), né di allevare il bestiame (pecore; cuneiforme ; sumerico: U8; accadico: immertu) e non hanno di che coprirsi, mangiando erba e bevendo nelle pozze, vivono nudi.

Così in un testo datato all'inizio del II millennio redatto in lingua sumerica di cui conserviamo i frammenti di sette testimoni:

(IT)
« 1. Quando sulle Montagne dell'universo
2. An ebbe messo al mondo gli Anunna,
3. Non mise al mondo nello stesso momento, né fece apparire cereale (Ašnan)
4. Né creò nel paese i fili di Uttu
5. Né le preparò un telaio (?)
6. Poiché la madre Pecora non esisteva ancora, gli agnelli non si moltiplicavano;
7. Poiché la madre Capra non esisteva ancora, i capretti non si moltiplicavano:
8. Nessuna pecora per mettere al mondo i suoi due agnelli;
9. Nessuna capra per mettere al mondo i suoi capretti!
10. 11.Poiché gli Anunna, i grandi dèi, ignoravano sia Cereale-la generosa, sia la madre Pecora, non esisteva né grano né segusu »

(SUX)
« 1. ḫur-saĝ an ki-bi-da-ke4
2. ud an-ne2 da-nun-na im-tud-de3-eš-a-ba
3. mu dezina2 nu-ub-da-tud-da-aš nu-ub-da-an-sig7-ga
4. kalam-ma gu duttu nu-ub-da-an-dim2-ma-aš
5. duttu-ra temen nu-mu-un-na-sig9-ga-aš
6. u8 nu-e3-a sila4 nu-šar2-ra
7. ud5 nu-me-a maš2 nu-šar2-ra
8. u8-e sila4 2-bi nu-ub-tu-ud
9. ud5-e maš2 3-bi nu-ub-tu-ud
10. 11. mu dezina2-dku3-su3 du8-bi-da-ke4
da-nun-na diĝir gal-gal-e-ne nu-mu-un-zu-uš-am3 »
(Prologo della tenzone "Cereale contro Bestiame minuto", 1-11; traduzione Kramer, p.544)

(IT)
« 16. Non esistevano vesti con cui coprirsi,
17. E, poiché Uttu non era stata messa al mondo, non si portava neppure il perizoma! »

(SUX)
« 16.tug2 niĝ2 mu4-mu4-bi nu-ĝal2-la-am3
17. duttu nu-ub-tu-ud men nu-il2 »
(Prologo della tenzone "Cereale contro Bestiame minuto", 16-17; traduzione Kramer, p.544)

A questo punto gli dèi decidono di creare, per loro, la madre Pecora e il Cereale e, dopo aver consegnato agli uomini il "soffio di vita" (nam-lu2-ulu3 zi šag4 im-ši-in-ĝal2; soffio vitale: zi-šag-ĝal, cuneiforme: ), il dio Enki chiede al re degli dèi, Enlil, di donare quella loro creazione anche agli uomini. Così la madre Pecora e il Cereale discesero dal Santo monte (du6-kug; cuneiforme: ) tra gli uomini (linea 48: u8 dezina2-bi du6 kug-ta im-ma-da-ra-an-ed3-de3).

Allo stesso modo in un altro testo, sempre in sumerico e datato inizio II millennio di cui conserviamo frammenti di una decina di testimoni, il re degli dèi, Enlil, inventa la "zappa" (sumerico: al; accadico allu; cuneiforme: ) e, fissando le prestazioni di lavoro, la consegna agli uomini determinandone il destino:

(IT)
« 7. A Duranki (Nippur) portò un palo (!)
8. E ne fece una Zappa, e il giorno seguente
9. Egli istituì le prestazioni di lavoro, fissando così il destino (degli uomini a venire) »

(SUX)
« 7. dur-an-ki-ka bulug {nam-mi-in-la2}
8. ĝišal-e mu-un-ĝar ud al-e3
9. eš2-gar3 mu-un-du3 nam al-tar-re »
(L'invenzione della Zappa, 7-9; traduzione Kramer, p.541)

I Me e il "destino" (nam) degli uomini[modifica]

Inoltre, tutto il cosmo, quindi anche il mondo degli uomini, i loro ruoli nella società, la loro storia, le loro attività, sono impregnati e determinati dalla presenza o, alternativamente, dall'assenza dei Me (cuneiforme: ), ciò che rende conforme a ciò che deve essere. Esistere, vivere in armonia con i Me significa operare "correttamente", essere nel "bene", svolgere il proprio destino e quindi risultare distanti dal "male" e dal "disordine".

Ogni cosa, presenza, essenza dell'universo, quindi anche l'uomo, è iscritta anche nella Tavola dei Destini (in lingua accadica: ṭup šīmātu, ṭuppi šīmāti; sumerico: DUB.NAM.(TAR).MEŠ) consistente in una tavola (accadico: ţuppu; sumerico: DUB, cuneiforme: ) scritta in cuneiforme e contenente il "destino" (šīmtu, in sumerico: NAM, anche NAM.TAR, cuneiforme: ), quindi, il futuro dell'intero Cosmo e di ogni suo componente, garantendone il corretto svolgimento.

Creato per servire gli dèi, i quali non solo gli hanno donato l'intelligenza ma anche la civiltà, segnato sulla Tavola dei Destini e costantemente sollecitato a rispettare i Me, ovvero a rendere tutto conforme a ciò che "deve essere", quindi a esprime un costante culto agli dèi, pena il disordine, la sofferenza, la morte, all'uomo non resta che impetrare il favore divino, quindi un proprio destino favorevole, evitando le punizioni degli dèi.

Il male, la colpa, il peccato dell'uomo e le punizioni e il perdono da parte degli dèi: preghiere e lamentazioni[modifica]

Statua di "fedele"orante, proveniente dalla valle del Diyala e risalente al 2700 a.C., oggi conservata al Museo del Louvre (Parigi). Le mani unite e la grandezza sproporzionata degli occhi hanno lo scopo di cercare, e quindi di ottenere, un legame intimo con la divinità con cui questa rappresentazione del "fedele" cerca di comunicare.
« Chi c'è che non sia incorso in peccato contro il suo dio?
chi c'è che abbia osservato i precetti ininterrottamente?
L'umanità, quanta mai sia, ha esperienza del peccato!
Io, tuo servo, ho peccato in tutto!
(nonostante che) mi portassi alla tua presenza, non ti cercavo in sincerità
Ho detto menzogne, ho perdonato i miei peccati;
ho pronunciato parole offensive, cose che tutte sai!
Sono venuto meno al tabù del dio, mio creatore,
ho calpestato ciò che è (in) abominio (al mio dio), ho commesso il male. »
(Preghiera di riconciliazione (dšà-dib-ba; "(preghiera per placare) un dio irato"), in lingua accadica, fonte: KAR 45, linee 3-11, traduzione in italiano di Castellino, p.347)

Il mondo degli uomini è dunque governato dagli dèi, conformemente ai Me. Agli uomini è destinato il compito di servire gli dèi, e quando gli uomini si ribellano al loro destino ecco questi ultimi scatenare il Diluvio universale per punirli (cfr. il mito di Atraḫasis; ma anche la Lamentazione in lingua sumerica sulla distruzione di Ur).

Non vi sono solo "colpe" collettive da parte dell'umanità, anche i singoli uomini posso violare il proprio destino, quindi il proprio compito, e scatenare la punizione divina.

Per quanto Giovanni Pettinato[1] abbia escluso i Sumeri dall'ambito della nozione di "peccato" e della sua retribuzione post-mortem, resta che anche questo popolo, come i Semiti, conservino la nozione di "male" espresso, tra gli altri, con il termine nig2-ḫul (accadico: lemuttu; cuneiforme: ), e di "ingiustizia", "trasgressione" espresso, tra gli altri, con il termine di nam-tag-ga (accadico: arnu; cuneiforme: ).

Nota Luigi G. Cagni:

« È importante notare che secondo i Mesopotamici l'uomo può essersi reso colpevole di trasgressione e peccato senza averne coscienza o senza sapere quale divinità abbia offeso »
(TAS vol. 5, p. 45)

Tale colpa, consapevole o inconsapevole, poteva essere causa dell'abbandono del favore divino o anche della punizione, individuale o collettiva, da parte degli dèi.

La liberazione da questa colpa, ovvero il perdono degli dèi, era frutto innanzitutto della loro "confessione" pubblica: in Babilonia era lo stesso re a praticare a la confessione durante il quinto giorno della festa dell'Akītu. Seguivano le lamentazioni (accadico: šigû), invocazioni di clemenza e di dolore (aḫulap, in sumerico: aya), prostrazioni (labān appi) con il fine di placare la collera divina.

La preghiera (tra gli altri il sumerico siškur2; accadico: karābu; cuneiforme: ), sia pubblica che privata, possedeva, dunque, un ruolo fondamentale nelle religioni mesopotamiche.

Le manifestazioni cultuali[modifica]

Il tempio[modifica]

Segno cuneiforme per il sumerico é (e-2), lett. "casa", quindi "casa" di un dio, "tempio". In accadico: bītu; assiro: bētu.

Il tempio mesopotamico è la "casa" del dio. Tale "casa" è stata costruita dall'uomo, in qualità di suo servitore, ma il luogo e il tipo di "casa" sono sempre scelti dal dio che comunica i suoi voleri per mezzo di sogni o altre "ierofanie". Quindi il tempio è la casa dove il dio ha scelto di vivere, la stessa collocazione del trono del dio all'interno dell'area templare avviene per scelta divina, comunicata per mezzo di una ierofania. L'area in cui il dio si manifesta sul trono (sumerico: unu6; accadico: mākalû, mūšabu; cuneiforme: ) è l'area più sacra del tempio mesopotamico, dal basamento del trono (sumerico: du; accadico: diʾu; cuneiforme: ) si sviluppa tutto l'impianto templare [2].

Da questo punto, sacro in senso assoluto, promuove il servizio di culto che corrisponde alla tavola delle offerte (sumerico: banšur; accadico: paššūru; cuneiforme: ) posta di fronte alla statua in cui il sacerdote, con meticolosi atti rituali, versa le libagioni (probabilmente diverse a seconda della divinità).

Solo qui l'uomo può incontrare il suo dio e tale incontro è il solo consentito dalla divinità. Il podio del trono è pendente verso la parte finale del tempio di modo che l'uomo non possa valicare oltre lo spazio sacro e, quindi, resti confinato nei suoi limiti, gli unici consentitigli dalla divinità.

I sacerdoti[modifica]

Segno cuneiforme per il sumerico en, sacerdote; accadico: entu, enu.
Statua di Ebil-il, alto sacerdote del tempio di Ištar, luogo tra le cui rovine è stata rinvenuta la statua, nella città di Mari. Risalente al XXV secolo a.C. è oggi conservata al Museo del Louvre di Parigi. Lo stato sacerdotale di Ebil-il (il nome è inciso sulla statua) emerge dalla testa "calva", tipica dei sacerdoti dei templi. Ebil-il, vestito con una gonna di pelle di pecora, siede su un cesto di canne, le mani giunte ne indicano la postura "orante". La statua, in alabastro, è alta 53 cm.

Servire il dio del tempio è compito di grande responsabilità e prestigio, in genere i sacerdoti vengono formati nelle scuole scribali (sumerico: e2-dub-ba; accadico: bīt ţuppi; cuneiforme: ) ospitate nei complessi templari, che fungono anche da centri intellettuali e teologico-sapienziali.

Il sacerdote svolge quindi il doppio ruolo di funzione sacra e amministrativa, doppio ruolo che viene espresso con il termine sumerico di saĝĝa (anche sanga; in accadico: šangû; cuneiforme: ).

La funzione più elevata in un tempio viene svolta dal sacerdote ( en, sacerdote; accadico: entu, enu; cuneiforme: ), ma vi sono anche gli indovini divisi in diverse categorie, la più nota delle quali è indicata con il termine accadico di bārû (sumerico: uzu2; cuneiforme: ).

Come ci sono gli "scongiuratori" [3] (šim-mu2; accadico: ašīpu; cuneiforme: ); gli addetti ai lavacri e alle purificazioni delle statue e degli ambienti sacri (sumerico: išib; accadico: pašīšu cuneiforme: ); i cantori delle lamentazioni (sumerico gala; accadico: kalû; cuneiforme: ).

Vi erano anche dei sacerdoti dedicati come gli assinnu (cuneiforme: ), i cinedi addetti al culto della dea Ištar; oppure le sacerdotesse dette le "sterili" (accadico: nadītu; cuneiforme: ) in quanto non si maritavano e non generavano figli, vivendo insieme in "monasteri" detti gagû (accadico; cuneiforme: ).

Riti e liturgie[modifica]

Le liturgie nel mondo religioso mesopotamico, con i suoi imponenti santuari, sono attività quotidiane e consistono nella recitazione di inni e lamentazioni per comunicare con il dio impetrandone la compassione. Tali riti erano soventemente accompagnati da musiche di arpe, flauti, timpani e cetre, e dalle relative danze sacre.

Altro aspetto dei riti erano quelli connessi alla remissione dei peccati (i già citati nam-tag-ga /arnu) per mezzo della "confessione" pubblica degli stessi, accompagnati da un sacerdote e dalla recitazione di litanie penitenziali (lipšur), per mezzo anche di prostrazioni.

« Tu sai perdonare [faccia a faccia con la colpa],
rimettere il castigo (del colpevole) alle strette,
Marduk sai perdonare faccia a faccia con la colpa,
rimettere il castigo (del colpevole) alle strette.
Il tuo cuore è misericordioso, il tuo animo [è buono]
dal peccato e dal delitto togli [..]
Marduk il tuo cuore è misericordioso, il tuo animo [è buono]
dal peccato e dal delitto togli [..]
[...]
Tu accogli la preghiera, vai incontro all'implorazione,
salvator della vita, dio premuroso.
Marduk, tu accogli la preghiera, vai incontro all'implorazione,
salvator della vita, dio premuroso.
Tu ascolti la supplica e concedi la vita
(tu) che disponi di pronto perdono.
Marduk, tu ascolti la supplica e concedi la vita,
tu disponi di pronto perdono. »
("Preghiera penitenziale" a Marduk; traduzione in italiano Castellino, 351)

Il sacrificio[modifica]

Le feste[modifica]

Lo hieròs gamos[modifica]

Note[modifica]

  1. Cfr. tra gli altri, Giovanni Pettinato, Mitologia sumerica, Torino, UTET, 1971 pos. 1339 versione mobi.
  2. « Dès lors, le podium, où est installé soit la statue soit le symbole du dieu, exprime de la façon la plus précise cette localisation et cet endroit devient le plus sacré qui soit, celui qui à la fois engendre l'organisation du lieu et permet l'acte cultuel. [...] Mais l'aspect le plus remarquable concerne le podium qui marque l'emplacement divin par excellence, celui de l’épiphanie comme nous avons vu et ce point précis ne connaît aucun déplacement au cours de l'histoire du temple »
    (Jean-Claude Marguenon, Le temple dans la civilisation syro-mésopotamienne: une approche généraliste, p. 12-13.)
  3. Luigi Cagni, in G. Castellani (a cura di),Storia delle Religioni, Torino, UTET, 1971, vol. 1, p. 168.