Ecco l'uomo/Il messaggio

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Indice del libro
"Toute la ville étant à sa porte", olio di James Tissot, 1894
"Toute la ville étant à sa porte", olio di James Tissot, 1894
« Io non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele. »
(Matteo 15:24)

Il messaggio di Gesù[modifica]

Basandosi sulla testimonianza storica e le fonti scritturali disponibili, ci si può veramente chiedere come uno possa riassumere succintamente gli insegnamenti di Gesù. Theissen prova a farlo, nell'affermare:

« Al centro del messaggio di Gesù stava la fede ebraica in Dio: per Gesù, Dio era una possente energia etica che avrebbe presto cambiato il mondo per portare liberazione ai poveri, ai deboli e agli infermi. Tuttavia, sarebbe diventata "fuoco infernale" di giudizio per tutti coloro che non l'avessero riconosciuta e accolta. Tutti avevano una scelta. Tutti avevano una possibilità, particolarmente coloro che, secondo gli standard religiosi erano dei falliti e degli incapaci. Gesù cercò la loro compagnia e amicizia.[1] »

Lo stile di predicazione e argomentazione di Gesù era essenzialmente rabbinico; le sue parabole[2] (ebraico: meshalim) seguiva un linguaggio figurativo biblico e le immagini venivano prese dalle vite quotidiane dei contadini e dei pescatori: il seminatore, il seme di mostarda, il pescatore di uomini, il "calmare" la tempesta. I suoi primi discepoli lo chiamarono "Rabbi" (Mc 9:5;11:21;14:45, Gv 1:38;1:49;3:2;4:31) o "Rabboni" (Giovanni 20:16). Questo titolo aramaico significa "mio maestro" e corrispondeva al greco διδασκαλος, o "insegnante". Esprimeva rispetto e assegnava a Gesù lo stesso rango degli scribi farisaici (Mt 13:52;23:2;23:7). Secondo Marco 6:1-6, gli insegnamenti di Gesù vennero rifiutati nella sua città di origine e si disse che non vi ritornò mai più. Ma secondo Luca 8:2-3, Marco 1:31 e Marco 15:40, le donne provenienti dai dintori della sua casa, sostennero e aiutarono Gesù ed i suoi discepoli. Secondo Marco 15:41, le donne rimasero con lui fino alla sua morte.

Come Hillel (30 p.e.v.-9 e.v.), Gesù diede al comandamento "ama il prossimo tuo" la stessa importanza del timor di Dio e di conseguenza li pose al di sopra di tutti gli altri comandamenti della Torah (Mc 12:28-34). A causa di una mancanza di conoscenza o incomprensione dell'ebraismo al tempo di Gesù, molti cristiani credettero, per molto tempo, che Gesù rappresentasse un'interpretazione della Halakhah che non poteva derivare dall'ebraismo. Tuttavia, riconoscendo la natura pluralistica dell'ebraismo dell'epoca, questo passo viene ora letto come un'interpretazione ebraica interiore della Torah. Secondo Joseph Klausner, i Vangeli descrivono Gesù come ebreo osservante:

« Per quanto i Vangeli Sinottici siano ricolmi di ostilità verso i Farisei, non possono però evitare di descrivere Gesù come un ebreo farisaico nel suo atteggiamento riguardo alla legge. Di conseguenza, egli richiede che vengano offerti sacrifici in svariate occasioni (Mc 1:44; Mt 5:23-24), inoltre non si oppone ai digiuni e alla preghiera, se ciò vien fatto senza arroganza (Mt 6:5-7;6:16;6:18). Egli stesso segue tutte le leggi cerimoniali, indossa frange (tzitzit) (Mc 6:56 e paralleli), paga il mezzo shekel al Tempio, fa pellegrinaggi a Gerusalemme per la Pesach, recita la benedizione sul pane e vino, ecc. Ammonisce i suoi discepoli contro il contatto coi Gentili e coi Samaritani; risponde alle richieste di guarire un bambino pagano in spirito ultra-nazionalistico.[3] »

Le "beatitudini" attribuite alla Fonte Q (Lc 6:20-22; Mt 5:3-11) riassicurano i poveri, le persone in lutto, i deboli ed i perseguitati che per loro il regno è già presente e certo per il loro futuro come giusta porzione per ricompensarli delle sofferenze subite. Questi furono i primi e più importanti destinatari delle parole di Gesù. Secondo Luca 4:18-21, il suo "sermone inaugurale" consistette solo della frase "Oggi si è adempiuta questa Scrittura [Isaia 61:1-3] che voi avete udita con i vostri orecchi". Pertanto, la promessa biblica di un "Giubileo" di perdono dei debiti e di ridistribuzione della terra (Levitico 25) veniva realizzata per i poveri di allora. Secondo gli studi sociostorici, la popolazione rurale ebraica soffriva lo sfruttamento, tassazione da parte di Roma e del tempio, costante presenza militare romana, schiavitù per debiti, fame, epidemie e sradicamento sociale.[4] Il sollievo portato da Gesù ai poveri, le guarigioni e la coincidenza di preghiera e carità, furono simili a quelli del carismatico taumaturgo Hanina ben Dosa (ca. 40-75 e.v.), un rappresentante dei Hassidim galilei.[5] Questa è un'altra ragione per cui gli studiosi di religione contemporanei, a differenza dei loro predecessori, pongono Gesù di Nazareth interamente nell'ambito dell'ebraismo del suo tempo e sottolineano la somiglianza del suo messaggio agli insegnamenti dei Farisei.[6]

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche.
  1. Theissen e Merz, Historical Jesus, cit., 569.
  2. Gary G. Porton, "The Parable in the Hebrew Bible and Rabbinic Literature", in The Historical Jesus in Context, curr. Amy-Jill Levine, Dale C. Allison jr. e John D. Crossan, Princeton University Press, 2006, 206-221.
  3. Joseph Klausner, "Jesus von Nazareth", in Encyclopaedia Judaica, Eschkol, 1932, Vol. 9, col. 69f. Si veda anche Herbert W. Basser, "Gospel and Talmud", in Levine, Allison e Crossan, Historical Jesus in Context, 285-295; Bruce Chilton, "Targum, Jesus, and the Gospels", in Levine, Allison e Crossan op. cit., 238-255.
  4. David L. Balch e John E. Stambaugh, The New Testament in Its Social Environment, Westminster Press, 1986, 102.
  5. Bernd Kollmann, "Paulus als Wundertäter", in Paulinische Christologie, cur. Udo Schnelle e Thomas Söding, Vandenhoeck & Ruprecht, 2000, 95f.
  6. Theissen e Merz, Historical Jesus, cit., 571. Vedi anche Schalom Ben-Chorin, "Judentum und Jesusbild", in Neues Lexikon des Judentums, cur. Julius H. Schoeps, Gütersloher Verlagshaus, 2000, 400-402.