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Gesù della Storia, Storia di Gesù/Capitolo 11

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Indice del libro

Molti vangeli, un solo Gesù?

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Una delle caratteristiche più sorprendenti della storia della chiesa primitiva è la decisione di includere quattro vangeli nel canone delle Scritture cristiane. Lo scopo di questo Capitolo è di esplorare il significato del quadruplice vangelo per la nostra conoscenza di Gesù. L'argomento principale sarà che i quattro testi evangelici testimoniano in modi distintivi l'unico messaggio evangelico al centro del quale c'è l'unica persona, Gesù di Nazareth. Il fatto che ci siano quattro vangeli affiancati nel canone, nessuno dei quali è stato subordinato all'altro, è un invito a riconoscere che la verità su Gesù di cui i vangeli rendono testimonianza è irriducibilmente plurale senza essere né incoerente né completamente elastica. Il quadruplice vangelo indica la profondità dell'impatto di Gesù sui suoi seguaci, l'inesauribilità della verità su di lui e il modo in cui la conoscenza di Gesù è necessariamente auto-coinvolgente.

Qual è il problema?

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Il fatto che nel canone siano presenti quattro vangeli, a loro volta una selezione da un numero più ampio, per lo più ormai perduto, solleva ovviamente interrogativi sulla nostra conoscenza di Gesù. Tali interrogativi vanno in direzioni opposte. Da un lato, ci sono interrogativi derivanti dal fatto di avere più di un resoconto di Gesù nel canone. Le quattro testimonianze evangeliche sono così diverse che non possiamo avere alcuna certezza che ci mettano in contatto con l'unico Gesù? Dall'altro, ci sono interrogativi relativi alla limitazione a quattro. Dato che, in una fase molto precoce della storia della chiesa, si decise di accettare solo quattro vangeli come canonici e che gli altri (vale a dire gli apocrifi e gli gnostici) non furono inclusi, ci ritroviamo arbitrariamente con le tradizioni che per caso erano apprezzate da persone che non sapevano di meglio o che per caso erano il partito al potere in quel momento?

Entrambe le serie di domande sono legittime e importanti. Perché? Perché hanno a che fare con i fondamenti della nostra conoscenza di Gesù. Poiché, secondo l'insegnamento cristiano, l'identità umana e la salvezza sono legate inestricabilmente alla nostra conoscenza di Gesù, l'autorità del vangelo quadruplice o di qualche alternativa (un solo vangelo? una molteplicità illimitata?) merita un'attenzione ponderata.[1]

Le forme che questo problema assume nel mondo (post-)moderno

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Forse sorprendentemente, questo problema è vivo e vegeto nell'attuale dibattito accademico e popolare. Prendiamo la critica femminista, con la sua preoccupazione centrale di criticare e reinterpretare la tradizione in modi che rovesciano il dominio patriarcale nella chiesa e nella società per portare avanti la liberazione delle donne. Dato che le domande sul canone del Nuovo Testamento sono domande normative relative direttamente a questioni di autorità, identità e politica della chiesa, e dato anche che il canone è un prodotto di decisioni prese da una gerarchia patriarcale nella chiesa primitiva, non potrebbe essere il caso che il canone del quadruplice vangelo sia troppo restrittivo, negando alle donne le "dracme perdute" (cfr. Luca 15:8-10) di ispirazione e autorità disponibili invece nei (cosiddetti) vangeli apocrifi? In breve, il canone del quadruplice vangelo è uno strumento di dominio maschile? L'ipotesi che tale possa essere il caso ha portato in una delle due direzioni: alcuni espandono il canone per includere opere apocrife (inclusi i vangeli apocrifi), mentre altri vanno dietro ai vangeli canonici per vedere se il Gesù che può essere trovato lì è suscettibile di interpretazione in termini femministi come (implicitamente o esplicitamente) un sostenitore e praticante della liberazione delle donne. (cfr. inoltre Schüssler Fiorenza 1995b; Kwok e Schüssler Fiorenza 1998, in particolare 29–36.)

Lo status del quadruplice canone evangelico è in discussione anche in un altro ambito del dibattito accademico e popolare: la "Ricerca del Gesù storico". Nato in parte dal sospetto che, nell'interesse dell'ortodossia della chiesa primitiva, il quadruplice vangelo nasconda la verità sul "vero" Gesù tanto quanto la riveli, si tenta di ricostruire il Gesù "storico" indipendentemente dalla forma canonica dei vangeli. Di nuovo, come nel caso del femminismo, un'altra forma di critica ideologica di cui condivide in una certa misura la genealogia storica e filosofica, questo porta in una delle due direzioni rispetto al quadruplice vangelo: o l'espansione del canone (a volte fino al punto di eliminare del tutto l'idea di un canone) al fine di attingere a qualsiasi fonte consenta una ricostruzione storica di Gesù, o andare oltre per mezzo della critica delle fonti, delle forme e della redazione.[2] Di sfuggita, vale la pena notare che, se una conoscenza più certa del "vero" Gesù è l'obiettivo di coloro che sono impegnati in questa Ricerca, i risultati non sono poi così promettenti. Ciò che ci viene dato è Gesù il profeta ebreo, il Gesù cinico, il Gesù zelota, Gesù il contadino mediterraneo, Gesù il saggio e così via (cfr. Witherington 1995; Moxnes 1998). In altre parole, fare a meno del quadruplice vangelo non risolve necessariamente il problema di una pluralità di ritratti di Gesù. Ci dà invece una pluralità diversa.

Un terzo esempio è meno mainstream ma non meno interessante. Si verifica occasionalmente nei dibattiti giornalistici e ispirati dai media e ha come focus un interesse per quello che potremmo chiamare il "Gesù esoterico". In questo contesto, le teorie cospirative tendono a prosperare: c'è una verità da sapere su Gesù che le autorità ecclesiastiche (come il Vaticano) sono fin troppo ansiose di sopprimere. Il vangelo quadruplice non ci dà Gesù-come-era-realmente: ma nuove scoperte stanno rendendo possibile la scoperta della "vera" verità su di lui. I Rotoli del Mar Morto sono talvolta qui arruolati nel dibattito (e.g. tipicamente in Thiering 1992). Come anche i testi gnostici di Nag Hammadi. L'assunto di fondo è che, interpretati con sufficiente ingegnosità e con la volontà di mettere in discussione gli interessi acquisiti dell'establishment (accademico o ecclesiastico), questi testi offrono la possibilità, non solo di colmare le lacune storiche nella nostra conoscenza di base, ma di rivelare nel complesso un Gesù diverso e più autentico. Nel contesto di questi dibattiti, il vangelo quadruplice è irrilevante quanto il canone in toto. Nuovi vangeli e un nuovo canone prendono il loro posto. Il Gesù che emerge è il Gesù precedentemente nascosto ma ora portato alla luce dall'arguzia del giornalista investigativo.[3]

Curiosamente, questi tentativi fondamentalmente liberali o radicali di stabilire la nostra conoscenza di Gesù guardando oltre o dietro il canone del quadruplice vangelo sono rispecchiati in una certa misura da strategie che provengono dall'altra estremità dello spettro religioso e teologico. Vale a dire, nei circoli religiosamente conservatori, c'è una tendenza ad accettare il quadruplice vangelo (su basi scritturali o tradizionali) mentre allo stesso tempo minimizza la pluralità intrinseca di quattro vangeli in un canone. C'è una tensione qui, al centro della quale c'è un insieme di credenze sulla rivelazione e la salvezza. Se la rivelazione arriva attraverso la Scrittura (e la tradizione), e se la certezza della salvezza arriva attraverso la ricezione di quella rivelazione scritturale come vera, allora è fondamentale che la testimonianza dei vangeli a Gesù come Salvatore e Signore sia uniforme e stabile. Un modo per garantire ciò è ignorare le differenze tra i vangeli e concentrarsi sugli importanti "purple passages". In alternativa, piuttosto che ignorare le differenze, si tenta di armonizzarle per consentire alla pluralità dei vangeli di parlare con una sola voce. A volte, quella voce è fornita dando la precedenza a uno solo dei quattro vangeli, ad esempio, il Vangelo di Giovanni, come se Matteo, Marco e Luca "dicessero davvero" la stessa cosa di Giovanni, ma Giovanni la dice meglio. Qualunque di queste alternative venga seguita, questo approccio adotta (implicitamente o meno) un canone "all'interno" del canone e, in tal senso, è come quegli approcci già descritti che vanno dietro o oltre il canone verso qualcosa di accettato come più importante.

Ciò che questi brevi casi di studio mostrano è che la domanda "molti vangeli, un solo Gesù?" non è solo viva e vegeta, ma anche di importanza centrale in un'ampia varietà di aree di studio e di vita religiosa e secolare.[4] Prima di procedere oltre, tuttavia, è necessario dimostrare che, a livello delle narrazioni evangeliche effettive, c'è una questione significativa: la pluralità c'è e deve essere presa in considerazione. Qualsiasi mossa unificante deve tenere conto di questa pluralità.

Una pluralità definita

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Il primo punto da sottolineare è che non solo ci sono quattro vangeli nel canone, ma ognuno è diverso dall'altro. Non è solo il caso, ad esempio, che i Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca, chiamati "sinottici" perché condividono tradizioni in comune e quindi possono essere "visti insieme", siano simili tra loro e diversi dal Vangelo di Giovanni, anche se la loro interdipendenza letteraria conferisce ai sinottici una maggiore omogeneità. In effetti, i vangeli stessi forniscono una forte prova che, almeno in una certa misura, uno dei motivi della loro creazione è stato il desiderio di migliorare (cioè di dare un resoconto più avvincente di Gesù rispetto a) i loro predecessori. In altre parole, c'era un impulso verso una molteplicità di vangeli fin dall'inizio. Quindi (supponendo sia la priorità cronologica di Marco sia che Matteo abbia usato Marco), Matteo "migliora" Marco incorporando ed espandendo massicciamente la sua narrazione della vita, morte e resurrezione di Gesù e apportando piccole modifiche di molti tipi. Luca afferma, come una delle sue ragioni specifiche per scrivere, il suo desiderio di dare al suo destinatario Teofilo una vita di Gesù che vada oltre i "molti" resoconti precedenti, "...affinché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate" (Luca 1:1-4). E il Vangelo di Giovanni mostra una chiara consapevolezza di essere stato selettivo nell'uso della tradizione di Gesù e di usare la tradizione in modo creativo: ‘Or Gesù fece ancora molti altri segni in presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro. Ma queste cose sono state scritte, affinché voi crediate..." (Giovanni 20:30-31; cfr. anche 21:24-25).

Ma avendo appena detto che i Sinottici stessi rappresentano una genuina molteplicità, è tuttavia anche vero che Giovanni è distintivo rispetto ai Sinottici presi insieme (cfr. utilmente Smith 1980). In primo luogo, differiscono nei loro resoconti delle origini di Gesù. Marco inizia con l'apparizione di Giovanni Battista al fiume Giordano e il battesimo di Gesù tramite genealogie, nascita e (almeno nel caso di Luca) narrazioni dell'infanzia. Giovanni non mostra alcun interesse per la nascita e l'infanzia di Gesù, e invece concentra tutta la nostra attenzione sulla sua identificazione di Gesù come l'incarnazione del Logos (Parola) preesistente di Dio (Giovanni 1:1-18).

Ci sono anche grandi differenze nei resoconti dei miracoli di Gesù. Mentre nei Sinottici gli esorcismi dei demoni sono molto numerosi, in Giovanni non ce ne sono affatto. Né c'è alcun resoconto della Trasfigurazione, un evento che è così fondamentale nei Sinottici e che si sarebbe prestato così facilmente all'interesse di Giovanni nel dimostrare la "gloria" (doxa) divina di Gesù come Figlio di Dio. Dei miracoli di guarigione, Giovanni non ha un parallelo preciso con nessuna delle guarigioni di Marco, e riduce il numero a soli quattro, una frazione del numero nei Sinottici. Quando si tratta dell'interpretazione dei miracoli, c'è un altro contrasto. Nei Sinottici, sono indicatori dell'irruzione del regno di Dio in Gesù (cfr. Matteo 12:28 par. Luca 11:20). In Giovanni, sono "segni" (sēmeia) il cui scopo è molto più esplicitamente cristologico: rivelare l'identità di Gesù come Figlio divino (ad esempio Giovanni 2:11). Gesù, l’annunciatore del regno nei Sinottici, diventa Gesù il re in Giovanni; e i miracoli sono segni della sua regalità (cfr. Giovanni 6:15;18:33–38).

Ma è forse nell'insegnamento del Gesù giovanneo che la particolarità di Giovanni emerge più fortemente. Ad esempio, sebbene parli in figure e allegorie, non insegna in parabole del "regno" nel modo che è così caratteristico del Gesù dei sinottici (e.g. Marco 4; Matteo 13; Luca 15). Invece, e in contrasto con gli aforismi concisi dei sinottici, ci sono lunghi discorsi contorti in cui un tema è preso e sviluppato ampiamente in uno stile piuttosto omiletico. E in relazione al contenuto dell'insegnamento di Gesù, è generalmente vero dire che la maggior parte dell'insegnamento sinottico non è in Giovanni, e la maggior parte dell'insegnamento giovanneo non è nei sinottici. Ancora una volta, il proclamatore sinottico della venuta del regno di Dio diventa il rivelatore giovanneo di se stesso come l’“Io sono” di Dio (e.g. Giovanni 4:26;6:35;8:12,58;10:11;11:25, ecc.).

Non si può quindi negare né le differenze tra ciascuno dei quattro vangeli né la differenza tra Giovanni e i sinottici. L'indubbia evidenza di interrelazione letteraria tra i sinottici dimostrata dalla critica delle fonti, ad esempio la schiacciante probabilità che Matteo e Luca abbiano utilizzato Marco, rende queste differenze ancora più notevoli. Vale a dire, i rispettivi autori dei vangeli avevano un evidente senso di libertà — persino di obbligo — di raccontare la storia di Gesù in modi significativamente diversi (e, dai rispettivi punti di vista, implicitamente migliori) rispetto ai loro predecessori. Allo stesso modo, l'evidenza di una probabile interrelazione tra i sinottici e Giovanni, come dimostrato dall'analisi storico-tradizionale, mostra fino a che punto Giovanni, sostenendo l'ispirazione dello Spirito-Paraclito (cfr. Giovanni 14:25-26;16:12-15), si sentì obbligato, tuttavia, a portare la tradizione di Gesù in nuove direzioni.

Quattro ritratti di Gesù, non uno

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Per rafforzare il punto che la pluralità di resoconti canonici di Gesù è reale, vale la pena tentare una caratterizzazione sommaria di ciascuno dei quattro ritratti di Gesù, seguendo l'ordine canonico (cfr. inoltre Kingsbury 1981; Stanton 1989; Barton 1992). Per Matteo, Gesù è Emmanuele, "Dio con noi" (cfr. Matteo 1:23;28:20): colui che come Figlio di Dio rivela autorevolmente la vita del regno dei cieli e invita al discepolato tutti coloro che accettano il suo invito, seguono il suo esempio e obbediscono al suo insegnamento. Con la venuta di Gesù come Messia della fine dei tempi, Dio si è avvicinato per portare salvezza e giudizio a Israele e alle nazioni attraverso la rivelazione della Sua volontà, soprattutto nella morte di Suo Figlio "per il perdono dei peccati" (Matteo 26:28). Ciò porta alla creazione di una comunità di "nuova alleanza", l’ekklēsia ("chiesa") di discepoli di Gesù provenienti da persone di ogni nazione, sia gentili che ebrei. La conclusione di Matteo lega insieme tutti i fili principali: l'autorità preminente e universale di Gesù come Figlio crocifisso e risorto che viene al suo popolo; il comando ai discepoli di andare in missione in tutte le nazioni, battezzando come Gesù stesso fu battezzato e insegnando come Gesù aveva insegnato loro; e la rassicurante promessa della sua presenza sovrana "fino alla fine del mondo" (Matteo 28:16-20).

Il Gesù del Vangelo di Marco è una figura di mistero e paradosso che evoca incomprensione e timore reverenziale. È il Figlio di Dio investito di Spirito e il celeste Figlio dell'Uomo (cfr. Dan 7:13-14) che insegna e guarisce "con autorità", ma che tuttavia "deve molto soffrire" (Marco 8:31;9:31;10:33) e la cui vita termina con un grido di abbandono su una croce romana. In questo paradosso fondamentale c'è il "segreto messianico" per cui Marco è famoso. È il "segreto" della nascondibilità del potere salvifico di Dio nella debolezza del Figlio di Dio che, in obbedienza alla volontà divina, dà la sua vita "come prezzo di riscatto per molti" (Marco 10:45). A questo segreto, solo coloro che hanno fede hanno accesso: sono ritratti nella narrazione come una donna con una malattia cronica, una donna gentile con una figlia indemoniata, bambini portati a Gesù, un mendicante cieco ai bordi della strada e simili. È un mistero di significato cosmico sostenuto fino alla fine, un finale la cui differenza da quello di Matteo difficilmente potrebbe essere maggiore: "Allora esse [le donne], uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura." (Marco 16:8).

Nello scritto di Luca c'è una profonda innovazione. Luca racconta la storia di Gesù non in una parte, ma in due: ciò che chiamiamo il Vangelo secondo Luca e gli Atti degli Apostoli. La narrazione in due parti rappresenta una deliberata decisione autoriale. In gioco per Luca era un modo di vedere la storia. (È presente anche in Matteo e Marco, ma non in modo così enfatico.) In breve, i propositi salvifici di Dio per l'umanità si stanno realizzando (1) nella missione di Gesù il Messia in Israele nella potenza dello Spirito (il Vangelo), e (2) nella missione degli apostoli di Gesù "fino ai confini della terra" nella potenza dello stesso Spirito (Atti). "Oggi" è il giorno della salvezza (cfr. Luca 2:11;4:21;19:9;23:43), un messaggio che Gesù porta fino a Gerusalemme, e che Paolo porta fino a Roma. La venuta di Gesù inaugura la nuova era di adempimento escatologico (della fine dei tempi) delle promesse di Dio a Israele. Questa è un'era di grazia sconfinata in cui la salvezza è offerta a tutti coloro che si pentono e vengono con gioia alla tavola del banchetto escatologico di Gesù. Per gli ipocriti questo è uno scandalo; per i "poveri, storpi, ciechi e zoppi" è gioia e pace e si risolve in lode a Dio. Ancora una volta, la conclusione del Vangelo è paradigmatica dell'immagine distintiva dell'evangelista nel suo insieme. C'è l'esaltazione di Gesù, l'emancipazione degli apostoli, il ruolo centrale nella storia della salvezza di Gerusalemme e del Tempio e la gioiosa dossologia dell'adempimento escatologico: "Mentre li benediceva, [Gesù risorto] si staccò da loro e fu portato verso il cielo. 52 Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; 53 e stavano sempre nel tempio lodando Dio" (Luca 24:51-53).

Che dire, infine, del ritratto di Gesù che ne fa Giovanni (di cui si è già detto qualcosa)? Forse la cosa più sorprendente è la scala cosmica del dramma della salvezza in cui il Gesù di Giovanni interpreta la parte principale. In qualche modo, chiamare Gesù "Messia", se con ciò si intende il salvatore di Israele, pur essendo vero, non è sufficiente (cfr. 6:15). Piuttosto, Gesù è rielaborato come il Figlio incarnato del Padre celeste che mostra l'amore di Dio al mondo intero. Soprattutto, è identificato con il Logos (Parola/Verbo) divino di Dio, preesistente a Dio. Come la figura sapienziale della tradizione biblica ed ebraica, è l'agente attraverso il quale Dio ha creato il mondo. È il portatore della gloria divina. Ed è Colui che è disceso dal cielo e si è incarnato come Gesù di Nazareth (cfr. Giovanni 1:1-18 e passim). La sua incomparabilità come donatore di "vita eterna" è rivelata nei giganteschi segni-miracoli che compie davanti al popolo nella prima parte principale del Vangelo di Giovanni (capp. 1-12), che culminano nella resurrezione del suo amico Lazzaro, "morto da quattro giorni" (Giovanni 11:39). Nella seconda parte del Vangelo (capp. 13-21), la sua incomparabilità è rivelata anche nella sua ascesa al Padre tramite la croce e la risurrezione per preparare un posto in cielo per "i suoi", un'ascesa che mostra che lui (e nessun altro) è, in effetti, "la via, la verità e la vita" (Giovanni 14:6). Pertanto, Gesù è così incomparabile che la tradizionale fede cristiana nella venuta della salvezza e del giudizio nel tempo futuro riflessa nei Sinottici è trasposta in Giovanni in una certezza che la salvezza e il giudizio sono già giunti con la venuta, in Gesù, del celeste Figlio dell'Uomo.

Questi schizzi sommari portano a una sola conclusione. I resoconti della vita di Gesù nei quattro vangeli canonici sono irriducibilmente diversi. Ognuno ha una sua integrità. Come la critica redazionale e (più di recente) la critica narrativa ci hanno aiutato a vedere, dobbiamo parlare del "Gesù di Matteo", del "Gesù di Marco" e così via. L'armonizzazione (vale a dire il tentativo di far dire la stessa cosa a tutti e quattro i vangeli), almeno al livello di ciò che i vangeli dicono effettivamente, non è possibile. Né, data l'evidente sensazione da parte degli autori dei vangeli che nessun singolo resoconto potrebbe rendere piena giustizia al suo sublime argomento, l'armonizzazione è nemmeno auspicabile. Ciò non significa che non si possa dire nulla di coerente su Gesù, né che sia una questione di "tutto è concesso". Ciò che significa è che la nostra conoscenza di Gesù sarà sempre parziale, sempre aperta alla correzione, sempre una questione di ascolto delle diverse testimonianze di coloro che affermano di conoscerlo o di averlo conosciuto. Ciò includerà le testimonianze degli stessi autori dei vangeli.

Precedenti e analogie: pluralità nella Bibbia e primo ebraismo

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Di sfuggita, vale la pena osservare che questa chiara pluralità nei resoconti evangelici della vita di Gesù non è senza precedenti dal punto di vista del canone nel suo complesso e degli sviluppi del primo ebraismo. Nell'Antico Testamento, c'è una quantità molto significativa di ripetizione narrativa sia a livello micro che macro (cfr. Alter 1981:88–113), gli esempi più sorprendenti di quest'ultimo sono i resoconti paralleli della dinastia davidica nei libri dei Re e delle Cronache. Se allarghiamo la nostra rete per includere la letteratura del primo ebraismo (cfr. Nickelsburg 1981), notiamo che vengono raccontate storie della Bibbia e prendono forma molteplici tradizioni sui patriarchi e sui profeti. Ad esempio, il Libro dei Giubilei elabora la narrazione che va da Genesi 1 a Esodo 12; la storia di Giuseppe viene raccontata e elaborata in Giuseppe e Aseneth; le scene del letto di morte patriarcale forniscono l'occasione per il racconto dei Testamenti dei Dodici Patriarchi; e il Testamento di Mosè racconta nuovamente gli eventi descritti in Deuteronomio 31-34.

Ciò implica qualcosa di importante sulla natura della letteratura biblica e correlata: che la sua preoccupazione principale non era quella di fornire un resoconto unico e fisso del passato, ma di fornire risorse autorevoli e scritturali per consentire a Israele (e successivamente agli ebrei) di vivere del passato nel presente e con una visione del futuro. Affinché ciò fosse possibile, erano essenziali molteplici rivisitazioni ed elaborazioni continue dell'eredità orale e letteraria.

Dato che la trasmissione e l'iscrizione delle tradizioni evangeliche su Gesù avvennero in un ambiente prevalentemente ebraico e furono fortemente plasmate da precedenti scritturali, è molto probabile che fossero all'opera dinamiche simili. La storia di Gesù, raccontata e ripetuta, fornì autorevoli risorse scritturali che consentirono ai credenti in Cristo di "seguirlo", come avevano fatto i primi discepoli, nelle generazioni successive. Il ricordo (anamnēsis) di Gesù non fu un modo per "fissarlo" nel passato, ma per incontrare ora, nel presente, colui che era stato con i discepoli allora (cfr. 1 Corinzi 11:23-34; cfr. inoltre Dahl 1976).

Cos'è un vangelo?

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Oltre a osservare i precedenti scritturali che rendono comprensibile la pluralità dei vangeli nel canone, dobbiamo anche chiederci cosa sia un vangelo. Infatti, potrebbe essere il caso che il fenomeno dei "molti vangeli" sia un problema solo se la natura e lo scopo dei vangeli sono fraintesi. Il primo punto da fare qui ha a che fare con la parola "vangelo" stessa (cfr. ulteriormente Talbert 1981). Nel primo uso cristiano, "il vangelo" (to euanghelion, εὐαγγέλιον) si riferiva al messaggio di salvezza e giudizio proclamato da Gesù (cfr. Marco 1:14-15) e, successivamente, dagli apostoli (cfr. 1 Corinzi 1:17-25; Romani 1:1-5). Il vangelo, in altre parole, era un annuncio di speranza e avvertimento in vista dell'avvicinarsi di Dio. Poiché si credeva che la presenza di Dio fosse stata manifestata preminentemente in Gesù stesso – nella sua vita, morte e resurrezione – il messaggio del vangelo arrivò a concentrarsi su Gesù.

Questo messaggio fu comunicato principalmente in forma orale da coloro che potevano affermare di essere testimoni (cfr. Atti 1:15-26, in particolare vv. 21-22; 1 Corinzi 9:1;15:1-11). Ma fin dai primi giorni, la proclamazione orale continua fu accompagnata e integrata da forme di comunicazione scritte (cfr. Luca 1:1-4; Giovanni 20:30-31). Alcune di queste assunsero la forma di lettere, come nel caso di Paolo; e qui, è degno di nota il grado in cui le lettere rappresentano una testimonianza personale del Signore vivente. Altre comunicazioni scritte assunsero una forma molto simile a quella che gli antichi avrebbero chiamato bioi (‘vite’) di Gesù (cfr. Burridge 1992). Sono chiamati "vangeli" perché il loro contenuto è il vangelo dell'avvicinamento di Dio in Cristo. Pertanto, nell'apertura di Marco ("Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio"), "vangelo" designa sia un'opera letteraria di cui questa prima frase è l'apertura, sia un annuncio la cui fonte e contenuto è "Gesù Cristo, Figlio di Dio" (Marco 1:1; cfr. 1:14-15;8:35;10:29;14:9).

Comprendere le sfumature del termine "vangelo" in questo modo è importante perché ci consente di vedere che molteplici e diverse testimonianze di Cristo, in forme sia orali che scritte, erano un'inevitabile espressione dell'impatto rivelatore che ebbe su coloro che lo conobbero prima e dopo la risurrezione. Questo impatto fu personale. Ciò è implicito nelle soprascritte del vangelo, che assumono la forma di "il vangelo secondo tal dei tali" (cfr. ora Hengel 2000:48–52): in altre parole, l’unico vangelo da e su Gesù Cristo nella versione di Matteo o Marco o Luca o Giovanni. Era anche profondo e continuo: nessuna singola narrazione poteva trasmetterlo adeguatamente. Più di un vangelo non era solo inevitabile, ma anche necessario.

Perché quattro?

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Questa domanda invita risposte a livello storico e a livello teologico, anche se, come vedremo, i due sono strettamente interconnessi. Cominciamo con lo storico, notando quanto detto in precedenza, ovvero che gli sviluppi hanno generalmente preso due direzioni: verso la moltiplicazione (perché solo quattro e non di più?) e, in alternativa, verso la riduzione (perché non solo un vangelo nel canone?). (Cfr. inoltre Cullmann 1956, Stanton 1990 e Hengel 2000.)

Inizialmente, la tendenza era verso la moltiplicazione, non solo con la stesura dei quattro vangeli, ognuno dei quali cercava di migliorare o integrare il suo predecessore, ma anche con la stesura di altri "vangeli", alcuni dei quali non erano altro che raccolte di detti (logia) di Gesù, come il Vangelo di Tommaso, altri dei quali erano elaborazioni, usando materiale leggendario per riempire i silenzi su Gesù lasciati dai vangeli precedenti. Esempi di questi ultimi sono i "vangeli" della nascita e dell'infanzia, come il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dell'infanzia di Tommaso. Ci sono anche "vangeli" che elaborano l'altra estremità della vita di Gesù. Il Vangelo di Pietro è una rielaborazione e un'espansione apocrifa della passione e della resurrezione, mentre altre opere contengono rivelazioni apocrife post-resurrezione, come l’Apocalisse di Pietro, l’Epistola degli Apostoli e il Vangelo di Maria (Maddalena).[5]

Nello stesso tempo, e forse in parte come reazione a questa molteplicità, ci fu una tendenza a ridurre il numero di vangeli, fino al punto di accettarne solo uno. Sappiamo da Ireneo che c'erano circoli docetisti che preferivano il Vangelo di Marco e che gli Ebioniti riconoscevano solo il Vangelo di Matteo. Come è anche ben noto, Marcione (morto nel 160 circa) accettò come valida (in virtù del suo legame con Paolo) solo una versione modificata del Vangelo di Luca e fece a meno del resto. Nella chiesa siriana, Taziano prese una linea diversa. Invece di accettare come valido solo uno dei quattro, sintetizzò o "armonizzò" i quattro in uno, in un'opera (170 circa) che divenne nota come Diatessaron (cioè "l'[uno] dai quattro").

Come, allora, un vangelo quadruplice ha ottenuto l'accettazione rispetto a queste alternative? A livello mondano, una ragione ha probabilmente a che fare con un'importante innovazione nella chiesa primitiva: l'uso del codice anziché del rotolo. Il codice consentiva di rilegare insieme più di un vangelo uno accanto all'altro; e ci sono prove iniziali di codici cristiani contenenti tutti e quattro i vangeli. In effetti, potrebbe essere il caso che il vangelo quadruplice presupponga il codice dei quattro vangeli e viceversa: il vangelo quadruplice è stato reso una possibilità pratica dal codice e, al contrario, lo sviluppo del codice dei vangeli multipli è stata un'espressione dell'accettazione del vangelo quadruplice (cfr. Stanton 1990:326–29, 336–40).

Ma la ragione principale è più profonda: riguarda la preservazione dell'unità e della cattolicità della chiesa nel ricordo condiviso di Gesù, riunendo in un'unica raccolta quadrupla la testimonianza più autorevole su di lui. La difesa antica più famosa di questo vangelo quadruplo è quella del vescovo di Lione del II secolo, Ireneo (130–202). La sua argomentazione riflette la preoccupazione della chiesa primitiva di dimostrare, tra le altre cose, che il vangelo quadruplo non era arbitrario. Il passaggio rilevante della sua opera Adversus Haereses, scritto c. 180, merita di essere citato per esteso[6] (3.11.8–9, mia trad., cfr. anche Richardson et al. 1953:1.382–3):

« I vangeli non potrebbero essere né più né meno numerosi di quanto non siano. Poiché ci sono quattro zone del mondo in cui viviamo, e quattro venti principali, mentre la Chiesa è diffusa su tutta la terra, e il pilastro e il fondamento della Chiesa è il vangelo, e lo Spirito della vita, essa ha opportunamente quattro pilastri, che ovunque esalano incorruttibilità e rivitalizzano gli uomini. Da ciò è chiaro che il Verbo, l'artefice di tutte le cose, colui che siede sui cherubini e sostiene tutte le cose, essendo manifestato agli uomini ci ha dato il vangelo, quadruplice nella forma ma tenuto insieme dallo Spirito. Come disse Davide, quando chiese la sua venuta, "O tu che siedi sui cherubini, mostrati". Perché i cherubini hanno quattro facce, e le loro facce sono immagini dell'attività del Figlio di Dio. Perché la prima creatura vivente, dice, era come un leone, a significare il suo carattere attivo, principesco e regale; la seconda era come un bue, a mostrare il suo ordine sacrificale e sacerdotale; il terzo aveva il volto dell'uomo, indicando molto chiaramente la sua venuta in sembianze umane; e il quarto era come un'aquila volante, rendendo chiaro il dono dello Spirito che aleggia sulla chiesa. Ora i Vangeli, in cui Cristo è intronizzato, sono simili a questi... Di nuovo, la Parola di Dio stessa era solita parlare ai patriarchi prima di Mosè, in modo divino e glorioso, ma per coloro che erano sotto la Legge stabilì un ordine sacerdotale e liturgico; dopo questo, diventando uomo, mandò il dono dello Spirito Santo su tutta la terra, custodendoci con le sue ali. Quanto all'attività del Figlio di Dio, tale è la forma delle creature viventi; e come è la forma delle creature viventi, tale è anche il carattere del Vangelo. Poiché le creature viventi erano quadriformi, e il Vangelo e l'attività del Signore sono quadruplici. Pertanto quattro alleanze generali furono date all'umanità: una fu quella del diluvio di Noè, tramite l'arco; la seconda fu quella di Abramo, tramite il segno della circoncisione; il terzo fu il dono della Legge da parte di Mosè; e il quarto è quello del Vangelo, attraverso il nostro Signore Gesù Cristo. Poiché questo è il caso, sono stolti e ignoranti, persino audaci, coloro che distruggono il modello del Vangelo e presentano più o meno di quattro forme del Vangelo: la prima, perché affermano di aver trovato più della verità, la seconda perché annullano la dispensazione di Dio... »

Le argomentazioni di Ireneo presuppongono chiaramente modi di pensare che non si adattano bene alle moderne nozioni di razionalità. Ma sono comunque istruttivi. In questo caso, egli parte da quella che ritiene essere la datità del quadruplice vangelo e sostiene in modo post hoc una profonda concordanza tra il loro quadruplice carattere e la provvidenza di Dio nella creazione e nella salvezza. Così, con argomentazioni teologiche e scritturali di tipo in parte numerologico, rafforzate da appelli ai testi scritturali sulle "quattro creature viventi" attorno al trono celeste (cfr. Ezechiele 1; Apocalisse 4), Ireneo dimostra che, lungi dall'essere arbitrario, il quadruplice vangelo è miracoloso e provvidenziale, la manifestazione stessa della volontà e del carattere di Dio.

Ai fini attuali, ciò che è di importanza duratura qui è il riconoscimento implicito di Ireneo che una difesa del quadruplice vangelo deve venire dall’esterno ma non indipendentemente dai vangeli stessi, che la validità del quadruplice vangelo successivamente canonizzato deve essere giudicata rispetto a un canone (o "regola") di altro tipo, vale a dire, la "Regola della fede" (regula fidei).[7] La Regola della fede, i cui primi riferimenti provengono dallo stesso Ireneo, è intesa come la base della fede e della pratica universale (cioè cattolica) su cui la chiesa ordina la sua vita comune e distingue la verità dall'errore. Su questa base, il quadruplice vangelo non è canonico perché è nel canone (letterario) della Scrittura; ma piuttosto, è nel canone della Scrittura perché è canonico.[8] Vale a dire, nella vita e nel culto della chiesa primitiva che rivendicava la guida dello Spirito Santo, i quattro vangeli, e solo questi quattro, furono ritenuti a rendere testimonianza vera e sufficiente (anche se parziale e incompleta) della venuta di Dio in Cristo per la salvezza del mondo. I vangeli resero testimonianza al vangelo.

Ciò aiuta a spiegare perché questioni più strettamente storiche sui vangeli, importanti per noi, erano relativamente poco importanti per i leader della chiesa nei primi due secoli. In origine, ad esempio, i vangeli potrebbero non aver avuto alcuna attribuzione autoriale.[9] La cosa importante non era tanto chi scrisse i vangeli, ma se i vangeli stessi fossero o meno giudicati veri e sufficienti testimoni di Gesù. Gli autori non erano "autori" nel nostro senso moderno del termine. Piuttosto, si consideravano "ministri della parola" (per usare la frase di Luca in Luca 1:2), la cui responsabilità e vocazione era quella di trasmettere e interpretare la tradizione orale e scritta riguardante Gesù e il vangelo. In altre parole, di primaria importanza era il desiderio di affermare l’apostolicità dei vangeli, la conformità dei loro contenuti con il messaggio evangelico. L'attribuzione a un vero apostolo o al seguace di un apostolo era importante principalmente per servire a tale scopo.

Quattro vangeli, un solo Gesù e la fede cristiana

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Alla luce di quanto precede, possiamo concludere che la teologia e la spiritualità cristiana sarebbero seriamente impoverite se, invece di avere quattro vangeli per la nostra conoscenza di Gesù, ne avessimo solo uno. Infatti, invece di ricevere un invito a incontrare, attraverso un'attenzione paziente a molteplici testimonianze apostoliche, il mistero della salvezza rivelato in Gesù, potremmo essere tentati di pensare che qualsiasi "mistero" ci fosse potrebbe essere colto in un singolo resoconto, che non lasciasse domande senza risposta e non ne chiedesse nessuna. Con quattro vangeli, siamo sfidati dalla possibilità che la realtà di cui rendono testimonianza sia troppo sublime per essere racchiusa in un unico resoconto.

Pertanto, non abbiamo bisogno di vedere una pluralità di vangeli in modo negativo, come se tutto ciò che fa fosse lanciare dannose "contraddizioni" che è nostro dovere spiegare, nel caso in cui una singola crepa nell'edificio statico della rivelazione cristiana dovesse far crollare l'intero edificio. Al contrario, ciò che una pluralità di vangeli offre è una ripetizione complessa e un'elaborazione multipla che intensifica e complica. Il Gesù di cui i vangeli raccontano non è completamente noto al primo incontro. Dobbiamo tornare più e più volte, non solo a un vangelo ma a tutti e quattro, e non solo ai vangeli ma all'intera testimonianza scritturale. E la saggezza teologica suggerisce che guadagneremo di più dagli incontri successivi se arriveremo ai vangeli, non solo da soli, ma in buona compagnia: la buona compagnia della comunione dei santi passati e presenti, che incarnano nelle loro vite e nel loro culto ciò che la vera conoscenza di Gesù, mediata dai vangeli, riguarda (cfr. Matzko 1996).

Per approfondire, vedi Serie cristologica e Serie delle interpretazioni.
  1. Tale è il senso di Childs 1984:143–56, spec. 153.
  2. Un esempio recente di ricerca sul "Gesù storico" che funziona con un canone espanso è rappresentato nel Jesus Seminar. Cfr. Funk e Hoover 1993. Il lavoro del Seminar è descritto da Borg 1994:160–81, che è uno dei suoi membri. Il "quinto vangelo" incorporato con i quattro vangeli canonici è il Vangelo di Tommaso, un'opera gnostica scoperta a Nag Hammadi in Egitto nel 1945. Per una critica vivace del Jesus Seminar e delle opere correlate, cfr. Johnson 1996, in particolare 1–56.
  3. Per questo cfr. Loughlin 1995, su Baigent e Leigh 1982 come anche Baigent e Leigh 1991.
  4. C'è anche una significativa dimensione interreligiosa in questo argomento, che non può essere approfondita qui. Mi riferisco alla difficoltà che il canone del Vangelo quadruplice pone ai musulmani. Hugh Goddard, esperto di relazioni tra musulmani e cristiani presso l'Università di Nottingham, scrive: "Compared with the (relatively) simple and homogeneous Qur’an, therefore, the fact that there are four accounts of the Gospel of Jesus Christ is pretty perplexing to Muslims, since the Qur’an itself refers to the Gospel (singular) and Muslims’ expectation is that that Gospel will be pretty like the Qur’an – i.e. a record of Jesus’ message, thewords which God told him to recite. In fact, of course, it isn’t . . . Later Muslims thinking on this question therefore came up with the idea that the four Gospel accounts as they exist today are not a faithful record of the original Gospel given to Jesus, but versions made up by later generations of Christians which are therefore corrupt by virtue of not being original. Jesus’ original message, therefore, according to most Muslims, has been lost, and that is one reason for the later coming of Islam – to restore the true message of Jesus". Per saperne di più, cfr. Goddard 1995.
  5. Tali fonti sono facilmente reperibili in traduzione in Schneemelcher 1991, vol. 1. Per un'indagine introduttiva, cfr. Bauckham 1992.
  6. Non da ultimo a causa dell'influenza del simbolismo delle "quattro creature viventi" sull'arte cristiana successiva, compresi i manoscritti miniati del quadruplice vangelo come il Libro di Kells, in cui Matteo è simboleggiato dalla creatura simile all'uomo, Marco dal leone, Luca dal bue e Giovanni dall'aquila. Per un'esplorazione vivace dei vangeli che attinge a queste caratterizzazioni, cfr. Burridge 1994.
  7. Cfr. inoltre Hanson 1962:75–129. Il contenuto della Regola della fede, a partire dai passaggi di Contro le eresie di Ireneo, è esposto alle pp. 86–91.
  8. Per una discussione sulla “relazione della Regola della fede con la Scrittura” nell’insegnamento dei Padri, cfr. Hanson 1962:102–17.
  9. La questione è controversa. Per l'argomentazione secondo cui le soprascritte dei vangeli erano originali e che i vangeli non circolarono inizialmente in forma anonima, cfr. Hengel 2000:50–56.