Ebraicità del Cristo incarnato/Metodologia

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"Testa del Cristo" (particolare), olio di Édouard Manet, 1865

Considerazioni metodologiche[modifica]

La mia metodologia differisce nettamente da quella delle ricerche precedenti, dal momento che la maggior parte degli studiosi – in particolare gli specialisti neotestamentari e del paleocristianesimo – tentano di comprendere le questioni relative all'incarnazione divina rispetto alle indagini su come e quando i primi cristiani arrivarono a comprendere la figura di Gesù come Dio. La maggior parte degli studiosi in questi sottocampi ha tentato di indagare sulle fasi intellettuali che hanno portato i primi cristiani ad affermare che Gesù era sia pienamente umano sia pienamente divino. Soprattutto in relazione all'ultima parte di questa equazione, questi studiosi si sono chiesti quando siano emerse le origini dell'Alta Cristologia. Hanno usato come punto di partenza le formule cristologiche fisse emerse per la prima volta nel IV secolo e.v. e poi hanno lavorato all'indietro chiedendosi come e quando i primi seguaci di Gesù iniziarono a pensare a Gesù in tal modo.

Trovo questo focus teleologico della passata ricerca problematico per tre ragioni distinte ma correlate. In primo luogo, penso che questa attenzione abbia oscurato la capacità degli studiosi di vedere i molti modi in cui gli ebrei nell'antichità esprimevano che Dio potesse essere incarnato nel mondo o che esseri umani particolarmente giusti potessero subire il processo di apoteosi. Sto suggerendo che sebbene la presentazione da parte del Vangelo giovanneo della parola divina fatta carne, nella persona specifica di Gesù, presenti un esempio particolarmente sorprendente di come Dio sia venuto nel mondo, anche altri autori ebrei contemporanei rappresentarono l'incarnazione di Dio nel mondo, sebbene con mezzi diversi come per esempio attraverso le anime degli umani o la figura del Sommo sacerdote ebreo.

In secondo luogo, trovo questo focus teleologico problematico perché imposta la cristologia primitiva e, per impostazione predefinita, il cristianesimo primitivo, in opposizione all'ebraismo.[1] In altre parole, questi studiosi sono così interessati al carattere distintivo del cristianesimo che non riconoscono pienamente il significato di fenomeni paralleli nel più ampio ambiente religioso dell'ebraismo del Secondo Tempio. Di conseguenza, vedono il Vangelo di Giovanni, o anche quello di Paolo, radicalmente diverso dall'ebraismo contemporaneo, piuttosto che considerare la possibilità che sia profondamente radicato nell'ebraismo del tempo. Nella mia interpretazione, suggerisco che il Vangelo di Giovanni rifletta solo uno dei tanti modi diversi in cui gli ebrei antichi esprimevano il modo in cui Dio poteva connettersi agli umani e gli umani potevano connettersi a Dio.

In terzo luogo, questa attenzione teleologica tra gli specialisti del Nuovo Testamento ignora la conversazione ricca e sfaccettata che sta avvenendo in molte aree degli studi ebraici sul corpo di Dio, dagli specialisti della Bibbia ebraica agli studiosi rabbinici. Come ha dimostrato la mia breve incursione nell'innovativo lavoro di questi studiosi, l'argomento del corpo di Dio, o il modo in cui il divino poteva incarnarsi, è stato parte integrante della tradizione di Israele dai tempi antichi fino ai tempi dei rabbini. Mentre è vero che qualcosa di distintivo accade intorno al volgere dell'era volgare, vale a dire che, a causa del focus sulla trascendenza di Dio, l'incarnazione di Dio si verifica sempre più attraverso figure divine intermedie (e si concentra all'interno dell'umanità stessa), ciò non significa che l'attenzione al corpo di Dio non esista più durante questo periodo. Mostra semplicemente come la mossa per suggerire che Dio potesse incarnarsi in una particolare figura umana, vale a dire Gesù, avesse più senso all'interno delle attuali tendenze ebraiche di quell'epoca.

Ci sono diversi studiosi che esemplificano questa prospettiva teleologica. In Christology in the Making, ad esempio, James Dunn scrive che il suo intento è "tracciare l'emergere dell'idea cristiana dell'incarnazione dall'interno (non l'emergere del concetto di "incarnazione" di per sé); seguire il corso dello sviluppo (organico o evolutivo), nel miglior modo possibile, per cui il concetto di incarnazione di Cristo è emerso nell'espressione cosciente nel pensiero cristiano".[2] Allo stesso modo, James McGrath afferma che intende "offrire una breve panoramica della [sua] comprensione dei processi che ci portano dal Gesù storico al Concilio di Nicea, concentrandoci quasi interamente sulle istantanee di questo sviluppo cristologico che svolge nel Nuovo Testamento, ma riconoscendo che c'è sia un prima che un dopo."[3] La prospettiva di entrambi questi studiosi, quindi, è teleologica. Conoscendo i risultati storici di Nicea e dei successivi concili ecumenici, questi studiosi cercano di tracciare i fattori socio-storici e gli sviluppi intellettuali che hanno portato a questo particolare risultato in questo particolare momento.

Ho sottolineato il lavoro di questi due studiosi, ma questo interesse nel tracciare lo sviluppo della cristologia primitiva nel tempo rappresenta una tendenza importante nel pensiero accademico che risale almeno al lavoro classico di Wilhelm Bousset in Kyrios Christos. Bousset, un teologo protestante tedesco che era attivo tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, faceva parte della scuola di Storia delle religioni (Religionsgeschichtliche Schule), una scuola che era caratterizzata da due preoccupazioni principali. In primo luogo, la scuola di storia delle religioni cercava di tracciare lo sviluppo evolutivo della religione in relazione alla storia umana.[4] Cioè, il loro lavoro si poneva contro il presupposto che le religioni fossero entità fisse e statiche; invece, sottolineavano come le religioni fossero fenomeni complessi, profondamente radicati nei contesti socio-storici da cui emergono. In secondo luogo, questa scuola di pensiero tentava di indagare la letteratura cristiana primitiva da una prospettiva storica, senza preoccupazioni per le successive dottrine cronologiche. Sebbene i suoi membri si autoidentificassero come cristiani, e quindi conoscessero i risultati successivi dei dibattiti cristologici, essi tentarono di leggere ogni testo nel suo contesto socio-storico, senza fare riferimento al dogma teologico. La monografia classica di Bousset, Kyrios Christos, univa queste due enfasi presentando "uno schema per l’evoluzione della cristologia e del culto di Gesù nella chiesa primitiva".[5] Sebbene Bousset, come altri della scuola di Storia delle religioni, avesse tentato di eludere questioni di dogma, una prospettiva teologica implicita rimase comunque alla base del suo lavoro. dal momento che giunse a considerare l'Alta Cristologia come punto finale, Bousset cercò di dimostrare come i cristiani successivi arrivarono a quel punto.

Bousset può sì aver avviato questo focus teleologico, ma negli ultimi anni una proliferazione di pubblicazioni ha seguito un percorso simile. Nonostante l'intenso disaccordo su quando e da quale contesto sia emersa per la prima volta l'Alta Cristologia, come sottolinea Andrew Chester in una recente recensione, il focus sull'evoluzione della cristologia primitiva persiste.[6] In particolare, Chester identifica quattro tendenze principali nella recente ricerca in relazione a questo argomento. Nel primo, studiosi come Maurice Casey e Géza Vermes suggeriscono che, a causa dei vincoli del monoteismo ebraico, una comprensione di Gesù come divino avrebbe potuto emergere solo relativamente tardi nello sviluppo del cristianesimo e in un contesto gentile.[7] Propongono che fu solo all'interno della comunità giovannea, che sostengono che avesse una composizione sempre più gentile, che la fonte di questa divergenza dall'ebraismo si verificò per la prima volta.[8] Casey, in particolare, sostiene che fu solo dopo che i membri ebrei della comunità giovannea furono "cacciati via dalla sinagoga" (cfr. Giovanni 9:22;12:42-43) e così cominciarono a identificarsi come "Gentili", che emerse la credenza nella divinità di Gesù.[9] Casey interpreta Giovanni 9:22 e 12:42-43 come riflesso di un realtà che era già accaduta, piuttosto che una retorica che incoraggiava tale separazione.

Nella seconda tendenza accademica, anche studiosi come James Dunn e Gabriele Boccaccini suggeriscono che questo sviluppo avvenne relativamente tardi, ma all'interno dei confini della tradizione ebraica.[10] Come Casey e Vermes, individuano la comprensione di Gesù come Dio nella comunità giovannea,[11] ma Boccaccini in particolare sottolinea che un tale sviluppo non rende improvvisamente il Vangelo di Giovanni "non ebreo"; la cristologia giovannea riflette semplicemente una variazione di altre forme di aspettativa messianica ebraica ai suoi tempi.[12]

Per contrasto, in una terza corrente della ricerca, Larry Hurtado, John Collins e Adela Yarbro Collins, tra gli altri, sostengono che l'idea di Gesù come divino fu uno sviluppo precoce tra i seguaci di Gesù, sviluppo profondamente radicato nel contesto ebraico dell'epoca. Hurtado, per esempio, suggerisce che la prima adorazione di Gesù segnò una "mutazione" distinta da come furono concepite altre figure divine intermedie nell'ebraismo.[13] In particolare, poiché il monoteismo ebraico esigeva il solo culto dell'unico Dio di Israele, questo sviluppo nella pratica religiosa, basata sulle esperienze religiose vissute dai primi seguaci di Gesù, suggerisce che già i primi seguaci di Gesù lo concepirono come Dio.[14] Adela Yarbro Collins e John Collins sostengono una prospettiva simile a quella di Hurtado, insistendo sul contesto ebraico dal quale sorse la credenza nella divinità di Gesù, sebbene attraverso un percorso molto diverso. Per loro, la divinità di Gesù emerse dalla comprensione di lunga data della divinità del re, o messia, come il figlio di Dio.[15] Facendo risalire le prove dall'ideologia reale nell'antico Vicino Oriente fino alla sua appropriazione nel Nuovo Testamento, sostengono che c'era una credenza di lunga data nella divinità del re, che sorse innanzitutto nell'ambiente egiziano prima di essere trasposto nel contesto ebraico. Come tale, venne preservato soprattutto attraverso la traduzione greca della Bibbia ebraica da parte dei Settanta. Citando testi come la versione LXX di Salmi 72:17;110 e Isaia 7:14; porzioni dei Rotoli del Mar Morto, come 4Q174, 4Q246 e 11QMelchizedek;[16] e testi come I Enoch 48:2-3, 6 e 62:7, Proverbi 8:22-31 e 4Esdra 13, John Collins e Adela Collins sostengono che il contesto per un'interpretazione di Gesù come divino "preesistente e divino" era già presente in un ambiente ebraico, e quindi tale interpretazione nacque da un contesto ebraico.[17]

L'unica eccezione a questo approccio, che per Chester comprende il quarto filone della ricerca, è il lavoro di Richard Bauckham. Contrariamente agli altri studiosi, Bauckham sostiene che "la prima cristologia non si sviluppò" perché tutti i documenti del Nuovo Testamento e, per estensione, tutti i primi cristiani a loro associati, avevano articolato la "cristologia più alta" sin dall'inizio.[18] Piuttosto, includevano Gesù "interamente e inequivocabilmente all'interno dell'identità divina".[19] Gesù partecipa al ruolo di Dio come creatore e sovrano, sussumendo così la sua identità in quella di Dio.[20] Bauckham sostiene quindi che fin dai primi momenti dopo l'evento di Pasqua, i primi seguaci di Gesù lo concepirono sempre come Dio.

Di conseguenza, o presto o tardi, sia all'interno dell'ebraismo o al di fuori di esso, un focus teleologico implicito e un approccio diacronico uniscono gli sforzi di tutti questi studiosi. Poiché questi studiosi conoscono i risultati storici di vari concili ecclesiastici e primi dibattiti ecumenici, piuttosto che riconoscere che in un determinato momento della storia si sarebbero potuti verificare innumerevoli risultati alternativi, tentano di lavorare all'indietro. Pertanto, il loro lavoro cerca di tracciare una linea ininterrotta di sviluppo intellettuale da uno stadio della storia a un altro.

Al contrario, usando un approccio sincronico (piuttosto che diacronico), la mia metodologia mira a scoprire un'istantanea della storia ebraica. Mi concentro sull'Antichità Ebraica, e in particolare sui testi che risalgono principalmente dalla fine del I secolo p.e.v. all'inizio del II secolo e.v. Il periodo della storia a cui sono interessato si estende quindi dal tardo periodo del Secondo Tempio al primo periodo romano. Ho fatto questa scelta perché mi concentro su testi ebraici che risalgono al Vangelo di Giovanni, cioè verso la fine del I secolo e.v. o all'inizio del II secolo e.v.[21] Di conseguenza, piuttosto che scrivere ripetutamente "fine Secondo Tempio e primo periodo romano", quando mi riferisco all'Antichità Ebraica come abbreviazione in questo studio, quella designazione include testi ebraici che vanno dal I secolo p.e.v. all'inizio del II secolo e.v. Le mie fonti principali includono: Filone, Flavio Giuseppe, 2 Baruc, 4 Esdra, il Libro delle parabole (come conservato in 1 Enoch), 2 Enoch e, naturalmente, il Vangelo di Giovanni. Perché? Perché sto cercando altri testi ebraici oltre al Vangelo di Giovanni in quella data il più vicino possibile a quel Vangelo. Anche se considero ebrei altri testi che ora sono conservati nel Nuovo Testamento, la mia attenzione rimane concentrata sul Vangelo di Giovanni perché ci sono stati ampi dibattiti su quando la nozione di incarnazione sorse per la prima volta nel Nuovo Testamento. La maggior parte degli studiosi, tuttavia, concorda sul fatto che il Vangelo di Giovanni ne fornisce la prova più chiara.[22]

La domanda principale che mi pongo durante questo studio è perché sia in questo particolare momento della storia ebraica che così tanti testi ebraici presentano un modo in cui Dio può incarnarsi o gli umani possono divinizzarsi. Non presumo che gli autori di questi testi si conoscessero necessariamente l'un l'altro. Né pretendo che dipendessero l'uno dall'altro. Ciò che osservo, tuttavia, è la grande varietà di modi in cui gli ebrei in questo periodo hanno pensato a come Dio e l'umanità potessero essere collegati attraverso l'incarnazione. Pertanto, sebbene io sostenga un numero di modi diversi che gli ebrei del I secolo avessero concepito l'incarnazione divina, dimostrerò come la descrizione del Vangelo di Giovanni su questo fenomeno sia in continuità con le altre descrizioni ebraiche e sia anche distinta da esse.

Concludo con due note cautelative sul perché la descrizione del Vangelo di Giovanni sull'incarnazione divina non debba essere considerata l'unico e solo modo in cui gli antichi ebrei concepivano la manifestazione corporea di Dio sulla terra. In primo luogo, da un punto di vista puramente storico, durante i primi secoli dell'era volgare non esisteva una definizione "ufficiale" di ciò che in seguito divenne noto come il concetto cristiano di "incarnazione". Quindi, impiegare il termine "incarnazione" significa imporre un'ideologia in un periodo di tempo in cui tale definizione o articolazione non esisteva ancora. Di conseguenza, se si può vedere la formula di Giovanni 1:14 come uno dei tanti modi in cui gli ebrei del primo secolo – compresi i primi seguaci di Gesù – stavano articolando un'ideologia dell'incarnazione divina, allora un quadro storico delle varie teologie dell'incarnazione divina operative verdo l'inizio dell'era volgare inizierà a emergere.

In secondo luogo, spero che questa esplorazione fornirà anche ai lettori una comprensione più chiara di come altri ebrei, al di fuori del movimento di Gesù, abbiano concepito la personificazione corporea di Dio sulla terra — anche se il concetto, a causa della sua successiva connessione con l'articolazione cristiana dell'incarnazione, ora sembra essere molto lontano da ciò che associamo all'ebraismo. Perché concentrarsi solo sulla rappresentazione dell'incarnazione divina nel Vangelo di Giovanni crea un "cristianesimo" pienamente formato in opposizione all'"ebraismo", mentre i due non divennero due distinte tradizioni religiose per un bel po' di tempo. Nel corso dei secoli, un focus così esclusivo ha portato alle acute polemiche ebraico-cristiane a cui ho accennato all'inizio di questo capitolo. Di conseguenza, illuminando quanto profondamente ebraica fosse originalmente la nozione di incarnazione divina e continui ad esserlo, questo progetto mira a migliorare alcune delle tensioni tra due tradizioni religiose che si sono da tempo allontanate l'una dall'altra, contribuendo così a promuovere scambi più caritatevoli intorno alla religione.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche.
  1. Nei primi anni 1990, James Dunn rese inizialmente popolare la nozione che, a seguito della distruzione del Tempio ebraico del 70 e.v., ebraismo e cristianesimo emersero come due religioni distinte e separate da un lignaggio condiviso nell'ebraismo del Secondo Tempio. Si veda James Dunn, The Partings of the Ways: Between Christianity and Judaism and Their Significance for the Character of Christianity (Londra: SCM, 1991); per una pari prospettiva, si veda anche Alan F. Segal, Rebecca’s Children: Judaism and Christianity in the Roman World (Cambridge: Harvard University Press, 1986). Tuttavia studiosi successivi hanno dimostrato quanto difetti metodologici inerenti e pregiudizi teologici rendano questo modelle insufficiente, facendo sì che molti trascurino la fluidità continuativa tra queste due tradizioni in via di sviluppo. Cfr. Judith Lieu, "‘The Parting of the Ways’: Theological Construct or Historical Reality?" JSNT 56 (1994): 101–19; Boyarin, Dying for God, 1–21; Annette Y. Reed e Adam H. Becker, "Introduction: Traditional Models and New Directions", in The Ways that Never Parted: Jews and Christians in Late Antiquity and the Early Middle Ages (curr. Adam H. Becker e Annette Yoshiko Reed; Tübingen: Mohr Siebeck, 2003), 1–33; Daniel Boyarin, Borderlines: The Partition of Judaeo-Christianity (Philadelphia: University of Pennsylvania Press, 2004), partic. 17–33; Schremer, Brothers Estranged, 3–24; Megan H. Williams, "No More Clever Titles: Observations on Some Recent Studies of Jewish-Christian Relations in the Roman World", JQR 99.1 (2009): 37–55. Daniel Boyarin ha persino suggerito che imporre un appellativo del tipo "cristianesimo ebraico" reifica solo i confini tra le due religioni, cioè ebraismo e cristianesimo, che non esistevano come tali, finanche nel quarto secolo e.v. Si veda Daniel Boyarin, "Rethinking Jewish Christianity: An Argument for Dismantling a Dubious Category (to which is Appended a Correction of my Border Lines)", JQR 99.1 (2009): 7–36.
  2. Dunn, Christology in the Making, xxii.
  3. James McGrath, "How Jesus Became God: One Scholar’s View", New Testament Seminar, University of Michigan, 19 marzo 2015.
  4. Per ulteriori informazioni sull'importanza dell'opera di Wilhelm Bousset, specialmente alla luce degli sviluppi recenti nela campo dell'ebraismo del Secondo Tempio, si veda Kelley Coblentz Bautch, "Kyrios Christos in Light of Twenty-First Century Perspectives on Second Temple Judaism", Early Christianity 6.1 (2015): 30–50, partic. 31–32 per una discussione dell'influenza della Scuola di Storia delle religioni.
  5. Bautch, "Kyrios Christos", 32, mio corsivo.
  6. Andrew Chester, "High Christology—Whence, When, and Why?" Early Christianity 2 (2011): 22–50.
  7. Casey, Jewish Prophet, 9, 23–40, 141–161; Geza Vermes, The Changing Faces of Jesus (Londra: Allen Lane, 2000), ma si veda anche il suo testo precedente, Jesus the Jew: A Historian’s Reading of the Gospels (Philadelphia, Fortress Press, 1981).
  8. Casey, Jewish Prophet, 156–159; Vermes, Changing Faces of Jesus, 6–54.
  9. Casey, Jewish Prophet, 9, 31–32, 35–36, 143, 156, 158.
  10. Dunn, Christology in the Making, xxiii; James Dunn, The Christ and the Spirit: Collected Essays of James D.G. Dunn. 2 voll. (Grand Rapids: Eerdmans, 1998), 3–54, 212–238, 270–423; Gabriele Boccaccini, "Jesus the Messiah: Man, Angel, or God? The Jewish Roots of Early Christology", Annali di Scienze Religiose 4 (2011): 193–220, partic. 214–18; idem, "How Jesus Became Uncreated", 208.
  11. Dunn, Christology in the Making, xiii, 249–50, 258–61; Boccaccini, "Jesus the Messiah", 215–16.
  12. In merito a questa prospettiva, Gabriele Boccaccini scrive: "La riscoperta della diversità degli ebrei nel periodo del Secondo Tempio rende ora possibile trasferire Gesù e il suo movimento all'interno del mondo ebraico... In realtà non vi era un unico messianismo normativo ebreo da cui, o contro il quale, sorse il messianismo cristiano. Nelle sue origini, il messianismo cristiano non era altro che uno dei possibili messianismi in competizione con gli altri". Cfr. Gabriele Boccaccini, "Gesù il Messia", 207.
  13. Hurtado, One God, One Lord, 2, 12, 99–124; Hurtado, How on Earth, 153–54, 178. Altrove descrive ciò come una "forma variante" piuttosto che una "mutazione", cfr. Hurtado, Lord Jesus Christ, 50, n. 70.
  14. Hurtado, One God, One Lord, 1–8, 11–15; 125, sebbene questo tema sia evidente in tutta l'opera; Hurtado, How on Earth, 42–53.
  15. Si veda Collins & Collins, King and Messiah, x–xiv per l'impostazione di questa prospettiva.
  16. Collins & Collins, King and Messiah, 56–74.
  17. Collins & Collins, King and Messiah, 75–100, ma citato qui a xiv.
  18. Bauckham, God Crucified, vii; Bauckham, Jesus and the God of Israel, 19.
  19. Bauckham, God Crucified, vii; Bauckham, Jesus and the God of Israel, 3–4, 18–21.
  20. Bauckham, Jesus and the God of Israel, 20–30.
  21. Per questa datazione si veda Brown, An Introduction to the Gospel of John, 199–215.
  22. Si veda Casey, Jewish Prophet, 23. Sebbene, come hanno sottolineato Adela Yarbro Collins e John Collins, anche questo assunto "è in qualche modo fuorviante... [perché se] l'annuncio del Vangelo fosse davvero inequivocabile, sarebbe difficile spiegare le estese controversie cristologiche della chiesa primitiva". Cfr. King and Messiah, 175. In effetti, come discuterò in tutto lo studio, anche il Vangelo di Giovanni rappresenta un mezzo con cui il divino può incarnarsi, ma questo non è lo stesso che suggerire che la seconda persona della trinità si è incarnata nella specifica persona di Gesù. Ci sarebbe invece voluto molto tempo prima che si sviluppasse una tale ideologia.