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Storia della letteratura italiana/Pietro Metastasio

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Storia della letteratura italiana

Tra i maggiori librettisti del Setetcento, spicca la figura di Pietro Metastasio, considerato il riformatore del melodramma italiano. Erede della tradizione arcadica, fu attivo alla corte di Vienna, dove tra il 1730 e il 1740 godette di grande successo, e i suoi testi furono musicati più volte nel corso di tutto il secolo

Pietro Metastasio

Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (questo il vero nome del poeta) nasce a Roma il 3 gennaio 1698 da Felice Trapassi e da Francesca Galastri. In seguito, da un secondo matrimonio del padre si aggiungeranno anche Barbara ed Endimira. Il fratello minore Leopoldo, avviato agli studi giuridici, rimarrà per tutta la vita a Roma e sarà sempre in stretto contatto, culturale e affettivo, col poeta.

Si dice che Pietro, ancora bambino, attirasse a sé la folla recitando versi improvvisati su tema dato. Nel 1709 in un'occasione simile si fermano ad ascoltarlo Gian Vincenzo Gravina, fondatore dell'Accademia dell'Arcadia, e Lorenzini, un critico di una certa fama. Gravina è attratto dal talento poetico, tanto da farne il suo protetto. Il padre Felice è lieto di dare al figlio la possibilità di ricevere una buona educazione e di poter entrare nell'alta società.

È Gravina a ellenizzare il cognome di Trapassi in "Metastasio" e, nell'intento di farlo diventare un giurista, inizia a impartirgli lezioni di latino e di diritto. Allo stesso tempo coltiva il suo talento letterario e mette in mostra il giovane prodigio nella sua casa e presso varie congreghe romane. Ben presto Metastasio si trova in competizione con i più celebri improvvisatori d'Italia. In seguito, Gravina si reca in Calabria per affari, portando con sé il giovane allievo che sarà affidato alle cure di un suo parente di Scalea, il filosofo Gregorio Caloprese. All'età di dodici anni Metastasio traduce l'Iliade in ottava ottave; due anni più tardi compone una tragedia nella maniera di Seneca su un soggetto tratto dall'Italia liberata dai Goti di Gian Giorgio Trissino, l'epopea preferita di Gravina. Questo lavoro, intitolato Giustino, è pubblicato da Gravina nel 1713.

Caloprese muore nel 1714 e, quattro anni dopo, nel 1718 anche Gravina segue la stessa sorte. Metastasio eredita una fortuna di 18 000 scudi. Nel 1714 il poeta aveva preso i voti minori di abate. A Napoli entra al servizio di un importante avvocato di nome Castagnola; contemporaneamente Metastasio compone, nel 1721, un epitalamio e probabilmente anche la sua prima serenata musicale, Endimione, in occasione del matrimonio tra la sua patrona donna Anna Francesca Ravaschieri Pinelli di Sangro e il marchese don Antonio Pignatelli. Nel 1722, in occasione del compleanno dell'imperatrice Elisabetta Cristina di Brunswick-Wolfenbüttel, riceve l'incarico di scrivere una serenata. Dopo aver avuto la rassicurazione di mantenere l'anonimato, compone Gli orti esperidi, che sarà messo in musica da Nicola Porpora e cantato da un allievo dello stesso, il castrato Farinelli, il quale fa così uno spettacolare debutto e si lega al Metastasio con una calorosa amicizia fraterna. La primadonna Marianna Bulgarelli (detta la Romanina per le sue origini), che interpretava Venus nel dramma, dopo essere riuscita a scoprire il nome dell'autore, persuade il poeta a rinunciare alla propria carriera legale per dedicarsi al dramma musicale.

Jacopo Amigoni, Il cantante Farinelli con amici, 1750. Da sinistra a destra sono riconoscibili: Metastasio, Teresa Castellini, Farinelli, Amigoni (autore del quadro), il cane e il paggio di Farinelli

Presso la casa della Romanina Metastasio conosce i più grandi compositori del tempo, tra i quali Porpora, dal quale prese lezioni di musica, Johann Adolf Hasse, Giovan Battista Pergolesi, Alessandro Scarlatti, Leonardo Vinci, Leonardo Leo, Francesco Durante e Benedetto Marcello; tutti questi saranno destinati in futuro a mettere in musica i suoi lavori. Qui inoltre studia l'arte del cantare e impara ad apprezzare lo stile di interpreti come Farinelli. Dotato di uno straordinario talento per la composizione e di un senso per la poetica, non trova nessuna difficoltà nello scrivere le sue opere. I suoi libretti, benché non fossero sempre erano capolavori, diventavano eccellenti appena messi in musica, tant'è che i migliori cantanti facevano a gara per poterli interpretare. Metastasio vive con La Romanina e suo marito a Napoli. La cantante incoraggia il suo genio poetico e lo vizia nei suoi capricci. Sotto la sua influenza scrive in rapida successione Didone abbandonata, Catone in Utica, Ezio, Alessandro nell'Indie, Semiramide riconosciuta. Siroe ed Artaserse.

Nel settembre del 1729 Metastasio riceve e accetta un'offerta per il posto di poeta di corte (poeta cesareo) al teatro di Vienna, succedendo così ad Apostolo Zeno. La Romanina altruisticamente lo congeda, mantenendo comunque a suo carico la famiglia di Pietro a Roma. Nell'aprile del 1730 Metastasio si stabilisce quindi a Vienna. Qui il poeta divide fino alla fine dei suoi giorni la casa già concessa a Niccolò Martines, maestro di cerimonie del Nunzio apostolico a Vienna. Questa data segna un nuovo periodo nella sua attività artistica. Tra gli anni 1730 e 1740 i suoi drammi Adriano, Demetrio, Issipile, Demofonte, Olimpiade, Clemenza di Tito, Achille in Sciro, Temistocle e Attilio Regolo vengono prodotti per il teatro imperiale. Alcuni di essi sono composti per occasioni speciali e con incredibile rapidità: ad esempio l'Achille in diciotto giorni e l'Ipermestra in nove. Oltre a ciò si dedica nuovamente ai testi sacri: nel 1730 viene alla luce La Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, che divenne uno degli oratori più musicati del XVIII secolo. Metastasio padroneggiava la tecnica della sua arte fino ai minimi dettagli. Le esperienze che acquisì a Napoli e a Roma, così come l'entusiasmo viennese per i suoi lavori accelerarono la sua carriera.

A Vienna Metastasio non incontra un forte successo sociale, giacché la sua nascita non nobile lo esclude dai circoli dell'aristocrazia. Per ovviare a questa mancanza intraprende una relazione intima con la contessa Marianna Pignatelli di Althann, cognata della sua passata patrona, la principessa Belmonte Pignatelli, la quale aveva perso il marito ed era stata a lungo la favorita dell'imperatore. Il rapporto tra lei e Metastasio fu così intenso che si credeva che si fossero sposati segretamente. Intanto la Romanina, stanca della sua assenza, gli domandava di ottenere un ingaggio al teatro di corte. Metastasio confuso e stanco di lei, le scrisse dissuadendola nel progettare visite a Vienna. Il tono della lettera l'allarmò e irritò. Sembra che ella fosse partita da Roma, ma morì improvvisamente lungo il tragitto. Dato che suo marito era già deceduto, Metastasio ereditò tutto il suo patrimonio, ma a causa dell'affanno e del rimorso per la morte della Romanina rinunciò al lascito.

Con il passare del tempo, la vita che Metastasio tiene a Vienna, come anche il clima, si fece sentire sulla sua salute e sul suo spirito. Dal 1745 scrive poco, anche se le sue cantate risalgono a questo periodo, così come la canzonetta Ecco quel fiero istante, che godette di larghissima fortuna. Nel 1755 muore la contessa Althann e Metastasio riduce i suoi rapporti sociali ai soli visitatori che andavano a trovarlo. Ormai afflitto dall'avanzare della vecchiaia e dalla perdita della sua vena poetica visse gli ultimi anni della sua vita rimanendo pressoché inattivo. Durante questo periodo è maestro dell'allora giovane arciduchessa Maria Antonietta, futura regina di Francia, la quale pur non conoscendo bene né il tedesco né il francese, parlava un ottimo ed elegante italiano, grazie al suo illustre insegnante.[1] Il 3 settembre 1768 fu eletto accademico della Crusca[2]. Muore a Vienna il 12 aprile 1782, lasciando una fortuna di 130.000 fiorini ai figli dell'amico Martines. Era infatti sopravvissuto a tutti i suoi parenti in Italia.

La riforma metastasiana

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Libretto dell'Artaserse, 1730

La produzione di Metastasio comprende 26 melodrammi, un intermezzo, 38 azioni teatrali e 8 azioni sacre, oltre a 34 cantate e varie liriche arcadiche. Nei suoi libretti, l'autore deve avere cura non solo del testo poetico, ma anche dei valori spettacolari e musicali su cui si deve impostare la musica. Per questo struttura i suoi testi con una forte componente teatrale, rispettando le convenzioni dell'epoca ma senza preoccuparsi dell'organicità dei vari aspetti dell'opera. Le vicende vengono tratte dalla tradizione mitica e storica, anche se Metastasio preferisce lavorare su storie poco note o curiose. Il dramma si compone di solito di tre atti e l'azione si basa su sei personaggi: due coppie di amanti, un servo fedele e un oppositore. A ciascuno di questi ruoli sono assegnate voci diverse. L'amore è sempre e comunque determinante nella struttura del dramma, i rapporti tra gli amanti subiscono l'influsso di una tragedia incombente, mentre i sentimenti dei personaggi alternano patetismo alla manifestazione di virtù eroiche.[3]

Sull'opera di Metastasio influirono due aspetti della sua formazione: da un lato l'educazione cartesiana ricevuta da Caloprese, dall'altro l'ambizione, instillata da Gravina, di fare del melodramma un'opera che avesse un proprio valore autonomo e rispettasse senza pedanteria le caratteristiche indicate nella Poetica aristotelica, così da essere una tragedia moderna.[4] Il melodramma mirava infatti a essere una traduzione musicale del teatro francese di Racine e Corneille, incentrata quindi sul conflitto intimo dell'eroe. Tuttavia, come nota Giuseppe Petronio, dietro a questa celebrazione dell'eroismo, la produzione di Metastasio nasconde una vena elegiaca e melica, che asseconda il gusto diffuso alla corte dell'imperatore Carlo VI. I sentimenti e le passioni vengono analizzati finemente, uno a uno, senza però andare troppo oltre, laddove «il gioco galante diventerebbe pianto e strazio dell'animo» (aspetti che invece saranno ricalcati dagli autori romantici).[5] La precisione nella descrizione dei sentimenti accentua il senso di dubbio e sospensione, trasportando l'eroe su un piano prettamente umano e quotidiano. Allo stesso tempo, però, toglie a essi la profondità necessaria per generare la pietà tragica.[6]

Esempi tipici di questo modo di sentire sono le ariette, le brevi canzonette che di regola chiudevano la scena e che rappresentavano, nella struttura del dramma, la parte lirica contrapposta al recitativo (composto in endecasillabi e settenari). Queste nel melodramma metastasiano hanno la funzione di esprimere sia le effusioni liriche dei personaggi sia i commenti dell'autore. Inoltre, se l'eroismo si riduceva una «magniloquenza decorosa e in uno sfoggio teatrale di virtù», a sua volta anche il moralismo si traduce in buon senso, secondo i valori tipicamente borghesi. Dal punto di vista formale, poi, la lingua utilizzata si caratterizza per un lessico limitato, essenziale, con frasi semplici che ricercano una facile e gradevole musicalità.[7]

  1. Fraser,Maria Antonietta. La solitudine di una regina, p. 44
  2. Cfr. la scheda su Metastasio del sito dell'Accademia della Crusca (URL consultato il 7 giugno 2009)
  3. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 477.
  4. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 452.
  5. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 453.
  6. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 455.
  7. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 454.