Ecco l'uomo/Romani ed ebrei

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Indice del libro
" Ce que voyait Notre-Seigneur sur la Croix", di James Tissot, 1894
" Ce que voyait Notre-Seigneur sur la Croix", di James Tissot, 1894

Romani ed ebrei[modifica]

Nonostante quello che ci riporta il Nuovo Testamento in merito all'epoca di Gesù, è comunque difficile immaginarsela chiaramente. C'era da aspettarselo. Dopo duemila anni, è difficile vedere con chiarezza qualsiasi cosa.

Per iniziare ad immaginare il carattere dei suoi tempi, dobbiamo scontrarci con due civiltà, una morta da tempo e l'altra ancora viva ma alquanto cambiata: l'Impero Romano e gli ebrei. Come Hyam Maccoby evidenzia nel suo libro Revolution in Judaea (Rivoluzione in Giudea),[1] due popoli non potevano esser più diversi nel mondo antico. I romani celebravano conquiste; i loro poeti e oratori elogiavano la prodezza militare. Gli ebrei propugnavano giustizia ed i loro profeti predicavano un era futura di pace eterna.

La vita urbana romana si centrava sulle crudeltà dell'arena coi suoi spettacoli cruenti, mentre gli ebrei si dirigevano al Tempio di Dio a Gerusalemme. I romani avevano dei propri, ma questi dei non erano troppo diversi dagli uomini che li adoravano — lussuriosi, orgogliosi, irosi, vanitosi e rozzi come gli stessi romani.

Ambiguità morale permeava la cultura romana in profondità. Secondo la leggenda, la città di Roma era stata fondata dai due fratelli gemelli Romolo e Remo, che erano stati abbandonati nei boschi da bambini e cresciuti da una lupa. Mentre stavano iniziando a lavorare sulle fondamenta della città, ebbero un litigio. Romolo ammazzò suo fratello, dopodiché apparvero dodici avvoltoi: un buon presagio. La città venne chiamata Roma, dal nome del fratello vincitore. In altre parole, Roma deve le sue origini a necrofagi, branchi di predatori e fratricidio.

La città crebbe e, rimanendo fedele alle sue origini violente, il suo popolo sviluppò un esercito potente che bramava conquiste. Man mano che l'imperso si espanse ed i romani divennero padroni del mondo civilizzato, assorbirono la cultura ellenistica prevalente al tempo. Aggiunsero una nuova puntata alla leggenda brutale di Romolo e Remo: il popolo di Roma discendeva da Enea, eroe della Guerra di Troia. Cercarono di velare le loro origini barbare con la grazia greciana. Ma la natura abominevole di Roma si rivelava nelle esibizioni sadiche dei gladiatori che si massacravano a vicenda davanti a spettatori plaudenti e assetati di sangue.

I romani non si allontanarono mai troppo dalle loro radici. Le ricoprirono semplicemente con una velatura di civiltà. Come la mette Maccoby, "a Roma, Cicerone poteva far discorsi con gli accenti di Demostene, o Virgilio esaltare in esametri dorati la missione civilizzatrice di Roma, ma in Giudea il significato di Roma era l'avvoltoio e il lupo."[2]

Gli ebrei avevano umili origini. Quando la carestia si diffuse a Canaan, la famiglia di Giacobbe si spostò in Egitto — l'unico territorio nella regione non afflitto dalla fame, poiché il Nilo continuava a fluire dalla montagne del Sudan. All'inizio i figli di Giacobbe furono ospiti del Faraone, che persino nominò il figlio di Giacobbe, Giusdeppe, come suo viceré. Ma la loro condizione cambiò presto.

Dopo una solo generazione i figli degli Israeliti originali faticavano nelle cave di pietra egiziane. Per soccorrerli Dio mandò Mosè, un redentore che condusse gli ebrei nel deserto verso la libertà e la terra santa promessa ai loro antenati.

Già molto prima che le due culture si scontrassero, le differenze tra ebrei e romani erano profonde. Roma era fondata sullo spargimento di sangue e col sangue si era guadagnata una posizione nella storia. I romani si vedevano come centro e padroni del mondo. In contrasto, gli ebrei vedevano un mondo libero da schiavi e padroni, dove un giorno lupo e agnello avrebbero vissuto in pace e giustizia, uguaglianza e rettitudine sarebbe esistita per tutti. Gli ebrei si aggrappavano a questa visione di un futuro migliore e più giusto nel corso di secoli di oppressione e avversità.

Gli ebrei intendevano realizzare la loro visione mediante l'intervento di Dio, non con la guerra. La liberazione per mano divina sarebbe arrivata al momento propizio, preceduta da continui e strenui sforzi per migliorare. Sforzi morali, bontà personale e miglioramento della società avrebbero preparato la strada al messia, che avrebbe portato pace e gloria eterne.

Proprio per questa ragione gli ebrei non erano in grado di ritirarsi nella propria cultura quando i romani attaccarono. Anni prima, anche i greci non erano stati capaci di resistere alla potenza militare romana; non fecero altro che arrendersi. Tuttavia a loro non interessava il potere. Potevano mantenere la loro cultura anche senza sovranità. Ma per gli ebrei, la brutalità ed il militarismo romani rappresentavano l'opposto della pace eterna che ci si aspettava il messia dovesse portare. Gli anni che si succedettero, sotto il dominio romano, sarebbero stati molto difficili.

Al tempo di Gesù la dominazione romana era ancora un fenomeno recente, Nel 67 p.e.v., un secolo prima della morte di Gesù, il generale romano Pompeo aveva marciato su Gerusalemme alla testa di un esercito di cinquantamila uomini. Era uno degli eserciti più grandi mai visti nel Medio Oriente. Dopo un breve assedio, Pompeo risultò vincitore (neanche a dirlo).

Accompagnato da un gruppo di soldati, si diresse verso l'area del Tempio. I sacerdoti cercarono di fermarlo. Il santuario era considerato dagli ebrei uno dei luoghi più santi della Terra; alla maggioranza degli ebrei non era persino permesso di entrar dentro. Impassibile, Pompeo si sbarazzò dei sacerdoti ed entrò nel Santo dei Santi, dissacrando la santità del Tempio di Dio.[3] Questa fu una premonizione di quanto doveva avvenire in futuro.

I romani avevano vinto una preziosa estensione di territorio. Ora, però dovevano governarla. Chiamarono la terra Palestina prendendo il nome dai Filistei (ebraico: פְלִשְׁתִּים pelištīm), che erano vissuti nella regione insieme agli ebrei un millennio prima. Dopo che le falangi veterane di Pompeo ebbero sfilato attraverso Israele, si girarono verso casa ritornando a Roma e lasciando il controllo ad un uomo assetato di potere, Ircano. La provincia minore, la Giudea, venne governata prima da Antipatro, poi da suo figlio, il famigerato Erode. Le macchinazioni politiche, sia romane che ebraiche, sarebbero state comuni e disastrose negli anni a venire.[4]

Pompeo nel Tempio di Gerusalemme, di Jean Fouquet (1470)

Note[modifica]

Per approfondire, vedi i rispettivi riferimenti di "Biografie cristologiche".
  1. Hyam Maccoby, Revolution in Judaea: Jesus and the Jewish Resistance, Taplinger, 1980.
  2. Hyam Maccoby, Revolution in Judaea, pp. 48-49.
  3. Flavio Giuseppe, Guerra giudaica, libro VII.
  4. Hyam Maccoby, Revolution in Judaea, ad hoc e passim.