Antologia ebraica/Puro di Cuore

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Indice del libro
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Ebreo in preghiera, di Stanisław Grocholski (1892)

(IT)
« Non vedo la foresta a causa degli alberi. »

(He)
« מרוב עצים לא רואים את היער »
(Detto ebraico)

Nascondersi dalla Presenza di Dio[modifica]

Filone di Alessandria

Egitto, I secolo

DA LEGUM SACRARUM ALLEGORIARUM LIBRI [1]

"E Adamo e sua moglie si nascosero dalla presenza del Signore Dio fra gli alberi del giardino" (Gen. 3:8). Qui le Scritture ci familiarizzano col principio che i malvagi sono senza dimora.[2] Poiché se la virtù costituisce la vera città del saggio, allora colui che non può partecipare alla virtù è un esule da tale città. Ed i malvagi non possono partecipare alla virtù e quindi sono esiliati, sono fuggitivi. Ma colui che fugge dalla virtù allo stesso tempo si nasconde da Dio. Poiché se i saggi sono a Dio visibili — in quanto sono Suoi amici — i malvagi sono tutti apparentemente nascosti ed occultati da Lui, dato che sono nemici scellerati della giusta ragione. Le Scritture testimoniano che l'uomo malvagio non ha casa né alloggio, in allusione a Esaù nel suo "mantello di pelo" e guisa peccaminosa, poiché sta scritto: "Esaú era un esperto cacciatore, un uomo di campagna" (Gen. 25:27). Poiché la cattiveria legata alla caccia di passioni, affrettando stoltamente il perseguimento della rozzezza,[3] non può vivere nella città della virtù. Giacobbe invece, che è colmo di saggezza, è un cittadino della virtù e dimora nella virtù, poiché di lui è detto: "Mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende" (ibid.) E questa è anche la ragione per cui si dice: "E avvene che, poiché le levatrici temevano Dio, si prepararono delle case."[4] Poiché quelle [anime] che cercano i segreti occultati di Dio — e ciò significa: "dare alla luce figli maschi" — edificare le opere di virtù in cui scelgono di dimorare. Pertanto qui si dimostra in qual senso i malvagi sono senza casa e senza alloggio, poiché sono esiliati dagli ambiti della virtù, mentre i buoni hanno ricevuto la saggezza come dimora e come loro città.
Ora investigheremo in quale senso si può dire che una persona si nasconde da Dio. È impossibile comprendere queste parole che troviamo nelle Scritture, a meno che non diamo loro un'interpretazione allegorica. Poiché Dio colma e penetra tutto; Egli non lascia nulla vuoto o privo della Sua presenza. Pertanto, come può uno essere in un luogo dove non c'è Dio? Un altro passo delle Scritture comprova ciò: "Il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n'è altro" (Deut. 4:39). E in seguito: "Ecco, Io starò davanti a te" (Es. 17:6). Dato che, prima che qualsiasi cosa venisse creata, c'era Dio, ed Egli si trova ovunque, cosicché nessuno si può nascondere a Lui. Perché ciò dovrebbe riempirci di meraviglia? Non riusciamo a scappare dagli elementi di tutte le cose create, anche se se avessimo ragione di nasconderci da essi. Provate a sfuggire dall'acqua e dall'aria, dal cielo o da tutto il mondo! Siamo necessariamente catturati dalla loro essenza, poiché nessuno può fuggire dal mondo. Ma se non possiamo nasconderci da parti del mondo, e dal mondo stesso, a maggior ragione come possiamo nasconderci dalla presenza di Dio? Mai! Cosa si intende quindi con l'espressione "si nascosero"? I malvagi credono che Dio sia in un certo luogo, che Egli non contenga ma sia contenuto. E quindi pensano di potersi nascondere, che il Creatore di tutta la vita non sia in quella data parte del mondo che essi hanno scelto come rifugio nascosto.

Abbiamo pertanto dimostrato in che modo i malvagi siano fuggitivi e si nascondano da Dio. Ora vedremo dove si nascondono. "Fra gli alberi del giardino", leggiamo, cioè al centro della mente, che è, per così dire, nel mezzo del giardino, ovvero dell'anima intera. Colui che fugge da Dio, fugge in se stesso. Poiché ci sono due tipi di mente, la mente dell'universo, e cioè Dio, e la mente dell'uomo individuale. E l'uno fugge dalla propria mente verso la mente dell'universo — dato che chiunque lascia la propria mente, ammette con ciò che le opere della mente mortale non sono nulla, e attribuisce tutto a Dio. Ma l'altro fugge da Dio, e dichiara che non è affatto Dio la causa di tutto, ma che l'uomo stesso sia la causa di tutto ciò che avviene. Ci sono quindi molti che credono che tutte le cose del mondo seguano il loro corso da per se stesse, senza una guida, e che è lo spirito dell'uomo che ha inventato le arti, i mestieri, le leggi, le tradizioni, le istituzioni dello stato, e i diritti dell'individuo e della comunità, sia in merito agli umani che alle bestie, che sono senza ragione.[5] Ma tu, o anima mia, vedi la differenza tra questi due punti di vista. Poiché l'uno lascia la peritura mente mortale, che è stata creata, e sceglie in suo vero aiuto la mente primordiale ed immortale dell'universo. Tuttavia l'altro, che mette da parte Dio, stoltamente corteggia come proprio alleato la mente umana, che non è nemmeno capace di aiutare se stessa.

Il Nome Buono[modifica]

Detti dei Maestri ebrei
LA FINE DELL'UOMO

Così parlò Rabbi Meir, quando ebbe terminato il Libro di Giobbe:
La fine dell'uomo è la morte,
la fine del bestiame è il macello.
Tutto ciò che è, muore.
Felice è colui che è cresciuto nella Torah,
le cui opere riguardano la Torah,
che dà soddisfazione al suo Creatore,
che è cresciuto con un buon nome,
e con un buon nome diparte da questo mondo.
Di questi Salomone dice:
"Un buon nome
è preferibile a un olio profumato,
e il giorno della morte
al giorno della nascita."
(Eccl. 7:1)

SARÒ CON TE

Rabbi Meir era solito dire:
Impara col tutto il cuore, e con tutta l'anima,
per conoscere le Mie vie,
per vigilare alle porte della Mia Torah,
Mantieni la Mia Torah nel cuore,
davanti agli occhi conserva il timor di Dio;
preserva la tua bocca da tutti i peccati,
purificati dalle colpe e trasgressioni,
e fatti santo,
e Io sarò con te in ogni luogo.

IL PROSSIMO

I Maestri di Yavne erano soliti dire:
Sono una creatura, ed il mio prossimo è una creatura.
Quanto a me — il mio lavoro è in città.
Quanto a lui — il suo lavoro è nei campi.
Io mi alzo presto per andare al lavoro,
ed egli si alza presto per andare al lavoro.
Poiché egli non si sente superiore al mio lavoro,
anch'io non mi sento superiore al suo lavoro.
E devi forse dire,
che io faccio di più, ed egli fa di meno —
Abbiamo imparato:
"L'uno di più, l'altro di meno — solo se il suo cuore si volge al cielo."[6]

FRATELLI

Abbaye era solito dire:
Lascia che l'uomo sia creativo nel timor di Dio,
dando una risposta benevola che scacci via l'ira.
Lascia che egli aumenti la pace coi suoi fratelli, coi suoi parenti, e con ogni uomo,
anche con lo straniero al mercato,
affinché egli sia amato in alto e desiderato in basso,
e ben accetto da tutte le creature.

IL FINE ULTIMO

Raba era solito dire:
Il fine ultimo della saggezza è di volgersi a Dio e fare opere buone.
Cosicché un uomo non possa leggere la Torah ed imparare la Tradizione
e poi calpestare suo padre, o sua madre,
o il suo maestro, o colui che è più grande di lui in saggezza e anni.
Pertanto è detto:
"Il timore di Dio è il principio della saggezza;
una buona conoscenza hanno tutti coloro che perseguono ciò."[7]

Il devoto[modifica]

Yehuda Ha-Levi

Spagna-Palestina, XII secolo

DAL KUZARI

Il re dei Cazari disse:[8] Dimmi cosa fa l'uomo devoto tra di voi, nell'era corrente.

Il maestro rispose: L'uomo devoto dedica i propri pensieri al suo stato. Pesa e distribuisce cibo a tutti i suoi abitanti, e anche ciò di cui necessitano. Li tratta giustamente; mai opprime nessuno, ma neanche gli dà più della porzione che gli spetta. Ecco perché li trova obbedienti ai suoi desideri nel momento che ha bisogno di loro, e pronti a rispondere quando li chiama. Dà loro comandi e essi agiscono secondo tali comandi; dà loro proibizioni ed essi osservano tali proibizioni.

Il re dei Cazari disse: Ti ho chiesto di parlarmi di un uomo devoto, e non di un sovrano.

Il maestro rispose: Il devoto è un sovrano, che viene obbedito dai suoi sensi e dai suoi poteri, sia spirituali che fisici. L'uomo devoto avrebbe veramente il diritto di governare, poiché se governasse una nazione, il suo governo sarebbe parimenti giusto come quello che esercita sul suo corpo e sulla sua anima.

Poiché incatena le passioni e le argina, dopo che ha dato loro la rispettiva porzione e ciò di cui abbisognano in termini di cibo e bevande sufficienti — mantenendo sempre il giusto mezzo, ed in termini di forbitezza e ciò di cui necessitano per questa, anche qui mantenendo sempre il giusto mezzo. Egli incatena le forze che bramano il potere e tendono verso la superiorità dopo che ha dato loro la rispettiva porzione in termini di superiorità benefica in materia di saggezza, e l'allontanamento di persone malvagie. Dà a ciascuno dei sensi secondo la quantità giusta, e usa le mani, i piedi e la lingua solo per ciò che è necessario, e per buoni propositi. Lo stesso fa con l'udito e la vista, ed i relativi sentimenti che ne conseguono; con l'immaginazione ed la facoltà di giudicare, il potere di pensare, e la memoria; e con la forza di volontà che impiega per tutto questo. Nell'insieme, tutto è asservito alla volontà della ragione. Ma non permette che l'una o l'altra di queste forze e arti eccedano ciò a cui sono destinate, per poi gettare indietro il resto.

Quando egli ha soddisfatto le necessità di ciascuna di queste, quando ha dato sufficiente riposo e quiescenza alle forze vegetative, e alle forze animali sufficinete cammino e movimento mediante attività mondane, allora egli chiama il suo popolo come un signore che raduna le sue schiere obbedienti, cosicché il suo popolo possa aiutarlo a raggiungere un più alto livello, il livello divino che è più alto del livello della ragione. Egli ordina la sua comunità in una certa maniera, come Mosè, sia pace a lui, dispose il suo popolo intorno al Monte Sinai. Egli esorta la volontà ad eseguire ogni comando che darà, di obbedire, di metterlo in opera immediatamente e senza ribellione, e di usare poteri e azioni secondo il suo comando. Esorta di evitare i tentatori della mente e dell'immaginazione, di non prendere nulla da loro, e di non credere a nulla senza prima consultare la ragione. E se la ragione pensa che tali altre cose siano giuste, che le accettino; altrimenti, che le rifiutino.

La volontà accetta queste esortazioni e acconsente ad eseguirle. Egli istruisce tutti gli organi del pensiero in questa materia; e qui egli si libera di tutti i pensieri mondani succitati. All'immaginazione viene ordinato di mettere a sua disposizione, con l'aiuto della memoria, qualsiasi immagine splendente abbia in sé, onde poter assomigliare al divino verso cui egli si protende — ciò che successe sul Monte Sinai, per esempio, o il sacrificio di Isacco sul Monte Moriah, il Tabernacolo che Mosè eresse, il Tempio, la discesa della gloria di Dio sulla dimora di santità, e molto altro. Ed egli comanda alla memoria, che conserva, di conservare tutto ciò e di non dimenticarlo. Proibisce alla memoria e ai suoi tentatori di confondere la verità e di renderla dubbia. Proibisce la prepotenza e l'avidità ad influenzare o a disturbare la volontà o di stimolarla mediante forza e desiderio.

Le parole della lingua coincidono col pensiero, senza aggiungerci altro. Non recita preghiera per sola abitudine e consuetudine, come uno storno o un pappagallo, ma con significato e compassione in ogni parola. Quest'ora diventa il cuore ed il frutto della sua vita, e tutte le altre ore sono un sentiero che lì conduce. Egli brama che quest'ora arrivi, poiché in essa egli viene a somigliare ciò che è spirituale e si distanzia da ciò che è animale. E così le ore delle tre preghiere sono il frutto del suo giorno e della sua notte, ma il frutto della settimana è il Sabbath, perché è destinato ad avvicinarsi al divino e al Suo servizio, non in umiliazione ma in gioia.

Il mondo di coloro che amano Dio[modifica]

Bahya ibn Paquda

Spagna, XI-XII secolo

DA HOBOT HA-LEBABOT (X, 7)

Le abitudini di coloro che amano Dio sono troppe per poterle enumerare, e pertanto parlerò di quelle che mi sovvengono.

Questi sono uomini che hanno conoscenza del loro Dio, che percepiscono che egli si delizia in loro e li guida, li ispira e li sostiene, e tutto quello che egli dà loro il permesso di occuparsi, sia che riguardi la Torah o il mondo, è sotto il suo governo e volontà. E quindi diviene a loro chiaro, ed essi ne hanno fede, che tutte le loro preoccupazioni ed impulsi sono guidati secondo la decisione del Creatore, che sia esaltato, e secondo il suo desiderio. Pertanto desistono dallo scegliere una cosa e preferirla ad un'altra, e sono certi che il loro Creatore sceglierà per loro ciò che è buono e giusto.

E poiché dalla Torah diventa loro manifesto che attraverso i comandamenti Dio li fa guardare alle loro azioni e li ordina di scegliere il servizio del Creatore, ma che proibisce loro di scegliere l'indulgenza — dato che questo diventa loro evidente — scelgono di essere in quel posto dove egli li ha messi, di bramarlo, di desiderare la sua approvazione col cuore e col loro interiore più intimo, e desistere dal desiderare il mondo ed i suoi turbamenti. Con tutti i loro cuori, tutte le loro anime, gli chiedono aiuto e forza a rendere reali i loro pensieri nel suo servizio e di perfezionare le azioni che hanno scelto da quelle incluse nei suoi comandamenti. Ma se adempiono una data azione, lodano Dio per questo e lo ringraziano, mentre egli li loda per i loro sforzi e la loro scelta. Tuttavia quando, attraverso la loro impotenza a raggiungerlo, non riescono a concretizzare i loro pensieri, chiedono perdono a Dio per questo, e determinano di farlo quando ne saranno capaci. E pertanto aspettano tale tempo, che il Creatore permetterà loro col suo aiuto di raggiungere e glielo implorano con anima pura e cuore fedele. Tale è il fine dei loro desideri, lo scopo dei loro intenti in Dio, come Davide, la pace sia con lui, ha detto: " Oh, che le mie vie siano diritte nell'osservanza dei tuoi statuti!" E il Creatore li loda per aver scelto di servirlo, anche se è loro negato di far materializzare l'azione, poiché Davide ha detto: "Tu avevi in cuore di costruire una casa al Mio nome, e hai fatto bene ad avere questo in cuore."

E così nei loro cuori e nei loro pensieri, essi abbandonano le cose di questo mondo e le preoccupazioni del corpo, e soltanto in quei momenti in cui è necessario soddisfare i suoi bisogni i loro sensi se ne preoccupano, perché essi considerano ciò come spregevole, banale ai loro occhi. E quindi rivolgono i propri cuori e le proprie anime alle materie della Torah e a servire Dio, a glorificarLo e ad ottemperare ai Suoi comandamenti. Pertanto i loro corpi sono di questo mondo ma i loro cuori sono dello spirito. E così servono Dio con quello che i loro cuori possiedono della Sua consapevolezza, e partecipano, per così dire, nel servizio dei Santi Messaggeri nel cielo dei cieli. I desideri scompaiono dai loro cuori, la terra viene a mancare da sotto la bramosia d'indulgere, perché hanno imparato qualcosa della bramosia di servire il Creatore, qualcosa dell'amore per Lui. I fuochi del desiderio malvagio sono estinti nei loro cuori, la fiamma si spegne nei loro pensieri, davanti alla luce potente del servizio che li soffonde, proprio mentre passa con una lampada nella luce del sole. Si inchinano nel timore reverenziale di Dio. Davanti a Lui, confessano quanto siano piccoli e si prostrano a servirLo, senza curarsi di ciò che manca loro.

Quando hai a che fare con loro, ti sembrano i fratelli della modestia; quando ci parli, ti sembrano dei saggi; quando fai loro domande, ti sembrano studiosi; quando pecchi contro di loro, sono mansueti. Vedi le loro forme: sono immersi nella luce. E se tu cerchi nei loro cuori, troverai un cuore prostrato davanti a Dio. In comunione con Lui, essi sono a proprio agio; nelle faccende del mondo, sono silenti. I loro cuori sono colmi d'amore per Dio, ma non per le cose degli uomini, e non per il piacere dei loro discorsi. Evitano la via della corruzione e percorrono percorso più eletto. È grazie a loro che la sofferenza se ne va, che la pioggia cade; e che gli uomini e le bestie hanno acqua è per merito loro, perché hanno negato ai loro corpi le unioni proibite, hanno trattenuto le loro mani da tutti gli appagamenti, e le loro anime hanno volato via da ciò che è proibito onde poter percorrere il percorso buono e diritto. Pertanto, soffrendo solo pochi giorni,, essi ottengono un rango elevato e acquisiscono entrambi i mondi; raccolgono entrambi i tipi di bene, e ricevono in pieno entrambi i vantaggi. Come dice il salmo: "Beato l'uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti" (Salmo 112:1), e così fino alla fine. E cosa straordinaria su di loro è che ai loro occhi i comandamenti che il Creatore ingiunge loro di osservare sono troppo pochi, a confronto coi doveri che si misurano col bene che Egli ha fatto per loro, o a confronto a ciò che le loro anime hanno assunto come sforzo e impegno, e resistenza, e pazienza, onde poter dedicarsi al Suo servizio. E questo è quanto ti dirò:

Poiché essi contano i comandamenti del Creatore, dei quali ce ne sono seicentotredici; e di questi trecentosessantacinque sono leggi di proibizione, e le leggi obbligatorie, che solo la comunità è obbligata ad osservare, non l'individuo, sono sessantacinque. Inoltre, delle leggi obbligatorie, ci sono quelle che sono riservate sdolo a certi tempi, come il Sabbath e le festività, e i digiuni. Per di più, alcune leggi obbligatorie sono valide solo in Terra Santa — come quelle che riguardano i sacrifici individuali, le offerte e le decime, i pellegrinaggi a Gerusalemme, e cose simili. Inoltre, ci sono quei comandamenti che dipendono puramente da occasioni speciali. Se tali occasioni avvengono, è compito di ognuno obbedire l'ingiunzione; se non avvengono, i comandamenti non devono essere svolti — come, per esempio, il comandamento della circoncisione riguardo ad un uomo che non ha un figlio, la redenzione del primogenito per colui che non ha primogenito, l'ingiunzione di fare un parapetto al tetto per colui che non costruisce una casa, il comandamento di onorare il padre e la madre per colui che è orfano, e così via. E quando hanno contato i comandamenti in questo modo, si dicono tra sé e sé: non possiamo includere le proibizioni, perché obbedirle e fare ciò che prescrivono consiste solo nell'astenersi.

E quindi ai loro occhi il servizio di Dio e le loro azioni sembrano banali in confronto al loro desiderio e al loro bramare ciò che permetterebbe loro di ottenere l'approvazione di Dio. Pertanto, essi cercano quei comandamenti che contemplano "i doveri degli arti" in modo che spetti all'individuo osservarli in tutti i momenti, in ogni luogo, e in ogni occasione. Ma l'unico che trovano di questo tipo è la lettura della Torah e l'osservanza dei comandamenti, poiché sta detto: "Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai diligentemente ai tuoi figli"; e come il profeta raccomanda ciò una seconda volta: "Li insegnerete ai vostri figli, parlandone loro". Tutto ciò diventa troppo banale ai loro occhi, quando considerano la grandezza di quello che è stato loro rivelato rispetto al servizio e alle azioni che devono al Creatore, che Egli sia benedetto. E quindi servono il Creatore osservando i comandamenti della ragione, con disciplina straordinaria e con una buona condotta spirituale di vita; e con queste cose aggiungono ai comandamenti noti, perché hanno cuori puri devoti a Dio. Pertanto imparano i percorsi dei profeti e le abitudini dei devoti, per poter ottenere l'approvazione di Dio, onde poter essere a Lui accetti. Ciò, tuttavia, appartiene ai "doveri del cuore", a cui abbiamo dedicato la nostra attenzione affinché questo libro possa spiegare le loro radici e considerare le loro mete.

Poiché è questa accumulata saggezza che viene riposta nel cuore dei saggi, amata nei loro seni. E quando ne parlano, la sua giustizia non rimane nascosta, dato che tutti gli uomini di rara e straordinaria conoscenza attestano la sua verità e la sua giustizia. Ma con ciò ottengono un alto grado e rango nel servizio di Dio — quel servizio svolto con cuore tranquillo, con amore per Lui, amore fedele, offerto col cuore e con l'anima, col corpo e coi propri averi, come disse il profeta, pace a lui, quando asserì: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta la tua anima, e con tutte le tue forze." E gli uomini che hanno raggiunto tale fase, sono tra tutti gli uomini quelli più vicini allo stadio dei profeti, dei purificati, dei puri, dei devoti, che le Scritture chiamano "amanti di Dio e amanti del Suo nme", di cui si dice: "Cosicché Io possa causare a coloro che Mi amano di ereditare sostanze; e che Io possa colmare i loro tesori."

E tu, fratello mio, se li desideri come compagni, se desideri di unirti al loro circolo, lascia le superfluità del tuo mondo, tienitine lontano! Sii contento di ciò che ti è sufficiente per nutrirti, e impara a vivere anche senza nutrimento, e alleggerisci l'onere degli affari mondani che appesantiscono la tua anima, e tieni da parte il cuore in modo che i suoi pensieri non ti immergano nelle cose di questo mondo. E se persegui le cose che ti sono necessarie, fallo solo con il tuo corpo, e non col tuo cuore e la tua volontà, come uno che beve una medicina amara: beve solo con la bocca, non con la sua volontà, poiché il bere di per se stesso gli ripugna, ma ne sopporta l'amarezza senza problemi, poiché serve a liberarlo dai pericoli — così le necessità del tuo mondo devono apparire ai tuoi occhi.


[...]

Vie di vita[modifica]

Una volta Rabban Johanan ben Zakkai uscì da Gerusalemme, e Rabbi Joshua gli camminò dietro.
Quando si trovò davanti al Tempio che era stato distrutto, Rabbi Joshua disse: "Poveretti noi, che è stato distrutto! Il luogo in cui i peccati di Israele venivano espiati!"
Allora l'altro gli disse: "Figlio mio, non lasciare che ti rattristi! Noi facciamo espiazione uguale a quell'altro. E che espiazione è?
Atti d'amore,
siccome sta scritto: «Poiché io desidero la misericordia e non i sacrifici»."[9]

SANGUE

Una volta un uomo venne da Rabba e gli disse:
"Colui che governa il luogo dove vivo, mi ha ordinato: «Vai e uccidi un tal dei tali, altrimenti ti farò ammazzare.»"
Allora Raba gli disse: "E lascia che ti ammazzi, ma tu — tu non ucciderai! Perché pensi che il tuo sangue sia più rosso? Forse il sangue di quell'altro è più rosso!"

LE CAUSE DELLA SOFFERENZA

Raba – altri dicono che fosse Rab Hisda – disse:
Quando un uomo vede arrivare a lui la sofferenza,egli esaminerà le sue opere;
quando le avrà esaminate e non avrà trovato nulla, egli cercherà la causa nella trascuratezza della Torah;
quando avrà cercato e non avrà trovato nulla, la sua sofferenza è sicuramente dovuta all'amore;[10]
poiché sta scritto: "Il Signore corregge colui che Egli ama".

DISASTRO

I nostri maestri insegnarono:
Una volta successe che Hillel il Vecchio stesse camminando per la via quando sentì delle urla in direzione della città.
Allora disse: "Son sicuro che non vengono da casa mia."
Di lui le Scritture dicono:
"Non temerà annunzi di sventura, saldo è il suo cuore, confida nel Signore."[11]

L'Ordine degli Esseni[modifica]

Tre sono infatti presso i giudei le sette filosofiche: ad una appartengono i Farisei, alla seconda i Sadducei, alla terza, che gode fama di particolare santità, quelli che si chiamano Esseni,[13] i quali sono giudei di nascita, legati da mutuo amore più strettamente degli altri.
Ascetismo e modo di vita. Gli Esseni respingono i piaceri come un male, mentre considerano virtù la temperanza e il non cedere alle passioni. Presso di loro il matrimonio è spregiato, e perciò adottano i figli degli altri quando sono ancora disciplinabili allo studio, e li considerano persone di famiglia e li educano ai loro principi; non è che condannino in assoluto il matrimonio e l'aver figli, ma si difendono dalla lascivia delle donne perché ritengono che nessuna rimanga fedele a uno solo.
Comunione dei beni. Non curano la ricchezza ed è mirabile il modo come attuano la comunità dei beni, giacché è impossibile trovare presso di loro uno che possegga più degli altri; la regola è che chi entra metta il suo patrimonio a disposizione della comunità, sì che in mezzo a loro non si vede né lo squallore della miseria, né il fasto della ricchezza, ed essendo gli averi di ciascuno uniti insieme, tutti hanno un unico patrimonio come tanti fratelli. Considerano l'olio una sozzura, e se qualcuno involontariamente si unge, pulisce il corpo; infatti hanno cura di tener la pelle asciutta e di vestire sempre di bianco. Gli amministratori dei beni comuni vengono scelti mediante elezione, e così pure da tutti vengono designati gli incaricati dei vari uffici.
Insediamenti. Essi non costituiscono un'unica città, ma in ogni città ne convivono molti. Quando arrivano degli appartenenti alla setta da un altro paese, essi gli mettono a disposizione tutto ciò che hanno come se fosse proprietà loro, e quelli s'introducono presso persone mai viste prima come se fossero amici di vecchia data; perciò, quando viaggiano, non portano seco assolutamente nulla, salvo le armi contro i briganti. In ogni città viene eletto dall'ordine un curatore dei forestieri, che provvede alle vesti e al mantenimento. Quanto agli abiti e all'aspetto della persona, assomigliano ai ragazzi educati con rigorosa disciplina. Non cambiano abiti né calzari se non dopo che i vecchi siano completamente stracciati o consumati dal tempo. Fra loro nulla comprano o vendono, ma ognuno oltre quanto ha a chi ne ha bisogno e ne riceve ciò di cui ha bisogno lui; e anche senza contraccambio è lecito a loro di prendere da chi vogliano.
Culto. Verso la Divinità sono di una pietà particolare; prima che si levi il sole non dicono una sola parola su argomenti profani, ma soltanto gli rivolgono certe tradizionali preghiere, come supplicandolo di sorgere.
Lavoro. Poi ognuno viene inviato dai superiori al mestiere che sa fare, e dopo aver lavorato con impegno fino all'ora quinta,[14] di nuovo si riuniscono insieme e, cintisi i fianchi di una fascia di lino, bagnano il corpo in acqua fredda.
Mensa. Dopo questa purificazione entrano in un locale riservato dove non è consentito entrare a nessuno di diversa fede, ed essi in stato di purezza si accostano alla mensa come a un luogo sacro. Dopo che si sono seduti in silenzio, il panettiere distribuisce in ordine i pani e il cuciniere serve a ognuno un solo piatto con una sola vivanda. Prima di mangiare, il sacerdote pronuncia una preghiera e nessuno può toccare cibo prima della preghiera. Dopo che hanno mangiato, quello pronuncia un'altra preghiera; così al principio e alla fine essi rendono onore a Dio come dispensatore della vita. Quindi, deposte le vesti da pranzo come paramenti sacri, tornano al lavoro fino a sera. Al rientro mangiano allo stesso modo, in compagnia degli ospiti, se ve ne sono. Mai un grido o un alterco, disturba la quiete della casa, ma conversano ordinatamente cedendosi scambievolmente la parola. A quelli di fuori il silenzio di là dentro dà l'impressione di un pauroso mistero, mentre esso nasce da una continua sobrietà e dall'uso di mangiare e di bere solo fino a non aver più fame o sete.
Carità e studi. Ogni cosa essi fanno secondo gli ordini dei superiori salvo due, in cui sono liberi di regolarsi da sé: l'assistenza e l'elemosina; infatti possono soccorrere a piacimento una persona degna che sia nel bisogno, come pure dar da mangiare ai poveri. Ma far regali ai parenti non si può senza l'autorizzazione dei superiori. Sono giusti dispensatori di castighi, capaci di tenere a freno i sentimenti, custodi della lealtà, promotori di pace. Tutto ciò che essi dicono vale più di un giuramento, ma si astengono dal giurare considerandolo cosa peggiore che lo spergiurare; dicono infatti che è già condannato chi non è creduto senza invocare Dio. Hanno uno straordinario interesse per le opere degli antichi autori, scegliendo soprattutto quelle che giovano all'anima e al corpo; ivi per la cura delle malattie essi studiano le radici medicamentose e le proprietà delle pietre.
Novizi. A chi desidera far parte della loro setta non viene concesso di entrare immediatamente, ma lasciandolo fuori per un anno gli fanno seguire la stessa norma di vita, dandogli una piccola scure e la predetta fascia per i fianchi e una veste bianca. Dopo che in questo periodo di tempo egli abbia dato prova della sua temperanza, viene ammesso a un più completo esercizio della regola e ottiene acque più pure per la purificazione, ma non ancora è introdotto nella comunità. Infatti dopo aver dimostrato la sua fermezza per altri due anni viene sottoposto a un esame del carattere e solo allora, se appare degno, viene ascritto alla comunità. Ma prima di toccare il cibo comune, egli presta a loro terribili giuramenti: in primo luogo di venerare Dio, poi di osservare la giustizia verso gli uomini e di non far danno ad alcuno né di propria volontà né per comando, e di combattere sempre gli ingiusti e di aiutare i giusti; di essere sempre ubbidiente verso tutti, specie verso coloro che esercitano un potere, perché nessuno può esercitare un potere senza la volontà di Dio; e se poi tocchi a lui di esercitare un potere, di non approfittarne per commettere abusi, e di non distinguersi da quelli a lui sottoposti per splendore di vesti o per qualche altra insegna di superiorità; di amare sempre la verità e di smascherare i bugiardi; di trattenere le mani dal furto e di serbare l'anima incontaminata da un empio guadagno e di non tener nulla celato ai membri della comunità e di non svelare ad altri nulla delle loro cose, anche se torturato fino alla morte. Inoltre egli giura di non trasmettere ad alcuno le regole in forma diversa da come le ha ricevute, di astenersi dal brigantaggio e di custodire i libri della loro setta con la stessa cura che i nomi degli angeli. Tali sono i giuramenti con cui gli Esseni si garantiscono dai proseliti.
Esclusione. Quelli che sono trovati colpevoli di gravi crimini li espellono dalla comunità. Chi subisce tale condanna spesso fa una fine assai miseranda; infatti, vincolato dai giuramenti e dalle abitudini, non riesce nemmeno a mangiare ciò che mangiano gli altri, e cibandosi di erba e consumando il corpo con la fame finisce per morire. Perciò gli Esseni ne riammisero molti per compassione, quando erano in fin di vita, giudicando castigo sufficiente per le loro colpe un tormento che li aveva portati sull'orlo della morte.
Legge. Nelle liti giudiziarie sono assai precisi e giusti, e celebrano i processi adunandosi in numero non inferiore a cento, e le loro sentenze sono inappellabili. Presso di loro dopo Dio è tenuto in onore il nome del legislatore, e se uno lo bestemmia è punito con la morte. Si fanno un pregio di ubbidire ai più anziani e al volere della maggioranza; se, per esempio, stanno insieme dieci persone, nessuno parlerebbe, se gli altri preferiscono il silenzio. E si guardano dallo sputare in mezzo alla compagnia o voltandosi verso destra.
Lo Shabbat. Con più rigore di tutti gli altri giudei si astengono dal lavoro nel settimo giorno; non solo infatti si preparano da mangiare il giorno prima, per non accendere il fuoco quel giorno, ma non ardiscono neppure di muovere un arnese né di andare di corpo.
Evacuazione. Invece, negli altri giorni, scavano una buca della profondità di un piede con la zappetta - a questa infatti assomiglia la piccola scure che viene consegnata da loro ai neofiti - e avvolgendosi nel mantello, per non offendere i raggi di Dio, vi si siedono sopra. Poi gettano nella buca la terra scavata, e ciò fanno scegliendo i luoghi più solitari. E sebbene l'espulsione degli escrementi sia un fatto naturale, la regola impone di lavarsi subito dopo come per purificarsi da una contaminazione.
Quattro categorie. Si dividono in quattro categorie a seconda dell'anzianità nella regola, e i neofiti sono tanto al di sotto dei vecchi adepti, che se per caso questi li toccano si lavano come se fossero venuti a contatto con uno straniero. Sono anche longevi, dato che i più passano i cento anni, e ciò, io credo, grazie alla vita semplice e ordinata.
Morte. Disprezzano poi i pericoli e vincono i dolori con la ragione mentre la morte, quando giunga onorata, la considerano preferibile all'immortalità. Il loro spirito fu assoggettato ad ogni genere di prova durante la guerra contro i romani, in cui stirati e contorti, bruciati e fratturati e passati attraverso tutti gli strumenti di tortura perché bestemmiassero il legislatore o mangiassero qualche cibo vietato, non si piegarono a nessuna delle due cose, senza nemmeno una parola meno che ostile verso i carnefici e senza versare una lacrima. Ma sorridendo tra i dolori, e prendendosi gioco di quelli che li sottoponevano ai supplizi, esalavano serenamente l'anima come certi di tornare a riceverla. E infatti presso di loro è salda la credenza che mentre i corpi sono corruttibili, e che non durano gli elementi di cui sono composti, invece le anime immortali vivono in eterno e, venendo giù dall'etere più leggero, restano impigliate nei corpi come dentro carceri quasi attratte da una sorta di incantesimo naturale, ma quando siano sciolte dai vincoli della carne, come liberate da una lunga schiavitù, allora sono felici e volano verso l'alto. Con una concezione simile a quella dei figli dei greci, essi ritengono che alle anime buone è riservato di vivere al di là dell'oceano in un luogo che non è molestato né dalla pioggia né dalla neve né dalla calura, ma ricreato da un soave zefiro che spira sempre dall'oceano; invece alle anime cattive attribuiscono un antro buio e tempestoso, pieno di supplizi senza fine. Mi pare che, con la stessa visione, i greci ai loro uomini valorosi, che chiamano eroi e semidei, abbiano riservato le isole dei beati, invece alle anime dei malvagi il posto degli empi giù nell'Ade, dove anche raccontano che sono puniti quelli come Sisifo, Tantalo, Issione e Titio: così i greci in primo luogo ammettono che le anime sono immortali, e poi spingono alla virtù e ritraggono dal vizio. Ritengono infatti che i buoni durante la vita diventano migliori per la speranza di ricevere un premio anche dopo la morte, mentre le cattive intenzioni dei malvagi risultano compresse dalla paura di chi, se pure riuscisse a farla franca in vita, teme un eterno castigo dopo la morte. Queste sono dunque le credenze degli Esseni intorno all'anima, che rappresentano un'attrazione irresistibile per tutti quelli che una volta abbiano assaporato la loro dottrina.

Note[modifica]

  1. Filone, Legum sacrarum allegoriarum libri III, 1-6, 28-31; con note adattate da Isak Heinemann, Die Werke Philos von Alexandria, Breslau, 1919, III. Cfr. anche (EN) Testi delle opere di Filone.
  2. I duplici significati di polis ("città" e "stato"), e di pheugein ("fuggire", "essere esiliato", da cui "venir bandito") chiariscono questo brano. Per capire ciò che segue nel testo, ci si deve rammentare che secondo gli insegnamenti dei Cinici e degli Stoici, il saggio non si considera cittadino di un singolo stato, ma membro di uno stato mondiale. La cittadinanza di questo stato mondiale però si basa sul possesso della qualità della ragione; Filone la interpreta eticamente.
  3. Questa è una allusione al terzo significato di polis — l'urbano in opposizione al rurale. I Greci consideravano il contadino (agroikos) ignorante, come gli ebrei parimenti consideravano l'Am ha`aretz (עם הארץ), ed i Romani il rusticus.
  4. Esodo 1:21. Questa è la lettura del Septuaginta. Il testo ebraico tuttavia riporta: "Egli [Dio] diede loro case", mentre nelle versioni italiane si legge: "Egli [Dio] diede loro una numerosa famiglia" (CEI).
  5. Questa frase fornisce un sommario approssimativo del punto di vista epicureo. Cfr. N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET 1960, pag. 308.
  6. Menahot 110.a.
  7. Berakhot 17.a & passim.
  8. Yehuda Ha-Levi, infastidito dall'attrazione che esercitavano il Cristianesimo, l'Islam e la filosofia anche sul popolo ebraico, compose verso il 1140, alla fine della sua vita, il suo capolavoro, redatto in arabo: il Kitāb al-ḥujja wa l-dalīl fī nuṣr al-dīn al-dhalīl, in italiano "Il libro dell'argomentazione e della prova in difesa della religione disprezzata", più noto sotto il titolo che gli dette il suo traduttore Samuel ibn Tibbon, il Kuzari in risposta alle domande di un Caraita, egli dirà, ispirandosi alla conversione all'Ebraismo del re dei Cazari e dei suoi sudditi quattro secoli prima. Del testo se ne trova una traduzione inglese parziale sulla Jewish Virtual Library.
  9. Osea 6:6.
  10. Soffrire come segno dell'amore di Dio.
  11. Salmi 112:7.
  12. Trad. da Bellum Judaicum, Libro II:119-158.
  13. Il nome deriva probabilmente dall'aramaico asa ("guarire"), o può significare hasayya ("il devoto"). La setta esistette dal 150 p.e.v. circa al tempo della distruzione del Secondo Tempio nel 70 e.v. Cfr. Joshua Ezra Burns, "Essene Sectarianism and Social Differentiation in Judaea After 70 C.E.", Harvard Theological Review, Vol. 99, 2006, pp. 247–274.
  14. Calcolata dal sorgere del sole.