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Biografie cristologiche/Nuovo Testamento e antiebraismo

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Indice del libro


"Cristo e Maddalena" (di Philip James de Loutherbourg, XVIII sec.)
"Cristo e Maddalena" (di Philip James de Loutherbourg, XVIII sec.)
« Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. »
(Giovanni 15)

Gesù era un ebreo che parlava ad ebrei; Paolo era un ebreo che, grazie al suo incontro visionario con Gesù, concluse che l'arrivo del Messia aveva cancellato la distinzione tra ebreo e gentile, maschio e femmina, schiavo e libero. Tuttavia egli si identificava ancora come ebreo, " Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino" (Romani 11:1) e si preoccupava appassionatamente del "proprio popolo", i suoi "consanguinei secondo la carne" (Rm 9:3). Nonostante la sua insistenza che "non c'è più giudeo né greco... in Cristo Gesù" (Gal 3:28), Paolo cita certi privilegi degli ebrei: "Essi sono Israeliti e possiedono l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene il Messia secondo la carne" (Rm 9:4-5). Chimarlo antisemita sarebbe un errore.

"Antisemitismo" si riferisce all'odio degli ebrei come gruppo etnico, e presume un'identità ebraica essenziale e immutabile. Gli antisemiti credono che gli ebrei siano, nel loro proprio essere, "differenti", e che non possano in nessun modo rimuovere tale alterità. L'antisemitismo attribuisce agli ebrei tratti negativi innati: gli ebrei sono rapaci; gli ebrei sono elitisti; gli ebrei sono brutti. Data questa definizione, né Gesù, né Paolo, né il Nuovo Testamento sono antisemiti. La questione se il Nuovo Testamento sia "antiebraico" provoca problemi differenti.[1]

Antiebraismo: definire il problema

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L'antiebraismo (o anche "antigiudaismo") viene usualmente definito come una posizione teologica piuttosto che una essenzialista o razzista: è il rigetto di insegnamenti ebraici specifici, delle relative pratiche e/o dell'Ebraismo come "modo di vita" o mezzo di salvezza. I problemi di questa vaga definizione abbondano. Quello che è "rigetto" dell'Ebraismo per un lettore è la "realizzazione" dell'Ebraismo per un altro. Mentre oggi quegli ebrei che accettano Gesù come Messia si reputano ebrei "realizzati" o "completi" e quindi personificano il meglio dell'Ebraismo, altri ebrei considerano questo gruppo perlomeno illegittimo o sviato, ignorante o apostata. Gli "ebrei secolari" che si identificano col popolo ebraico culturalmente ma non rispetto alle pratiche religiose e che trovano antiquate o persino ridicole le Leggi contro la consumazione di maiale e crostacei potrebbero essere considerati antiebraici da quegli ebrei che osservano tali pratiche. L'attuale crisi (sempre attuale!) nel Medioriente solleva la questione delle vedute "antiebraiche" in maniera cruda e polemica.[1] La promozione di uno stato palestinese è una posizione antiebraica che nega la promessa biblica della terra ad Abramo? È antiebraica perché sembra sostenere la causa di bombaroli omicidi che distruggono vite ebree? Oppure è una veduta proebraica perché cerca giustizia per un popolo oppresso e perché segue l'ingiunzione di Hillel "Ciò che non è buono per te non lo fare al tuo prossimo"? Se un ebreo racconta una barzelletta che prende in giro stereotipi di ebrei, è tale ebreo "antiebraico"? Se un non ebreo racconta la stessa barzelletta, è giusto chiamare tale non ebreo "antiebraico"?[2]

Definire "antiebraismo" è così irrisolvibile quanto lo è definire "pornografia", e non solo perché entrambi sono osceni. Nessuno dei due termini segue criteri sicuri, pertanto nel valutare pornografia o antiebraismo gli interpreti devono basarsi su impressioni soggettive. Il giudice americano Potter Stewart (1915–1985) commentando in merito alla pornografia nel caso Jacobellis v. Ohio[3] affermò "La riconosco quando la vedo" — lo stesso si può dire dell'antiebraismo nel Nuovo Testamento. Poiché ciò che è antiebraico per un lettore è proebraico per un altro e per un terzo una interpretazione errata di cristiani susseguenti, la discussione giunge ad un punto morto. Pertanto "Il Nuovo Testamento è antiebraico?" non è una domanda opportuna. Tuttavia che sia stato interpretato in una maniera che condanna qualsiasi cosa sia associata ad ebrei e all'Ebraismo, da pratiche a credenze, non è in discussione: il testo è stato interpretato, da troppi e per troppo tempo, in una maniera antiebraica.[2][4]

Inoltre, qualsiasi discussione se il Nuovo Testamento sia "antiebraico" vacilla a causa di problemi altrettanto irrisolvibili in merito a chi decide e in base a quali criteri. Se una persona asserisce che non ci sono insegnamenti antiebraici nel Nuovo Testamento ma un'altra insiste che ci sono, chi ha ragione? Chi deve parlare? A differenza di giornali nazisti e opuscoli del Ku Klux Klan, il Nuovo Testamento genera reazioni di tutt'altro genere da persone di buona volontà. Per la chiesa, il Nuovo Testamento è un libro di compassione, dell'amore perfetto chiamato agape (gr. ἀγάπη), di inclusività. Ma molti ebrei che prendono in mano una copia del Nuovo Testamento — in un albergo, in ospedale, da un missionario all'angolo della strada — vi riscontrano insegnamenti di esclusivismo, intolleranza, e odio. Altri ebrei trovano nei Vangeli un messaggio di verità e quindi accettano Gesù come Signore e Salvatore, mentre alcuni lettori cristiani, specialmente coloro che sono sensibilizzati alle atrocità occorse nel nome di Gesù, si ritrovano a rifiutare alcune delle affermazioni del Nuovo Testamento. Lo stesso libro, le stesse parole, possono acquisire significati profondamente diversi e creare impressioni profondamente differenti.[4] Che esistano tali letture alternative è il risultato del modo in cui la gente interpreta il mondo che la circonda. Ogni lettore e comunità di lettori apporta al testo differenti presupposti ed esperienze, e ciascuno evidenzierà differenti parti del testo. Questo fenomeno non si limita certo alla sola Scrittura. Alcuni attori interpretano il discorso di Shylock"Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall'estate e dall'inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?"[5] — con un senso di compassione per gli ebrei. Altri lo usano per dimostrare quanto l'ebreo sia depravato ed ipocrita, in quanto capace di prendersi poi una libbra di carne da Antonio, il mercante cristiano di Venezia, che certamente se punto sanguinerebbe. I provveditorati delle scuole statali americane dibattono se bandire Huckleberry Finn quale storia razzista o obbligare gli studenti a leggere il romanzo perché vi vedono il riconoscimento della dignità dello schiavo e l'ipocrisia di coloro che sostengono lo schiavismo. La passione di Cristo di Mel Gibson ha provocato pari reazioni polarizzate. Per alcuni spettatori, il film offre un avvincente trattamento del sacrificio di Gesù a nome di un'umanità peccatrice; per altri è stato una brutta parodia antisemita; per altri ancora un film dell'orrore; per altri una dormita; e per altri infine è stato incomprensibile dato che il film non ha mai chiarito perché "gli ebrei" odiassero tanto Gesù.[2]

Materie dottrinali conducono a vedute polarizzate simili. Per esempio, molti cristiani mantengono una posizione di esclusività soteriologica, cioè la credenza che la salvezza sia concessa solo a coloro che accettano Gesù come Signore e Salvatore. La conseguenza logica di tale credenza è che gli ebrei (e tutti gli altri) che non accettano Gesù come Signore e Salvatore finiranno all'inferno per l'eternità. Un certo numero di ebrei a cui è stato detto, con vari gradi di compassione, che se non credono in Gesù arrostiranno all'inferno, comprensibilmente trovano tale visione antiebraica. Il messaggio di esclusività soteriologica, specialmente quando è accompagnato da minacce di dannazione, offende in particolar modo quando viene proclamato a bambini o pronunciato a funerali di agnostici. Quando poi la proclamazione è seguita dall'insistenza che i cristiani credono in un Dio di misericordia e compassione, allora l'intero sistema dogmatico diventa per i non cristiani assurdo. Qualsiasi ebreo o altro fuori dalla fede cristiana avrebbe difficoltà a comprendere il concetto di una divinità "compassionevole" che condanna persone per qualcosa di cui non hanno controllo.[4]

Tuttavia la grande maggioranza dei cristiani che affermano la salvezza solo tramite il Cristo, non dovrebbero essere reputati antiebraici, e ne sarebbero anzi costernati. Al contrario, si vedono come amorosi fratelli e sorelle degli ebrei. Sono comunque, secondo loro, fedeli biblicamente alla propria interpretazione articolarmente di Giovanni 14:6. L'incredulo Tommaso dice a Gesù: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?" (14:5). Gesù risponde: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me." Il problema non è, non necessariamente, quello di pregiudizio antiebraico. È un problema di autorità biblica. Ai cristiani potrebbero non piacere i termini di salvezza proposti dal vangelo, ma il loro rispetto dell'autorità biblica vince il disagio che potrebbero sentire nel delimitare i confini del Paradiso.[4]

La problematica dell'autorità biblica si estende ad altre questioni nella guerra delle culture. L'esempio più lampante oggi riguarda la pratiche sessuali. I cristiani che concludono da Levitico 18:22 ("Non avrai con maschio relazioni come si hanno con donna: è abominio"), Romani 1:26-27 ("le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini"), ed alcuni altri passi, che la Bibbia condanni l'omosessualità e quindi che le chiese non debbano condonare relazioni sessuali dello stesso sesso, potrebberono certo essere omofobici. Tuttavia, potrebbero anche trovarsi in difficoltà ad interpretare un messaggio biblico che è in contrasto col loro proprio senso di giustizia sociale, natura umana, psicologia, o diritti civili.[2]

Ministri di chiese che non ordinano donne e poi si trovano in difficoltà quando le proprie figlie chiedono di proclamare il vangelo dal pulpito, potrebbero essere "sessisti" o "misogini"; alternativamente, potrebbero aver problemi nell'interpretare 1 Corinzi 14:34-35 ("Tacciano le vostre donne nelle chiese, perché non è loro permesso di parlare, ma devono essere sottomesse, come dice anche la Legge... Perché è sconveniente per una donna parlare in chiesa") e 1 Timoteo 2:12 ("Non permetto a nessuna donna d'insegnare, né di usare autorità sull'uomo, ma ordino che stia in silenzio"). Altri cristiani, parimenti preoccupati per l'autorità biblica, concludono che, nonostante questi passi, la completa emancipazione degli uomini gay, delle lesbiche, e di tutte le donne è coerente col messaggio biblico, anzi ne è la sola interpretazione corretta. La parole usate, i contesti letterari in cui appaiono, i tempi in cui furono scritte — tutto incide su come i lettori comprendono tali passi.[2]

Similmente, tutti i lettori si creano un canone dentro il canone, o una pietra di paragone di verità. Il grande comandamento di Gesù riguarda l'amore di Dio e l'amore del prossimo; pertanto, questi due criteri possono diventare una guida per interpretare passi specifici. Cristiani completamente fedeli al testo biblico possono concludere che l'amore del prossimo richiede l'ordinazione di donne, gay e lesbiche o la celebrazione di "unioni sante" per quelle coppie a cui il matrimonio è proibito da leggi statali. Esperienze personali (o rivelazione), gli insegnamenti della propria chiesa, e l'informazione scientifica, hanno tutti un impatto sulla rispettiva interpretazione biblica. Altri trovano tali conclusioni un abominio, completamente contrarie all'insegnamento biblico.[2]

Nello specifico riguardo all'insegnamento di Giovanni che Gesù sia l'unica via e verità, sebbene alcuni cristiani riscontrino restrizione ed esclusivismo, altri interpretano "la via" non come Gesù stesso ma come i suoi insegnamenti. Secondo questa lettura liberale, l'ingresso in paradiso non è determinato dalla fede, ma dal comportamento. Il ounto centrale in questo caso non è "Cosa credo di Gesù?" bensì "Cosa farebbe Gesù?" Altri ancora guardano il testo in un contesto storico e concludono che la maggior preoccupazione dell'evangelista non è quella di limitare le porte del paradiso, ma piuttosto quella di combattere le sette rivali, associate con l'apostolo Tommaso, che insegnano che chiunque può ottenere la salvezza attraverso la conoscenza. In questo sistema, Gesù è più un guru che porta tutti all'illuminazione piuttosto che uno che, da solo, insegna l'interpretazione corretta della Torah e muore a nome dell'umanità.[6] Quando il Gesù giovanneo afferma, "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me", potrebbe essere visto persino come se precludesse qualsiasi cristiano o chiesa dal determinare il verdetto soteriologico. Se Gesù è la Via, solo lui determina l'entrata in paradiso.[2][4]

L'accademica neotestamentaria Amy-Jill Levine, ebrea americana, offre questo scenario satirico come visione alternativa al succitato messaggio restrittivo:[7]

« Dopo una lunga vita felice, mi ritrovo alle porte del paradiso (visione gioiosa). Lì davanti c'è San Pietro. Veramente questo è il paradiso, perché finalmente le mie questioni accademiche riceveranno risposta. Chiedo subito le domande che mi hanno ossessionato per mezzo secolo: "Parli greco? Dove te ne sei andato dopo esser sparito nel bel mezzo degli Atti? Come si risolse la crisi tra te e Paolo ad Antiochia? Cosa successe a tua moglie?"
Pietro mi guarda perplesso e afferma: "Signora, mi stia bene a sentire, ho una fila interminabile di persone salvate che devo esaminare. La prego di prendersi l'arpa e le pantofole qui sotto, e di mettersi le ali e l'aureola al tavolo successivo. Parleremo dopo cena."
Mentre me ne svolazzo via, sento dietro di me un uomo che cerca di attirare l'attenzione di Pietro. Ha trovato un testo della Bibbia "in rosso", cioè dove le parole di Gesù sono stampate in inchiostro rosso. Qui siamo in cielo, e tutte le specie di testi sacri sono facilmente disponibili, dalla Bhagavad Gita al Qu`ran (manca però la Versione Condensata del Reader's Digest). Questo tizio ha la sua Bibbia aperta a Giovanni 14, e sta puntando freneticamente al versetto 6: "Gesù qui dice, in lettere rosse, che Egli è la via. Ho visto questa donna in televisione: non è cristiana; non è battezzata — non dovrebbe essere qui!"
"Hum, eccone un altro!" esclama Pietro, "Aspetta qui".
Ritorna pochi minuti dopo con un altro uomo alto un metro e sessanta circa, capelli scuri e occhi castani. Noto subito che ha dei buchi ai polsi, poiché quando l'Impero giustizia un individuo, le circostanze di tale morte non si possono dimenticare.
"Cosa c'è, figlio mio?" chiede.
L'uomo, ovviamente sconcertato, balbetta, "Non vorrei essere maleducato, ma non hai detto che nessuno viene al Padre se non per mezzo di te?"
"Beh, sì", risponde Gesù, "Giovanni me lo fa dire." (diversi studiosi biblici che aspettano in fila, sentono questa conversazione e sospirano alle parole di Gesù; alcuni di loro sono convinti che Gesù non disse mai quella frase sulla "Via". Ma aspetteranno il proprio turno per chiedere ulteriori spiegazioni.) "Ma se giri le pagine al Vangelo di Matteo, che è il primo nel canone, noterai al capitolo 25, quando si parla del giudizio di pecore e capri, che non sono interessato a coloro che gridano "Signore, Signore" ma in coloro che fanno del loro meglio per vivere una vita retta: nutrire gli affamati, visitare le persone in prigione..."
Diventando quasi apoplettico, l'uomo interrompe, "Ma, ma, questo significa opere di giustizia. Mi stai dicendo che quella si è guadagnata l'entrata in paradiso?"
"No", risponde Gesù, "Io non lo non sto dicendo per niente. Io sto dicendo che Io sono la via, e non te, non la tua chiesa, non la tua lettura del vangelo di Giovanni, e non l'affermazione di un qualsiasi cristiano o una qualsiasi congregazione. Io determino, ed è per mia grazia che chiunque entra, tu incluso. Vuoi contraddirmi?"
L'ultima cosa che mi ricordo di aver visto, prima di raccogliere i miei attrezzi celesti, è Gesù che porge al poveraccio un fazzolettino per aiutarlo a tirarsi fuori la trave dall'occhio. »
(Amy-Jill Levine, op. cit., pp. 91-93.)

Critica storica

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Sebbene i problemi di definire l'antiebraismo, specialmente nel contesto degli studi neotestamentari, non possano essere risolti accontentando tutti, gli studiosi non hanno cessato di proporre le proprie interpretazioni. Alcuni rimangono convinti che si possa determinare oggettivamente, mediante l'applicazione di vari approcci storico-critici al testo biblico, se l'etichetta "antiebraica" sia giustificata. Tali lettori credono, con una certa fiducia, di poter collocare storicamente sia il pubblico sia il contesto di ciascun testo come anche lo scopo dell'autore. Il punto della critica storica è di stabilire ciò che il testo significava nel suo contesto originale. Alcuni insistono che certi testi neotestamentari possano legittimamente essere classificati antiebraici. Altri asseriscono che i libri del Nuovo Testamento non dimostrino bigotteria o colpa; la colpa non sta nel testo, ma nel lettore.[8]

Buona rappresentazione di questa prospettiva storico-critica è lo studio intitolato Il Popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana pubblicato dalla Pontificia Commissione Biblica nel dicembre 2001. L'impegno di questo gruppo basato in Vaticano è degno di nota: tenta di eliminare dalla chiesa vedute antiebraiche (o "antigiudaiche", termine ivi preferito), ed inizia con un sincero rispetto per la Bibbia come Scrittura sacra. È inoltre uno sforzo specialistico, dato che gli autori sono un gruppo internazionale di biblisti cattolici (tutti uomini, naturalmente) che possiedono una conoscenza sostanziale sia dei tempi in cui la Bibbia fu scritta sia dei modi in cui fu interpretata. La Commissione afferma:

« Un vero antigiudaismo, cioè un atteggiamento di disprezzo, di ostilità e di persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei, non esiste in alcun testo del Nuovo Testamento ed è incompatibile con l'insegnamento che questo contiene. Ciò che esiste, sono dei rimproveri rivolti a certe categorie di ebrei per motivi religiosi e, d'altra parte, dei testi polemici miranti a difendere l'apostolato cristiano contro quegli ebrei che vi si opponevano.
Ma bisogna riconoscere che molti di questi passi si prestano a servire da pretesto all'antigiudaismo e che sono stati effettivamente utilizzati in questo senso. Per evitare deviazioni di questo tipo, bisogna osservare che i testi polemici del Nuovo Testamento, anche quelli che si esprimono in termini generalizzanti, restano sempre legati a un contesto storico concreto e non vogliono mai avere di mira gli ebrei di ogni tempo e di ogni luogo per il solo fatto che sono ebrei. La tendenza a parlare in termini generalizzanti, ad accentuare i lati negativi degli avversari, a passare sotto silenzio i loro lati positivi e a non prendere in considerazione le loro motivazioni e la loro eventuale buona fede, è una caratteristica del linguaggio polemico in tutta l'antichità, rilevabile anche all'interno del giudaismo e del cristianesimo primitivo nei riguardi dei dissidenti di ogni genere. »
(IL POPOLO EBRAICO E LE SUE SACRE SCRITTURE NELLA BIBBIA CRISTIANA, "Conclusioni", B.87)

La dichiarazione solleva tanti problemi quanti ne risolve. Un rimprovero contro "certe categorie di ebrei per [imprecisati] motivi religiosi" ben potrebbe essere compreso da ebrei come una dichiarazione antiebraica. Se gli ebrei possono essere "rimproverati per motivi religiosi", è difficile capire come questi rimproveri non costituiscano antiebraismo. In pari maniera, una dichiarazione del tipo "Il divieto cattolico del controllo delle nascite e dell'ordinazione delle donne indica un forte atteggiamento misogino" può essere reputata un rimprovero indirizzato a certi membri della gerarchia che promulgano i divieti, ma rischia anche di trasmettere un atteggiamento generalmente anticattolico che comprende tutti i membri della chiesa. Neppure evidente è che tutti i documenti del Nuovo Testamento parlino di "certe categorie" di ebrei piuttosto che di "tutti gli ebrei" che non si associano alla chiesa. Altro esempio, una dichiarazione che condanna la "Chiesa Cattolica Apostolica Romana" per aver permesso a preti pedofili di continuare ad aver contatto con bambini, tecnicamente deve essere una dichiarazione contro certi membri della gerarchia e non contro la vasta maggioranza dei laici e fors'anche di altri presbiteri. Tuttavia, esterni alla chiesa potrebbero non notare la differenza; potrebbero invece concludere che l'intera chiesa è condannata e corrotta. L'asserzione che un linguaggio polemico sia mirato a "difendere l'apostolato cristiano contro gli ebrei" può facilmente essere capovolto, poiché quello stesso linguaggio polemico può essere mirato ad attaccare coloro che scelgono di proseguire per la propria strada e non seguire la nuova proclamazione di Gesù il Cristo. Alla fine, questi studi storico-critici ben intenzionati sono nella migliore delle ipotesi speculativi. Nella peggiore delle ipotesi, cancellano piuttosto che mettere in discussione le ambiguità dei testi antichi.[8]

Che si concentrino su passi individuali o libri nella loro interezza, i tentativi di trovare materiali incontaminati da contenuto antiebraico rimangono speculativi, e molti sono palesemente stiracchiati e deboli. Dei tre brani più spesso citati come evidenza dell'antiebraismo neotestamentario, ciò che è antiebraico per un interprete è per un altro una traduzione errata, una protesta legittima, un commento atipico detto nella foga di una discussione accalorata, o semplicemente una metafora.[8]

I Giudei, i quali hanno messo a morte il Signore Gesù e sono nemici di tutti

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Nel primo documento del Nuovo Testamento, 1 Tessalonicesi, scritto verso il 49, Paolo cerca di confortare un pubblico gentile che si confrontava non solo con la morte di alcuni membri ma anche con una persecuzione locale. Scrive:

« Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l'ira è arrivata al colmo sul loro capo. »
(2:14-16)

Quando questo testo viene letto davanti a gruppi che variano da membri di sinagoghe a membri di chiese o a studenti in classe, la reazione generale è vergogna e spesso orrore.[9] Argomentazioni che insistono che il testo non debba essere considerato antiebraico indicano una reazione simile che, almeno in superficie, le parole siano imbarazzanti per chi è interessato ad un dialogo interconfessionale.

Gran parte della discussione di 1 Tessalonicesi 2 inizia con l'affermazione che Paolo non stia parlando degli "ebrei" che uccisero Gesù, ma dei "giudei". Il greco di 1 Tessalonicesi potrebbe confermare questa lettura, poiché il termine Ioudaioi significa sia "ebrei" che, più strettamente, "giudei". Tuttavia, parlare di "giudei" implica gli ebrei, lo stesso che parlare di "residenti di Città del Vaticano" implica cattolici o "studenti della Facoltà valdese di teologia" implica "protestanti valdesi". Forse non tutti i giudei seguivano il rituale ebraico o la fede ebraica o si identificavano con l'"Ebraismo", comunque definito, ma la maggioranza lo seguivano e si identificavano. Paolo parla di giudei, non di italiani, aleutini o maori. A questo punto possiamo ricordare la descrizione della scena della Pentecoste da parte di Luca, scena in cui erano presenti "Giudei (Ioudaioi) osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo... Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell'Asia,... Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi" (Atti 2:5, 9-11). I cristiani tessalonicesi che sentivano le parole di Paolo non avrebbero ristretto la loro comprensione del linguaggio paolino ad una popolazione determinata geograficamente, ma l'avrebbero inteso come un riferimento a tutti coloro che si identificavano con lo stile di vita ebraico.[10]

Un altro approccio considera 1 Tessalonicesi 2:14-16 un'interpolazione, un passo non scritto da Paolo, ma inserito nella Lettera dopo la morte dell'apostolo. Nell'antichità, questo non era un fenomeno raro: il passo della "donna sorpresa in adulterio", famoso per il commento di Gesù "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra" fu inserita nel Vangelo di Giovanni (7:53-8:11) dopo la sua prima pubblicazione. Aggiunti più tardi furono gli ultimi versi del Vangelo di Marco (16:9-20), che descrivono le apparizioni di Gesù risorto. Le prime versioni del Vangelo marchiano finiscono con tre donne spaventate che scappano dalla tomba vuota. I biblisti che adottano la "teoria dell'interpolazione" riguardo a 1 Tessalonicesi asseriscono che l'"ira" di Dio si riferisca alla distruzione del Tempio di Gerusalemme nell'anno 70. Alcuni redattori, reputando la devastazione di Gerusalemme quale giusta punizione degli ebrei, che non solo rifiutarono ma anche uccisero Gesù, riscrissero la Lettera aggiungendovi alcune righe specifiche. L'argomento ha dei meriti, poiché 1 Tessalonicesi 2:14-16 può facilmente essere asportata senza spezzare il flusso narrativo. Inoltre, si potrebbe sostenere che le parole offensive sono incompatibili con la visione propria di Paolo, dato che altrove (per es. Rom 9-11) Paolo fa commenti positivi sugli ebrei.[10]

Pertanto, sostiene l'argomento, Paolo in verità non affermò che gli ebrei uccisero Gesù e quindi non promosse l'idea che Dio li punì per questa ingiustizia. L'argomento è alquanto utilitaristico, poiché permette che il passo sia completamente respinto o ignorato. Lo stesso argomento dell'interpolazione viene usato per 1 Corinzi 14:33-36, la dichiarazione di Paolo che le donne non debbano insegnare nelle chiese. Il verso è facilmente rimosso senza alterare il flusso narrativo, ed è una contraddizione delle asserzioni paoline circa le donne che profetizzano (1 Cor 7) e che officiano come diaconesse e apostole (Rm 16), come anche la sua dichiarazione che "non c'è più uomo né donna in Cristo Gesù" (Gal 3:28). Si giunge quindi alla conclusione, per entrambi i passi, che un redattore successivo li abbia aggiunti. Poiché Paolo non li disse, i cristiani d'oggi non hanno bisogno di seguirli.[10]

In entrambi i casi la treoria dell'interpolazione potrebbe scagionare Paolo, ma non riesce ad assolvere i testi, dall'antiebraismo e dal sessismo rispettivamente. Il fatto che gli studiosi cerchino di negare la paternità paolina di questi testi, implica che li si trovino offensivi. Né il dinniego della paternità paolina assiste coloro che sostengono l'autorità biblica, poiché il canone della chiesa si basa su secoli di tradizione e non sull'opinione biblistica d'oggi. Alla fine, l'argomento dell'interpolazione poggia più sull'ideologia che sull'evidenza testuale: suppone sia che Paolo non avrebbe fatto dichiarazioni che oggi potremmo trovare offensive, sia che qualsiasi contraddizione possibile debba essere risolta. In effetti, rimuove da Paolo la possibilità che egli possa aver cambiato parere o, più pastoralmente, che abbia adattato la propria retorica ai bisogni delle sue congregazioni. L'argomento sarebbe più forte se avesse un qualche supporto attuale da manoscritti, come succede per le osservazioni in merito alla storia della "donna adultera" e la fine del vangelo marchiano, ma non ci sono manoscritti che evidenzino il fatto che le parole problematiche di 1 Tessalonicesi 2 sono redazioni susseguenti; nessuna copia della Lettera manca dei succitati versi o li sposta in un altro contesto.[10][8]

Altrettanto possibile è che Paolo abbia dettato 1 Tessalonicesi 2 (e 1 Corinzi 14) esattamente come appare nella Bibbie d'oggi. Esprime la sua visione apocalittica nella quale l'umanità è divisa tra persone con la fede giusta e persone che sono dannate. Paolo, credendo di aver ricevuto una commissione diretta da Gesù il Cristo, fu tanto zelante col vangelo quanto lo aveva precedentemente opposto. L'apostolo che, secondo le proprie parole, "perseguitava fieramente la Chiesa di Dio e la devastava" (Gal 1:13) non era certo restio dall'usare parole forti, specialmente quando scriveva con lo scopo di salvaguardare il proprio gregge dalla disperazione o dall'eresia. Come osserva il biblista Ben Witherington:

« La conversione cambiò Paolo radicalmente, come dimostra una corretta lettura di Galati 1-2, 1 Corinzi 9 e Filippesi 3:4-11. Asserire che psicologicamente egli sarebbe stato incapace di una polemica di tale sorta contro gli ebrei che erano coinvolti sia nel processo che portò all'esecuzione di Gesù o alla più recente persecuzione dei cristiani in Giudea, è ignorare l'evidenza delle polemiche di molti convertiti al Cristianesimo dall'Ebraismo nel corso degli ultimi duemila anni. »
(Ben Witherington III, Commentary on 1 and 2 Thessalonians, cit.)

L'"ira" a cui si riferisce Paolo potrebbe non limitarsi alla distruzione di Gerusalemme da parte dei romani, non più di quanto una dichiarazione sull'ira divina contro l'Italia debba limitarsi ad un particolare disastro, che sia il terremoto dell'Irpinia, o una qualsiasi delle alluvioni, smottamenti, eruzioni vulcaniche o maremoti che abbiano devastato parti della nazione. Parlando ai Tessalonicesi della Giudea, Paolo potrebbe essersi riferito ad un qualsiasi avvenimento, da un terremoto o tempesta o carestia, all'ultimo danno economico inflitto dalle politiche di Roma. Forse si riferiva al governatorato di Ventidio Cumano, Procuratore romano particolarmente brutale in forza nella Giudea dal 48 al 52. Secondo Flavio Giuseppe (Guerra giudaica 2.224-227; Antichità giudaiche 20.105-112) Cumano organizzò il massacro di migliaia di ebrei nel 49 o 50 durante la festività di Pesach.[10]

Quanto alla presunta distinzione di tone tra 1 Tessalonicesi e Romani, Paolo si potrebbe essere addolcito. Oppure, scrivendo lettere ad hoc dirette a circostanze particolari in tempi particolari, Paolo potrebbe aver voluto dimostrare solidarietà coi gentili tessalonicesi e quindi si divorziava retoricamente da "gli ebrei". In Romani, Paolo riconfigura la propria enfasi secondo le necessità di quella chiesa e accentua la sua solidarietà con gli ebrei. Se le parole di 1 Tessalonicesi 2:14-16 siano o meno "antiebraiche" rimarrà una questione dibattuta. La ricerca storico-critica non riesce a risolverla. Tuttavia fintanto che gli studiosi continueranno a sostenere che il passo è un'interpolazione, basandosi soltanto sull'idea che i versi sono "incompatibili" con le "più gradevoli" vedute p[aoline, l'opinione che sia antiebraica ottiene credibilità. Anche se Paolo non avesse "inteso" con 1 Tessalonicesi 2:14-16 trasmettere un'impressione antiebraica, come che sia definito l'"antiebraismo", ciò nondimeno il pubblico gentile tessalonicese, e gli studiosi odierni che sono propensi a negare la paternità di Paolo circa questo passo, ricevettero (e ricevono) un'impressione antiebraica. Ciò che uno intende e ciò che l'altro sente non sono necessariamente la stessa cosa.[10][8]

Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli

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Matteo, seguendo una precedente versione della storia di Gesù davanti a Pilato nel Vangelo di Marco, riporta una costumanza romana di liberare un prigioniero alla folla durante le festività pasquali. Ponzio Pilato, governatore romano, piazza davanti alla popolazione di Gerusalemme due uomini, ciascuno di nome Gesù. Il primo, Gesù Barabba (letteralmente, "Gesù figlio del padre") è un sovversivo;[11] il secondo è Gesù di Nazaret, il Figlio del Padre. La folla strepita a favore di Barabba. Pilato, non trovando prove che Gesù di Nazaret sia colpevole di un qualche crimine, chiede alla folla, "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?" e la folla risponde, "Sia crocifisso!" Pilato domanda, "Ma che male ha fatto?" La folla grida nuovamente, "Sia crocifisso!" (27:22-23).

Matteo continua: "Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!»" Poi arriva il verso fatidico, 27:25: "E tutto il popolo (gr. pas ho laos) rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»" Da questa frase generazioni di cristiani per centinaia d'anni hanno concluso che tutti gli ebrei per sempre, e non solo quelli presenti quel fatidico giorno, ebbero una responsabilità speciale per la morte di Gesù. La colpa è ereditata; è una macchia sull'identità ebraica; tutti gli ebrei sono "uccisori di Cristo".[12]

Da una prospettiva storica, l'intera scena descritta da Matteo 27 è sospetta. Primo, la tradizione di questa amnistia concessa a Pasqua non viene registrata da nessuna parte, eccetto che nei Vangeli. Sebbene Roma fosse spietata, non era stupida. Liberare un sovversivo politico, specialmente durante la festa di Pesach che celebrava la liberazione degli ebrei dal dominio oppressivo e schiavista dell'Egitto, sarebbe stata pura follia. Secondo, Matteo presenta Pilato più come una debole pedina manipolata dal sommo sacerdote e dalla folla, che come un governatore risoluto noto da altre fonti per aver provocato deliberatamente gli animi dei suoi subordinati ebrei. Sebbene dubbio storicamente, il resoconto di Matteo è pur sempre profondo in quanto incapsula una parte centrale della visione teologica cristiana: Gesù di Nazaret, innocente Figlio del Padre, va alla croce e quindi libera dalla morte Gesù Barabba, un rappresentante del genere umano palesemente colpevole. I colpevoli sono liberati dal sacrificio del Cristo.[13]

Che "tutto il popolo" di Gerusalemme abbia gridato "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" è anche storicamente alquanto dubbio. Come l'incidente di Barabba, tuttavia, raggiunge lo scopo di Matteo. Come nel precedente capitolo 2, Matteo aveva allineato Gerusalemme con coloro che opponevano Gesù. "Erode" e "tutta Gerusalemme" (2:3) sono sconcertati al sentire che il Messia è nato a Betlemme, ed il piano di Erode è di uccidere il bambino. Il Gesù di Matteo identifica Gerusalemme come la città che uccide i profeti e lapida coloro che vi sono inviati (23:37). Il Primo Vangelo prepara la scena persino per la "missione universale" (Mt 28:16–20), in cui il Gesù risorto comanda ai suoi rimanenti undici discepoli "andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo," su un monte in Galilea piuttosto che nella città di Gerusalemme dove, secondo Luca, Giovanni e Paolo, la prima chiesa si era radunata. Pertanto, data la continua polemica di Matteo contro Gerusalemme, "tutto il popolo" che reclama il sangue di Gesù potrebbe benissimo significare "tutto il popolo di Gerusalemme". Il riferimento ai propri figli si adatta a questa interpretazione, poiché i figli di quella folla gerosolimitana sarebbero stati testimoni oculari della distruzione della città nell'anno 70. Matteo affibbia tale distruzione al rifiuto di ricevere Gesù come Messia da parte di Gerusalemme stessa.[13]

In questa discussione, la ricerca storica riesce in qualche modo a convincere che Matteo 27:25 non condanni tutti gli ebrei come cristicidi. Alcune altre spiegazioni del versetto, sebbene forse meno convincenti da una prospettiva storica, offrono un fondamento teologico che alcuni lettori potrebbero trovare soddisfacente. Una popolare proposta discolpatrice, di sensibilità teologica ma senza supporto matteano, identifica "tutto il popolo" non con gli ebrei, ma con tutta l'umanità. Quando i cristiani sentono la frase "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli", devono considerarsi responsabili della crocifissione di Gesù; egli viene ucciso non da "gli ebrei" ma a causa dei peccati umani e in conformità con la volontà di Dio. Le chiese che recitano la frase durante la Settimana Santa comprendono tale significato.[12][13]

Infine, un terzo approccio inteso a rimuovere il potenziale antiebraico del versetto implica che "tutto il popolo" che vuole la morte di Gesù ironicamente è testimone se non addirittura recettore del sangue purificatore di Gesù per se stesso e per i propri discendenti. Pertanto il "grido del sangue" è cosa buona. La tesi trasforma tutti gli ebrei in "criptocristiani" che desiderano partecipare al sacrificio di Gesù. Questa spiegazione potrebbe risolvere, per alcuni lettori, l'attribuzione agli ebrei dell'etichetta di cristicidi, ma crea l'ulteriore problema di rendere gli ebrei potenziali cristiani e quindi cancellare l'identità ebraica.[12]

Quale che sia l'interpretazione di quella frase fatidica, la storia dell'interpretazione data dalla chiesa non può essere ignorata. Solo nel ventesimo secolo la visione degli ebrei come "uccisori di Cristo" è cominciata a svanire. Nell'ambito della tradizione cattolica, questo insegnamento di colpa permanente ereditata fu rigettata nel 1965 con la promulgazione di Nostra Aetate. Il documento dichiara:

« Anche se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (cfr. Giovanni 19:6), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.
E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo. »
(Nostra Aetate 4)

Il cambiamento dell'atteggiamento cattolico è straordinario. I bambini cattolici, a partire dal Concilio Vaticano II, non vengono più cresciuti pensando agli ebrei come "uccisori di Cristo". Ciononostante, teologia e storia, insegnamento e pratica, non sempre marciano mano nella mano. L'insegnamento di disprezzo continua ancora, fatto che è in parte la ragione per cui il Vaticano continua a promulgare orientamenti e consigli sul come presentare gli ebrei e l'Ebraismo.[14] Le chiese protestanti principali sono d'accordo con la dichiarazione vaticana; la maggior parte ha emesso comunicazioni ufficiali che dichiarano l'antisemitismo un peccato e che "gli ebrei" non devono essere incolpati della morte di Gesù. Tale insegnamento sembra aver successo. Negli Stati Uniti, sondaggi dimostrano che il numero di americani ancora convinti della colpa ebraica nel ventesimo secolo si aggirano tra il 2 e l'8 percento. Nella fede islamica, gruppi che negano la morte di Gesù in croce, affermano tuttavia e paradossalmente che gli ebrei ne sono colpevoli. Il Qur`an asserisce:

« In seguito [gli ebrei] ruppero il patto, negarono i segni di Allah, uccisero ingiustamente i Profeti e dissero: "I nostri cuori sono coperti"; no! È Allah invece che ha sigillato i loro cuori per la loro miscredenza e, a parte pochi, essi non credono, [li abbiamo maledetti] per via della loro miscredenza e perché dissero contro Marium [Maria] calunnia immensa, e dissero: "Abbiamo ucciso il Messia, Isa figlio di Marium, il Messaggero di Allah!" Invece non l'hanno né ucciso né crocifisso, ma così parve loro (come Isa). Coloro che sono in discordia a questo proposito, restano nel dubbio: non hanno altra scienza e non seguono altro che la congettura. Per certo non lo hanno ucciso. »
(4:155-157)

Secondo questo insegnamento, gli ebrei si vantano di aver ucciso Gesù, ma in realtà non lo hanno ucciso. Sono condannati per qualcosa che non hanno fatto, e la condanna è, ancora una volta, colpa loro.[12]

In merito a Matteo 27:25, se uno debba o meno accettare queste affermazioni teologiche e/o storiche diventa una questione di interpretazione. Di nuovo, il problema se il Nuovo Testamento sia antiebraico finisce per essere una valutazione personale degli argomenti, e quindi si conclude con uno stallo.[12]

Voi siete dal diavolo, che è vostro padre

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Il Vangelo di Giovanni, dove il termine Ioudaios ("giudeo") appare approssimativamente settanta volte (approssimazione dovuta a variazioni di manoscritto), ha ricevuto la più intensa attenzione da studiosi preoccupati per il potenziale antiebraico dei testi neotestamentari. Ad epitomizzare il problema del Quarto Vangelo si trova il Capitolo 8, dove Gesù dice agli ebrei "che credevano in lui", "Voi siete dal diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro" (v. 44). Questa è l'origine della visione, popolare durante il Medioevo e riscontrata ancor oggi tra gente di buona volontà, che gli ebrei sono letteralmente "figli del diavolo", con tanto di zoccoli, corna e coda biforcuta. La statua di Michelangelo che raffigura Mosè, cornuta non a causa di Giovanni 8 ma a causa della traduzione latina di Esodo 34:29-35 che descrive "raggi di luce" (lat. cornuta) sul viso di Mosè, serve a confermare gli accessori craniali nella fantasia popolare.

Per alcuni lettori, chiamare gli ebrei "figli del diavolo" è prova sufficiente per l'etichetta "antiebraica". Altri negano esplicitamente l'accusa di antiebraismo. Una volta ancora, la Pontificia Commissione Biblica fornisce un buon esempio, spiegando che la polemica giovannea "non è fatta contro gli ebrei in quanto ebrei, ma al contrario, in quanto non veri ebrei, poiché nutrono intenzioni omicide." La distinzione tra "ebrei" e "veri ebrei" in alcuni casi può essere utile. Si potrebbe per esempio affermare che i "cristiani" che parteciparono in azioni naziste non furono "veri cristiani". Tuttavia, il Gesù giovanneo sta parlando degli "ebrei che avevano creduto in lui" (8:31). Questi non sono coloro che, almeno nel capitolo 8, nutrivano intenzioni omicide. Se gli ebrei che credono in Gesù sono figli di Satana, allora non c'è speranza di una opinione positiva per quegli ebrei che non credono in lui, specialmente data la tendenza di Giovanni a dividere il mondo tra quelli che seguono Gesù e quelli che non lo seguono.[12][13]

Altri sostengono, come per 1 Tessalonicesi 2:14-16, che Giovanni stia parlando di giudei e sottolineando un problema geopolitico o etnico, e non uno di fede e pratiche ebraiche. È vero che, mentre i giudei sono ebrei, non tutti gli ebrei sono giudei; alcuni ebrei sono della Galilea, di Tarso, o di Cirene. Tuttavia, come si è visto per la discussione di 1 Tessalonicesi 2, questa è una distinzione senza differenza per le congregazioni. Qualsiasi persona della chiesa di Giovanni che avesse sentito il termine Ioudaioi nel Vangelo l'avrebbe associato con coloro che si affiliano alla sinagoga ebraica, osservano il sabato ebraico, e comunque affermano di essere gli eredi di Abramo. Similmente fallisce l'argomento che Giovanni stia in realtà parlando dei "capi" ebrei piuttosto che del popolo ebreo. Questa interpretazione oggigiorno appare frequentemente nelle letture liturgiche dove, per non inculcare vedute antiebraiche, i pastori ed i preti parlano di come i "capi ebrei" piuttosto che "gli ebrei" vollero la morte di Gesù. La generosa traduzione ha buone intenzioni ed aiuta a prevenire un'impressione antiebraica, finché la congregazione non si mette a pensare troppo attentamente a tale interpretazione. Tuttavia, poiché la vasta maggioranza degli ebrei scelsero di seguire questi capi, e non Gesù, Pietro, Giacomo, o Paolo, la lettura di "capi ebrei" alla fine offre un'altra distinzione senza differenza.[15]

Più comune nelle analisi specialistiche è l'asserzione che Giovanni, scrivendo verso la fine del primo secolo, si rivolgesse ad un gruppo che era stato espulso dalla sinagoga. Scacciato dalla propria comunità, usò un linguaggio comprensibilmente reazionario. Il Vangelo di Giovanni potrebbe rappresentare i pensieri di coloro che erano stati scomunicati. Giovanni per tre volte usa, nei capitoli 9 - 12 e 16, l'espressione aposynagogos — parola, unica nel Nuovo Testamento, che letteralmente significa "dissinagogato" — per descrivere il fato di affiliati sinagogali che scelsero di seguire Gesù. Per esempio, dopo che Gesù guarisce un uomo nato cieco, "gli ebrei" che "non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista" chiamarono i genitori per chiedere informazioni sulle condizioni del figlio. I genitori consigliano agli ebrei di chiederlo direttamente all'uomo, "perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo [Gesù] avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga" (Gv 9:18-22). Tuttavia, l'argomento che per questo il linguaggio giovanneo non possa essere considerato "antiebraico" tende a basarsi più su un'apologia cristiana che su evidenza storica.[15]

Per esempio, l'attribuzione ottimistica di questo Vangelo ad un autore ebreo e ad un pubblico formato da messianisti ebrei viene potenzialmente smentito dal meteriale evangelico stesso. Giovanni menziona sia una ben riuscita missione samaritana (Cap. 4) e nota come i "Greci" siano interessati ad incontrare Gesù (12:20-21). Pertanto, Giovanni poteva benissimo avere Samaritani e gentili nel suo pubblico, e questi congreganti potevano benissimo aver concluso, sentendo le letture del Vangelo, che qualsiasi "ebreo", chiunque fosse affiliato alla sinagoga locale o altrove nell'Impero, fosse figlio del diavolo.[12][13]

Qualsiasi argomento basato sull'identità dello scrittore evangelico o sulla composizione del pubblico originaler rimane speculativa, poiché sia chi scrisse i Vangeli e dove i Vangeli furono scritti rimano ignoto. Non abbiamo manoscritti originali di mano degli Evangelisti, ed i nomi "Matteo", "Marco", "Luca" e "Giovanni" furono assegnati ai testi originali anonimi che abbiamo attualmente. I Vangeli stessi non identificano mai i propri autori. Di conseguenza, la determinazione di autore e pubblico deve essere fatta sulla base del contenuto testuale. Il problema posto agli storici da tale determinazione è evidente, sebbene spesso non venga riconosciuto. Negli studi neotestamentari, la ricerca segue un elegante argomento circolare: determina il pubblico in base al testo, e poi determina il significato del testo sulla base del pubblico. Questo procedimento non significa che la ricerca sia sciatta o inesatta; significa che qualsiasi conclusione basata sull'identità dell'autore e del pubblico, incluse le conclusioni sull'antiebraismo, rimangono incerte.[15][12]

Anche se uno accetta che l'autore del Quarto Vangelo sia un ebreo che scrive principalmente per gli ebrei, che potrebbe in verità essere una tesi praticabile, l'argomento che quindi il Vangelo non possa essere antiebraico vacilla comunque. Gli studiosi concludono che la polemica giovannea, ostile che sia, debba essere considerata una lotta interna. Pertanto il Vangelo non può essere antiebraico, come per esempio la condanna di un mormone da parte di un altro mormone non può essere vista come "antimormone". Inoltre, dato che la retorica di Giovanni scaturisce da una lotta interna, i suoi effetti furono provocati dagli ebrei stessi, che iniziarono l'intero pasticcio in primo luogo, essendo intolleranti ed espellendo i seguaci di Gesù. Tale argomento sposta quindi nettamente la responsabilità di una retorica apparentemente antiebraica via da Giovanni e verso gli ebrei stessi. I lettori cristiani non si devono perciò preoccupare della retorica giovannea — non fu mai "antiebraica". Purtroppo però questo approccio è un po' troppo ottimistico. Gli ebrei possono adottare ciò che altri ebrei, e anche non ebrei, riterrebbero una posizione "antiebraica". Oggigiorno, per esempio, quegli ebrei che si pronunciano a favore della popolazione palestinese, e che non hanno nulla di positivo da dire circa lo Stato di Israele, sono spesso considerati da altri ebrei, e non ebrei, come antiebrei o "ebrei autolesionisti". Alcuni veterani statunitensi che hanno contestato la guerra in Iraq vengono etichettati "antiamericani" da show televisivi e telegiornali. Essere parte del gruppo non preclude dall'esser visti come ostili al gruppo.[12]

L'argomento che il linguaggio di Giovanni sia reazionario è un po' più complicato e richiede diverse fasi. In primo luogo, il linguaggio del Quarto Vangelo in merito a aposynagogos è spesso reputato che indichi un programma esteso a tutto il Mediterraneo nel quale gli ebrei scomunicavano i cristiani. Secondo, viene inteso anche in relazione al cosiddetto Concilio di Jamnia, un sinodo che apparentemente avvenne verso il 90 d.C. nel quale gli ebrei, ancora sconvolti dalla distruzione del Tempio, cercarono di ricostituirsi come movimento guidato dai Farisei, basato nella sinagoga e definito dalla Halakhah, cioè dall'interpretazione ebraica della Legge biblica. Terzo, gli studiosi inoltre associano questo Concilio con l'invenzione e promulgazione di una preghiera chiamata Birkhat ha-Minim (ברכת המינים), la "Benedizione Contro gli Eretici". Il termine minim si riferisce agli eretici o, meglio, a membri di correnti opposte alla visione rabbinica.[16] Quarto, questo brano, inserito nella più lunga preghiera liturgica nota con vari titoli (Sh`mona Esreh, Amidah o semplicemente Tefilla), viene considerato come una maledizione contro i cristiani.[17] Due versioni della benedizione, risalenti approssimativamente al decimo secolo e rinvenute nella Geniza del Cairo (un attico della relativa sinagoga dove venivano conservati oggetti sacri logori), fanno distinzione tra apostati, eretici e cristiani.[18][19][20][21][22] La prima dice:

« Per gli apostati (meshummadim) non c'è speranza [a meno che non ritornino alla Legge]; ed il regno dell'arroganza Tu [Signore] sradica dai nostri giorni; e possano gli ha-Notserim [Nazareni, o Cristiani] ed i minim [eretici] perire all'istante. [Possano essere cancellati dal Libro della Vita.] E che non siano iscritti insieme ai giusti. Benedetto sei Tu, O Signore, che umilii gli arroganti. »

La seconda parimenti invoca l'eridicazione dei Notserim e dei minim.[17]

Infine, il Concilio e la preghiera sono entrambi connessi con l'evidenza che nel secondo secolo e successivamente ci possano essere state maledizioni dei cristiani nelle sinagoghe. Giustino Martire, scrivendo da Roma nel 160, parla di ebrei che "maledicono nelle [loro] sinagoghe coloro che credono nel Cristo."[23] Epifanio (375 ca.) parla di ebrei che invocano "Maledici i Nazorai, O Dio!" nelle sinagoghe.[24] Girolamo (410 ca.) similmente asserisce che "per tre volte ogni giorno in tutte le sinagoghe" gli ebrei "maledicono" i "Nazareni".[25]

Pare logico, dato lo scenario — un sinodo che proclama una preghiera per maledire i cristiani e in piùù l'accettazione universale ebraica di tale preghiera — che Giovanni abbia avuto buone ragioni per usare un linguaggio polemico. Il problema è che l'intero agomento è totalmente viziato. Primo, non esiste prova per esempio che gli ebrei in ntutto l'Impero stessero espellendo i cristiani dalle proprie sinagoghe nel primo secolo. Paolo indica che quegli ebrei che accettavano Gesù non erano scacciati dalle sinagoghe; al contrario, erano portati dentro e picchiati. Fino al quarto secolo, i padri della chiesa stavano ancora lamentandosi di come gli ebrei accettassero membri delle loro chiese nelle proprie sinagoghe. Il povero Giovanni Crisostomo ( 349-407 ca.) dovette convincere i suoi congreganti di Antiochia, che continuavano a frequentare le funzioni liturgiche degli ebrei, che la sinagoga era un luogo di Satana. Inoltre, anche se il resoconto di Giovanni fosse una descrizione accurata di una pratica locale, non c'è ragione di pensare che gli ebrei dell'Impero stessero espellendo i messianisti. Il Vangelo di Giovanni non è rappresentativo di tutte le pratiche e credenze cristiane del I secolo, come infatti indica un veloce paragone dei vangeli sinottici; è ancor meno un riassunto delle usanze ebraiche.[19]

Quanto al cosiddetto Concilio di Jamnia, questo sembra essere più una fantasia storica, già iniziata dai rabbini, che un fatto storico. Né si riesce a datare solidamente una qualsiasi "benedizione contro eretici" a quel tempo. La Birkhat ha-Minim fa la sua prima apparizione non nella Mishnah (200 ca.) ma nella Tosefta (Berakhot 3:25), testo leggermente più tardo, e come osserva lo studioso Daniel Boyarin, "il testo stesso indica che il birkhat hamminim è di origine recente."[26] Inoltre, in questa versione più antica, quelli che sono "maledetti" includono i Farisei insieme ai minim! Il resoconto del Talmud babilonese (Berakhot 28b-29a) in merito alla composizione di questa "benedizione contro gli eretici" risale non al primo ma al quarto o persino al quinto secolo. Non solo manca di qualsiasi riferimento alla scomunica formale (e quindi non può essere direttamente applicata al Vangelo di Giovanni), ma ha fama di leggenda e non di storia. L'aneddoto dice quanto segue: "Disse Rabban Gamliel ai Saggi: «Può qualcuno di voi comporre una benedizione che riguardi i minim?» Samuel ha-Katan [Sam il Corto, Sam il Minore] si alzò e la compose. L'anno successivo se la dimenticò e cercò per due o tre ore di ricordarsela, e non lo rimossero [da conduttore del servizio liturgico]." Boyarin nota che una storia simile viene raccontata nel Talmud palestinese (Berakhot 9c) riguardo a questo stesso rabbino che si dimentica una preghiera, ma il testo non rende chiaro che la preghiera sia la Benedizione Contro gli Eretici. Come conclude Boyarin: "Il termine stesso minim viene attestato solo dalla Mishnah alla fine del secondo secolo... Né Flavio Giuseppe né Filone paiono aver idee di eresia."[27] Pertanto, la Benedizione Contro gli Eretici non può stare alla base del linguaggio di aposynagogos del Vangelo di Giovanni.[12]

Per concludere, occorre rassicurare i lettori d'oggi che gli ebrei non stanno ancora maledicendo i cristiani nelle sinagoghe.[28] La Amidah, preghiera più lunga in cui questa benedizione era stata posta, viene tuttora recitata in sinagoga, ma non contiene riferimenti a Nazareni o cristiani. Il testo attuale della benedizione è il seguente:

« Per i calunniatori e per gli eretici non ci sia speranza, e tutti in un istante periscano; tutti i Tuoi nemici prontamente siano distrutti, e Tu umiliali prontamente, ai nostri giorni. Benedetto Tu, O Signore, che spezzi i nemici e pieghi i superbi. »

Nonostante questa carenza di prove che in tutto l'Impero ci fosse veramente un'espulsione dei cristiani dalle sinagoghe o che gli ebrei stessero maledicendo i cristiani negli anni 90 usando una preghiera standard, un certo numero di biblisti rimangono convinti che la Birkhat sia alla base della retorica giovannea. La Pontificia Commissione Biblica arriva persino a ipotizzare che gli ebrei non solo stessero espellendo i seguaci di Cristo ma anche li uccidessero:[29] "Ma non si può seriamente mettere in dubbio che a partire da date diverse a secondo dei luoghi, le sinagoghe locali non abbiano più tollerato la presenza dei cristiani facendo loro subire vessazioni che potevano arrivare fino alla messa a morte (Gv 16, 2)."[30] Il quadro presentato da questa descrizione è quello di perfidi ebrei che perseguitano innocenti cristiani che amano Dio, amano il prossimo, e adorano il Cristo. Anche qui i dubbi abbondano.[20]

Circa la questione dell'espulsione raccontata dal Vangelo di Giovanni, la critica storica spesso si impappina. Pochi si chiedono il perché avvenga tale espulsione. Cosa è che tanto disturbava i membri delle sinagoghe quando uno accettava Gesù? Le possibilità sono simili a quelle che inizialmente potevano aver spinto Paolo a perseguitare la chiesa. Forse che i seguaci del Cristo cercavano di rimpiazzare la Torah con Gesù quale fulcro di adorazione? Certamente ciò avrebbe provocato l'espulsione anche da una sinagoga odierna. Nella letteratura apologetica cristiana, quando la sinagoga insiste sulla propria integrità nel determinare i parametri di pratica e teologia, viene vista come recalcitrante ed intollerante; quando la chiesa lotta per le stesse cose, come l'eliminazione di pratiche distintamente ebraiche (e quindi di identità culturale) viene vista come aperta ed eroica. Ma cum'è 'stu fattu?

O forse incoraggiavano i "timorati di Dio" ad unirsi al loro movimento e abbandonare la sinagoga? Questo non solo avrebbe adirato la congregazione (razziare membri non è mai gradito); avrebbe messo a rischio la protezione che i gentili sostenitori concedevano agli ebrei nel mondo pagano. O forse asserivano che chiunque non seguisse Gesù è un figlio di Satana? Di nuovo, cosa non gradita anche oggi. O forse interrompevano le funzioni liturgiche con manifestazioni estatiche, come la glossolalia, la danza, o cercando di provocare guarigioni miracolose? Anche le chiese attuali, che hanno sperimentato esplosioni di adorazione carismatica durante le funzioni, sanno subito riconoscere i problemi creati da tale entusiasmo spirituale. O forse avevano proclamato Gesù "re", che in un contesto diasporico per gli ebrei era un vero rischio politico?

Il rabbino e accademico americano Burton L. Visotzky afferma che forse gli ebrei temevano di essere associati coi cristiani e sottoposti alle stesse persecuzioni dei cristiani a livello locale. Ci sono midrashim che descrivono gli arresti di rabbini per sospettata simpatia e collusione coi cristiani.[31]

In altre parole, esistono molte e ottime ragioni del perché gli ebrei abbiano potuto espellere i messianisti dalle proprie sinagoghe. Pertanto, Giovanni ed i suoi seguaci potrebbero essere stati espulsi dalla sinagoga, ed il linguaggio giovanneo sugli "ebrei" potrebbe essere una retorica reazionaria. Proporre possibili ragioni per cui avvennero le espulsionio non vuol dire incolpare le vittime cristiane; piuttosto, ignorare tali ragioni è come presumere una colpa ebraica e continuare quindi la vilificazione degli ebrei creata dalla retorica giovannea. È inoltre possibile che Giovanni abbia esagerato il punto di ostilità tra sinagoga ed i seguaci di Gesù. Descrivendo la morte di Lazzaro, il narratore annuncia che "gli ebrei" vennero a confortare Maria e Marta (11:31). Forse è Giovanni, e non la sinagoga, che cerca di separare le comunità e forzare coloro che accettano Gesù a dissociarsi dagli "ebrei".[31]

Dati questi enormi problemi storici nel comprendere le cause della retorica giovannea, il pubblico al quale è diretta, ed i modi in cui tale pubblico comprende il Vangelo, la soluzione della questione di antiebraismo nel Vangelo di Giovanni specificamente, e per estensione in qualsiasi passo del Nuovo Testamento generalmente, non può essere, o almeno non può solo essere, una soluzione storica. La ricerca storica manca di quei dati necessari per risolvere la questione. La risposta al problema del potenziale antiebraismo del testo deve quindi essere una risposta teologica: i cristiani devono denunciare letture antiebraiche (comunque le si definisca) perché sono avverse alla "buona novella" di Gesù. Soltanto il teologo può pronunciare fermamente un testo neotestamentario non antiebraico.[12][31]

Più di un profeta

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Quando la discussione si sposta da versetti individuali ai Vangeli nel loro complesso, cominciano ad apparire spiegazioni aggiuntive (se uno le accetta) o scuse (se uno cerca dell'apologetica) sui passi neotestamentari potenzialmente antiebraici.[32] Alcuni studiosi concludono che il Gesù dei Vangeli debbe essere paragonato ai profeti di Israele, il cui livello di rimproveri alla popolazione era tanto alto, se non più alto, delle invettive di Gesù contro gli scrivi ed i Farisei. Altri insistono che il Nuovo Testamento sia un libro ebraico scritto da ebrei, e quindi non possa essere antiebraico. Entrambi gli argomenti hanno merito, ma nessuno dei due alla fine convince.[33]

Gesù sembra proprio un profeta. Come Geremia, predice la distruzione del Tempio (cap. 25); come Osea, vuole "l'amore e non il sacrificio" (6:6). Condanna i capi che non seguono le vie del Signore — insomma, ciò che i profeti hanno sempre fatto. Se Amos fosse stato vivo nel primo secolo, avrebbe benissimo potuto fare molti dei pronunciamenti che iniziano con "Guai a voi, scribi e farisei" (Mt 23). Tuttavia, sebbene Gesù stesso possa essere percepito quale erede del lascito di Amos e Geremia, i Vangeli lo presentano come più di un profeta. Egli è, secondo gli Evangelisti, il Figlio di Dio, che aggiunge un ulteriore elemento all'impegno profetico riguardo alla giustizia. Va ben oltre il ruolo di Isaia e di Michea, che cercano quello che in ebraico si chiama t`shuvah (תשובה), ritorno e pentimento. Gesù dei Vangeli cerca qualcosa di nuovo, specificamente, di seguirlo. È importante non solo per quello che dice, ma anche per quello che è.[33][32]

Anche il contesto narrativo disturba l'analogia profetica. Sia i profeti che i bersagli delle loro invettive si riconoscevano tutti come membri della stessa comunità; la comunità ebraica conservava le parole dei profeti e si riconosceva quale destinataria dei messaggi dei profeti. I pronunciamenti profetici sono tuttora letti nelle sinagoghe e compresi di significato per gli ebrei attuali. Ciò non è il caso delle narrazioni di Matteo o Giovanni. I Vangeli non furono scritti né conservati per la comunità ebraica; non vengono letti nelle sinagoghe. Petanto, qualsiasi valutazione del linguaggio di Gesù come non antiebraico perché somiglia ad un profeta ignora il contesto narrativo evangelico. Una volta che il contesto delle parole di Gesù viene spostato, tali parole necessariamente assumono nuove connotazioni. Il pubblico al quale Gesù parlò non è in discussione: Gesù era un ebreo che parlava ad altri ebrei, o come la mette Matteo, "alle pecore perdute della casa di Israele" (Mt 10:6; 15:24). Tuttavia, una volta che le parole di Gesù vengono poste nelle narrazioni evangeliche ed indirizzate alle chiese cristiane, i commenti enunciati agli ebrei vengono presi, dalla chiesa come anche dalla sinagoga, come commenti enunciati contro gli ebrei. Quando i lettori cristiani si identificano con Gesù e seguaci, allora Gesù insieme agli apostoli, alle donne fedeli, a Giuseppe d'Arimatea, e altre compassionevoli figure vengono viste come (proto)cristiani. Gli "ebrei" rimangono, come dice Matteo, coloro che affermano che i discepoli rubarono il corpo di Gesù o, come dice Giovanni, i "figli del diavolo".[31][13]

Libro ebraico?

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Estendendo l'interpretazione che Gesù dovrebbe essere visto come un profeta e quindi non possa essere antiebraico, è l'argomento che il Nuovo Testamento sia un libro "ebraico". Secondo numerosi libri apologetici, tutti gli autori neotestamentari sono ebrei: Paolo è ebreo; Marco e Luca sono ebrei; Matteo, Giovanni, l'autore di Ebrei, l'autore di Rivelazione, tutti ebrei. L'argomento insiste inoltre che questi autori stiano scrivendo principalmente ad ebrei o almeno a comunità che includono ebrei e gentili. Pertanto, i libri del Nuovo Testamento non possono essere antiebraici; al contrario, sono il più ebrei possibile. Questo argomento, già considerato prominentemente nella discussione della polemica (cosiddetta) antiebraica del Vangelo di Giovanni, scaturisce da una premessa ben intenzionata ma storicamente insostenibile, che equipare "Erbraismo" al rispetto per le Scritture di Israele.[19][21]

Gli studiosi affermano che i Vangeli di Matteo e Giovanni, insieme al resto del Nuovo Testamento, sono libri ebrei perché dipendono dall'Antico Testamento. Sono quindi radicati nel suolo ebraico, nutriti da giardinieri ebrei, e producenti il frutto di un messia ebreo. Ma, per continuare la metafora agricola, i Vangeli sono al meglio degli ibridi piuttosto che delle primizie naturali. Anche la chiesa gentile è innestata nella radice di Israele e nutrita da giardinieri ebrei, come Paolo e Barnaba. Le Scritture di Israele divennero le Scritture della chiesa gentile. Tuttavia la rispettiva dipendenza o la loro citazione non è affatto indicativa di una base nell'Ebraismo di quanto non sia oggigiorno indicativo di una visione "ebraica" un sermone pronunciato da un presibitero cristiano su Genesi I.[33]

La connessione che la chiesa fa tra le Scritture di Israele ed le proprie affermazioni può esser vista come "proebraica", ma può anche esser vista come se non avesse nulla a che fare con l'"Ebraismo" o come "antiebraica". Per esempio, i cristianni hanno asserito, ed alcuni ancora asseriscono, di possedere la "giusta" interpretazione dei materiali condivisi, e che la sinagoga non ha mai capito la propria Bibbia. La retorica quindi non dimostra che il Nuovo Testamento sia un libro "ebraico"; piuttosto, può facilmente essere vista come se indicasse una cooptazione di testi ebraici insieme ad un rifiuto di qualsiasi cosa specifica dell'"Ebraismo". Una delle Lettere di Paolo scritte alla chiesa gentile, 2 Corinzi, presenta una tale lettura potenzialmente antiebraica:

« Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo volto, perché i figli di Israele non vedessero la fine di ciò che era solo effimero. Ma le loro menti furono accecate; infatti fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso, alla lettura dell'Antico Testamento, perché è in Cristo che esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul loro cuore; ma quando ci sarà la conversione al Signore, quel velo sarà tolto. »
(3:12-16)

Pontificia Commissione Biblica asserisce che Paolo non parla della "totale incapacità di leggere" degli ebrei, ma "solo [di] un'inabilità di leggere alla luce di Cristo."[29] Ma Paolo potrebbe benissimo aver inteso dire ai suoi lettori cristiani che gli ebrei non capivano affatto il significato delle proprie Scritture, "fino ad oggi".[33]

L'uso dell'Antico Testamento ed una visione positiva della Torah non fanno "ebrei", come attestano vividamente quei gentili della Galazia che si mettevano in fila per essere circoncisi. Pertanto, quando gli studiosi affermano che Matteo è il "più ebreo" dei Vangeli, dovrebbero dare una controllata ai propri criteri.[34] Matteo di sicuro cita le Scritture di Israele estensivamente, asserisce che non una sola iota della Legge passerà, restringe la missione di Gesù ai soli ebrei, ed usa la circonlocuzione "regno dei cieli" piuttosto che pronunciare il nome della divinità. Tutto ciò pare proprio "ebraico". Ma "più ebreo" nel contesto dei quattro Vangeli non è la stessa cosa di "proebreo" o anche "non antiebreo". Matteo non è "più ebreo" rispetto alla Mishnah, poiché la comunità non ha conservato o canonizzato il Vangelo di Matteo.[33]

Né il Primo Vangelo assegna a se stesso il termine "ebreo". Matteo, che in tutto il Vangelo usa termini come "Farisei" e "Sadducei", "scribi" e "anziani" per descrivere i vari gruppi ebraici, improvvisamente alla fine del Vangelo usa il termine rivelatore "gli ebrei". Il contesto non è meramente il rifiuto delle affermazioni della chiesa ma una storia alternativa, e falsa dalla prospettiva matteana:

« Alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto [cioè, la risurrezione]. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo: "Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia". Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei [Ioudaioi] fino ad oggi. »
(28:11-15)

La storia non ha senso da una qualsiasi prospettiva storica. I "sommi sacerdoti ed i farisei" che, secondo Matteo (27:62), approcciano Pilato per chiedere che una guardia venga posta alla tomba, sono una combinazione alquanto strana. Matteo ha messo insieme due gruppi opposti onde poter presentare un fronte ebraico unito contro Gesù ed i suoi seguaci. Le guardie di certo non diranno al proprio comandante "Mannaggia, ci siamo addormentati"; né il comandante verrebbe a rispondere "Non preoccupatevi, ragazzi. Lo so che avete avuto un fine settimana duro qui alla tomba, e stancarsi è naturale." O le guardie sono i militari più stupidi mai esistiti, o Matteo ha creato una storia che serve a soddisfare una quantità di bisogni. Funziona come un'eziologia, una storia di origini e cause, a spiegare perché "gli ebrei" affermino che il corpo è stato rubato. Evidenzia l'ironia che, sebbene i discepoli non ricordassero la predizione di Gesù circa la propria risurrezione, se lo ricordavano i sacerdoti ed i Farisei. Vilifica "gli ebrei" (compresi di capi laici e clericali) nel rivelare che essi conoscevano la "verità" e deliberatamente cercarono di sopprimerla. La scena è una composizione di Matteo, non un resoconto di ciò che "accadde veramente".[33][32]

Per la crescente chiesa gentile e per quei membri ebrei che vi aderivano avendo abbandonato la sinagoga, "gli ebrei" sono coloro che "uccisero il Signore Gesù"; sono i suoi "traditori e assassini", come Stefano, primo martire per Gesù, li chiama: "O gente testarda... voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo" (Atti 7:51-52). I seguaci di Gesù quindi, sebbene essi stessi ebrei, per i lettori dei Vangeli vengono identificati, allora e adesso, con un altro gruppo, alternativamente chiamato "la chiesa" (ekklesia, termine usato da Matteo) o "la Via". Il contesto ha importanza. La prospettiva del lettore ha importanza pure.[33]

È quindi utile pastoralmente immaginarsi come le parole di alcuni brani neotestamentari possano apparire a persone che non sono cristiane. Per esempio, Galati 3:28 proclama: "Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna... in Cristo Gesù." Il versetto certamente porta buone nuove agli uomini gentili della Galazia, ora rassicurati che la circoncisione non è più giustificata né richiesta. Anche per gli schiavi le notizie sono buone (sebbene gli schiavi preferirebbero forse essere tutti liberi). Storicamente, potrebbe essere un avviso di Paolo che il CVristo riporta l'umanità al suo stato primario, quello di un "Adamo" unificato, androgino, prima che Eva gli venisse estratta dal fianco. Ma affermare che nel mondo ideale, o finanche nella sfera del Cristo, "non c'è più giudeo né greco" suona come una cancellazione di identità ebraica (o greca). L'universalimo cristiano comporta quindi un'obliterazione di qualsiasi cosa distintamente ebraica. Coloro che cercano di promuovere il multiculturalismo vorranno certo riformulare il linguaggio paolino per celebrare "sia l'ebreo sia il greco, sia l'uomo sia la donna, e tutti quanti, che devono essere liberi".

Impressioni antiebraiche possono emergere anche in testi che non citano nulla di specifico in merito agli ebrei. Anni fa, un rabbino americano richiese ad un'organizzazione interconfessionale se una particolare lettura neotestamentaria, suggerita da un membro di un concilio clericale locale, fosse appropriata per una funzione religiosa interconfessionale durante la Festa del Ringraziamento. Il brano era estratto dal Discorso della Montagna: " Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?" (Mt 6:25). Quando (o se) Gesù disse questo ai suoi compatrioti ebrei, non lo avrebbe percepito affatto come antiebraico. Se un predicatore cristiano legge queste righe in chiesa, non ne dovrebbe scaturire nulla di negativo circa gli ebrei. Ma quando queste stesso passo viene recitato in un raduno interconfessionale, il messaggio cambia. Se un ministro cristiano afferma, in un raduno dove gli ebrei vengono notati per ciò che indossano (il rabbino americano per esempio di certo indossava una kippa, o yarmulke o zucchetto) e ciò che mangiano (diversi partecipanti ebrei avranno di certo preso un pasto vegetariano, nel caso non ci fosse stato cibo kosher), il brano originariamente innocuo rischia di diventare antiebraico.[33]

In simile maniera, parti della liturgia sinagogale possono sambrare "anticristiane" alle orecchie di cristiani. Per esempio, la preghiera recitata prima di una lettura della Torah parla di come Dio "ci scelse tra tutte le nazioni e ci diede la Sua Torah." Il linguaggio di elezione segnala la risposta ebraica all'offerta della Torah; storie rabbiniche raccontano di come la Torah venisse offerta a tutte le altre nazioni, ma solo gli ebrei — che fosse per fedeltà religiosa o per coercizione divina — la accettarono. Gli ebrei trovano il linguaggio confortante piuttosto che esclusivista, perché la teologia ebraica afferma che tutti sono chiamati a manifestare il divino nel mondo in un modo particolare. Ma per estranmei, il linguaggio di " popolo eletto" al meglio suona elitista, se non addirittura xenofobo, e sfortunatamente in parti della corrente ebraica ortodossa queste connotazioni emergono.[19]

La Bibbia si presta ad assumere innumerevoli interpretazioni. La ricerca storico-critica può essere molto utile per eliminare alcune delle interpretazioni negative, come quelle che sorgono quando i lettori d'oggi incontrano il Discorso della Montagna o la formula paolina di unificazione esposta in Galati. Tale utilità può significare che Gesù di Nazaret forse non chiamò mai "gli ebrei" figli del diavolo; può proporre che la folla di Gerusalemme non strepitò mai formalmente chiedendo il sangue di Gesù, e può asserire che Paolo non scrisse mai che gli ebrei "hanno messo a morte il Signore Gesù e sono nemici di tutti." Ma gli argomenti storici rimangono speculativi.[19][33]

Inoltre, gli argomenti storici rischiano di essere compromessi, perché presumono che il pubblico "originale" o l'"intento originale" determinino il significato. Restringere la questione dell'antiebraismo all'autore di un testo, e ancor più, pretendere di conoscere l'intento dell'autore senza considerare il relativo pubblico, è un metodo erroneo, come qualsiasi predicatore sa. Ciò che il presbitero dice dal pulpito non è sempre ciò che la congregazione sente dai banchi. Asserire che il testo non possa assumere nuovi significati ma debba essere interpretato solo nel contesto del suo ambiente originale condanna sia la chiesa che la sinagoga, perché tale argomento preclude alla gente di scoprire i propri significati nel testo. Parlando teologicamente, una focalizzazione totalmente storica rischia di far chiudere bottega allo Spirito Santo.[33] La sola soluzione della questione dell'antiebraismo neotestamentario non può venire dagli storici. L'eliminazione di letture antiebraiche deve provenire dai teologi, da quei membri della chiesa che concludono che l'antiebraismo è sbagliato e che insistono su una sensibilità cristiana riguardo all'argomento. Il testo rimane, sia per ebrei che per cristiani, un mezzo continuativo di comunicazione tra comunità, individuo, e Dio; è una conversazione attraverso il tempo, attraverso le tradizioni religiose, attraverso le culture. L'interpretazione quindi non può mai essere statica. Se dobbiamo andare oltre alla cortesia forzata che spesso distingue la conversazione interreligiosa, e correre il rischio di impegnarsi in un dialogo onesto, allora dobbiamo costringerci a vedere attraverso gli occhi dell'altro, a sentire attraverso le orecchie dell'altro, e ad interpretare con una consapevolezza delle sensibilità reciproche. Invece di scartare subito l'asserzione che il testo sia antiebraico, potremmo piuttosto cercar di comprendere come mai i lettori che fanno questa asserzione sono giunti a tale conclusione. Invece di affermare subito che il testo è antiebraico, potremmo piuttosto chiedere a coloro che ne traggono un significato antiebraico che significato il testo abbia per loro.[33]

D'aiuto qui è la classica storia raccontata da Rebbe Moshe Leib di Sasov (1754-1807). Si narra che il rebbe annunciasse ai suoi discepoli, "Ho imparato come si debba veramente amare il prossimo da una conversazione che ho udito per caso tra due paesani":

Il primo disse: "Dimmi, amico Ivan, mi ami?"
Il secondo: "Ti amo profondamente."
Il primo: "Lo sai, amico mio, cosa mi provoca dolore?"
Il secondo: "Ma scusa, come faccio a sapere cosa ti provoca dolore?"
Il primo: "Se non sai cosa mi provoca dolore, come puoi dire che mi ami veramente?"

"Cercate quindi di comprendere, figli miei," continuò il rebbe, "che amare, amare veramente, significa conoscere ciò che provoca dolore al tuo compagno."[35]

Impegnarsi in un dialogo interconfessionale significa capire che ciò che è dogma per un partecipante è un pericolo per l'altro, che ciò che è profondo può anche essere doloroso. Ebrei e cristiani devono leggere i testi insieme. I cristiani devono riconoscere l'impatto che hanno avuto per gli ebrei i versetti problematici citati in questo capitolo e anche in altri testi. A loro volta, gli ebrei devono essere consapevoli che la maggioranza dei cristiani non leggono i testi in maniera consapevolmente antiebraica e rigettano persino qualsiasi implicazione antiebraica. Sebbene il Nuovo Testamento possa essere visto come antiebraico, non necessariamente lo deve essere. Inevitabilmente le parole hanno significati differenti per differenti lettori. Dobbiamo immaginarci come le nostre parole suonano a orecchie diverse. Lo stesso simbolo, lo stesso testo, possono avere significati alquanto divergenti, a seconda degli occhi che leggono e delle orecchie che sentono.[33]

  1. 1,0 1,1 Anna Foa, "Antisemitismo e antigiudaismo", Enciclopedia Italiana; Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 89-117.
  2. 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 2,5 2,6 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 89-117.
  3. Jacobellis v. Ohio, caso giudiziario del 1964 sull'oscenità negli USA, che dopo varie condanne e appelli arrivò fino alla Corte Suprema, dove fu prosciolto.
  4. 4,0 4,1 4,2 4,3 4,4 Donald A. Hagner, The Jewish Reclamation of Jesus. An analysis and critique of the modern Jewish study of Jesus, Zondervan, 1984/Wipf & Stock, 1997, pp. 26-52, 288-296.
  5. Shakespeare, Il mercante di Venezia, atto III, scena I.
  6. Elaine Pagels, Beyond Belief: The Secret Gospel of Thomas, Random House, 2003, passim.
  7. Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., 2006, pp. 91-93.
  8. 8,0 8,1 8,2 8,3 8,4 N.T. Wright, The New Testament and the People of God, SPCK Publishing, nuova ed. 2013, pp. 320-338 e passim; Bruce Chilton, Jacob Neusner, Judaism in the New Testament: Practices and Beliefs, Routledge, 1995, pp. 4-9, 98-128; 129-158; Terence L. Donaldson, Jews and Anti-Judaism in the New Testament: Decision Points and Divergent Interpretations, SPCK Publishing, 2010, pp. 12-29, 144-159 & passim.
  9. Amy-Jill Levine, op. cit., pp. 95-99.
  10. 10,0 10,1 10,2 10,3 10,4 10,5 Ben Witherington III, Commentary on 1 and 2 Thessalonians: A Socio-Rhetorical Commentary, Eerdmans, 2006, pp. 226-230 & passim[1].
  11. Gesù Barabba o Barabba (aramaico: בר-אבא, Yeshua Bar-abbâ, letteralmente "Yeshua, figlio del padre") era, secondo i quattro vangeli canonici, un ebreo appartenente probabilmente al partito degli zeloti, detenuto dai Romani a Gerusalemme assieme ad alcuni ribelli, negli stessi giorni della passione di Gesù. Cfr. Il Nuovo testamento di Marco M. Sales e Antonio Martini, Editore Libreria del Sacro Cuore, 1914, p. 194.
  12. 12,00 12,01 12,02 12,03 12,04 12,05 12,06 12,07 12,08 12,09 12,10 Amy-Jill Levine, "Anti-Judaism and the Gospel of Matthew", in W. Farmer (cur.), Anti-Judaism and the Gospels, Trinity Press International, 1999.
  13. 13,0 13,1 13,2 13,3 13,4 13,5 Daniel Boyarin, Dying for God: Martyrdom and the Making of Christianity and Judaism, Stanford University Press, 1999, pp. 102-130 e segg.; cfr. anche il suo Bordelines: The Partition of Judaeo-Christianity, University of Pensylvania Press, 2004, passim in questa sezione.
  14. Si vedano GUIDELINES AND SUGGESTIONS FOR IMPLEMENTING THE CONCILIAR DECLARATION "NOSTRA AETATE" (n. 4) della Commissione Vaticana per i Rapporti Religiosi con l'Ebraismo (1 dicembre 1974), continuando con Notes on the correct way to present the Jews and Judaism in preaching and catechesis in the Roman Catholic Church della stessa (24 giugno 1985), e altri numerosi documenti emessi da vescovi americani, francesi (1973, 1997), tedeschi (1980, 1988), polacchi (1991, 1995, 2000), ungheresi (1994), olandesi (1995), svizzeri (1997) e italiani (1997). Le chiese d'Asia, Africa e America Latina sono assenti dall'elenco, primariamente perché gli eventi della Shoah non occorsero nelle loro aree e anche perché non sembra percepiscano un "problema ebraico". Si veda int. al. il sito "Teaching the Shoah" e Nostra Aetate: Origins, Promulgation, Impact on Jewish-Catholic Relations, Proceedings of the International Conference, Gerusalemme, 30 ottobre-1 novembre 2005 : Saggi. (EN)
  15. 15,0 15,1 15,2 John Shelby Spong, The Fourth Gospel: Tales of a Jewish Mystic, HarperOne, 2013, pp. 31-50 e Cap. 14.
  16. Pieter Willem van der Horst, Hellenism, Judaism, Christianity: essays on their interaction, Kok Pharos, 1998, p. 113: ".. who humblest the insolent" (Palestinian recension) The 12th berakhah in the Jewish Shemoneh Esreh (Eighteen [benedictions]) is usually called the Birkat ha-minim 'the blessing of the heretics', which is a euphemism for a curse".
  17. 17,0 17,1 Yaakov Y. Teppler, Birkat haMinim: Jews and Christians in conflict in the ancient world, Mohr Siebeck, 2007, retro: "Yaakov Y. Teppler studies the identity of those Minim and lays a firm foundation for understanding the processes of separation between Judaism and Christianity in this stormy and fascinating period."
  18. James D. G. Dunn, Jews and Christians: the parting of the ways, A.D. 70 to 135, Mohr Siebeck, 1992, pp. 85-116 & passim.
  19. 19,0 19,1 19,2 19,3 19,4 Edward Kessler, An Introduction to Jewish-Christian Relations, Cambridge University Press, 2010, pp. 25-44, 65-80.
  20. 20,0 20,1 Pieter Willem van der Horst, Hellenism, Judaism, Christianity: essays on their interaction, Kok Pharos, 1998, loc. cit. & passim.
  21. 21,0 21,1 Doris Lambers-Petry, Peter J. Tomson, (curatori) The image of the Judaeo-Christians in ancient Jewish and Christian literature, Mohr Siebeck, 2003, Cap. "The War Against Rome", p. 15: "... who unearthed the conceptual background of the birkat ha-minim. In his analysis, the material of the berakha basically dates from temple times, when it was directed against such 'separatists' (perushim or porshim) as Sadducees..."
  22. William David Davies, Louis Finkelstein, Steven T. Katz (curatori), The Cambridge History of Judaism: The late Roman-Rabbinic period, Vol. 4, Cambridge University Press, 2006, pp. 291-292.
  23. Giustino Martire, Dialogo con Trifone 16.4; cfr. 96.2.
  24. Epifanio di Salamina, Panarion adversus omnes haereses 29.9.
  25. Girolamo, Commentario di Isaia 2.18.
  26. Boyarin, Borderlines, cit., p. 69; la discussione che segue si basa su questo volume, partic. pp. 68-70.
  27. Boyarin, Borderlines, cit., p. 70.
  28. Anche la chiesa cattolica aveva esempi di tali "battute", con la preghiera Oremus et pro perfidis Judaeis che dal VI secolo si è protratta fino ai nostri anni '60, quando Papa Giovanni XXIII la fece togliere dal Messale Romano — la preghiera in italiano diceva: "Preghiamo anche per i perfidi ebrei, affinché il Signore e Dio nostro tolga il velo dai loro cuori e anche essi conoscano il Signore nostro Gesù Cristo. Dio onnipotente ed eterno, che non allontani dalla tua misercordia neppure la perfidia degli ebrei, esaudisci le nostre preghiere, che ti presentiamo per l'accecamento di quel popolo, affinché, conosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano liberati dalle loro tenebre." Cfr. Claudio Rendina, La santa casta della Chiesa, Newton Compton Editori, 2013.
  29. 29,0 29,1 IL POPOLO EBRAICO E LE SUE SACRE SCRITTURE NELLA BIBBIA CRISTIANA, III.4.69.
  30. Riferimento a Giovanni 16:2, predizione futura probabilmente escatologica che dice: "Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio."
  31. 31,0 31,1 31,2 31,3 Burton L. Visotzky, "Methodological Considerations in the Study of John's Interaction with First-Century Judaism", in John R. Donahue (cur.), Life in Abundance: Studies in John's Gospel in Tribute to Raymond E> Brown, Liturgical Press, 2005. Si veda anche la discussione in Boyarin, Borderlines, cit., partic. pp. 222-225.
  32. 32,0 32,1 32,2 Amy-Jill Levine, "Anti-Judaism and the Gospel of Matthew", in W. Farmer (cur.), Anti-Judaism and the Gospels, Trinity Press International, 1999.
  33. 33,00 33,01 33,02 33,03 33,04 33,05 33,06 33,07 33,08 33,09 33,10 33,11 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, cit., pp.110-117.
  34. John S. Spong, The Fourth Gospel, cit., pp. 31-40.
  35. Martin Buber, Tales of the Hasidim, Knopf Doubleday Publishing Group, 2013, ad hoc; cfr. anche [2].