Pensare Maimonide/Genesi del tempo

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La Genesi del Tempo
La Genesi del Tempo

La Genesi del Tempo
Il semplice significato di Genesi 1-2:4 è che Dio creò il mondo da elementi primordiali. Purtuttavia, una nuova importante iniziativa fu la costruzione del tempo, che abbracciava giorno, mese, anno e settimana. La settimana, però, non dipese da un fenomeno cosmico ma servì a introdurre il concetto di un popolo santo per un Dio creatore.

Quattro elementi primordiali[modifica]

Prima che non ci fosse nulla, c'erano molte cose; in realtà, solo quattro cose; ma la loro natura era così incoativa che i teosofi ebrei usarono parole banali per nominarle.[1] Indossando il loro manto più onnisciente, ipotizzarono che quando Dio decise di plasmare uno spazio in cui collocare l'umanità, "Egli" – usiamo per ora un pronome maschile difficilmente applicabile – si rivolse a quattro elementi preesistenti per i pilastri di un universo che alla fine si sarebbe esteso dal cielo (שָּׁמַיִם) alla terra (אֶרֶץ).[2]

Come fu narrato, ci fu un ingrediente terroso (אֶרֶץ) che non aveva né funzione né futuro, poiché era תֹהוּ וָבֹהוּ, una coppia di parole allitterative che insieme danno un significato distinto dalle loro parti costitutive (un minestrone). Qualcosa che possiamo descrivere con il nostro "intruglio" o "pot-pourri". C'era anche il buio (חֹשֶׁךְ), incentrato su una massa acquosa così primordiale che solo una parola poetica come תְהוֹם ("il profondo"), essa stessa derivata da tradizioni tramandate, poteva avvicinarsi ad esprimerla. Queste acque (מַיִם) si agitavano costantemente, sferzate da un vento potente (o divino) (רוּחַ אֱלֹהִים) che vi soffiava sopra.

La traduzione greca: contro elementi preesistenti[modifica]

Non è così che l'apertura viene comunemente intesa. Dobbiamo la lettura più usuale agli interpreti della traduzione greca (Septuaginta) di Genesi 1:1, ἐν ἀρχῇ ἐποίησεν ὁ θεὸς τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν, ("In principio Dio creò il cielo e la terra.").[3] È difficile determinare perché gli ebrei d'Egitto del III secolo p.e.v. (presumibilmente i primi di molti altri ebrei mediterranei che cercavano una traduzione greca della Scrittura) decisero di adottare questa versione dei primi versetti.

Molto probabilmente, stavano cercando di produrre un'opera che fosse direttamente connessa con i loro contemporanei, sottolineando l'unicità e la trascendenza del Dio ebraico.[4] In questo modo, i traduttori cercarono di proteggere i loro lettori da passi in ebraico che avrebbero potuto suggerire antropomorfismo o antropopatismo (dal greco ἄνθρωπος anthropos, "umano" and πάθος pathos, "sofferenza"). Potrebbero anche voler allontanarsi dalle nozioni ellenistiche prevalenti di un cosmo con componenti precedenti agli dei.[5]

In questo senso, i traduttori ebrei seguivano i dettami cautelativi di Deutero-Isaia, che esprime disagio per la possibilità che certi elementi preesistessero la creazione:

(IT)
« Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; Io, YHWH, compio tutto questo. »

(He)
« ישעיה מה:זיוֹצֵר אוֹר וּבוֹרֵא חֹשֶׁךְ עֹשֶׂה שָׁלוֹם וּבוֹרֵא רָע אֲנִי יְ־הוָה עֹשֶׂה כָל־אֵלֶּה »
(Isaia 45:7)

(IT)
« Poiché così dice il Signore, che ha creato i cieli; egli, il Dio che ha plasmato e fatto la terra e l'ha resa stabile e l'ha creata non come orrida regione, ma l'ha plasmata perché fosse abitata: «Io sono YHWH; non ce n'è altri. »

(He)
« ישעיה מה:יח כִּי כֹה אָמַר יְ־הוָה בּוֹרֵא הַשָּׁמַיִם הוּא הָאֱלֹהִים יֹצֵר הָאָרֶץ וְעֹשָׂהּ הוּא כוֹנְנָהּ לֹא תֹהוּ בְרָאָהּ לָשֶׁבֶת יְצָרָהּ אֲנִי יְ־הוָה וְאֵין עוֹד »
(Isaia 45:18)

Tuttavia, la traduzione dei LXX è un tentativo di annullare il significato basilare dei versetti iniziali della Genesi, che introducono elementi primordiali nella storia della creazione.

Esegeti medievali: a supporto degli elementi primordiali[modifica]

Il significato semplice fu compreso da un certo numero di esegeti ebrei, che trattarono le parole iniziali della Torah come una clausola circostanziale o temporale.[6] In effetti, non fino al versetto 2 (Ibn Ezra) o al versetto 3 (Rashi) iniziamo la descrizione iniziale di ciò che esisteva primordialmente.

Se seguiamo Ibn Ezra, verremmo a tradurre l'inizio della Genesi in qualcosa del tipo:

(IT)
« Quando nel principio Dio creò il cielo e la terra, la terra era informe e vuota, con le tenebre sopra l'abisso e un vento divino che aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!»... »

(He)
« בראשית א:א בְּרֵאשִׁית בָּרָא אֱלֹהִים אֵת הַשָּׁמַיִם וְאֵת הָאָרֶץ. א:ב וְהָאָרֶץ הָיְתָה תֹהוּ וָבֹהוּ וְחֹשֶׁךְ עַל פְּנֵי תְהוֹם וְרוּחַ אֱלֹהִים מְרַחֶפֶת עַל פְּנֵי הַמָּיִם. א:ג וַיֹּאמֶר אֱלֹהִים יְהִי אוֹר... »
(Genesi 1:1-3)

La glossa di Rashi suggerisce la seguente traduzione simile:

« 1:1 Quando all'inizio Dio creò (o: Quando Dio iniziò a creare) il cielo e la terra (o: L'universo) – 1:2 con la terra che era informe e vuota, con oscurità sopra le profondità e un vento divino che aleggiava sulle acque – 1:3 Dio disse: «Sia la luce!»...[7] »

Secondo entrambe queste traduzioni, quindi, Dio utilizza elementi preesistenti per creare il mondo come lo conosciamo. Questo è il significato semplice del testo. In effetti, a seconda dell'era antica che uno si immagini gli ebrei stessero scrivendo, costoro potrebbero in realtà essere i primi a riferire una saggezza cosmologica ampiamente condivisa nell'antichità meglio articolata tra filosofi greci come Empedocle di Sicilia (V sec. p.e.v.). Parlarono di terra, acqua, aria e fuoco, come i pilastri primordiali dell'universo.[8] Come affermò succintamente Parmenide (leggermente prima), ex nihilo nihil fit, "Dal nulla non viene nulla".

La Creazione del tempo[modifica]

Ecco come differiva la versione biblica: — Quando Dio iniziò a raccogliere nel futuro tutti questi elementi senza scopo, per prima cosa evoca un componente ex nihilo, "dal nulla", semplicemente pronunciandolo. Questo componente è אוֹר, "luce". Dio lo giudica buono; ma di per sé anche questa "luce" non aveva una definizione. Allora Dio la contrappone (יַבְדֵּל) con uno degli elementi primordiali, חֹשֶׁךְ, "buio". Con quell'atto, "luce" diventa יוֹם, "giorno" (un termine sfortunato, poiché alla fine avrà diverse applicazioni) mentre "buio" diventa לָיְלָה, "notte".

Mentre queste due entità si susseguono – l'oscurità primordiale come עֶרֶב, "sera", quindi il "giorno" appena generato come בֹקֶר, "mattina" — qualcosa di completamente viene in essere: יוֹם אֶחָד. Queste due parole non dovrebbero essere tradotte "primo giorno" o "giorno uno", che sarebbe יּוֹם (הָ) רִאשׁוֹן, ma "un giorno". Cioè, "un giorno" come misura del tempo e per la sua alternanza sequenziale di notte e giorno, il nostro giorno civile.[9]

Per quanto breve, questo passo introduce un Dio che ha molte sfaccettature oltre il normale potenziale di ogni singola divinità nazionale pagana: convoca, crea dal nulla, riordina e dà nuove forme agli elementi esistenti. Soprattutto, Dio preesiste il tempo, strumento di sua ideazione (quando costruì "un giorno"), e quindi non Gli si può assegnare una preistoria, per non parlare di una genealogia, come era comune nelle antiche mitologie.

Modellare un universo[modifica]

Con il tempo che funge da strumento, il vero lavoro si divide in due fasi. Nella prima fase, Dio dedica i Giorni 2 e 3 alla preparazione di un mondo in cui gli inanimati diventeranno realtà. Il Giorno 2 segue il modello precedente: Dio genera un secondo elemento dal nulla, un oggetto modellato (רָקִיעַ) che serve a dividere le acque primordiali in due corpi, definendo così lo spazio che ci è familiare.

Il Giorno 3 modella il nostro pianeta Terra. In primo luogo, le acque inferiori si restringono per formare il Mare, permettendo alla Terra primordiale, un pot-pourri, di indurirsi in terra firma. Quindi la Terra acquisisce il suo potenziale per generare vegetazione (non animata, nella concezione ebraica), ponendo le basi per la fase successiva (Giorni 5 e 6) nel processo di creazione, la produzione di animati.

In preparazione a quegli eventi importanti, Dio consacra il Giorno 4 per offrire i mezzi con cui gli animati potrebbero calibrare la propria esistenza. Il Giorno rimane una delle principali unità di tempo; ma nella volta (רָקִיעַ) che è stata anche invocata ex nihilo, sono impostate due sfere, quella più grande (il Sole) che controlla un grande periodo di tempo che ora chiamiamo Anno, e quella più piccola (la Luna), che definisce un intervallo più breve ora chiamiato Mese. Dio assegna loro il controllo delle oscillazioni diurne che tracciano per le creazioni future un ritmo di vita e un modello di culto.

Non abbiamo bisogno di particolareggiare qui come, al Giorno 5, fiumi e mari generarono creature viventi né come l'aria primordiale brulicava di insetti e uccelli. Né è necessario catalogare gli eventi riccamente dettagliati del Giorno 6 che hanno portato alla nascita di animali terrestri, tra cui (e in posizione privilegiata) gli esseri umani, in coppia, in netto contrasto con l'unicità di Dio secondo i cui contorni furono espressi. Ciò che è degno di nota è che ci manca ancora la Settimana dalle altre principali misure calendarizzate.

L'innovazione della settimana[modifica]

Questa unità mancante, infatti, si rivela un indizio per la motivazione, se non anche l'ispirazione, dietro l'apertura della storia ebraica sulla creazione. (Nell'antichità, questo modo di iniziare il passato non è affatto germinale per le tradizioni storiografiche.) Poiché, lanciando la saga della loro gente su un atto creativo, gli storiografi ebraici stavano proponendo un mito molto distintivo: che la modellatura dell'intero il cosmo era solo propedeutico alla selezione di Israele come עַם קָדֹשׁ לַי־הוָה, "un popolo consacrato a YHWH" (Deut. 26:19).

Avendo generato in sei giorni tutto ciò che doveva esserci cosmicamente, il Dio Ebraico consacra il Giorno 7 in cui celebrare la cessazione (verbo: שׁבת) del processo di creazione. Questa promulgazione non è affatto un ripensamento, poiché è anticipata in tutto il testo di Genesi 1, dove frasi e parole cruciali sono pronunciate in sette o multipli di sette.

Tuttavia, a differenza dell'anno, del mese e del giorno, ognuno dei quali nasce da un dato moto celeste, la settimana è un costrutto molto artificiale; come l'ora e il secondo, la settimana non si basa su movimenti stellari o planetari ricorrenti. Non sorprende che, fino al trionfo delle religioni abramitiche in Occidente, nessuno dei popoli vicini calcolava il passare del tempo con un intervallo di sette giorni.[10]

Tuttavia, gli ebrei sapevano anche di una sequenza ricorrente di sette giorni indipendente dal ciclo lunare o dal mese civile, un periodo che culminava con lo Shabbat (שַׁבָּת), un giorno cultualmente vitale. Possiamo speculare all'infinito sull'etimologia e l'origine dello Shabbat, il nome speciale che Israele ha dato alla sua consacrazione del settimo giorno; in effetti, gli stessi ebrei diedero una tradizione contraddittoria delle sue origini e dei suoi obiettivi.[11]

Ciononostante, aprendo la lunga storia di "un popolo consacrato a YHWH" con un dramma divinamente coreografato per mostrare la nascita di un settimo giorno santificato unicamente ebraico, gli storiografi ebraici furono in grado di glorificare lo speciale legame tra il loro popolo e un Dio unico — un rapporto che è un tema principale nella teosofia ebraica.

Prosa mitica o antica cosmologia?[modifica]

I fedeli lettori di questi wikibooks maimonidei non hanno bisogno di ricordare che tutte le narrazioni bibliche degne di nota sono aperte a interpretazioni diverse e avvincenti, molte delle quali barometri di preoccupazioni culturali e intellettuali dei loro tempi. Tanto più per quanto riguarda versetti seminali come quelli che aprono la Genesi. Come abbiamo visto, la traduzione dei Settanta ha spinto a comprendere un corso di affari umani diventato tradizionale nei secoli.

Nell'era moderna, il mondo accademico ha generato un fiorente assortimento di metodologie con cui sbloccare le nozioni ebraiche della creazione (o creazioni), tra cui i metodi testuale, documentario, letterario e un'orda di altri costrutti. Influenti sin dai primi giorni della decifrazione di testi dimenticati sono i confronti con la tradizione mesopotamica, in particolare Enûma Eliš ("Epopea babilonese della creazione"), un mito della fine del secondo millennio p.e.v. che giustificava il primato di Marduk, di conseguenza anche della sua città Babilonia.

È opinione diffusa che i cosmografi ebraici diventarono adattatori di un mitopoietico condiviso che era meglio rappresentato in Mesopotamia. Ho i miei dubbi.[12] Penso a loro, invece, come scienziati immensamente sofisticati (in quasi tutti i sensi), rigorosi e disciplinati di mente, che trovarono un modo audace con cui discutere dei legami primordiali tra cosmologia, teologia e il destino della propria gente. Questi pensatori avevano tradizioni (piuttosto che fatti) con cui valutare la validità della propria costruzione; ma avevano anche una visione con cui intrecciare le loro credenze in un tutto drammatico, garantendo ai loro antenati un legame privilegiato con il loro unico e solo vero Dio. E lo fecero senza irrompere in un qualche poema con cui camuffare la loro convinzione.

Angeli e Tempo, di James Tissot
Angeli e Tempo, di James Tissot

Note[modifica]

  1. La bibliografia sui capitoli iniziali della Genesi è irsuta e interminabile, e solo gli impavidi (o gli stolti) vorrebbero approfondirla. Ai fini di questo saggio, si veda Papers on Ancient Literature: Greece, Rome and the East East, cur. Ettore Cingano e Lucio Milano (Padova: S.A.R.G.O.N. Editrice e Libreria, 2008), 489–509. Un bonus per i lettori è il trattamento di Genesi 2-3 come una serie di eziologie interconnesse (quindi non una seconda narrativa della creazione) che giustifica la nascita della morte e il trasferimento dell'immortalità dagli individui (Adamo ed Eva) alla specie.
  2. Né "paradiso" né "terra" equivalgono alla terra, al mare o al cielo che ci sono familiari. In questa fase, i due termini formano un merismo ((μερισμός), una coppia contrastante che sta per il cosmo che si svilupperà presto.
  3. Potrebbe essere troppo pedante notare che ἐν ἀρχῇ non dovrebbe essere presa come una frase temporale, ma come strumentale, qualcosa come "secondo il piano" o simili, come vien fatto da molti padri della chiesa.
  4. Non erano particolarmente degli antiquari e certamente non erano antropologi, quindi non avrebbero mirato a fossilizzare il testo sacro come era apparso al suo primo pubblico.
  5. Vedi sotto. A sua volta, questa particolare interpretazione divenne dominante sotto il cristianesimo, poiché fino alla Riforma, adottò la traduzione greca (o latina) della Bibbia come sue Sacre Scritture.
  6. Tutti gli esempi di בְּרֵאשִׁית sono probabilmente in clausole temporali; quelli nello stato assoluto (come in Gen. 1:1) si trovano solo quando il termine è usato nel contesto cerimoniale, stabilendo normalmente priorità sequenziale piuttosto che precedenza temporale. Grammaticamente, una frase più adatta alla comprensione tradizionale delle parole iniziali potrebbe essere stata בַּתְּחִלָּה בָּרָא אֱלֹהִים. La scelta di בְּרֵאשִׁית nella posizione iniziale potrebbe essere guidata dal desiderio di duplicare le consonanti in ברא, la seconda parola della frase. Potrebbe esserci anche un motivo esoterico: בראשׁית contiene le prime due (aleph, bet) e le ultime tre consonanti (reš, shin, taw) dell'alfabeto ebraico, nonché la decima (yod), quest'ultima spesso usata come abbreviazione per il nome di Dio, י־הוה. Anche in questo caso, potrebbe esserci un commento erudito su una nozione invocata in Isaia 44:6, "Così disse il Signore... «Io sono il primo e Io l'ultimo, e fuori di me non c’è Dio»". (Questo sentimento è ripetutamente invocato nel Nuovo Testamento, tra cui Apocalisse 1:8).
  7. L'approccio di Rashi è oggi sempre più diffuso tra i traduttori ebrei e protestanti.
  8. Degno di nota è che se si convertono quegli elementi in quelli che oggi alcuni considerano stati primari – solido per terra, liquido per acqua, gas per aria (o vento) e plasma per fuoco – si scopre che questa divisione ha ancora risonanza, sebbene non come spiegazione per lo stato primordiale dell'universo.
  9. Anche la Septuaginta ha ἡμέρα μία, "un giorno", che porta Filone ad immaginarlo come chiamato univocamente per stabilire "la natura del limite" (De opificio mundi, 15). Origene va oltre e pensa che non può essere il "primo giorno" perché il tempo non è stato ancora creato (Genesi: Omelia I). La questione della precedenza del tempo rispetto alla creazione era stata dibattuta molto prima che Genesis Rabbah (3.7), tra gli altri testi, si schierasse a favore.
  10. Anche gli ebrei parlavano di un intervallo di dieci giorni (עָשׂוֹר לַחֹדֶשׁ), calcolando così anche un mese di trenta giorni. In generale, i babilonesi contavano trenta giorni per un mese, intercalando periodicamente un mese intero per allinearsi al ciclo solare. A livello regionale, citavano anche periodi di cinque giorni (ḫamuštum) o di quindici giorni (šapattu). Idem per gli egiziani, che aggiungevano regolarmente 5 giorni al loro anno di 360 giorni. La cosiddetta settimana "planetaria", in cui ciascuno dei 7 giorni aveva un nome individuale (di pianeti, a loro volta chiamati come divinità), non divenne comune fino a quando Roma non adottò il cristianesimo.
  11. In Esodo 20:8-11, lo Shabbat celebrava la cessazione dell'opera di Dio dopo la creazione. In Deut. 5:12-15, tuttavia, è un memoriale periodico per il ruolo di Dio nell'Esodo. (Alla fine, le due nozioni si riunirono con le benedizioni del kiddush nello Shabbat). Per il profeta Isaia (58:13-14), lo Shabbat era indicativo della sovranità di Dio sul suo popolo.
  12. Il confronto si basa in gran parte su contorni comparativi con esposizioni parallele altamente accomodanti di sequenze accadiche ed ebraiche di azioni divine (Marduk contro il Dio ebraico), nonché su un'equazione lessicale tra l'ebraico tehôm e il mesopotamico Tiāmat. Trovo inverosimile, tuttavia, che i mitografi ebrei debbano aver scovato l'epopea Enûma Eliš solo per svilupparne una polemica avversa. I sacerdoti mesopotamici la custodivano gelosamente e la invocavano nei profondi recessi dei loro templi durante le prime ore di una festa sacra (akītu). (Devi aspettare fino al periodo ellenistico per leggere i suoi riassunti in Berosso.) Lo stesso Tehôm (ugaritico thmmt) potrebbe essere collegato linguisticamente a Tiāmat, ma solo indirettamente e da un comune magazzino lessicale piuttosto che da una fonte ascoltata o letta. Inoltre, in Genesi 1 come altrove, tehôm non è certo un avversario di Dio (come lo era Tiāmat per Marduk). Inoltre, non viene descritto nelle metafore di combattimento biblico, come per Leviatano, Raab o simili.