Ecco l'uomo/Due verità

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Indice del libro
"Cristo risorto" (Gesù dalla Sacra Sindone)", olio di Andrey Mironov (2008)
"Cristo risorto" (Gesù dalla Sacra Sindone)", olio di Andrey Mironov (2008)

Le due verità[modifica]

Esistono due tipi di verità su Gesù Cristo. La prima è la verità evangelica. La sua veridicità è garantita dalla fede. Agli occhi del credente, nei Vangeli di ispirazione divina non esistono, o addirittura non possono esistere, contraddizioni. Apparenze contrarie devono essere ignorate o riconciliate.

Ad esempio, il Vangelo di Giovanni fornisce un resoconto storicamente accettabile della condanna di Gesù: fu arrestato un giorno prima della Pesach (= Pasqua ebraica) e, senza menzione di un pasto pasquale né di un processo giudiziario ebraico formale, fu portato davanti a Pilato, accusato di essere un rivoluzionario e condannato alla crocifissione.[1]

Negli altri Vangeli, in un modo storicamente improbabile, l'arresto di Gesù, seguito da un processo da parte del sinedrio ebreo con l'accusa di blasfemia, avvenne dopo il pasto della Pesach (l’Ultima Cena) e Gesù fu dichiarato colpevole nella notte della stessa festività. Eppure nessun cristiano credente si chiede come il supremo tribunale della Giudea abbia potuto processare un caso di crimine capitale durante uno dei principali festival — o, più semplicemente, come le due storie siano congiunte insieme.

Il secondo tipo di verità è meno certo della fede ed è approssimato per mezzo di un'indagine storica "scientifica". Questa ricerca si sforza di scoprire la VERITÀ, ma riesce a recuperarne solo un pezzetto.[2] Il compito dello storico è quello di assemblare un puzzle monumentale di cui mancano ancora molte parti. Questo capitolo, seguendo i consigli del rinomato biblista Géza Vermes, si propone di indicare un percorso "verso la verità" sul Gesù storico, senza presunzioni e consci dell'ardua impresa, riecheggiando le premesse anticipate nella prima parte di questo libro.

Fino alla metà del XVIII secolo, la verità evangelica ha dominato completamente il mondo cristiano e ha continuato a farlo nei circoli ecclesiastici conservatori fino ai giorni nostri. Questa certezza non derivava dall'effetto accecante che la fede esercitava sull'evidenza storica. Già nel secondo secolo, le divergenze tra i documenti del Nuovo Testamento furono notate dai perspicaci padri della Chiesa e fu fatto un tentativo deliberato di armonizzarli, producendo il cosiddetto Diatessaron, i quattro Vangeli in uno. Ma dopo un certo successo iniziale l'innovazione fallì e i tradizionali quattro Vangeli sopravvissero.

Pertanto, i padri della Chiesa successivi furono perfettamente consapevoli che le due genealogie di Gesù in Matteo e in Luca erano incompatibili, ma lanciarono l'idea apparentemente brillante che Matteo tracciasse la discendenza di Gesù attraverso Giuseppe, mentre Luca lo faceva attraverso Maria. Chiusero un occhio sul fatto che tra gli ebrei ci si aspettava che una genealogia seguisse esclusivamente la linea maschile.

La ricerca della figura umana di Gesù iniziò con Hermann Samuel Reimarus a metà del XVIII secolo e ha caratterizzato la critica accademica dei Vangeli fino ai giorni nostri. Per i primi 200 anni fu essenzialmente una ricerca accademica tedesca, sebbene dalla fine del XIX secolo in poi ci fu una manciata di contributi britannici, francesi e americani. Si mirava alla riscoperta del "Gesù storico" e si cercava di distinguerlo dal "Cristo della fede". La sua fase iniziale si concluse con l'anticlimatica Geschichte der Leben Jesu Forschung (Ricerca del Gesù storico) di Albert Schweitzer, che nel 1906 descrisse l'intero processo come troppo soggettivo per essere degno di continuazione. Secondo Schweitzer, ogni studioso aveva prodotto un Gesù a sua immagine e somiglianza.[3]

Dagli anni 1920 agli anni 1950, la ricerca sul Gesù storico divenne piuttosto fuori moda sotto l'influenza di Rudolf Bultmann, il grande studioso tedesco, e della sua nuova scuola letteraria-critica di Formgeschichte o critica delle forme. Nel 1926, fece la memorabile affermazione che in effetti scomunicò l'indagine sulla vita di Gesù negli ampi ambienti accademici su cui dominava: "Non possiamo sapere quasi nulla della vita e della personalità di Gesù poiché le prime fonti cristiane non mostrano alcun interesse per nessuna delle due." Per Bultmann l'impostazione del messaggio evangelico non era la vita di Gesù; gli evangelisti stavano provvedendo alle necessità della chiesa nascente.[4]Dopo un silenzio di 30 anni, l'interesse storico si riaccese lentamente in Germania, ma fu di breve durata e senza risultati degni di nota.

Negli anni '70, per la prima volta in due secoli, la scena principale dell'attività di ricerca lasciò la Germania. Si trasferì prima in Inghilterra, e subito dopo negli Stati Uniti. L'enfasi principale non era sullo sfondo ellenistico della chiesa primitiva secondo la critica della forma, ma sull'ebraicità di Gesù sulla scia della scoperta dei Rotoli del Mar Morto e del rinnovamento della ricerca sull'ebraismo post-biblico e su Flavio Giuseppe, lo storico ebreo del I secolo e.v.

La tendenza è chiaramente dimostrata dai nuovi titoli: Jesus the Jew (1973), Jesus and Judaism (The Historical Jesus: The Life of a Mediterranean Jewish Peasant (1991); A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus (1991-2001) e Jesus of Nazareth, King of the Jews: A Jewish Life and the Emergence of Christianity (1999); Searching for the Real Jesus, 2010; Jesus in the Jewish World, 2010 — tanto per citarne qualcuno...

In effetti, nell'ultimo quarto di secolo, in un modo o nell'altro, Gesù l'ebreo è diventato la figura dominante nella ricerca biblica del Nuovo Testamento, perseguita da tutti gli studiosi con o senza credo religioso.

Affrontiamo ora il problema principale. Lo studente che indaga sul problema del Gesù storico si trova di fronte a una concatenazione di difficoltà.

Tutti tranne l'incorregibile ingenuo sanno che le fonti del Vangelo non sono strettamente storiche e postdatano gli eventi di parecchi decenni. Le precedenti lettere di Paolo di Tarso non aiutano poiché il loro autore non ha mai conosciuto o mostrato interesse per il Gesù in carne ed ossa. I quattro Vangeli, scritti tra 15 e 55 anni dopo Paolo, sotto forma di biografie, formulano l'insegnamento di Gesù adattato ai bisogni della chiesa primitiva.

Inoltre, i loro lettori avevano un contesto linguistico greco e un contesto culturale greco-romano, purtuttavia dovevano ricevere un messaggio religioso ebraico originariamente formulato in aramaico. Siamo di fronte alla sindrome del "traduttore traditore" tanto ventilata da Umberto Eco.[5]

Il Gesù storico può essere recuperato solo nel contesto dell'ebraismo galileo del I secolo. L'immagine evangelica deve quindi essere inserita nella tela storica della Palestina del I secolo e.v., con l'aiuto delle opere di Flavio Giuseppe, i Rotoli del Mar Morto e la prima letteratura rabbinica.

In questo contesto, che tipo di immagine di Gesù emerge dai Vangeli? Quello di un santone rurale, inizialmente un seguace del movimento di pentimento lanciato da un altro santone, Giovanni il Battista. Nelle frazioni e nei villaggi della Bassa Galilea e in riva al lago, Gesù iniziò a predicare la venuta del regno di Dio durante i tempi della sua generazione e delineò i doveri religiosi che i suoi comuni ascoltatori dovevano svolgere per prepararsi al grande evento.

Predicatore popolare eloquente, Gesù manifestò il suo potere spirituale con esorcismi e guarigioni. Il suo pubblico osservò che "insegnava con autorità" – vale a dire, curando gli infermi e liberando i posseduti – e "non come gli scribi", che potevano solo citare la Bibbia per dimostrare le proprie parole. Le sue cure consistevano nella guarigione per fede: richiedevano fiducia da parte dei malati. Li invitava a credere nel suo potere di guarigione come uomo di Dio. Anzi, arrivò al punto di identificare questa fede come causa della guarigione: "La tua fede ti ha guarita", rassicurò una donna inferma (Marco 5:34).

Facendo così, Gesù si conformava ad un modello di comportamento carismatico attestato dagli ebrei nel corso dei secoli e fino ai suoi tempi. Ai profeti biblici Eliseo, Elia e Isaia vengono attribuite guarigioni e rianimazioni miracolose. Fenomeni simili sono attribuiti nella letteratura rabbinica agli uomini santi che vivevano nell'età vicina a quella del Nuovo Testamento.

Abbiamo già citato nei precedenti capitoli vari esempi del periodo storico di Gesù. Honi del I secolo p.e.v. e il galileo Hanina ben Dosa nel I secolo e.v. furono rinomati per il loro miracoloso potere di far piovere; la fama di Hanina comprendeva anche la guarigione, inclusa la guarigione a distanza come Gesù, e un'opera di taumaturgia varia. Flavio Giuseppe (37–100 e.v.) riporta non solo i taumaturghi del periodo veterotestamentario, come Eliseo, ma menziona esplicitamente Honi, il cui intervento miracoloso pose fine a una disastrosa siccità poco prima della cattura di Gerusalemme da parte di Pompeo nel 63 p.e.v. Si riferisce anche a Gesù ai tempi di Ponzio Pilato e lo definisce un "uomo saggio ed esecutore di azioni sorprendenti o paradossali".

L'affidabilità della nota di Giuseppe Flavio in merito a Gesù fu respinta da molti nel XIX secolo e all'inizio del XX secolo, ma è stata giudicata in parte autentica e in parte falsificata dalla maggior parte dei critici più recenti. Il ritratto di Gesù da parte di Flavio Giuseppe, prodotto da un testimone non coinvolto, si trova a metà strada tra il quadro totalmente empatico del cristianesimo primitivo e l'immagine totalmente antipatica del mago della letteratura ebraica talmudica e post-talmudica. "Uomo saggio" e "esecutore di azioni paradossali" sono frasi autenticamente flaviane che nessun interpolatore cristiano avrebbe trovato abbastanza potenti da descrivere il Cristo divinizzato della chiesa successiva.[6]

Il contorno dello storico Gesù, estratto dai Vangeli sinottici, suggerisce una figura profetica magnetica convinta che lo scopo della sua missione fosse di portare i suoi seguaci ebrei pentiti nel nuovo reame di Dio. Questo regno dei cieli fu prognosticato in molte parabole di Gesù come il risultato di un cambiamento silenzioso e impercettibile piuttosto che di una trasformazione cataclismica in un futuro non troppo lontano. Sembrerebbe, secondo gli evangelisti, che Gesù si considerasse, e che i suoi ben disposti contemporanei lo rappresentassero, secondo tali linee profetico-carismatiche.

Ad esempio, Gesù spiega il suo rifiuto da parte della sua famiglia e dei concittadini di Nazaret con il noto detto che a casa propria nessuno è riconosciuto come profeta. Fu anche regolarmente menzionato da contemporanei non locali come il grande profeta di Nazaret. Nell'aneddoto di Cesarea di Filippo, la risposta di Pietro alla domanda di Gesù, "Chi dicono gli uomini che io sia?", segue una tendenza simile. Gesù, disse Pietro, era ritenuto un profeta, o Elia di ritorno o Giovanni Battista redivivo.[7]

Ma quando viene spinto a rivelare ciò che la cerchia dei discepoli pensava di Gesù, Pietro confessò, secondo Marco, che fosse il Messia, o, secondo Matteo, il Messia con l'aggiunta del sinonimo di "Figlio del Dio vivente". Quest'ultima frase è stata intesa nella teologia gentile-cristiana come un passo verso il riconoscimento dello stato divino di Gesù.

Nel corso delle sue ricerche, che hanno portato Géza Vermes a scrivere Jesus the Jew (Gesù ebreo), ci fa sapere che gli è stato impossibile non notare che la tradizione della chiesa tendeva spesso ad attribuire il massimo significato ai titoli onorifici applicati a Gesù dagli evangelisti. Decise quindi di organizzare un esperimento quasi scientifico: provare a stabilire la correlazione tra le caratteristiche del ritratto di Gesù fatto dai Vangeli e il significato di designazioni come "Messia", "Signore" e "Figlio di Dio" nella mente dei contemporanei di Gesù.[8]

Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo dimenticare la comprensione greca dei termini da parte dei gentili lettori del Vangelo; sbarazzarci di 2000 anni di interpretazione cristiana sovrapposta del Nuovo Testamento e spostare invece il riflettore sul pubblico ebraico di lingua aramaica che ascoltava Gesù sulla riva del Lago di Galilea. Qual era il significato originale del messaggio e cosa ne deducevano i destinatari originali?

Per iniziare con "il Messia", il greco Christos (Χριστός), se un sondaggista avesse interrogato gli uomini per le strade della Palestina due millenni fa, chiedendo una definizione di "Messia", avrebbe sentito la gente borbottare sul più grande re ebraico, che avrebbe sconfitto i romani. I più religiosi avrebbero aggiunto che il Messia sarebbe anche stato giusto e santo, e avrebbe sottoposto tutte le nazioni a Israele e a Dio. In circoli più periferici, come la setta del Mar Morto, erano attesi diversi Messia, uno reale, uno sacerdotale e forse uno profetico.[9]

Ma anche coloro che non si volevano sbilanciare avrebbero avuto un'idea dell'età messianica, piena zeppa di eventi miracolosi. Secondo le parole messe in bocca a Gesù, questo sarebbe stato il momento in cui "I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, ecc." (Matteo 11:5).

Gesù si presentò o gli evangelisti lo hanno ritratto come un pretendente reale bellicoso? La risposta è incerta. Ma Gesù proibì sempre ai suoi discepoli di proclamarlo Messia e, di fronte alla domanda "Sei tu il Cristo?", la sua risposta comune fu evasivamente negativa: "Tu l'hai detto", continuava a dire, "non io".

Ad ogni modo, la figura taumaturgica promulgatrice dell'età messianica gli si adatta perfettamente. Si confà all'immagine del guaritore, esorcista e predicatore galileo così prominente nei Vangeli di Marco, Matteo e Luca. Nella sua risposta alla domanda di Giovanni il Battista, "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?", Gesù indicò semplicemente gli eventi che lo accompagnavano: "Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella" ({{Matt. 11; Luca 7:22).

Il titolo "Signore", Kyrios (Κύριος) in greco, assumeva associazioni superne in quel tempo. Indicava l'imperatore, il Signore Cesare, il cui epiteto latino era "divino", come in divus Augustus. A sua volta, tra gli ebrei di lingua greca, la cui Bibbia la chiesa paleocristiana si era appropriata, Kyrios (Signore) era il sostituto regolare del nome sacro e segreto di Dio, il Tetragrammaton (YHWH). Alquanto naturalmente, nel Vangelo letto nelle chiese greche, "il Signore Cristo" (Kyrios Christos) acquisì prontamente un sapore divino. Al contrario, negli ambienti ebraici, con un divario infinito tra la realtà divina e quella umana, una tale combinazione era quasi inconcepibile.

Oltre a Cesare e a Dio, quali altri significati possedeva il titolo "Signore"? Cosa implicavano i Galilei quando si rivolgevano a Gesù come "Signore", o Mar in aramaico? Il titolo, che ricorda il "Sir" in inglese, potrebbe riferirsi a una varietà di persone: un dignitario secolare, il capo famiglia, un insegnante autorevole, un profeta e un taumaturgo. Le ultime tre variazioni si adattano perfettamente al ritratto di Gesù dei Vangeli Sinottici.

Infine, l'appellativo "Figlio di Dio", il titolo nel mondo ellenistico dell'imperatore romano divinizzato e sinonimo di Dio nei primi tempi del cristianesimo, non è attestato da nessuna parte in questo senso nell'ebraismo. È, tuttavia, in grado di assumere almeno altri cinque significati. Può designare un angelo nel mondo sovrumano. Nel dominio terrestre, ogni ebreo aveva il diritto di definirsi "figlio di Dio". Ma il termine ha subito una serie di interpretazioni restrittive. Nell'età post-esilica solo gli ebrei il cui cuore era circonciso e pieno di spirito santo ricevettero tale nome. Inoltre, sia la Bibbia che i Rotoli del Mar Morto assegnano lo status filiale al Messia, metaforicamente il figlio del Dio vivente. Inoltre, alcuni carismatici contemporanei di Gesù furono chiamati figli di Dio. Ad esempio, Honi, che riusciva a produrre pioggia ossessionando Dio, è stato paragonato a un figlio che importuna il suo padre amorevole e longanime.[10]

Infine, c'è l'immagine della voce divina dal cielo che proclama qualcuno "figlio di Dio". Questo è stato riferito anche a riguardo del galileo Hanina ben Dosa. Entrambi i detti indicano che nel linguaggio ebraico "figlio di Dio" implica il favore divino piuttosto che la condivisione della natura divina.

Per ricapitolare, l'analisi filologica, letteraria e storica del significato semitico dei titoli di Gesù corrobora la sua immagine così come emerge dai Vangeli sinottici. Quindi l'unica conclusione ragionevole da trarre da uno studio combinato del quadro evangelico e dei titoli onorifici è che il Gesù storico fosse un galileo carismatico il cui scopo era di condurre i suoi contemporanei ebrei palestinesi, da pentiti, al reame spirituale chiamato Regno di Dio mediante la predicazione, la guarigione ed l'esorcizzazione.[11]

Il cristianesimo tradizionale non si ferma a questo ritratto del Gesù umano, ma lo ricopre con la maestosa immagine del Cristo della fede, derivante dalle meditazioni mistiche di Paolo e Giovanni e dalla filosofia ellenistica dei Padri della Chiesa greca.

In poche parole, la predicazione di Gesù era incentrata su Dio, il Padre celeste, sulla dignità di tutti gli esseri umani come figli di Dio, sulla vita trasformata in adorazione grazie ad una fiducia totale, su un travolgente senso di urgenza di fare il proprio dovere senza procrastinare, sulla santificazione del momento presente, e soprattutto sull'amore di Dio attraverso l'amore del prossimo.

Per concludere, a causa della croce, il compito di Gesù rimase incompiuto. Eppure, nonostante l'apparente fallimento della sua missione, il suo impatto magnetico fu così profondo che, invece di abbandonare la causa, i suoi discepoli iniziarono ad aspettare con speranza la sua imminente seconda venuta. Quando a metà del II secolo Gesù non realizzò le aspettative del suo ritorno, il cristianesimo ebraico svanì progressivamente, mentre la chiesa Gentile di Paolo sopravvisse e, dopo Costantino, iniziò a prosperare — sebbene in una forma che credo avrebbe sconcertato Gesù l'ebreo.[12]

Note[modifica]

Per approfondire, vedi i rispettivi riferimenti di "Biografie cristologiche".
  1. Per questa sezione si veda spec. Géza Vermes, Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels, 1973 (trad. ital.Gesù l'ebreo, Borla, 1983), nelle varie fasi di sviluppo delle testimonianze e delle esegesi.
  2. Quid est veritas? "Che cos'è la verità?" chiede un improbabile Pilato in Giovanni 18:38. Ironico, no?
  3. Von Reimarus zu Wrede (1906) seconda edizione riveduta col citato titolo Geschichte der Leben Jesu Forschung (1913); trad. it. Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia, 1986.
  4. Rudolf Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia. Il manifesto della demitizzazione, Paideia, 1990, pp. 40-42.
  5. Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa, Bompiani, 2003.
  6. John P. Meier, A Marginal Jew: Companions and Competitors, Vol. III, Yale University Press, 2001, Parte 2, Cap. 28.III.
  7. John P. Meier, A Marginal Jew: Companions and Competitors, cit., Vol. III, Cap. 26.
  8. Géza Vermes, Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels, cit., 1973, passim & ad hoc per tutto ciò che segue.
  9. Géza Vermes, The Complete Dead Sea Scrolls in English, Penguin, 1997; anche Carsten Peter Thiede, The Dead Sea Scrolls and the Jewish Origins of Christianity, Palgrave 2000.
  10. Géza Vermes, Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels, cit., ad loc.; ibid., The Changing Faces of Jesus, Penguin, 2000, Cap. 6.
  11. Géza Vermes, Jesus the Jew, cit., pp. 192ff.; anche John P. Meier, op. cit., Vol. III, "Conclusion".
  12. S. Sandmel, We Jews and Jesus, Gollancz, 1965, passim.