Gesù della Storia, Storia di Gesù/Introduzione

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Yeshua Moshiach
Yeshua Moshiach

Introduzione[modifica]

Duemila anni sono passati, ma la sua rimane ancora la storia incompiuta che rifiuta di andar via. Gesù di Nazareth, un ebreo originario della Galilea rurale del I secolo, è senza dubbio l'essere umano più famoso e influente che abbia mai camminato sulla faccia della terra. La sua influenza potrebbe attualmente essere in declino in alcuni paesi dell’Europa occidentale e in alcune parti del Nord America, come è accaduto di tanto in tanto altrove. Ma il fatto globale è che i seguaci di Gesù sono più diffusi e più numerosi, e costituiscono una parte maggiore della popolazione mondiale, che in qualsiasi momento della storia. Due miliardi di persone si identificano come cristiane; ben più di un miliardo di musulmani venerano Gesù come profeta di Dio (Barrett e Johnson 2001). Innumerevoli altri conoscono e rispettano la sua memoria di uomo saggio e santo.

I seguaci di Gesù vivono in ogni paese del globo. Leggono e parlano di lui in mille lingue. Per loro, la creazione e il destino del mondo si racchiudono in lui, icona tutta umana e visibile del Dio totalmente trascendente e invisibile. Anima le loro culture, credi e aspirazioni.

Anche per molti non credenti, anzi per la maggioranza della popolazione mondiale, Gesù è un nome familiare, il cui “riconoscimento del marchio” supera ancora di gran lunga quello di McDonald’s, Microsoft o Facebook. A dire il vero, questo fatto è oggi complesso come un prisma in frantumi, che rifrange secoli di speranze e paure, ardore e disprezzo. La menzione di Gesù richiama alla mente sia atti di carità eroica sia atti di malvagità indicibile, tutti commessi di volta in volta in suo nome o nonostante esso. Miliardi di persone vedono il nome e persino i simboli culturali di Gesù come un significato di grandi benefici o di un grande tormento inflitto alla loro storia collettiva e forse personale. Sia nel bene che nel male, Gesù rimane un nome familiare in tutto il mondo.

Com'è ironico, quindi, che durante la sua vita Gesù non fosse né eccezionalmente famoso né particolarmente influente sulla vita e sugli eventi della società in cui viveva. Sappiamo molto poco della sua vita, e quel poco che pensiamo di sapere è quasi inevitabilmente rivestito da amori e odi popolari, da pii desideri degli interpreti e da speculazioni sfrenate, e naturalmente da duemila anni di tradizione accumulata.

Questa straordinaria “impronta” di Gesù nella storia, allo stesso tempo profondamente inquietante e ricca di vita, ha implicazioni stranamente contraddittorie per un incontro con lui oggi. Da un lato, ciò significa che una comprensione vera e adeguata dell'uomo resta un compito vitale, anche all'alba del suo terzo millennio. Eppure, il peso stesso delle sue conseguenze complica infinitamente la nostra capacità di percepire e giustificare cosa potrebbe essere una tale “comprensione vera e adeguata”.

Nonostante tutto ciò che abbiamo imparato da tre secoli di studi cosiddetti “critici” (ma quasi esclusivamente occidentali), la simultanea globalizzazione e ritribalizzazione della tarda età moderna nella cultura umana ci ha infine riportato a un'intuizione fondamentale: la conoscenza è sempre relativa al conoscente, non solo all'oggetto conosciuto. Nel caso in questione, ciò significa che non potremo mai conoscere adeguatamente la storia di Gesù se non conosciamo la nostra storia – e, cosa altrettanto significativa, viceversa. Epistemologicamente, Gesù e i suoi effetti nel nostro mondo sono inestricabilmente intrecciati: l'uomo di Nazareth non può essere compreso separatamente dall'impronta che ha lasciato nella nostra comprensione, sentimento e conoscenza collettiva e individuale.

Almeno nel mondo occidentale, resta vero che non possiamo comprendere né la fede cristiana né gran parte del mondo che ci circonda se non facciamo i conti con Gesù di Nazareth e i due millenni di impegno con il suo lascito. Sulle pagine dei libri di storia del primo secolo era ovviamente un semplice lampo, che i giornalisti e gli storici del suo tempo ignoravano o consideravano di scarsa importanza. Tuttavia, esiste un senso ovvio e altrettanto “storico” in cui chiaramente egli non è semplicemente “un uomo come tutti gli altri”.

La forma del presente wikilibro è significativamente influenzata da considerazioni come queste. Questioni di storia, letteratura, teologia e dinamica di una realtà religiosa vissuta sono di fondamentale importanza per il nostro argomento. Nell'affrontare i rispettivi Capitoli, rimane chiara un’acuta consapevolezza della natura multidisciplinare di qualsiasi studio valido su Gesù. Sebbene impegnato a rispettare i più alti standard di competenza tecnica, mi sono sentito incoraggiato a “pensare in grande”, a costruire ponti e a vedere le cose “a colori”.

L'argomentazione dello studio si sviluppa in due parti, che corrispondono grosso modo ai compiti gemelli della descrizione storica di Gesù e della riflessione critica e teologica su di lui. Ovviamente i due compiti non possono essere separati in modo così netto – come era, ad esempio, il presupposto alla base della distinzione, un tempo di moda ma classicamente fraintesa, tra un Gesù “della storia” e il Cristo divino della fede. In effetti, la Parte I dimostra fino a che punto qualsiasi serio impegno storico con Gesù debba affrontare le sfide insistenti della verità, della speranza e della misericordia che sono inevitabilmente sollevate dalla sua vita e dal suo insegnamento – e in effetti dalla sua impronta duratura nella vita del mondo. La Parte II, a sua volta, appropria per la teologia il punto opposto sulla particolarità, dolorosamente rafforzato dal secolo ormai trascorso. Il significato di Gesù nella storia globale del culto, della vita e dello studio cristiano rimane incomprensibile al di fuori della testimonianza apostolica di quell'ebreo migrante di Nazareth che camminò sulle tormentate colline palestinesi duemila anni fa, che pianse per Gerusalemme e che legò il suo destino a quella città e al popolo di Dio. Il recupero di questo fatto è forse il risultato più importante della recente ondata di studi storici su Gesù (cfr. Meier 1999:486).

La Parte I, quindi, inizia con “il Gesù della storia”. In un libro testuale come questo, non è né possibile né auspicabile tenere conto in ogni momento dei dettagli storico-critici del metodo e dell'argomentazione accademica. Affronto il mio compito alla luce di un'ampia e misurata riflessione critica, a volte offrendo una documentazione più ampia, altre volte meno. E, inutile dirlo, il quadro che ne risulta mostra disaccordi nell'enfasi e anche nella sostanza, a seconda dell'importanza della fonte dei detti conosciuta come Q, delle questioni di cronologia o del posto del battesimo nel ministero di Gesù. La narrazione che ne risulta, tuttavia, è in ogni caso concepita come una sintesi critica delle prove storiche su Gesù, attenta alla sostanza e alle implicazioni del suo messaggio.

Comincio delineando il contesto culturale e religioso di Gesù, all'interno del quale una lettura prima facie delle sue parole e delle sue azioni ha un senso storico. I punti salienti del Capitolo 1 includono una discussione sull'ambiente sociale e religioso della Galilea, nonché la questione specifica dell'influenza della Scrittura e della sua interpretazione.

I successivi tre Capitoli trattano diversi aspetti della pratica e dell’insegnamento di Gesù. Il Capitolo 2 inizia con la difficile domanda su che tipo di ebreo fosse Gesù. Sia il suo destino che la storia della Chiesa sollevano acutamente la questione di come Gesù di Nazareth dovrebbe essere compreso in relazione all'ebraismo del suo tempo – e forse del nostro. L'interpretazione cristiana ha troppo spesso presupposto che le sue parole e le sue azioni intendessero un sovvertimento, un superamento o una sostituzione dell'ebraismo, del suo Tempio e della sua legge. Tracciando i temi chiave della tradizione evangelica, mostro che la prassi religiosa e il messaggio di Gesù hanno un senso contestuale solo all'interno, piuttosto che in contrapposizione, alla realtà diversificata e complessa dell'ebraismo palestinese del primo secolo.

Provo quindi ad affinare la nostra attenzione in modo più specifico sulla questione della visione di Dio da parte di Gesù (Capitolo 3). Che cosa potremmo dire della “religione” di Gesù, e in particolare del suo incontro con Dio come Padre? Dimostro che questa questione (che, in una forma piuttosto diversa, un tempo occupava i liberali del diciannovesimo secolo) va al cuore stesso delle preoccupazioni di Gesù. Inoltre, significativamente, risulta costituire un ponte vitale sul presunto abisso tra “la fede di Gesù” e la “fede in Gesù”.

Adottando uno sguardo più ampio, il Capitolo 4 esplora in modo più approfondito i temi e le pratiche distintivi che caratterizzarono il ministero di Gesù: il suo messaggio del regno di Dio nel suo contesto ebraico, le sue parabole e i suoi miracoli, la sua pratica altamente simbolica e controversa della condivisione a tavola che cambia la vita. Qual è stato il loro ruolo nel mettere in risalto, e forse nel plasmare, l'identità e il ministero di Gesù? Spiego come tutte queste diverse linee di indagine sulle parole e sulle azioni "messianiche" di Gesù convergono sulla questione centrale dell'identità di Gesù, come messo a fuoco dalla domanda di Giovanni il Battista dal carcere (Matteo 11:3 par. Luca 7:19): "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?".

Parte I rivolge poi la sua attenzione dal ministero di Gesù al suo destino personale. La scena è preparata da una veloce narrazione delle dinamiche relazionali che caratterizzavano i rapporti di Gesù sia con gli amici che con i nemici (Capitolo 5). Il cast principale di personaggi qui spazia dall'imponente influenza formativa di Giovanni il Battista, attraverso diversi circoli di discepoli, allo scontro finale di Gesù con Caifa per la sua corruzione della purezza del Tempio di Dio - e con Ponzio Pilato, la cui schiavitù all'ambizione politica lo aveva reso il volenteroso boia del Sommo Sacerdote.

Porto questa linea di domande alla sua logica conclusione esaminando il processo affrettato e l'esecuzione romana di Gesù (Capitolo 6). Sono possibili diverse prospettive: quella di uno storico antico, dell'amministrazione provinciale romana, della leadership religiosa sadducea a Gerusalemme, e così via. Per gli scrittori dei vangeli, plasmati come sono da una comprensione ebraica della Scrittura come profezia, l'ultima settimana della vita di Gesù fu così piena di tipologia biblica che l'unico modo di raccontare la storia era mostrare i fili storici e teologici indistinguibilmente intrecciati nel tessuto stesso dell'argomento.

Il Capitolo 7 sulla resurrezione conclude la Parte I e serve a evidenziare l'inevitabile importanza delle questioni sollevate nella Parte II. Sottolinea l'importanza della dimensione storica nella questione della risurrezione di Gesù. Nonostante tutta l'emozionata confusione dei racconti evangelici, qualunque cosa accadde in quella prima domenica di Pesach è parte integrante di qualsiasi resoconto rigorosamente storico di Gesù. Al di là di ciò, tuttavia, sembra stranamente appropriato, e tutt'altro che casuale, che la testimonianza apostolica della risurrezione sia diventata la ragione decisiva per cui abbiamo qualche conoscenza di Gesù di Nazareth. Gli evangelisti affermano all'unanimità che l'attesa della sofferenza e della vendetta divina faceva parte della storia biblica del Cristo dall'inizio alla fine – e c'è motivo di pensare che anche Gesù di Nazareth la pensasse così. Il consenso delle prime testimonianze cristiane secondo cui "Dio ha risuscitato Gesù dai morti" si rivela essere profondamente radicato nella speranza escatologica ebraica e allo stesso tempo una drammatica riappropriazione di quella speranza celeste per il qui e ora.

La Parte II, un po’ più lunga, del wikilibro prosegue esplorando alcune delle implicazioni e delle “domande poste” della Parte I. Lo studio storico di Gesù di Nazareth evoca un marcato senso della sua costante “impronta” nella storia – ciò che Leander Keck (2000) definisce percettivamente “history in perfect tense”. Per ogni apprezzamento critico integrato, quindi, il passato e la presenza di Gesù sono necessariamente interdipendenti: ciascuno può essere pienamente compreso e valutato solo alla luce dell'altro. Ciò ha implicazioni in termini di metodo, di ermeneutica e di appropriazione storica e teologica.

Inizio con due studi di metodo: il primo offre una panoramica dello stato dell'arte dei metodi critici per lo studio di Gesù (Capitolo 8). Questo Capitolo mostra le difficoltà e le insidie che l'indagine scientifica sul Gesù storico deve affrontare. Viene fornita una valutazione critica sui vangeli canonici e delle relazioni tra loro (il cosiddetto "problema sinottico"), nonché delle fonti non tradizionali, come Q e il Vangelo di Tommaso, che sono stati ampiamente promossi in alcuni studi recenti. Si procede quindi a tracciare un percorso attraverso i punti di forza e di debolezza dei vari "criteri" accademici standard utilizzati per valutare l'autenticità storica di detti e narrazioni su Gesù, evidenziando in particolare la necessità di salvaguardare la "plausibilità" storica e contestuale della storia di Gesù nella Galilea ebraica e a Gerusalemme del I secolo.

Dopo aver esaminato metodi e criteri per lo studio di Gesù, si offre poi una prospettiva storica su tale studio nel Capitolo 9. Inizia con una breve rassegna degli approcci antichi, medievali e della prima età moderna, ma poi si concentra soprattutto sugli sviluppi a partire dall'Illuminismo, che tenta di collocare nella più ampia storia intellettuale del loro tempo. Sin dalla famosa indagine di Albert Schweitzer sulle “vite” di Gesù del diciannovesimo secolo, le diverse storie della ricerca su Gesù sono state esse stesse oggetto di notevole attenzione; e pongo diverse domande critiche al paradigma attualmente dominante delle “tre missioni”. Concludo con alcuni suggerimenti (moderatamente modesti) sui risultati duraturi e sui futuri desiderata dello studio del Gesù storico.

I Capitoli precedenti sollevano necessariamente il problema spinoso dell'uno e dei molti: qual è allora il rapporto tra i Gesù variamente ricostruiti degli storici e il Gesù "reale", quello che sta dietro tutte le diverse immagini e che presumibilmente sostiene la fede cristiana? Tre Capitoli affrontano questo problema da un punto di vista teologico. In primo luogo, nel Capitolo 10 esploro alcune domande approfondite sul rapporto apparentemente conflittuale tra teologia cristiana e studi storici critici, offrendo lungo il percorso importanti sfide a entrambe le modalità di indagine. La confessione di Pietro a Cesarea di Filippo in Marco 8 funge da importante pietra di paragone esegetica a questo riguardo, poiché mette in risalto la confessione apostolica di Gesù rispetto ad altre possibili immagini. Suggerisco che solo il dialogo critico con gli studiosi storici può chiarire il significato dell'identificazione da parte della Chiesa del “vero” Gesù con la sua raffigurazione nel quadruplice vangelo della Scrittura.

La stessa pluralità di testimoni, ovviamente, si trovò a confrontare anche la chiesa primitiva. Esamino il quadruplice vangelo come la forma particolare in cui il canone del Nuovo Testamento afferma esplicitamente e tuttavia limita la portata di quella pluralità (Capitolo 11). Prendendo spunto dall'esposizione di Ireneo di Lione del II secolo, mostro come la chiesa primitiva basasse la propria affermazione dell'unità dell'unico vangelo nei quattro vangeli non sulla sua capacità di armonizzare le differenze, ma sulla norma universale della Regola di Fede, la sostanza di fede e pratica apostoliche.

Uno degli aspetti notevoli, e nella pratica cristiana troppo spesso trascurati, della testimonianza del Nuovo Testamento a Gesù è che esso interpretava, piuttosto che sostituire, la testimonianza della Bibbia ebraica al Dio di Israele (cfr. su questo punto Soulen 1996). L'Antico Testamento è la Scrittura autorevole del Nuovo. È in questo contesto che il Capitolo 12 valuta la confessione cristiana del “vero” Gesù di Nazareth come il Messia d'Israele. Come può essere compresa questa straordinaria affermazione alla luce di una lettura critica e storica dell'Antico Testamento, o addirittura in vista di una storia che sembra continuare irredenta? Valuto il modo in cui gli evangelisti hanno trattato la Scrittura alla luce della teologia dell'Antico Testamento, delle speranze ebraiche contemporanee e del messianismo dei primi cristiani. Non faccio però riferimenti alla panoramica ebraica dei successivi "messia" fino ai giorni nostri, che ho esaminato altrove, nella mia Serie misticismo ebraico.

I due Capitoli successivi passano dalla negoziazione biblica del “vero” Gesù al posto di quel Gesù apostolico nella teologia e nella fede attraverso i secoli. In primo luogo, traccio la storia di Gesù nella dottrina cristiana, con particolare riferimento allo sviluppo della cristologia e della soteriologia (Capitolo 13). Dagli antichi conflitti sulla divinità e sull'umanità di Gesù ai dibattiti sull'Illuminismo e alla Dichiarazione di Barmen, la storia della teologia mostra che il problema dell'uno e dei molti ha continuato ad emergere nel conflitto tra un Gesù addomesticato dalle agende umane e Gesù come il Verbo divino all'umanità.

Il Capitolo 14 fornisce la controparte "spirituale" del Capitolo 13: un'indagine sulla fede in Gesù nella storia della pietà cristiana, che copre un ampio arco dagli inizi della devozione a Cristo attraverso i periodi patristico e medievale fino agli sviluppi più recenti sia nell'Ortodossia orientale e nei movimenti cattolici ed evangelici in Occidente. La vastità stessa di questo terreno fornisce una conferma eloquente del peso storico della “presenza” di Gesù, di cui si mette in risalto l'importanza. Oltre a ciò, tuttavia, osservo la difficile relazione tra il Gesù della teologia e la storia del suo posto nella pietà cristiana: l’individualismo e il sentimentalismo spesso implacabili di quest'ultima hanno troppo spesso dirottato Gesù al servizio di cause o fantasie preferite. La devozione a Gesù è del tutto intrinseca alla fede cristiana e tuttavia deriva la sua legittima validità solo da una struttura trinitaria che facilita un movimento nella relazione di Gesù con il Padre.

La “storia di Gesù” nella teologia e nella fede non deve ovviamente essere confusa, né in linea di principio né di fatto, con una storia dell'Occidente. Gesù era un asiatico e un bambino profugo in Africa; e dopo 1 500 anni di cristianità occidentale i suoi seguaci sono di nuovo numerosissimi in quei continenti. Esploriamo questa nuova realtà globale di Gesù alle soglie del terzo millennio nel Capitolo 15. Trovo nella teologia biblica della creazione universale e della salvezza il quadro in cui sviluppare l'appropriazione globale di Gesù come Verbo di Dio incarnato e inculturato.

Questo significato globale di Gesù troverà necessariamente diversi foci locali. Lo stesso Gesù di Nazareth, ovviamente, legò il proprio destino a quello del popolo di Israele – e, con riluttanza ma deliberatamente, a Gerusalemme in particolare. Venti secoli dopo, Gerusalemme è allo stesso tempo rivitalizzata e profondamente lacerata da antiche divisioni. Sacra all'Ebraismo, al Cristianesimo e all’Islam, è paradossalmente il simbolo di un mondo tardo moderno che rimane sia villaggio globale che campo di atrito tribale, un luogo in cui la retorica di una giustizia partigiana minaccia sempre di soffocare la verità della misericordia. In questo contesto, il Capitolo 16 delinea la dolorosa storia della città dal periodo patristico attraverso le conquiste persiane, musulmane e crociate fino al reinsediamento ebraico all'ombra dei tentativi di sradicare il popolo ebraico. Il suo racconto conduce ai conflitti dei nostri giorni, che includono la complessa minaccia alla sopravvivenza stessa del cristianesimo in Terra Santa. Conclude che Gerusalemme rimane oggi “emblematica” per tutte e tre le principali religioni e che l'opera dello Spirito di Gesù si vedrà nel dare a ciascuna il potere di animare la pace.

Dopo che sono trascorsi due millenni, qual è il significato duraturo di Gesù per il futuro del mondo? Che senso potrebbe rimanere nella credenza paleocristiana secondo cui Gesù venne per salvare il mondo e tornerà per giudicarlo e governarlo? Nel Capitolo 17 conclusivo, fornisco una sorta di sintesi di molti dei temi interconnessi di questo wikilibro. Documentando la speranza cristiana primitiva in un futuro che appartiene a Gesù, sostengo che, nonostante il suo virtuale spostamento in gran parte della teologia moderna, il cristianesimo ha bisogno di recuperare quell'attenzione nel futuro di Gesù che trascende la sua storia passata e la nostra, e la cui parusia (παρουσία) sarà vista a redimere e realizzare ogni presente al servizio di Dio.

Sembra in definitiva un doveroso punto di convergenza per questo studio su Gesù notare che le contingenze della storia e le esaltate pretese della cristologia coincidono riguardo a quell'orizzonte ultimo: il messaggio di Gesù è una chiamata a trasformarsi nel regno redentore del Dio d'Israele.

Per approfondire, vedi Serie cristologica e Serie delle interpretazioni.