Ebraicità del Cristo incarnato/Dibattito

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"Volto di Gesù" (dalla Sindone), olio di Andrei Mironov, ca. 2009

Riconcettualizzare il monoteismo ebraico antico[modifica]

Introduzione al dibattito[modifica]

Questo capitolo interviene in un lungo dibattito sulla nozione di antico monoteismo ebraico. Sebbene l'antico monoteismo ebraico sia secondario rispetto alla mia principale preoccupazione di come gli antichi ebrei concepissero la manifestazione di Dio sulla terra, affronto questo argomento all'inizio del mio studio per alcune ragioni correlate. Primo, è difficile parlare dell'incarnazione di Dio, o del suo corollario, l'incarnazione divina, senza una precisa comprensione di come gli ebrei antichi vedevano il reame divino. Ma qui sta anche il problema, che mi porta al secondo punto; vale a dire, che gli studiosi dell'antichità non concordano su come gli ebrei antichi concepissero Dio. Senza un abbozzo di base su come io interpreto le antiche concezioni ebraiche di Dio, come anche su come il mio studio interagisce con quello degli altri sul campo, temo che molti dei punti che faccio durante il resto della ricerca possano essere fraintesi o offuscati. È per questi motivi che affronto l'argomento controverso dell'antico monoteismo ebraico all'inizio del mio lavoro.

In linea di massima, gli studiosi dell'antichità si dividono in due diversi campi riguardanti il ​​modo in cui gli antichi ebrei consideravano il divino. In un campo, un crescente consenso afferma che certamente nel primo secolo e.v. se non ben prima di allora, la maggior parte degli ebrei era completamente monoteista.[1] Come prova di questa posizione, tali studiosi indicano le frequenti asserzioni fatte dagli ebrei secondo cui Dio è uno (θεὸς εἷς ἐστι) [Filone, Opif. 171; Decal. 64–5, 81 (cfr. Decal. 52–81); Leg. 1.51; Conf. 144; Flavio Giuseppe, Ant. 1.155, 3.91; Aris. 132; Sib. Or. 3,11-12; 4.30],[2] come anche il rituale di preghiera rabbinica di recitare lo Shemà (Deuteronomio 6:4-9[3] 11:13-21, Numeri 15:37-41) due volte al giorno,[4] che porta quegli studiosi ad assumere che questi ebrei del primo secolo dovessero essere monoteisti.[5] Spesso questa argomentazione presenta due ulteriori punti: in primo luogo, che c'era un chiaro e assoluto muro divisorio tra il Dio creatore israeliano e tutto il resto che era stato creato; e in secondo luogo, che i termini "Dio" e "divino" siano sinonimi. Attingendo alle definizioni nicene successive, questi studiosi ipotizzano che, poiché gli antichi credevano in un solo Dio, che era l'unico creatore di tutto il resto, solo questa entità e nient'altro può essere considerata divina. Tuttavia, gli ebrei antichi avevano una concezione gerarchica del reame divino, e questo permise loro di classificare molte entità diverse come "divine" senza supporre che questi esseri fossero sinonimo della più alta divinità di Israele, l'unica increata. La presenza di questi vari esseri divini all'interno dell'ideologia religiosa degli antichi ebrei complica quindi il significato di cosa significhi per questi ebrei aver creduto nel Dio Uno di Israele.

Tenendo conto di questi punti, altri studiosi hanno iniziato a mettere in discussione l'opportunità del termine "monoteismo" per descrivere antiche credenze ebraiche su Dio.[6] Questi studiosi hanno dimostrato come per questi antichi ebrei l'unicità di Dio fosse un fenomeno complesso, in grado di incorporare diverse potenze e attributi divini. Gli agenti divini, il cui scopo specifico era quello di colmare il divario tra il Dio trascendente e il mondo immanente che Dio aveva creato, erano subordinati a Dio, eppure furono simultaneamente sussunti nella più ampia rubrica dell'unità di Dio. La difficoltà con questa prospettiva è che spesso si assume che, dato che vi erano varie gradazioni di divinità all'interno della visione ideologica del mondo degli antichi ebrei, si potrebbe semplicemente salire le scale fino alla divinità più alta di Israele, l'unica increata. Ma gli ebrei antichi di certo concepivano una chiara separazione tra la divinità più elevata e tutte le altre realtà. La loro visione filosofica del mondo tiene in tensione la credenza in una divinità suprema e una gerarchia di altri esseri divini che scaturiscono da quella increata.

Lo Shemà in ebraico
(Jewish Encyclopedia, 1906)

Il mio obiettivo principale in questo capitolo è offrire una terza via tra questi due estremi. Rileggendo le prove antiche con occhi nuovi, l'apparente incompatibilità di queste due posizioni accademiche non è così incongrua come appare inizialmente. Uno dei problemi centrali di questo dibattito accademico è che gli specialisti del settore spesso parlano l'uno al di là dell'altro, definendo termini chiave come Dio, divino e persino monoteismo in modo diverso. La mia intenzione è quella di mostrare come, quando queste differenze putative vengono rimosse, ne emerge una più chiara articolazione di come gli ebrei antichi concepiscono Dio. Nel fare ciò, non sto sostenendo che gli studiosi eliminino in toto termini come "monoteismo" o "divino" dal loro discorso. Nonostante l'uso anacronistico del primo e le conseguenti difficoltà del secondo, queste parole sono diventate così radicate nelle discussioni accademiche che sarebbe quasi impossibile sradicarle completamente. Invece, il mio obiettivo principale è quello di prestare attenzione a come gli ebrei antichi descrivevano Dio nei loro scritti. Questo capitolo procede quindi in tre parti: una breve storia della ricerca costituisce la prima; la seconda si occupa di come gli antichi ebrei vedevano la divinità in modo gerarchico; e la terza sottolinea la loro coerente concettualizzazione di Dio come creatore di tutto il resto. Poiché è così che gli antichi ebrei descrivevano Dio nei loro propri scritti, e loro stessi non sembravano turbati da ciò che solo in retrospettiva sembrano due opzioni inconciliabili, sostengo che esaminando il loro linguaggio può emergere una migliore comprensione delle antiche concezioni ebraiche del divino.

Ciò che il peso cumulativo delle prove suggerisce è che sebbene non fosse mai esistito qualcosa come l'antico monoteismo ebraico di per sé, in quanto gli antichi ebrei che concepivano molte entità come "divine", gli antichi ebrei concepivano però una chiara separazione tra il Dio supremo increato e tutte le altre realtà. Ciò è significativo per gli obiettivi generali del mio studio poiché la chiarezza su questi temi ha conseguenze su come comprendiamo sia la continuità che la discontinuità dei primi seguaci di Gesù e di altri ebrei contemporanei rispetto a come gli antichi ebrei concepivano l'incarnazione di Dio sulla terra, nonché come essi, da esseri umani creati, sarebbero potuti diventare più simili a Dio. Poiché, come sarà presto chiaro nei capitoli successivi della mia ricerca, ci sono molti esempi nella letteratura ebraica dei primi secoli dell'era volgare in cui le entità "divine", a volte anche "non-create", assunsero forma corporea (anche se temporaneamente). Pertanto, la rappresentazione nel Vangelo giovanneo dell'incarnazione divina nella figura specifica di Gesù è in continuità con la tradizione ebraica contemporanea. Sebbene distintivo e altamente significativo per il successivo sviluppo del cristianesimo, alla fine del I secolo e.v. la rappresentazione di Giovanni era solo uno dei molti modi in cui gli antichi ebrei ritenevano che Dio potesse assumere una forma corporea.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche.
  1. Si veda Hurtado, One God, One Lord, 17–92, partic. 35–39; idem, "First-Century Jewish Monotheism", JSNT 71 (1998), 3–26, part. 3–4; idem, Lord Jesus Christ, 29–52, part. 29; idem, How on Earth, 111–133; idem, "Monotheism", in The Eerdmans Dictionary of Early Judaism (curr. John J. Collins e Daniel C. Harlow; Grand Rapids: Eerdmans, 2010), 961–964; Bauckham, Jesus and the God of Israel, 60–126; idem, "Worship of Jesus", 322–341, part. 322–23; idem, "Throne of God", 43–69, part. 43; James Dunn D. G., "Was Christianity a Monotheistic Faith from the Beginning?" Scottish Journal of Theology 35 (1982): 303–336, part. 303–06; idem, The Partings of the Ways, 18–21; 163–229; idem, Did the First Christians Worship Jesus? The New Testament Evidence (Louisville: Westminster John Knox Press, 2010), 59–66, 93–98; N.T. Wright, The New Testament and the People of God (Minneapolis: Fortress Press; Londra: SPCK, 1992), 248–59.
  2. Da notare che lo storico romano, Tacito, fa un'osservazione simile (cfr. Hist. 5.3).
  3. שְׁמַע יִשְׂרָאֵל יְהוָה אֱלֹהֵינוּ יְהוָה אֶחָֽד — "Ascolta Israele il Signore è nostro Dio. Il Signore è uno. Benedetto il Suo nome glorioso per sempre. E amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze. E metterai queste parole che Io (cioè Dio) ti comando oggi, nel tuo cuore, e le insegnerai ai tuoi figli, pronunciandole quando riposi in casa, quando cammini per la strada, quando ti addormenti e quando ti alzi. E le legherai al tuo braccio, e le userai come separatore tra i tuoi occhi, e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte (delle città)" (Deuteronomio 6:4-9).
  4. Sarit Kattan Gribetz ha recentemente contestato l'"antichità e ubiquità" dello Shemà "preghiera rituale composta da versetti biblici prsi dal Deuteronomio e da Numeri" (58). Sostiene invece che le fonti del Secondo tempio come la Lettera di Aristea, Filone, la Regola della Comunità e Flavio Giuseppe non "si riferiscono alla pratica della recita dello Shema che conosciamo dalla successiva tradizione rabbinica". Pertanto, imporre questa interpretazione ideologica sui testi ebraici che risalgono al primo secolo è anacronistico. Sulo durante il periodo rabbinico tale rituale di preghieraemerge formalmente. Si veda Sarit Kattan Gribetz, "The Shema in the Second Temple Period. A Reconsideration", Journal of Ancient Judaism 6 (2015): 58–84, partic. 58.
  5. Esempi di studiosi che sostengono che lo Shema era già un rituale di preghiera standardizzato nel primo secolo e.v. includono, int. al.: Dunn, Partings of the Ways, 19; idem, "Did the First Christians Worship Jesus?" 60; Wright, "New Testament and the People of God", 248.
  6. Fletcher-Louis, Jesus Monotheism, 293–316; Fredriksen, "Gods and the One God", Bible Review 19.1 (febbraio 2003): 12; James Waddell, The Messiah: A Comparative Study of the Enochic Son of Man and the Pauline Kyrios (Londran: T & T Clark, 2011), 19–22; McGrath, The Only True God, 12–15; Charles A. Gieschen, Angelomorphic Christology: Antecedents and Early Evidence (Leiden: Brill, 1998), 30; Barker, The Great Angel, 1–3; Peter Hayman, "Monotheism: A Misused Word in Jewish Studies?" JJS 42 (1991): 1–15; Rowland, The Open Heaven, 36.