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Immagini interpretative del Gesù storico/Figlio dell'Uomo

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Cristo portacroce, di Niccolò Frangipane (1574)

Il Figlio dell'Uomo

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Il problema del Figlio dell'Uomo è una questione molto importante negli studi del Nuovo Testamento (Donahue 1986:484). È ben lungi dall'essere risolto definitivamente. Ci fu un consenso due decenni fa sotto l'influenza di Bultmann, ma questo venne a meno a causa dei contributi di Perrin, dell'indagine aramaica sul problema da parte di Vermes, e della scoperta di 1 Enoch (Donahue 1986:485).

Nei Vangeli troviamo sempre il termine Figlio dell'Uomo sulle labbra di Gesù come auto-designazione. Se si potesse provare che questo termine ha un significato escatologico, ciò aiuterebbe a sostanziare un'immagine escatologica di Gesù. Per usare il termine come prova dell'escatologia, esso deve soddisfare alcuni requisiti. In primo luogo, i detti del Figlio dell'Uomo, o almeno alcuni di essi, devono essere autentici. In secondo luogo, va accertato il loro contenuto escatologico. Strettamente legate al contenuto escatologico della frase sono le domande sulla sua origine e se avesse o meno un uso titolare.

Autenticità del Figlio dell'Uomo

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Ci sono quaranta detti del Figlio dell'Uomo. Di questi diciotto sono escatologici, dieci sono terreni, due potrebbero essere designati come detti del Figlio dell'Uomo sofferente e risorgente e dieci sono giovannei (Crossan 1991:454-455).

I detti futuristici del Figlio dell'Uomo furono ampiamente accettati in modo assiomatico (Borg 1986:87). In alcuni casi i detti futuristici del Figlio dell'Uomo sono considerati autentici sulla base del loro essere detti futuristici del Figlio dell'Uomo — Hill (1979:191) è un esempio di questo approccio circolare. È chiaro che questo è un argomento vizioso che non prova granché. Diventa quindi sempre più discutibile se questi detti siano autentici. Borg (1986: 88) nomina il crescente consenso tra gli studiosi, il fatto che non abbiamo alcuna prova letteraria contemporanea che il termine sia stato usato con riferimento ad una Fine soprannaturale del mondo, e l'opera di Vermes, come ragioni per non accettare Figlio dell'Uomo come indicazione di un Gesù escatologico.

Il Figlio dell'Uomo e le sette lanterne (ca. 1000), dalla Apocalisse di Bamberg, Folio 3 recto, Bamberg, Staatsbibliothek, MS A. II. 42

Jeremias (1975) è importante per la nostra discussione a causa del suo interesse per l'aramaico come lingua madre di Gesù. Lavora sul concetto che Gesù parlasse aramaico e non greco. Per comprendere il significato di molte frasi che abbiamo nei Vangeli greci, Jeremias ha ipotizzato che debbano essere tradotte di nuovo in aramaico. Sostiene che "Figlio dell'Uomo è l'unico titolo usato da Gesù per se stesso la cui autenticità deve essere presa sul serio" (1975:258). Lo basa su quattro presupposti:

  1. Il termine era in uso nella chiesa primitiva di lingua aramaica in un periodo pre-paolino. Si potrebbe fare un passo indietro rispetto a Gesù perché nei detti di Gesù che possono vantare una notevole antichità, ci sono riferimenti a Daniele 7 (Luca 12:32; Matteo 19:28; Luca 22:28).
  2. Gesù parlò del Figlio dell'Uomo in terza persona. Se fosse stata una costruzione della chiesa primitiva, sarebbe stata in prima persona perché l'identificazione del Figlio dell'Uomo con Gesù fu data per scontata dopo la Pasqua.
  3. Nessun detto del Figlio dell'Uomo parla di risurrezione e parusia allo stesso tempo. Gesù vedeva entrambi come modi alternativi di descrivere la stessa cosa e quindi non li avrebbe usati insieme. La distinzione tra risurrezione e parusia fu un fenomeno post-pasquale.
  4. La chiesa greca evitò il titolo ma lo riscontriamo comunque nei vangeli. Lo si trova esclusivamente sulle labbra di Gesù. La conclusione deve quindi essere che, sebbene il paleocristianesimo evitasse l'uso del termine, esso era sacrosanto perché Gesù lo aveva usato e nessuno osava eliminarlo (Jeremias 1975:265-267).

Vermes usa fondamentalmente lo stesso punto di partenza di Jeremias e sebbene consideri autentici anche i detti del Figlio dell'Uomo, non lo vede come un titolo. Considereremo le sue opinioni di seguito.

Sanders non tratta il Figlio dell'Uomo come un argomento separato, ma come parte della questione sulla venuta del Regno di Dio (1985:142-146). Non discute l'autenticità di un particolare passo, ma conclude che sarebbe avventato negare a Gesù il complesso di idee su una fine catastrofica in cui una figura celeste gioca il ruolo principale (1985:146).

Ci sono tuttavia studiosi che non accettano l'autenticità dei detti del Figlio dell'Uomo. Perrin (1976:58) vede la venuta del Figlio dell'Uomo come una reinterpretazione della venuta del Regno:

(IT)
« La prima cristianità usava il simbolo del Figlio dell'Uomo per evocare il mito della redenzione apocalittica mentre Gesù aveva usato il simbolo del Regno di Dio per evocare il mito dell'attività di Dio. »

(EN)
« Earliest Christianity used the symbol Son of Man to evoke the myth of apocalyptic redemption where Jesus had used the symbol Kingdom of God to evoke the myth of the activity of God »
(Perrin 1976:59)

Jacobs (1991:129) giunge alla conclusione che l'autenticità dei detti del Figlio dell'Uomo fu messa in dubbio nel mondo di lingua tedesca perché il termine era visto come un'allusione al messia atteso dagli ebrei. Nomino le opinioni di cui supra per dimostrare che non c'è consenso sull'autenticità della frase. Siamo ormai a conoscenza del metodo di Crossan dove l'attestazione multipla nel primo strato indica un'alta probabilità di autenticità. Per i detti escatologici del Figlio dell'Uomo abbiamo nove gruppi nel primo strato. In cinque gruppi troviamo l’unità in attestazione multipla. In nessuno dei gruppi, tuttavia, l’espressione "Figlio dell'Uomo" appare in più attestazioni.

Da queste informazioni possiamo dedurre che l'espressione "Figlio dell'Uomo" non è così sicura come ci si potrebbe aspettare. È significativo che Sanders sia disposto ad accettare come autentiche solo le nozioni generali su una figura celeste che tornerebbe come giudice.

L'origine del Figlio dell'Uomo

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Siamo ormai consapevoli che è molto problematico provare che Gesù abbia usato per se stesso il termine Figlio dell'Uomo come un'indicazione della propria messianicità. Ciò non toglie che sia stato inteso in questo modo dagli scrittori antichi, come anche dai loro omologhi moderni. Nei paragrafi seguenti approfondirò il significato della frase per coloro che l'hanno usata.

Il significato di Daniele 7:13

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Il primo uso canonico di Figlio dell'Uomo si trova nell'Antico Testamento nel Libro di Daniele. Se si legge Daniele 7, diventa chiaro che la visione di "uno simile a un figlio d'uomo" denotava il "popolo dei santi dell'Altissimo" (Daniele 7:27). Bisogna tenere a mente che uno come un figlio dell'uomo non è lo stesso di Figlio dell'Uomo. Occorreva un bel po' di sviluppo per passare dal primo al secondo, cioè se il primo avesse dato origine al secondo.

La questione in gioco nell'esegesi di Daniele 7, è vista da alcuni interpreti come se il Regno ereditato da "uno come un Figlio dell'Uomo" sia un Regno celeste o terrestre (Davies 1985:100) e non se il Figlio dell'Uomo simboleggiava un futuro messia.

Altri interpreti si concentrano su cosa si intende per Figlio dell'Uomo (Collins 1974:50-51). Figlio dell'Uomo è per lo più interpretato come la nazione di Israele o come esseri angelici (Collins 1974:50-51). In questo contesto Figlio dell'Uomo chiaramente non alludeva a una persona al singolare. È usato con altre tre metafore: uno come un leone, come un orso, come un leopardo. Rappresentavano quattro Regni (Daniele 7:17). Il modo in cui il Figlio dell'Uomo si sviluppò da una metafora usata per un gruppo di persone a un titolo per l'atteso messia deve essere cercato nell'apocalittico ebraico, che stabilì una connessione tra Figlio dell'Uomo e Messia (Fledderman 1978:140).

Collins (1974:58-66) combina i due punti di vista che la schiera celeste indicasse i fedeli di Israele e che denoti esseri angelici. Studia l'angelologia di Daniele 8 e 10:12-12:13 — da ciò deduce che Daniele aveva la percezione che gli angeli stessero combattendo con Dio contro i nemici di Israele. In questa battaglia si unirono i fedeli ebrei. Il loro capo fu quindi descritto come Figlio dell'Uomo in Daniele 7:13. È visto come il rappresentante del corpo unitario di angeli e pii ebrei. Collins (1974:64) identifica il Figlio dell'Uomo in Daniele come l'arcangelo Michele.

In Enoch, la figura del Figlio dell'Uomo appare nuovamente. Sebbene non sia raffigurato come Michele, è comunque un essere angelico (Collins 1974:64). Nei Vangeli, il Figlio dell'Uomo è spesso usato in stretta prossimità con alcuni angeli. Ciò ci avvicina ai brani del Nuovo Testamento in cui il Figlio dell'Uomo è raffigurato con i suoi angeli (Matteo 16:27;13:41; Marco 8:38).

In 1QM 17:7-8 Michele è rappresentato come leader di una schiera composta sia da uomini che da angeli (Collins 1974:64). In Apocalisse 12 troviamo una descrizione della battaglia tra Michele e i suoi angeli, contro il drago e i suoi angeli. Il Regno viene tuttavia assegnato a Cristo (Apocalisse 12:10). Collins (1974:65) vede questo come un esempio di cristologia angelica. Troviamo ulteriori esempi di questo in altri scritti del Nuovo Testamento (2 Tessalonicesi 1:7; 1 Tessalonicesi 4:16).

Ciò potrebbe indicare che tra alcune persone del tempo intertestamentario e neotestamentario, esisteva la visione del Figlio dell'Uomo come capo di una schiera angelica e umana.

Figlio dell'Uomo e Messia

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"Messia" non è sempre stato inteso come un termine escatologico (Russel 1964:304). Uffenheimer (1982:259) scrive che non aveva alcun significato escatologico nell'Antico Testamento. La parola messia era originariamente usata per gli unti e come tale era usata per i re d'Israele (2 Samuele 19:21;23:1). Nel periodo post-esilico i sacerdoti venivano unti e sappiamo anche che il profeta Eliseo fu unto. Questo indica che il messia originariamente si riferiva a una persona storica (Russell 1964:305). Senza usare il termine, i profeti davano indicazioni sull'anticipazione del Regno ideale e del suo re. A volte ciò alludeva a una persona storica, ad esempio Zorobabele in Aggeo 2:23. Tuttavia, ci sono casi in cui alludono a un Regno futuro e re futuri (Isaia 9:6;11:1; Geremia 23:5; Michea 5:2; Zaccaria 9:9). Kee descrive come queste allusioni abbiano portato alle aspettative apocalittiche:

(IT)
« Dopo la caduta di Gerusalemme sotto Babilonia, la rivolta dei Maccabei e le imperfezioni del Regno Asmoneo, c'erano due modi per far sopravvivere la fede del popolo dell'alleanza. Poteva ripetere le speranze degli antichi profeti e lasciare il tempo del suo adempimento nelle mani di Dio, oppure poteva spostare il trionfo finale di Dio nei regni cosmici. La prima via fu seguita dai Farisei e si trova nei Salmi di Salomone. La seconda via portava all'apocalitticismo e può essere trovata nel Libro di Daniele, i Testamenti dei Dodici Patriarchi, Enoch, IV Esdra e parti dei Manoscritti di Qumran»

(EN)
« After the fall of Jerusalem to Babylon, the Maccabean revolt, and the imperfections of the Hasmonean Kingdom there were two ways open to have the faith of the covenant people survive. It could repeat the hopes of the ancient prophets and leave the time of its fulfilment in the hands of God, or it could shift the final triumph of God to the cosmic realms. The first way was followed by the Pharisees and can be found in the Psalms of Solomon. The second way led to apocalypticism and can be found in the book of Daniel, the Testaments of the Twelve Patriarchs, Enoch, IV Ezra and portions of the Qumran scrolls. »
(Kee 1984:84-85)

L'interpretazione escatologica del Figlio dell'Uomo si sviluppò perché collegata all'interpretazione escatologica del messia. Sia Fitzmyer che Vermes concordano sul fatto che "Figlio dell'Uomo" non è un titolo messianico in nessuno dei suoi usi precristiani (Donahue 1986:487).

L'uso titolare di Figlio dell'Uomo

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L'uso del titolo "Figlio dell'Uomo" è sempre più messo in discussione da un certo numero di studiosi. Vermes (1983b) e Casey (1979) hanno discusso in dettaglio l'uso di tale titolo. Abbiamo anche visto sopra che Fitzmyer concorda sul fatto che non fu utilizzato come titolo.

Figlio dell'Uomo in aramaico

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Vermes e Casey svolsero un ruolo importante per far luce sull'uso aramaico di Figlio dell'Uomo. Vermes discusse ulteriormente con Fitzmyer sullo stesso argomento (Donahue 1986:487). Anche Yarbro-Collins (1990), tra gli altri, ha contribuito al dibattito.

L'uso aramaico del termine è importante perché linguisticamente parlando, il termine greco ό υίός τού ἀνθρώπου non è greco idiomatico e questo potrebbe aver giocato un ruolo nello spiegarlo come titolo (Donahue 1986:486). Vermes accettò il consenso generale che כבר אנש fosse il termine normale per "uomo" o "un uomo" in aramaico (Vermes 1983b:162). Porta l'argomentazione un ulteriore passo avanti postulando che Figlio dell'Uomo sia stato usato come circonlocuzione per la prima persona singolare e conclude:

(IT)
« In galileo aramaico, cioè la lingua di Gesù e dei suoi seguaci, il Figlio dell'Uomo veniva usato almeno occasionalmente come circonlocuzione. Al contrario, nessuna traccia sopravvive del suo uso titolare, da cui si deve dedurre che non è possibile giustificare un titolare escatologico o messianico generalmente noto come "il Figlio dell'Uomo". »

(EN)
« In Galilean Aramaic i.e. the language of Jesus and his followers, Son of Man was at least occasionally employed as a circumlocution. By contrast, no trace survives of its titular use, from which it must be inferred that there is no case to be made for an eschatological or messianic office-holder generally known as "the Son of Man". »
(Vermes 1983b:162)

Fitzmyer differisce da Vermes per quanto riguarda l'uso del termine come circonlocuzione di "io". La sua critica ruota attorno alla questione se כבר אנש fosse scritto con o senza l’aleph iniziale ai tempi del Nuovo Testamento. Inoltre, è sorta la questione metodologica se si potesse utilizzare l'evidenza di un periodo successivo, in cui l’alef è omessa (Donahue 1986:488). La letteratura di prima della Seconda Rivolta ha l’alef.

Casey sostiene che si verificò un cambiamento di significato, che trasformò un'espressione idiomatica aramaica – utilizzata per applicare un'affermazione generale all'oratore – in un titolo, nella traduzione di Figlio dell'Uomo dall'aramaico al greco (Casey 1979:234-239). Sebbene questi punti di vista siano stati criticati (Vermes risponde alle critiche contro di lui di Fitzmyer e Jeremias 1983b:l88-191), essi sono preziosi perché hanno sfidato i presupposti che legavano Figlio dell'Uomo al messia. Inoltre, le critiche si basano sulla datazione dei documenti (Vermes 1983b:190) piuttosto che su basi linguistiche. Dobbiamo concludere che per motivi linguistici כבר אנש non può essere ritenuto avere il significato del titolo attribuitogli, anche se non è preso come una circonlocuzione per la prima persona singolare. Il suo significato dipende totalmente da come lo intendevano gli Evangelisti, nei vari contesti che troviamo (Jacobs 1991:154).

In conclusione dobbiamo tener conto del significato del modo particolare in cui il Figlio dell'Uomo è attestato nelle fonti. Il fenomeno secondo cui l'espressione è attestata solo una volta in ogni gruppo è significativo per la comprensione titolare della frase, perché i casi in cui è usata possono significare che è stata vista come un titolo dagli scrittori che l'hanno usata. L'evangelista in questione avrebbe così potuto inserire Figlio dell'Uomo in un testo che in primo luogo non ce l'aveva. La ragione potrebbe molto probabilmente essere che aveva un significato titolare per l'evangelista. L'uso titolare potrebbe essere derivato dal fatto che Gesù effettivamente usò il termine per se stesso (Hurtado 1979:312). Non abbiamo alcuna prova conclusiva di ciò che il termine avrebbe significato per Gesù. Se egli usò il termine, come suggerisce Hurtado, tale termine è ancora passibile di un'ampia gamma di interpretazioni. Yarbro-Collins (1990:191) sospetta che Gesù abbia usato il termine esegeticamente e non come titolo. Sostiene che Gesù abbia interpretato Daniele 1:13 per il suo insegnamento. I seguaci di Gesù furono quindi incoraggiati a usare il termine nello stesso modo e ad applicarlo a Gesù (Yarbro-Collins 1990:192). Il problema non è risolto da questa ipotesi perché ancora non sappiamo cosa avrebbe significato l'uso di Figlio dell'Uomo da parte di Gesù. Donahue (1986:496) conclude giustamente che il dibattito aramaico non porta a nessuna prova conclusiva in entrambi i casi.

Figlio dell'Uomo nei testi

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Userò il gruppo [2]28, "Davanti agli angeli" per dimostrare l'uso di Figlio dell'Uomo nei testi (Crossan 1991:454). Il gruppo ha quattro fonti (2Q; Marco 8:38; Apocalisse 3:5; 2 Timoteo 2:12). Esamineremo lo sviluppo di ciascuna delle fonti.

Lo sviluppo della prima fonte passa dal 2Q a Luca 12:8-9 e Matteo 10:32-33. Dovremo ricostruire 2Q per ottenere il punto di partenza dello sviluppo, quindi dovremo analizzare il detto in Matteo e Luca. Matteo 10:32-33 riporta quanto segue:

« Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. »

La lettura di Luca 12:8-9 è:

« Inoltre vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'Uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. »

Per la ricostruzione di Q dovremo riportare quelle parole o frasi che sono caratteristiche di un particolare evangelista. La frase "Padre che è nei cieli" è caratteristica di Matteo, che evita l'uso del nome di Dio. L'altra discrepanza tra questi testi è "Figlio dell'Uomo" che Luca ha al posto di "io" in Matteo. La domanda è se Luca avrebbe aggiunto Figlio dell'Uomo o se Matteo l'avrebbe cancellato? È tipico di Luca introdurre il Figlio dell'Uomo nel suo testo, dove altri testi non ce l'hanno (6:22, Matteo 5:11 ha "per causa mia"; 12:40 contro VTomm 21,103; 19:10 aggiunto a Ezechia 34:16; 22:48 agg. a Marco 16:7) (Fitzmyer 1986:210). Q dovrebbe quindi riportare quanto segue:

« Pertanto, chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti agli angeli di Dio; ma chiunque mi rinnega davanti agli uomini, anch'io rinnegherò davanti agli angeli di Dio. »

La ricostruzione di Q evidenzia chiaramente lo sviluppo dei testi. Possiamo vedere come Luca abbia aggiunto Figlio dell'Uomo a questo testo perché aveva un significato particolare per lui, come ci mostra il suo uso della frase. Per aver usato Figlio dell'Uomo al posto del pronome, deve aver significato ben più di un semplice pronome. Da ciò possiamo dedurre che Luca deve averlo visto come un titolo, altrimenti il cambiamento non sarebbe stato necessario.

Contrariamente all'attestazione di cui sopra, Marco 8:38 ha "Figlio dell'Uomo". È così confermato nel primo strato. Matteo 16:27 e Luca 9:26 hanno entrambi ripreso la frase. Le altre due fonti, Apocalisse 3:5 e 2 Timoteo 2:12 non usano "Figlio dell'Uomo".

Abbiamo così il Figlio dell'Uomo attestato in una fonte del primo strato, mentre l'altro testo preso dal primo strato lo omette. Poiché questi testi sono indipendenti, non è necessario discutere quale fosse il più antico. Fin dall'inizio "Figlio dell'Uomo" ha svolto un ruolo distinto nel pensiero di alcuni degli scrittori. Potremmo facilmente tentare di dimostrare che una delle fonti era inautentica, ma questo non ci avvicinerebbe a una risposta. Il problema non può essere risolto in questo modo, perché non ci sono prove conclusive per dimostrare l'autenticità. Dobbiamo presumere che fin dall'inizio "Figlio dell'Uomo" sia stato usato da alcuni scrittori per designare Gesù in un modo specifico. La domanda che dobbiamo porci è: perché è successo questo?

Possiamo concludere che il termine svolse un ruolo teologico, e fu usato per questi scopi (Donahue 1986:498). Possiamo anche essere certi oltre ogni ragionevole dubbio, che "Figlio dell'Uomo" non fu utilizzato come titolo da Gesù altrimenti sarebbe stato attestato regolarmente in tutti i gruppi che lo riportano. L'uso titolare di Figlio dell'Uomo è un'interpretazione della persona di Gesù da parte degli evangelisti quando la usano. Ciò è confermato anche da Theissen (1978:25), che considera l'uso di Figlio dell'Uomo come espressione della prospettiva interna del movimento di Gesù.

Ritorna in primo piano la domanda che costituisce il punto di partenza di questo studio. Cosa disse e fece Gesù che avrebbe potuto essere interpretato in modo così diverso, come lo vediamo nei testi? Figlio dell'Uomo fa parte di questa domanda e dobbiamo chiederci cosa disse e fece Gesù per essere interpretato con il titolo Figlio dell’Uomo da alcuni di quelli che lo videro e lo udirono.

Il fatto che Figlio dell'Uomo avesse un contenuto escatologico per Gesù, non può essere provato senza dubbio. Come abbiamo visto sopra, è improbabile che Gesù abbia usato il termine per se stesso come titolo. Questo è stato indicato linguisticamente sottolineando che כבר אנש non poteva essere usato come titolo in aramaico. La sua forma in greco non è idiomatica. Pertanto, ό υίός τού ἀνθρώπου avrebbe potuto essere interpretato come un titolo, assegnandogli un contenuto escatologico dopo Gesù. Se Gesù non l'avesse usato come titolo, non avrebbe potuto avere una connotazione speciale, sia escatologica che altro. Il problema però non è stato risolto. Ciò significa che dobbiamo essere estremamente cauti nel nostro uso di questo termine per convalidare un'immagine o l'altra.

Per approfondire, vedi Serie cristologica.