Ecco l'uomo/Extracomunitario
Gesù ebreo tra ebrei
[modifica | modifica sorgente]Uno dei fatti certi su Gesù era la sua ebraicità. Era un figlio di genitori ebrei, cresciuto in una casa ebrea e allevato tra le tradizioni ebraiche. Durante tutta la sua vita, Gesù visse tra ebrei e i suoi seguaci furono ebrei.
Non era di certo un intruso, uno straniero, un alieno, uno esterno alla comunità del suo contesto sociale, un extracomunitario diremmo oggi.
Nessun altro ebreo nella storia ha eguagliato Gesù per la magnitudine della sua influenza. Le parole e le opere di Gesù l'ebreo sono state, e sono, fonte d'ispirazione per innumerevoli milioni di uomini e donne. Strano, non è vero, che gli ebrei abbiano prestato poca attenzione alla vita e all'insegnamento di questo straordinario ebreo? Tuttavia, questo è vero perché i seguaci cristiani di Gesù giunsero a credere fatti e idee sulla sua vita che nessun ebreo poteva o potrebbe mai sostenere.
Quando la Chiesa perseguitò gli ebrei nel tentativo di convertirli, l'indifferenza ebraica verso Gesù si trasformò (ovviamente, direi) in ostilità. È un triste fatto della storia che i seguaci di questo grande ebreo abbiano causato così tanta sofferenza al popolo ebraico, di modo che per secoli è stato molto difficile per qualsiasi ebreo persino pensare a Gesù senza difficoltà. Fino a poco tempo fa, la maggior parte degli ebrei ha scelto di non pensarlo affatto.
Ora stiamo assistendo a un cambiamento significativo e sebbene l'indifferenza ebraica verso Gesù non sia del tutto scomparsa, i segni positivi sono incoraggianti.
Gesù e la sua famiglia osservavano la Torah, pagavano la decima, osservavano lo Shabbat, circoncidevano i loro maschi, frequentavano la sinagoga, ottemperavano alle leggi sulla purezza in relazione al parto e alle mestruazioni, mantenevano il codice dietetico (Casherut) — si potrebbe continuare e dilungarsi nei dettagli. Mentre i Vangeli registrano controversie sull'interpretazione di Gesù di alcune di queste regole, l'idea di un Gesù cristiano, che non visse secondo la Torah o per i suoi valori etici, non si adatta per nulla alla realtà storica.
Non esiste una visione ebraica ufficiale di Gesù, ma sotto un particolare aspetto gli ebrei sono d'accordo nel loro atteggiamento verso Gesù. Gli ebrei respingono l'enorme affermazione, proclamata per Gesù dai suoi seguaci cristiani: che Gesù sia il Signore Cristo, Dio Incarnato, il Figlio stesso di Dio Padre. Blasfemia: per l'ebreo questa credenza equivale all'idolatria. Di conseguenza, su tale affermazione, ebrei e cristiani devono continuare a differire. Gli ebrei credono che tutti condividano lo spirito divino e siano segnati con l'immagine divina e che nessuna persona, nemmeno la più grande di tutte, possa possedere la perfezione di Dio. Nessuno può essere uguale a Dio.
Gesù visse la sua vita non come cristiano ma come ebreo, obbediente (con pochissime eccezioni) alla Torah. Tuttavia, a pochi anni dalla sua morte, i seguaci ebrei di Gesù svilupparono un tipo di religione piuttosto diverso da quello seguito dalla maggior parte degli ebrei. L'ebraismo, come l'Islam dopo di esso, è fortemente radicato nella legge religiosa; il cristianesimo cessò di esserlo. L'ebraismo, come anche l'Islam, crede fortemente nell'unità di Dio; il cristianesimo arrivò a porre una così grande fede in Gesù e successivamente nella dottrina della Trinità, che a molti altri monoteisti sembrò, e sembra, in sostanza, una raffinata forma di politeismo. A poco a poco, la religione cristiana divenne sempre meno simile ad un'autentica, anche se eccentrica, forma di ebraismo, e sempre più come una religione completamente diversa.
Durante il periodo del Secondo Tempio, ci furono molte discussioni interne su cosa significasse essere ebreo. La legge religiosa permetteva di acconsentire all'occupazione romana o di combatterla? In che modo la legge conciliava giustizia e misericordia? Dovettero essere stati dibattiti comuni, che si possono vedere rispecchiati nei racconti dei Vangeli sulle controversie di Gesù con i leader religiosi del suo tempo.[1]
Non possiamo essere certi delle opinioni di Gesù, poiché i Vangeli sono un genere letterario altamente interpretativo, colorato dalle riflessioni dei loro collaboratori e redattori su eventi accaduti 40 e più anni prima, alla luce degli eventi importanti che si erano verificati negli anni successivi. Ciononostante, il suo atteggiamento nei confronti delle leggi dietetiche riportate nel Vangelo di Marco non rendono chiaro ciò che Gesù intendesse insegnare ai suoi discepoli e seguaci. Questa interpretazione testualmente carente – che comunque abbiamo esaminato nel capitolo precedente – alla fine ebbe delle conseguenze per i cristiani: certamente le leggi sul cibo divennero gradualmente un ricordo del passato, come dimostrano i resoconti degli Atti e delle lettere paoline. Inoltre, sebbene il messaggio di Gesù sul regno di Dio fosse chiaramente all'interno della tradizione ebraica tradizionale, i riferimenti cristologici su di lui e sul suo significato lo sono meno.
Abbiamo già detto e ripetuto che la convinzione che Gesù fosse Dio è un'impossibilità per il pensiero ebraico. Ma non è così per la convinzione che Gesù affermasse di essere il Messia. Nel corso di 2000 anni, diversi ebrei hanno affermato di essere il Messia, inviato da Dio per inaugurare il regno di Dio sulla terra. Simon Bar Kochba nel 132 e.v. e Shabbetai Zvi nel 1665 e.v. sono due esempi tra i tanti. Ma l'associazione del Messia con termini come Figlio dell'Uomo e Figlio di Dio, che sviluppò una profusione di significati, portò presto a esaltare rivendicazioni per Gesù che pochi ebrei si sentirono in grado di seguire. Anche all'interno del Nuovo Testamento è così; arrivati al tempo del vero e proprio trinitarismo dei credi del IV secolo, questo divario era diventato incredibilmente ampio, direi insormontabile.
Gesù fu messo a morte dai romani con l'accusa di affermare di essere il Messia, re dei Giudei. Gesù rese chiaro a Pietro che si considerava il Messia (Marco 8:29) come fece col Sommo Sacerdote (Marco 14:62) — l'autenticità di queste dichiarazioni è stata messa spesso in dubbio da vari esegeti neotestamentari. Alcuni ebrei accettarono Gesù come Messia, credendo che li avrebbe riscattati dall'amaro giogo di Roma e avrebbe fatto arrivare l'età messianica. Quando Gesù entrò a Gerusalemme in groppa ad un asino, fu acclamato "Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide!" (Marco 11:10). Altri ebrei hanno respinsero l'affermazione.[2]
L'accusa contro Gesù sulla croce e lo scherno come "Re dei Giudei", la sua esecuzione tra due ladroni, i motivi messianici regali — tutto ciò suggerisce che Pilato si trovò di fronte un uomo accusato di sedizione. Gesù non fu crocifisso perché negasse la sua ebraicità, avesse abbandonato le Scritture o rinnegato il suo popolo. Rimase un ebreo (e chi altro, sennò?), il Gesù di Nazaret, l'ebreo della Galilea, e fu giustiziato per ragioni politiche piuttosto che religiose.[3]
Affermare di essere il Messia, se fosse stata un'offesa contro l'ebraismo, non era certamente (come invece sostengono i Vangeli) un'offesa contro la legge ebraica per la quale Gesù avrebbe potuto essere messo a morte. I Vangeli affermano che la pretesa di Gesù di essere il Messia fosse una bestemmia, ma nella legge ebraica la bestemmia consisteva nel maledire Dio usando il sacro nome di Dio. Gesù non fece mai nulla del genere! Per gli ebrei, la storia ha dimostrato che Gesù non era il Messia tanto atteso, poiché gli ebrei non furono liberati dal giogo della schiavitù romana e l'Età d'Oro non arrivò. Tuttavia, alcuni ebrei hanno suggerito che Gesù stesse emulando i profeti biblici (cfr. Marco 6:15, Matteo 21:11).
"Qual è il primo di tutti i comandamenti?" gli fu chiesto. Gesù rispose, come qualsiasi altro ebreo: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi." (Marco 12:28-31). Ogni ebreo riconoscerà nella risposta di Gesù lo Shema, una dichiarazione ebraica di fede, che viene recitata in ogni servizio liturgico ebraico, giorno e notte. Il famoso comando di Levitico 19:18 è anche un precetto fondamentale dell'ebraismo.
È quindi del tutto improbabile che Gesù abbia mai detto ai suoi seguaci di ignorare la Torah; piuttosto, ha sottolineato che "il regno di Dio è dentro di te" (Luca 17:21), cioè, segui l'istinto più profondo per la verità e l'amore nel tuo cuore perché in esso, e non solo nella Torah, sta la salvezza. Questo è un messaggio coraggioso; uno che ha gli reso alcuni ebrei totalmente devoti, mentre altri lo hanno considerato un eretico.[4]
Gesù era un ebreo tra ebrei nella Palestina del I secolo. Possibilmente un riformatore di alcune credenze ebraiche, ma certamente non un critico indiscriminato delle tradizioni. Per gli ebrei, il significato di Gesù deve essere ricercato nella sua vita piuttosto che nella sua morte, una vita di fede in Dio. Per gli ebrei, non Gesù, ma solo Dio è il Signore. Purtuttavia, un numero crescente di ebrei è fiero che Gesù sia nato, vissuto e morto da ebreo.
Note
[modifica | modifica sorgente]Per approfondire, vedi i rispettivi riferimenti di "Biografie cristologiche". |
- ↑ Bruce Chilton e Jacob Neusner, Judaism in the New Testament, Routledge, 1995, pp. 112-115 e passim.
- ↑ Si veda spec. Géza Vermes, Jesus the Jew: A Historian's Reading of the Gospels, 1973 (trad. ital. Gesù l'ebreo, Borla, 1983), ad loc.
- ↑ Paula Fredriksen, Jesus of Nazareth: King of the Jews, Vintage Books, 1999, passim.
- ↑ Dobald Hagner, The Jewish Reclamation of Jesus: An Analysis and Critique of the Modern Jewish Study of Jesus, Wipf & Stock Publishers, 1997, pp. 97-112 e passim.