Biografie cristologiche/Premessa
Paralleli
[modifica | modifica sorgente]Gesù incontra una donna presso un pozzo e si discute di matrimonio, proprio come il servo di Abramo con Rebecca, Giacobbe e Rachele, Mosè e Zippora. Gesù è un buon pastore, proprio come Davide. Gesù si spazientisce coi sacerdoti, proprio come Amos. Gesù racconta parabole, proprio come il profeta Natan ed una quantità di rabbini le cui storie appaiono in fonti ebraiche postbibliche. Gesù risana e fa rivivere i morti; così fanno anche Elia ed Eliseo. Gesù sopravvive quando i bambini intorno a lui vengono massacrati, proprio come Mosè. Non c'è bisogno di leggere Matteo 2-7 per sapere che il bambino salvato andrà in viaggio verso l'Egitto, guaderà le acque in un'esperienza straordinaria, si confronterà con tentazioni nel deserto, salirà una montagna e produrrà commenti sulla Legge — lo schema è già fornito dallo Shemot, il Libro dell'Esodo.[1]
Neanche la croce è strana. La storia somiglia a quella delle morti dei martiri maccabei, la madre ed i suoi sette figli, che vengono celebrati alla festività di Chanukkah (2 Maccabei 7). Per rendere la connessione ancora più ravvicinata, questi martiri anticipano rivendicazione e risurrezione. Il Secondo libro dei Maccabei afferma: "Il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna" (7:9). Scritti da ebrei di lingua greca, i libri dei Maccabei furono conservati dalla chiesa; oggi si ritrovano nelle raccolte note come Scritture deuterocanoniche (designazione cattolica) o Aprocrifi dell'Antico Testamento (designazione protestante). Testi ebraici successivi riportano le storie dei Maccabei e la sinagoga continua a celebrare la festa di Chanukkah; sia chiesa che sinagoga commemorano la madre esemplare ed i suoi sette figli. L'ironia è che gli ebrei celebrano la festa di Chanukkah, ma è la chiesa che mantiene le prime testimonianze degli eventi che formano la base della festa stessa.[2]
La descrizione delle sofferenze di Gesù riecheggia i resoconti della martirologia di Yom Kippur, dei rabbini giustiziati durante la seconda rivolta contro Roma (132-135 e.v.). Anche loro si confrontarono con la potenza dell'Impero e non vacillarono nella fede. La morte degli innocenti inoltre richiama la memoria della Shoah, in cui milioni di ebrei furono sterminati dai nazisti. Gesù si lamenta anche di coloro che vogliono i posti migliori nella sinagoga — quante volte anche noi abbiamo fatto lo stesso, in chiesa, in sinagoga, al ristorante, allo stadio?[3]
Dialogo
[modifica | modifica sorgente]Immaginiamoci un ebreo che legge il Nuovo Testamento.
Il Vangelo di Matteo sembra iniziare bene: una genealogia che comprende cinque donne, Tamar, Raab, Rut, Betsabea e Maria. Niente di male. Poi avviene la nascita verginale, arrivano i re magi, la tentazione ed il Discorso della Montagna. Ma le cose cominciano a complicarsi man mano che si procede nella lettura. Versetti come quelli di Matteo 27:25 — "E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli»" — dove il popolo urla che Gesù deve essere crocifisso ed il suo sangue ricada sugli esecutori, forniscono la motivazione per marchiare tutti gli ebrei di tutti i tempi "uccisori di Cristo" e quindi volerli ammazzare.[2]
Il lettore ebreo comincia a preoccuparsi.
Il Vangelo di Giovanni, con il suo uso ripetuto della parola "giudeo", pare una litania dell'odio. I discorsi di Pietro negli Atti in merito alla responsabilità dei Giudei per la morte di Gesù (2:23; 4:10)... La dichiarazione di Paolo nella Lettera ai Romani che i Giudei sono "nemici di Dio" per vantaggio dei Gentili (11:28)... I commenti di 1 Tessalonicesi che "i Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti... e non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini" (2:15). L'elenco continua, e così anche l'angoscia dell'ebreo che legge.[4]
Ma il fatidico ebreo non deve concentrarsi solo sull'odio che traspare da queste righe. Amici cristiani lo rassicureranno che al cuore della chiesa sta la grazia e l'amicizia: Gesù era un ebreo che parlava ad altri ebrei, e il suo messaggio basilare era lo stesso identico dell'Ebraismo: "Ama il Signore Dio tuo" e "ama il prossimo tuo come te stesso". E quindi, sebbene il Nuovo Testamento possa essere letto come antiebraico, può non esser letto in tal modo.
A meno che gli ebrei non comprendano le credenze e le pratiche e le storie dei cristiani e a meno che i cristiani non comprendano gli ebrei e l'Ebraismo — mai si raggiungerà quello shalom ("pace") che tutti i figli di Abramo (inclusi i mussulmani) dichiarano di voler ottenere. La bellezza della tradizione cristiana deve essere riconosciuta, insieme al male che è stato fatto in suo nome, e ai numerosi mezzi con cui i suoi importanti messaggi di giustizia e pace possono essere rinnovati. Un dialogo interconfessionale è essenziale se si devono demolire i pregiudizi che hanno mantenuto sinagoga e chiesa in ostilità, o al meglio in tolleranza, per due millenni.[4]
Ebrei e cristiani possono, e devono, dialogare. Sebbene tutto il dialogo interconfessionale sia sempre educativo e salutare, ebrei e cristiani hanno una quantità di ragioni speciali per farlo. Si dice a volte che l'Ebraismo sia la religione madre e il Cristianesimo la figlia, ma chiesa e sinagoga sono meglio visti come prole che litiga per l'eredità dei genitori. Chi sono i veri figli di Abramo e gli eredi dei libri della Bibbia, della Legge e dei Profeti? Chi ha seguito il percorso giusto, e chi se n'è allontanato? I cristiani devono impegnarsi con gli ebrei, poiché gli ebrei sono esplicitamente citati nelle Scritture della chiesa, e quei riferimenti hanno ripercussioni rimarchevoli in tutta la storia, in gran parte cattive ripercussioni. Gli ebrei devono impegnarsi coi cristiani, non solo perché la prima storia della chiesa è anche la storia degli ebrei, ma anche perché la sinagoga e la chiesa si sono sviluppate in dialogo, e dibattito, tra di loro. La rottura tra le due tradizioni non è avvenuta alla croce o alla tomba, ma secoli dopo.[2]
Guardando al passato, dietro le guerre culturali d'oggi, dietro i campi di sterminio e le Crociate, dietro Costantino e Giuda il Principe, fino al primo secolo, ci permette di ritrovare radici comuni in Yeshua di Nazareth ed i suoi primi seguaci. Tale sforzo non rimuove i duemila anni trascorsi, ma neanche deve permettere a questi duemila anni di far abortire il dialogo. Per troppo tempo Gesù è stato il cuneo che ha tenuto separati cristiani ed ebrei — ma possiamo invece vederlo come ponte tra le due fedi. L'immagine però non intende indicare che una delle parti debba cedere la propria visione di Gesù — il ponte si estende su due terreni separati — e non significa neanche che entrambe le parti debbano sempre trovare un terreno comune su tutto. Il dialogo tra religioni non ha bisogno, né deve, finire con tutti i partecipanti che proclamano un'unità ultima di fede. Tale esercizio annacqua soltanto entrambe le tradizioni in un blando universalismo che, nel tentativo di essere inoffensivo, finisce per offendere tutti.[2]
Comprendere ed apprezzare la tradizione del nostro vicino non è la stessa cosa che accettarla. Ebrei e cristiani dissentiranno. Gli ebrei stessi dissentiranno da altri ebrei, e cristiani da altri cristiani. Il giorno in cui ebrei e cristiani saranno d'accordo su tutto, sarà il giorno in cui arriva il Messia, o ritorna. Lo scopo del dialogo interconfessionale non è quello di convertire la persona che ti sta davanti, ma non è nemmeno quello di abdicare la propria teologia per amore di accordo. In altre parole: non c'è motivo per gli ebrei e per i cristiani di sacrificare i rispettivi credi particolari sull'altare della sensibilità interconfessionale. Il passato vescovo della Svezia e decano della Harvard Divinity School Krister Stendahl parla giustamente di "invidia santa", cioè apprezzamento delle credenze e pratiche dell'altro.[4]
Vedendo Gesù come ebreo rispetto a fede e pratica, i cristiani possono sviluppare una più profonda valutazione degli insegnamenti della chiesa. Un'indagine storica farà sicuramente recuperare l'urgenza e l'ansia delle parole di Gesù, oggigiorno troppo familiari e addomesticate. Solo quando uno sente tali parole con le orecchie ebraiche del primo secolo, può comprenderne il significato originale di premura e sollecitazione. Di conseguenza, per capire l'uomo di Nazaret è necessario capire l'Ebraismo. È inoltre necessario vedere Gesù fermamente piantato nell'Ebraismo piuttosto che da esso separato, ed è essenziale che l'immagine dell'Ebraismo non venga distorta attraverso il filtro di secoli di stereotipi cristiani; un'immagine distorta dell'Ebraismo del primo secolo porta inevitabilmente ad un'immagine distorta di Gesù. Altrettanto negativo: se sbagliamo ad interpretare l'Ebraismo, finiremo per perpetuare gli insegnamenti antiebraici o antisemitici, e quindi la missione della chiesa — diffondere un vangelo d'amore piuttosto che uno di odio — verrà compromessa. Per i cristiani, questa ricerca dello sfondo storico dovrebbe avere anche conseguenze teologiche. Se uno considera l'incarnazione — cioè l'asserzione che "il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv. 1:14) — seriamente, allora uno dovrebbe considerare seriamente il tempo, il luogo e le persone tra cui questo evento avvenne.[2]
Contesto
[modifica | modifica sorgente]I cristiani otterrebbero un altro beneficio considerando Gesù nel suo contesto ebraico, poiché il riconoscimento dell'ebraicità di Gesù e del suo parlare in un idioma ebraico può ripristinare la fede nel Nuovo testamento. Approfondire un po' la cultura biblica, indagandone la storia, correggerebbe alcuni pregiudizi moderni. Per esempio, coloro che preferiscono le fantasie del Codice Da Vinci piuttosto che i fatti storici perché il romanzo sembra accrescere il ruolo delle donne nel primo Cristianesimo, scopriranno che gli studi del Gesù ebreo rivelano ruoli di primaria importanza e libertà economica per le donne di quel tempo. Inoltre, tali studi assegnano alle donne ben più scelte che il relegare Maria Maddalena al ruolo di "consorte" di Gesù. Coloro che preferiscono il Vangelo di Giuda ai Vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni perché reputano che elimini vedute antiebraiche dalle origini cristiane, farebbero invece meglio a considerare come Gesù si colloca nel suo contesto ebraico, e ciò include l'osservazione che Giuda nei Vangeli non rappresenta "i giudei".[5]
Anche gli ebrei possono imparare molto considerando Gesù nel suo contesto ebraico, poiché i testi del Nuovo Testamento preservano parte della storia ebraica. Le narrazioni relative a Gesù presentano molto della vita ebraica in Galilea e Giudea nel primo secolo, e l'unico Fariseo non contestato del quale abbiamo fonti scritte è Paolo di Tarso. Più l'ebreo studia Gesù, Maria Maddalena, Giacomo, Pietro e Paolo nei rispettivi contesti storici, più riesce ad apprezzare il proprio Ebraismo: la diversità degli insegnamenti, la ricchezza degli incontri col divino, le lotte affrontate per adattarsi al mondo romano. L'ebreo d'oggi dovrebbe trovare ispirazione nel messaggio del regno dei cieli, un messaggio che parla di un tempo a venire quando tutti i debiti saranno perdonati e coloro che hanno daranno altruisticamente e volontariamente, senza pensare a ricompensa o reciprocità, a coloro che necessitano; un tempo quando non ci si chiederà più "Chi è il mio prossimo?" ma "Chi agisce come prossimo?"; un tempo in cui daremo precedenza a servire piuttosto che essere serviti... Ma ammirare il messaggio non significa per l'ebreo adorare il messaggero. Si scopre invece che Gesù rispecchia all'ebreo la sua propria tradizione, ma in chiave nuova. C'è da esserne orgogliosi: dopotutto, Gesù era ebreo![5]
Se a livello popolare gli ebrei riconoscono — e spesso ne sono fieri — l'ebraicità di ebrei non osservanti come Sigmund Freud, Albert Einstein, i Marx (sia i fratelli comici che Karl, sebbene quest'ultimo venisse battezzato da bambino) e Woody Allen, perché non riconoscere Gesù, profondamente osservante? Tale riconoscimento non comporterebbe di certo citare i Vangeli durante un discorso di Bar mitzvah o in un d`var Torah — interpretazione della lettura biblica settimanale — sebbene accada di sentire rabbini riformati e conservatori che citano Omero, Platone, Buddha, Maometto, Gandhi, Martin Luther King Jr., il Dalai Lama e persino Madonna (non la madre di Gesù, ma la cantante fissata con la Cabala). Almeno Gesù è ebreo rispetto a famiglia, pratica e fede.[6]
Uno studio di Gesù critico e fondato storicamente, nel suo contesto ebraico, realizza ben più di fornire benefici a cristiani ed ebrei: aiuta a prevenire quell'antisemitismo che nasce quando non si conosce la storia. L'impegno di recuperare l'ebraicità di Gesù è di questi tempi particolarmente urgente. Nelle chiese ed nel mondo accademico, in dichiarazioni rilasciate da Palestinesi e ispano-americani, da donne del Benin e uomini della Corea, dal Consiglio ecumenico delle Chiese e da teologi cattolici della liberazione, l'ebraicità di Gesù è spesso cancellata.[7] Nelle chiese, mentre Gesù continua ad essere il simbolo di tutto ciò che è socialmente buono, i ministri di culto ed i laici cristiani parimenti rappresentano il suo contesto ebraico come epitome di tutto ciò che è sbagliato al mondo. Se Gesù annuncia la buona novella ai poveri, si ha l'impressione che "gli ebrei" debbano annunciare la buona novella ai ricchi. Se Gesù accoglie i peccatori, "gli ebrei" pare li abbiano scacciati. Se Gesù parla o risana le donne, "gli ebrei" pare che abbiano costituito una società patriarcale che fa sembrare progressivi i Talebani.[7]
Nel mondo accademico, certe scuole di pensiero riescono, implicitamente o esplicitamente, a tenere Gesù separato da una qualsiasi sorta di "Giudaismo". La predilezione popolare di rappresentare Gesù come galileo e vedere la Galilea distinta religiosamente ed etnicamente dalla Giudea finisce per trasmettere l'impressione che il "Giudaismo", col suo Tempio ed i suoi leader, sia alquanto diverso dal Gesù galileo. L'immagine popolare di Gesù come "rustico/campagnolo" spesso serve a non collegarlo coi suoi simili ebrei ma a distinguerlo da loro, poiché "gli ebrei" nell'immaginazione popolare rappresentano non i contadini ma i Farisei ed i Sadducei o, in termini accademici, i membri delle classi nobili ed elitarie. Peggio, l'opinione persistente che Gesù abbia destituito le pratiche ebraiche basilari, come le Leggi relative all'osservanza dello Shabbat e la purezza rituale, spoglia Gesù della sua identità ebraica e lo rende un Protestante liberale.[7]
Nella teologia della liberazione — quella forma di riflessione teologica che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano e proclama che Dio ha "un'opzione preferenziale per i poveri", cercando di mettere i pronunciamenti biblici al servizio di fini politici ed economici [8] — Gesù è il pedagogo degli oppressi, il redentore del sottoproletariato, l'eroe delle masse. Il problema non è l'uso di Gesù per fini politici; il materiale biblico è sempre stato usato (e continuerà ad esserlo) per promuovere una società più giusta. Il problema è che il linguaggio della liberazione troppo spesso devia verso declamazioni antiebraiche. Gesù diventa il martire palestinese ancora una volta crocefisso dagli ebrei; è colui che viene ucciso dal "dio patriarcale del giudaismo"; spezza le barriere che "l'Ebraismo" erige tra ebreo e gentile, tra ricco e povero, tra maschio e femmina, tra schiavo e libero e che quindi oggi può liberare tutti. L'intenzione è buona, ma la storia è terribile, e l'impressione data dell'Ebraismo è oscena.[7][5][8]
Tutto questo materiale biasimevole si origina in gran parte dal fatto che ebrei e cristiani sono disinformati sia della propria storia e sia della storia dell'altro. Il livello di analfabetismo religioso è impressionante. Ebrei e cristiani condividono una storia comune (non sempre piacevole), come due rinomati studiosi — James Carroll e David Klinghoffer — rendono abbondantemente palese nei rispettivi libri di recente pubblicazione.[2] Tuttavia, storia comune non è la stessa cosa di conoscenza comune, e purtroppo l'ignoranza che ebrei e cristiani hanno gli uni degli altri e viceversa produce risultati infelici.
Cultura e tradizione
[modifica | modifica sorgente]Un notevole numero di cristiani vede Gesù in opposizione all'Ebraismo piuttosto che suo membro. Vede l'Ebraismo come una religione di legge in opposizione alla religione di grazia proposta da Gesù; credono che gli ebrei seguano i comandamenti per ottenere un posto in paradiso; affermano che gli ebrei hanno rifiutato Gesù perché proclamava pace e amore invece di violenza contro gli invasori romani. I cristiani conoscono ancor di meno il lascito dell'Ebraismo dopo l'epoca di Gesù. Si pensa inoltre che tutti gli ebrei seguano strettamente ogni singola lettera della Torah (il Pentateuco, primi 5 libri della Bibbia), e molti cristiani si meravigliano quando vien loro detto che molti ebrei non conoscono la lingua ebraica, non seguono la dieta kosher né le leggi di purezza famigliare, come bagnarsi nella vasca mikveh. Alcuni cristiani, e persino qualche ebreo, si sorprendono a sentire che l'Ebraismo ha una lunga e robusta tradizione non solo del mondo a venire, ma anche della risurrezione dei morti. Pochi cristiani hanno mai sentito menzionare il grande rabbino Hillel, o Rabbi Akiva e Rabbi Yehudah HaNasi, per non parlare poi di Rashi, di Maimonide e del Baal Shem Tov. Che anche molti ebrei non riconoscano questi nomi rende le cose ancor più deprimenti, poiché quegli ebrei che non conoscono Yehudah HaNasi, noto anche come Giuda il Principe (responsabile della codificazione della Mishnah, uno dei primi grandi libri della Legge ebraica, ca. 200 e.v.) hanno sicuramente sentito parlare della Vergine Maria, di Sant'Agostino e di Martin Lutero.[2][5]
Se vogliamo fare del sarcasmo, numerosi cristiani pensano che tutti gli ebrei siano brillanti e ricchi (magari!); che tutti gli ebrei siano contro la costituzione di uno stato palestinese, dato che Dio ha dato la Terra di Israele agli avi israeliti (errato: convinzioni ebraiche sul Medioriente variano dall'idea di Eretz Israel all'idea di una soluzione a due stati, e addirittura al fatto che non dovrebbe esserci uno stato ebraico fino all'arrivo del Messiah); e che tutte le madri ebree sono dominatrici, nevrotiche e superprotettive (bisognerebbe chiederlo a Woody Allen). Tuttavia, questo livello di ignoranza non sorprende, poiché scarsi sono quei meccanismi che permettono a cristiani di venire informati appropriatamente riguardo a ebrei ed Ebraismo. Nonostante gli sforzi del Concilio Vaticano II e un continuo flusso di documenti prodotti dalla Chiesa cattolica e da svariate chiese protestanti, l'insegnamento cristiano dal pulpito continua a presentare un quadro negativo dell'Ebraismo al fedele, e letture selettive del Nuovo Testamento confermano tali impressioni negative.[2]
La cultura popolare esaspera il problema. Gli elementi principali dell'"Ebraismo" messi a fuoco dalla prospettiva cristiana sono la Shoah (l'Olocausto), che è primariamente un problema razziale piuttosto che religioso (per i nazisti, un ebreo convertito al Cristianesimo rimaneva tanto ebreo quanto un rabbino), e lo Stato d'Israele, che sebbene formalmente uno stato "ebraico", è sostanzialmente una cultura secolare. Pertanto, i cristiani del mondo formano la propria impressione dominante di ebrei ed Ebraismo combinando letture selettive delle Scritture con Fiddler on the Roof, la politica corrente di Israele, e qualche episodio di South Park. Quanto all'Ebraismo nel senso più stretto — le pratiche, osservanze, liturgie, festività, storia dell'interpretazione biblica — nella maggior parte è sconosciuto o ignorato.[7]
Le cose non stanno meglio nel campo ebraico, poiché l'ignoranza occupa entrambi i campi. Proprio come alcuni cristiani distorcono l'Ebraismo vedendolo come tradizione di leggi senza grazia, così alcuni ebrei distorcono il Cristianesimo vedendolo come una tradizione di fede senza azione. Sia l'Ebraismo che il Cristianesimo sarebbero certamente d'accordo con l'insistenza della Lettera di Giacomo che "la fede senza le opere è morta" (2:26). Altri reputano i cristiani politeisti, dato che la chiesa proclama un Padre, un Figlio e lo Spirito Santo, sebbene i cristiani stessi siano alquanto espliciti nell'affermare di essere monoteisti. Quando l'argomento si volge verso la storia cristiana postbiblica, la maggioranza degli ebrei conoscono le grandi figure e gli eventi importanti del Cristianesimo, sebbene la conoscenza sia selettiva. Personaggi familiari includono Torquemada dell'Inquisizione Spagnola e Martin Lutero della Riforma protestante. Il primo convinse la Regina Isabella e suo marito, Re Ferdinando, ad espellere tutti gli ebrei (e mussulmani) dalla Spagna nel 1492 — Colombo non fu quindi l'unico a partire in quell'anno. Il secondo, Lutero, lo si ricorda per il suo trattato del 1543 "Degli ebrei e delle loro menzogne", che inizia citando i testi evangelici:
Continua poi asserendo che "questi stolti veramente stupidi" che "mentono e blasfemano così mostruosamente" dovrebbero essere tutti distrutti e fornisce i seguenti consigli:
Il testo richiama alla mente le leggi naziste, che del resto ne fecero uso strumentale per la propria propaganda antisemita.[10] Il Vaticano ha rinnegato l'intolleranza di Torquemada, gran parte delle chiese evangeliche luterane hanno denunciato le invettive antiebraiche di Lutero. Ma la memoria rimane.
Sebbene i battesimi forzati,[11] la calunnia del sangue, i ghetti ed i pogrom appoggiati o tacitamente permessi dalla chiesa, siano cose del passato, i loro effetti continuano ad influenzare il dialogo ebraico-cristiano d'oggi. Alcuni ebrei adottano il ruolo della vittima e si aspettano che i cristiani vengano con la coda tra le gambe a chiedere perdono. I sensi di colpa quindi rimpiazzano il dialogo. Ma la vittimizzazione in un periodo della storia non concede ad un dato gruppo la superiorità morale. Se gli ebrei vengono al dialogo con un senso di vittimismo ed i cristiani con un senso di colpa, non si riuscirà mai a combinare niente. La conversazione non può iniziare con pretese o scuse. I cristiani non sono in grado di scusarsi per i peccati del passato: esserne dispiaciuti, questo sì; giurare di non ripeterli, questo sì. Ma un gruppo di cristiani o un solo cristiano non può parlare per tutti i cristiani o per la chiesa universale. L'individuo può solo parlare da individuo. Similmente, l'ebreo non è in grado di accettare il perdono, ancor di meno dare l'assoluzione.[12] Tale ruolo spetta alla vittima, o a Dio. Uno viene al tavolo interconfessionale non con sensi di colpa né con pretese di diritto, ma con umiltà ed interesse. La conversazione non sarà tra "chiesa" e "sinagoga", ma tra Moshe e Cristina, tra Rossi Del Frate e Finzi Levita.
Inoltre, nessuna tradizione è integra e senza macchia. Passi biblici come quelli di Deuteronomio 20:16-18 lasciano esterrefatti:
Orrenda è anche la descrizione della guerra santa narrata nel libro di Giosuè, dove gli Israeliti, catturando la città di Gerico, "votarono allo sterminio tutto ciò che era nella città, passando a fil di spada uomini e donne, fanciulli e vecchi, e persino buoi, pecore e asini" (6:21). Come parimenti repellenti sono le immagini misogine di Ezechiele:
L'interpretazione rabbinica e successive interpretazioni ebraiche di questi versetti ne condannano la violenza. Ma i testi rimangono, proprio come la storia delle relazioni tra chiesa e sinagoga non può, e non deve, essere dimenticata. I versetti e il passato devono servire come promemoria del male che gli esseri umani si fanno gli uni contro gli altri a nome della religione.[2][4]
Dopo duemila anni di ignoranza, è giunto il tempo in cui chiesa e sinagoga, ebrei e cristiani, comprendano le loro storie intrecciate, vedano Gesù come un ebreo che ha dato un senso ad altri ebrei in un contesto ebraico, imparino come le due tradizioni ebbero a separarsi, riconoscano come malintesi riguardo a Gesù e all'Ebraismo continuino ancor oggi a fomentare stereotipi negativi e alimentare odio, esplorino come i benefici delle relazioni interconfessionali ottenuti nei trascorsi decenni possano essere coltivati e accresciuti.[7]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Per un'analisi esaustiva dei motivi mosaici nel Vangelo secondo Matteo, cfr. Dale C. Allison Jr., The New Moses: A Matthean Typology, Minneapolis, Fortress, 1993.
- ↑ 2,0 2,1 2,2 2,3 2,4 2,5 2,6 2,7 2,8 James Carroll, Constantine's Sword. The Church and the Jews. A History, New York, Houghton Mifflin, 2001; David Klinghoffer, Why the Jews Rejected Jesus: The Turning Point in Western History, New York, Doubleday, 2005, passim.
- ↑ Marco 12:39: "...avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti."
- ↑ 4,0 4,1 4,2 4,3 Krister Stendahl, "Can Christianity Shed Its Anti-Judaism?", Brandeis Review, 1992, p. 27.
- ↑ 5,0 5,1 5,2 5,3 Daniel Boyarin, The Partition of Judaeo-Christianity, University of Pensylvania Press, 2004, pp. 44-52 e segg.
- ↑ James H. Charlesworth (cur.), Jesus` Jewishness: Exploring the Place of Jesus in Early Judaism, Crossroads, 1991.
- ↑ 7,0 7,1 7,2 7,3 7,4 7,5 Amy-Jill Levine, The Misunderstood Jew, HarperOne, 2006, pp. 7-16.
- ↑ 8,0 8,1 Rene Marle, Introduzione alla teologia della liberazione, Morcelliana, Brescia 1991; Giuseppe Montalbano, Critica alla dialettica marxiana ed alla teologia della liberazione, Romano, Palermo 1985; Vittorio Falsina, Un nuovo ordine mondiale. Insegnamento sociale della chiesa e teologia della liberazione, EMI, Bologna 2006.
- ↑ "Martin Lutero e gli Ebrei", testi da Martin Lutero, Degli Ebrei e delle loro menzogne, Einaudi, 2008, pagg. 188-189 e segg.
- ↑ E. H. Erikson, Il giovane Lutero. Studio storico-psicoanalitico, Roma, 1967; Thomas Kaufmann, Lutero, trad. di M. Cupellaro, Bologna, 2007; Giorgio Tourn, I protestanti. Una rivoluzione, Claudiana, Torino 1993.
- ↑ Cfr. int. al. il Caso Edgardo Mortara del 1851.
- ↑ Si veda in questo caso Simon Wiesenthal, The Sunflower, Schocken, 1976 (trad. ital. Il girasole. I limiti del perdono, Garzanti Libri, 2006).