Pensare Maimonide/Commentario

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Indice del libro
La Guida dei perplessi - Edizione classica regolarmente ristampata nella traduzione in ebraico di Samuel Ibn Tibbon, accompagnata da importanti commentari medievali

Shekhinah e Kavod nella Mishneh Torah e nel Commentario alla Mishnah[modifica]

W. Z. Harvey ha asserito recentemente che la Mishneh Torah è una chiave per comprendere i segreti filosofici della Guida dei perplessi.[1] Un esame dell'uso che Maimonide fa dei termini kavod e shekhinah nella Mishneh Torah certamente supporta la tesi di Harvey.[2]

"Leggi delle Fondamenta della Torah", 1:10, riporta quanto segue:

« Cosa fu che Mosè cercò di apprendere, quando disse "Oh, mostrami il Tuo kavod!" (Esodo 33:18)? Egli cercò di conoscere la verità dell'esistenza di Dio... Dio rispose che è al di là della capacità mentale di uomo vivente, composto di corpo e anima, apprendere la verità completa in questa materia. Ma il Santo, che Egli sia benedetto, fece conoscere a Mosè ciò che nessun uomo prima di lui aveva conosciuto e che nessun uomo dopo di lui avrebbe conosciuto: un'apprensione della verità dell'esistenza di Dio fino al punto che Dio fu distinto nella sua mente da tutte le altre esistenze, nello stesso modo in cui un individuo, del quale vedi le spalle,, la cui forma fisica e vestimento vengono percepiti, è distinto nella mente di chi osserva dalla forma fisica di altri individui. E la Scrittura allude a ciò nel testo: "[Poi toglierò la mano e] vedrai le Mie spalle, ma il Mio volto non lo si può vedere" (Esodo 33:23). »

Questo è l'unico passo che ho trovato nella Mishneh Torah in cui Maimonide usa il termine kavod nel senso tecnico discusso in questa Parte e non nel suo senso semplice di "rispetto" o "onore". Maimonide qui interpreta il passo di Esodo (come farà poi nella Guida) a significare che Mosè non pregò Dio di permettergli di vedere qualcosa coi suoi occhi; piuttosto, egli cercò di comprendere qualcosa con la sua mente. Il kavod di Dio non è un'entità che si possa vedere, ma un'idea da comprendere.

Il termine shekhinah ricorre trentasei volte nella Mishneh Torah. La maggior parte di queste ricorrenze non sono di grande importanza e non devono farci perder tempo;[3] alcune però sembrano confermare la tesi da noi proposta, mentre altre sembrano confutarla. Esaminiamo queste ultime per prime.

"Leggi del Tempio", 6:16, in parte riporta quanto segue:

« Ora perché è mia opinione che per quanto riguarda il Santuario e Gerusalemme la prima santificazione li consacrò per tutto il tempo a venire, mentre la santificazione del resto della Terra di Israele, che includeva le leggi dell'anno sabbatico e le decime e simili materie, non consacrò la terra per tutto il tempo a venire? Perché éla santità del Santuario e di Gerusalemme deriva dalla shekhinah, che non può essere bandita.[4] »

L'"esilio della shekhinah" (siluk hashekhinah) è un'espressione rabbinica[5] di solito usata in un senso chiaramente metaforico.[6] Ma qui, in un passo di una certa importanza halakhica, Maimonide sembra usarla in un modo più letterale: sebbene la shekhinah possa essere bandita da altre località, essa non lascia mai la città di Gerusalemme (che ne è quindi resa santa). Shekhinah in questo contesto sembra essere qualcosa che può essere localizzata in termini spaziali, e come tale deve avere una qualche sorta di status ontologico; non può essere interpretata come metafora di provvidenza, profezia o comprensione intellettuale di Dio.[7]

È proprio così? Se confrontiamo la dichiarazione di Maimonide qui con il testo talmudico al quale sembra reagire, ne risulta un quadro differente.

In TB Rosh Hashanah 31a leggiamo:

« Rabbi Judah ben Idi disse a nome di Rabbi Johanan: La Presenza Divina [per così dire][8] lasciò Israele in dieci tappe[9] – questo lo apprendiamo da riferimenti nella Scrittura – e il Sanhedrin corrispondentemente vagò per dieci luoghi di esilio — questo lo sappiamo dalla tradizione. "La Presenza Divina lasciò Israele in dieci fasi — questo lo sappiamo da riferimenti nella Scrittura": [andò] dalla copertura dell'Arca al Cherubino e dal Cherubino alla soglia [del Santo dei Santi], e dalla soglia alla corte, e dalla corte all'altare, e dall'altare al tetto [del Tempio], e dal tetto al muro, e dal muro alla città, e dalla città alla montagna, e dalla montagna al deserto, e dal deserto ascese e dimorò nel suo luogo proprio, poiché dice: "Io me ne andrò e tornerò al mio luogo" (Osea 5:15). »

Evidenziando in "Leggi del Tempio", 6:16, che la shekhinah non lasciò mai Gerusalemme, Maimonide trasforma questo passo di TB Rosh hashanah in allegoria invece che diario di viaggio. Invece di enfatizzare il carattere spazio-temporale della shekhinah come entità, riesce sottilmente a de-enfatizzarlo.[10] Per quanto io ne sappia, questo è l'unico passo della Mishneh Torah in cui la shekhinah viene presentata come un'entità che può essere collocata nello spazio e nel tempo e che, presumibilmente, può, nelle giuste circostanze e con le persone giuste, essere percepita coi sensi. Leggendo questo testo a confronto con il brano di TB Rosh hashanah, sembra dimostrare che Maimonide stesse cercando di limitare tale comprensione, per quegli ebrei che, come il pubblico di Onkelos, non avevano ancora raggiunto la fase di sviluppo che avrebbe permesso loro di capire che la shekhinah (e kavod e luce creata) è una metafora per lo sforzo umano di avvicinarsi a Dio mediante la comprensione.[11]

Altri passi nella Mishneh Torah che, di primo acchito, potrebbero sembrare problematici in realtà si rivelano a supporto dell'interpretazione data qui da Maimonide. In "Leggi del Pentimento", 8:2, per esempio, Maimonide descrive le delizie che spettano a coloro che ottengono una porzione nel mondo a venire:

« Non c'è nulla di corporeo e nessun corpo nel mondo a venire; ci sono solo le anime incorporee dei giusti che esistono come gli angeli custodi... come dissero i primi Saggi: "Nel mondo a venire non si mangia, né si beve, o c'è rapporto sessuale; piuttosto, i giusti siedono con le corone in capo, godendo dello splendore della shekhinah".[12] »

Si potrebbe scartare questo testo come se fosse l'uso che Maimonide fa dell'espressione rabbinica[13]in merito agli splendori del paradiso, e la cosa finirebbe lì. Credo però che egli intendesse letteralmente questa espressione, in un certo modo.

Come si ottiene una porzione nel mondo a venire? Chiunque sia familiare col corpus maimonideo sa subito la risposta: la chiave dell'immortalità è la perfezione intellettuale. Il mondo a venire è il nome dato all'esperienza (priva di ego?)[14] degli intelletti che contemplano eternamente (o, meglio, che ottengono una qualche forma di congiunzione con) le verità eterne. In tale contesto, usare la shekhinah come la intende Maimonide ha senso perfetto. Il risultato di una vita dedita allo sforzo intellettuale (cioè una vita dedicata a coltivare la "presenza" della shekhinah) è un'eternità di "godimento" dei frutti di tale sforzo senza distrazioni corporee/fisiche.

Ricordiamoci an che come Maimonide apre la sua discussione qui: con un'affermazione della natura non-corporea dell'esistenza nel mondo a venire. Se ciò che è in noi che può sopravvivere alla morte e raggiungere il mondo a venire è incorporeo, tanto di più lo deve essere la shekhinah! In altre parole, anche ignorando la dottrina dell'immortalità proposta da Maimonide, non possiamo affatto comprendere qui la shekhinah come un qualcosa che possa essere localizzato nello spazio e nel tempo, o che possa essere percepito mediante i sensi umani.

Un uso particolarmente interessante del termine shekhinah appare in "Leggi della Preghiera e della Benedizione Sacerdotale", 5:3:

« Cosa comporta esser di fronte al Santuario? Fuori della Terra d'Israele, uno si dovrebbe voltare verso la Terra d'Israele e pregare. In Terra d'Israele, uno si volta verso Gerusalemme. A Gerusalemme, uno si volta verso il Santuario. Nel Santuario, uno si volta verso il Santo dei Santi. Una persona cieca, o uno che non riesce a determinare la direzione, o uno che viaggi in barca[15] dirige il proprio cuore alla shekhinah e prega. »

È interessante che la probabile fonte talmudica di Maimonide (Berakhot 30a) parli di voltarsi verso il proprio padre in cielo e non cita la shekhinah per niente. Qui ci sono due punti interessanti. Chi deve voltarsi verso la shekhinah in preghiera? La persona cieca. Altro che shekhinah visibile! Secondo, uno che non conosce la posizione del Tempio a Gerusalemme "dirige il proprio cuore" alla shekhinah e prega. Nell'ebraico biblico e medievale, il cuore è il sito dell'intelletto, non il sito delle emozioni. Come Maimonide chiarisce in Guida iii.51, la preghiera ideale è la meditazione intellettuale su Dio. Notati questi due punti, allora diventa chiaro che il suo uso del termine shekhinah in questo paragrafo, ben lungi dal dimostrare che egli stia usandolo alla maniera di Onkelos/Saadya/Ha-Levi, in realtà rivela che Maimonide sta sottilmente indicandome il carattere metaforico.[16]

C'è un ulteriore passo della Mishneh Torah rilevante per i nostri scopi. Maimonide conclude "Leggi sull'Impurità Rituale del Cibo" (16:12) con una disquisizione che collega la purezza rituale all purezza morale:

« La separazione porta alla purificazione del corpo da azioni malvagie e la purificazione del corpo porta alla santificazione dell'anima dalla qualità morali malvagie, e la santificazione dell'anima porta all'imitazione della shekhinah; poiché è detto: "Santificatevi dunque e siate santi" (Lev. 11:44), "perché io, il Signore, che vi santifico, sono santo" (Lev. 21:8).[17] »

La progressione qui discussa è interessante: buone azioni comportano abitudini morali buone (de’ot); abitudini morali buone portano all'imitazione della shekhinah, cioè all'imitazione di Dio. In quale modo, secondo Maimonide, può una persona che ha perfezionato il proprio comportamento imitare Dio? Innazitutto, mediante la contemplazione intellettuale di Dio. Di nuovo, vediamo che Maimonide usa il termine shekhinah per alludere alla sua concezione intellettualistica della religione, e non per indicare che la presenza di Dio nell'universo può in qualche modo o luogo essere appresa tramite i sensi.

La precedente discussione porta alla conclusione che le idee di Maimonide riguardo a kavod e shekhinah espresse nella Guida erano già presenti nella Mishneh Torah.

Ho trovato un altro punto negli scritti di Maimonide in cui egli usa alcuni di questi termini in un modo consono con la nostra discussione qui. Ciò accade nel suo famoso commento alla Mishnah Ḥagigah 2:1. Lì la Mishnah afferma:

« Uno non spiega di relazioni sessuali proibite alla presenza di tre, né di ma’aseh bereshit alla presenza di due, né della merkavah alla presenza di uno, a meno che quell'uno sia saggio e compreso di per sé. Tutti coloro cheé esaminano quattro cose, sarebbe meglio che non fossero venuti al mondo: ciò che sta nell'alto, ciò che sta nel basso, ciò che sta di fronte, e ciò che sta dietro. Tutti coloro che non sono protettivi del proprio maestro, serebbe meglio non fossero mai venuti al mondo. »

L'ebraico che qui è reso con "onore" è kavod. Chiunque non protegga il kavod di Dio sarebbe meglio non fosse venuto al mondo. Sembrerebbe abbastanza ovvio che il significato di kavod qui sia "onore" o "rispetto". Sembrerebbe ovvio a noi, ma di certo non è ovvio per Maimonide, che scrive:

« Esamina questa espressione meravigliosa, detta con aiuto divino, "tutti coloro che non sono protettivi del proprio maestro", che sta a significare, tutti coloro che non sono protettivi dei propri intelletti, poiché l'intelletto è il kavod del Signore. Poiché colui che non conosce il valore di questa materia che gli fu data, viene abbandonato nelle mani dei suoi desideri, e diventa come un animale. Pertanto, essi dissero: "Chi è colui che non è protettivo dell'onore del suo Maestro? — colui che trasgredisce segretamente". Essi dissero altrove: "Gli adulteri non commettono adulterio finché lo spirito della follia non entra in loro". Questa è la verità, poiché mentre uno brama qualsiasi dei desideri, l'intelletto non è perfezionato.[18] »

L'espressione kavod del Signore" qui è cruciale. Questa è l'espressione biblica standard di kavod e ricorre circa trenta volte nella Bibbia. Maimonide qui insegna che quando la Torah parla del "kavod del Signore", significa in realtà l'intelletto umano, lo strumento mediante il quale, e solo mediante il quale, gli esseri umani possono avvicinarsi a Dio.[19]

Conclusione[modifica]

Il kavod biblico, quale sorta di manifestazione sensoriale della presenza di Dio, e la shekhinah postbiblica, nonché la luce creata, si prestano a interpretazioni che minano la nozione severa della incorporeità divina che Maimonide ha posto al centro della Torah. Onkelos (seguito da Saadya e da Ha-Levi) cercarono di eliminare la nozione pericolosa di una manifestazione sensoriale della presenza di Dio. È toccato a Maimonide analizzare molti dei punti in cui i tre termini sono usati, nel tentativo di dimostrare che il significato chiave del termine kavod è la saggezza di Dio espressa nel mondo naturale, e che il modo in cui dimostriamo kavod (= onore) a Dio ed esprimiamo kavod (= lode) a Dio, è cercando di comprendere la saggezza divina espressa nella natura. Nel presentare queste argomentazioni, Maimonide promuove la sua campagna contro ciò che potremmo chiamare la remitologizzazione dell'ebraismo che è una caratteristica così prominente del mondo dei testi Heikhalot.

Per approfondire, vedi Essenza trascendente della santità, Guida maimonidea e Torah per sempre.

Note[modifica]

  1. Si veda W.Z. Harvey, "The Mishneh Torah as a Key to the Secrets of the Guide", 2001.
  2. Il termine "luce creata" non appare nella Mishneh Torah.
  3. La maggior parte implicano: (a) profezia o fenomeni relativi; (b) conversione ("venir sotto le ali della shekhinah"); (c) il termine "l'accampamento della shekhinah – termine talmudico per il tabernacolo e suoi dintorni. Ma si veda MT "leggi dello Studio della Torah", 5:1, in cui la mancanza di rispetto per il proprio insegnante viene presentata pari alla mancanza di rispetto per la shekhinah. Tuttavia uno rispetta il proprio insegnante poiché insegna la Torah e non per un qualcosa di intrinseco a lui o lei. Inoltre, i versetti citati da Maimonide in questo passo dimostrano che egli usa il termine shakhinah al posto di "Dio". È fondamentale per tutto il progetto maimonideo che Dio non sia entità né percettibile né localizzabile.
  4. Sulla santità e Maimonide si veda Essenza trascendente della santità. Nello specifico, si veda anche il suo Commentario alla Mishnah, Zev. 14:8, trad. e citaz. Twersky, "Maimonides on Eretz Yisrael", 286.
  5. Si veda il capitolo "Siluk Ha-Shekhinah" in Klawans, Impurity and Sin in Ancient Judaism, 118-22.
  6. E così usata da Maimonide nella Mishneh Torah (cfr. per es. "Leggi dello Studio della Torah", 5:8).
  7. Tutte e tre si riducono per Maimonide alla stessa cosa: tentativi umani di "avvicinarsi" a Dio (e le conseguenze di tali tentativi).
  8. Aggiunta della traduzione Soncino, chiaramente scomoda per l'antropomorfismo di questo testo.
  9. Letteralmente "fece dieci viaggi" quando il Tempio fu distrutto.
  10. Maimonide aveva buone ragioni storico-halakhiche per evidenziare la superiorità di Gerusalemme rispetto ad altre località; per un'espressione di tale questione, si veda MT "Leggi della Santificazione della Luna Nuova", 4:12.
  11. Per un caso simile, si veda il commento di Maimonide sulla Mishnah BB 2:9 (con rif. TB NN 29a) come elucidato da H.A. Davidson, Moses Maimonides, 162-3.
  12. TB Ber. 17b.
  13. Il termini ricorre 55 volte nei testi midrashici e otto volte nel Talmud.
  14. Per una discussione su cosa sopravviva alla morte secondo Maimonide, si veda Altmann, "Maimonides on the Intellect and Metaphysics", 89-90.
  15. E quindi presumibilmente insicuro in quale direzione voltarsi per rivolgersi verso Gerusalemme.
  16. James Diamond (Maimonides and the Hermeneutics of Concealment) suggerisce che qui ci possa essere una gerarchia ascendente: voltarsi vero la Terra d'Israele; voltarsi verso Gerusalemme; voltarsi verso il santuario; infine, la persona cieca che "dirige [rivolge] il proprio cuore alla shekhinah. Questa potrebbe essere una sottile svalutazione della geografia sacra a favore di un'interpretazione intellettualistica della preghiera.
  17. Libro della Purezza, trad. Dandy, 393.
  18. Ulteriormente sull'uso di kavod in questo passo, si vedano i commenti esplicativi di Diamond in "Failed Theodicy", 369.
  19. Maimonide ribadisce questa interpretazione di "kavod del Signore" in Guida i.32 (p. 70) e i.59 (p. 142).