Essendo il "sacro" percepito come "totalmente Altro" rispetto alla vita ordinaria e ai suoi contesti, questo ambito "ordinario" viene indicato con il termine "profano" (dal latino profanus: al di fuori, pro, del luogo consacrato, fanus).
« il sacro e il profano sono due modi d'essere nel mondo, due situazioni esistenziali assunte dall'uomo nel corso della storia. » (Mircea Eliade, Il sacro e il profano (1957). Torino, Boringhieri, 1984, p. 16)
Tuttavia se :
« Il sacro presuppone la netta distinzione da ciò che sacro non è, dal "profano" ([...]), ma sarebbe un errore vedere in questo una vera contrapposizione, una distinzione statica e stabilita una volta per tutte. La distinzione sacro/profano esprime al contrario una polarità, nella quale l'un termine non potrebbe sussistere in assenza dell'altro. Il sacro conferma la sua funzione originaria, giacché il profanum non esisterebbe senza il luogo sacro del fanum, ma a sua volta quest'ultimo può esplicare appieno la sua funzione solo se è mantenuta la sfera del profanum. La polarità rimanda in altre parole sia a una netta contrapposizione sia a una sorte di circolarità, e c'è un unico mezzo rituale per assicurare entrambe le condizioni, vale a dire il sacrificio, descrivibile come una frattura assoluta che, in forza del suo stesso porsi, permette di stabilire e confermare il rapporto fra le due componenti. Il sacrificio non attenua la radicalità dell'opposizione ma la mette in opera, la traduce in azioni precise, in un concreto passaggio di stato, e il passaggio di stato più concreto e radicale noto agli umani è la morte, intesa non naturalisticamente come decesso e perdita di vita, bensì antropologicamente e storicamente come atto di "violenza divina" inflitto per ragioni cogenti. L'opposizione e il passaggio fra sacro e profano, e il mantenimento di entrambi nei loro confini, implicano la morte violenta di una vittima sacrificale, e il suo conseguente passaggio a una superiore modalità di esistenza, che assicuri benefici e protezioni a coloro che sono rimasti. » (Giuseppe Fornari, Sacro, in Enciclopedia filosofica, vol. 10. Milano, Bompiani, 2006, p. 100000)
In tutte le culture arcaiche il "sacro" viene per questo tenuto "a distanza". Esso stesso è costitutivamente polare: fascinans e tremendum, "salvifico" e "distruttivo", "venerabile" ed "esecrando", "benefico" e "malefico".
« L'ambivalenza del sacro non è esclusivamente di carattere psicologico (nella misura in cui attira o respinge), ha anche carattere assiologico; il sacro è, nello stesso tempo, ‘sacro’ e ‘contaminato’. Commentando il detto di Virgilio "auri sacra fames", Servio nota giustamente che "sacer" può significare tanto ‘maledetto’ che ‘santo’. Eustazio nota il medesimo signifìcatc doppio di "aghios", che può esprimere contemporaneamente l'idea di ‘puro’ e di ‘contaminato’ . La stessa ambivalenza del sacro compare nel mondo paleosemitico ed egiziano . Tutte le valorizzazioni negative delle ‘contaminazioni’ (contatto con morti, con delinquenti, eccetera) derivano da questa ambivalenza delle ierofanie e delle cratofanie. Le cose ‘contaminate’, e di conseguenza ‘consacrate’, si distinguono, per il regime ontologico, da tutto quel che appartiene alla sfera profana. Gli oggetti o gli esseri contaminati sono dunque effettivamente vietati all'esperienza profana, alla stessa stregua delle cratofanie e ierofanie. Non si può avvicinare senza pericolo un oggetto impuro o consacrato, trovandosi nella condizione di profani, cioè non preparati ritualmente. » (Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni (1948). Torino, Boringhieri, 1984, p.39)
In queste culture il rapporto con il sacro non si fonda sulle intenzioni ma sull'efficacia, tale rapporto prescinde quindi da scelte di tipo etico. Il "sacro" in qualità di potenza richiede solo sottomissione e obbedienza. Le comunità arcaiche dipendono, nella loro fondazione sia materiale che simbolica, interamente dal "sacro". La legittimazione di qualsivoglia potere politico o legge viene sancita dal suo rapporto con il "sacro", sorgente della stessa "sovranità". Nella cultura antica ciò che è "profano" non è assimilabile in nessun modo a ciò che modernamente si intende come "laico". Il "profano" è solo ciò che si dispone nella corretta relazione con il "sacro", ovvero in modo distinto e distante, rispettandone i confini "santi", quelli interdetti. Al di fuori dello spazio sancito e santificato dal "sacro", ovvero dalla città e dalle sue mura anche ideali, dal contesto ordinato, dal dominio politico, che si sviluppa idealmente intorno allo spazio "sacro" del tempio, vi è solo un mondo caotico, anomalo, mostruoso e ostile.