Ebraicità del Cristo incarnato/Terza visione

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" Gethsemane", olio di Carl Heinrich Bloch

Immaginare una terza visione dell'antico monoteismo ebraico[modifica]

A partire dagli anni ‘80 e proseguendo fino ai giorni nostri, alcuni studiosi interessati alla paleocristologia hanno ipotizzato che nel primo secolo dell'era volgare, se non ben prima, la maggior parte degli ebrei fosse completamente monoteista.[1] Uno dei testi classici impiegati per sostenere questa posizione viene da Filone di Alessandria:[2]

« Inscriviamo quindi in noi stessi questo come il primo e il più sacro dei comandamenti, per riconoscere e onorare un Dio sopra tutti (ἕνα τὸν ἀνωτάτω νομίζειν τε καὶ τιμᾶν θεόν), e per non far mai giungere alle orecchie dell'uomo abituato a ricercare la verità nella purezza e nell'innocenza che gli dei siano molti (πολύθεο). »
(Decal. 65[3])

Gli studiosi che impiegano questa affermazione e altre simili (Filone, Opif. 171; Decal. 81; Leg. 1.51; Conf. 144; Flavio Giuseppe, Ant. 1.155, 3.91; Aris. 132; Sib. Or. 3.11-12; 3.629; 4.30) hanno iniziato con l'ipotesi che gli ebrei in questo periodo storico fossero inequivocabilmente monoteisti. Quindi hanno cercato di capire come i primi seguaci di Gesù, che erano anche ebrei, avrebbero potuto pensare a Gesù, alla pari di Dio Padre, come divino. A titolo di esempio: Larry Hurtado inizia riconoscendo che l'antica tradizione religiosa ebraica includeva un concetto di "agenzia divina", in cui una "figura di agente principale" occupava una posizione di principio accanto a Dio; poi, tuttavia, Hurtado suggerisce che l'esperienza religiosa dei primi cristiani ha prodotto una "mutazione distinta" di questa posizione, inducendoli ad adorare e "venerare il principale agente di Dio", Gesù, come il loro Signore risorto.[4] Questa forma "binaria" di adorazione, sostiene lo studioso, non ha violato il monoteismo ebraico, ma ha mostrato un'innovazione unica e davvero straordinaria nella visione del mondo dell'ebraismo del Secondo Tempio che avrebbe potuto verificarsi solo se i primi cristiani avessero concepito Gesù come Dio.[5] Similmente, Richard Bauckham sostiene che tutti i testi del Nuovo Testamento dimostrano fin dall'inizio il livello più alto possibile di cristologia. Invece di cercare di "trovare un modello per la cristologia in figure intermedie semi-divine nel primo ebraismo",[6] egli propone che un approccio migliore alla questione sia quello di concentrarsi su "chi è Dio piuttosto che su chi è la divinità".[7] Per lui, "il primo ebraismo aveva modi chiari e coerenti per caratterizzare l'identità unica del Dio Uno e distinguere così in assoluto il Dio Uno da tutti gli altri".[8] In particolare, Dio è il "solo creatore di tutte le cose" e il "sovrano Signore di tutte le cose".[9] Per Bauckham la divinità di Gesù non ha compromesso il monoteismo ebraico, perché i primi cristiani includevano "Gesù, precisamente e inequivocabilmente" nell'identità unica di Dio fin dall'inizio.[10]

Entrambi questi studiosi hanno contribuito in modo significativo allo studio della cristologia primitiva. Tuttavia la loro premessa iniziale riguardo alla predominanza del monoteismo tra gli ebrei nel I secolo e.v. è problematica per due ragioni: in primo luogo, nel pensare tramite antiche concezioni ebraiche della divinità, presumono che gli antichi ebrei comprendessero i termini "Dio" e "divino" come sinonimi. Vale a dire, presuppongono che solo la più alta divinità di Israele, l'unica increata, possa essere etichettata come "divina". Ma la prima comprensione ebraica del reame divino era molto più complessa. Mentre è vero che in questo periodo storico molti pensatori ebrei abbracciarono un'ideologia in cui veneravano il Dio unico d'Israele, una quantità uguale di prove suggerisce che questi pensatori ebrei concepirono l’unicità di Dio in un modo che differisce radicalmente da come noi la pensiamo oggi.[11] Come ho sottolineato nel Capitolo I, gli antichi ebrei concepivano la divinità in termini di gerarchia,[12] che poteva incorporare diverse entità "divine" minori,[13] che non erano identiche alla divinità suprema di Israele, l'unica "increata".[14]

In secondo luogo, e forse più significativamente, il termine "monoteismo" e il suo aggettivo derivato "monoteista" non esistevano nell'antichità.[15] Fu solo nel bel mezzo dei dibattiti filosofici del diciassettesimo secolo che "il platonista di Cambridge, Henry More (1614–87 )" creò il termine per distinguere questa idea da molti altri modi, presumibilmente minori, di concepire il divino,[16] come politeismo, monolatria ed enoteismo (dal greco antico: εἷς "uno" e θεός "dio").[17] Nel creare questi termini, tali filosofi, molti dei quali erano anch'essi praticanti di religioni monoteiste, avevano un programma implicito: descrivevano il politeismo come una forma di credenza degenerata e primitiva e il monoteismo come la forma più pura e avanzata di tutto lo sviluppo religioso.[18] Di fronte all'enfasi dell'Illuminismo sullo sviluppo progressivo dell'umanità in fasi successive, un pregiudizio implicito si insinuò così nelle loro definizioni e sostenne l'intero discorso accademico. La loro terminologia creò un mezzo sottile ma efficace per rafforzare le loro proprie ideologie religiose, descrivendo il monoteismo come l'apice di ogni credo religioso. Questo tacito presupposto continua a perdurare oggi nell'immaginazione concettuale di molti studiosi, quando persistono nell'imporre questa struttura ideologica ai testi antichi come mezzo per sottolineare sia l'antichità che la superiorità della fede monoteista.

Riconoscendo l'imposizione anacronistica di questi termini cardine, un certo numero di altri studiosi ha suggerito che i confini di un monoteismo rigoroso ed esclusivo nell'ebraismo di questo periodo erano molto più permeabili di quelli che in precedenza alcuni erano stati disposti ad ammettere.[19] In particolare, hanno attinto da quella ricerca che ha indicato la presenza di ipotetici attributi divini, l'apoteosi dei saggi e la deificazione dei principali angeli all'interno della letteratura del Secondo Tempio e paleocristiana[20] per dimostrare le difficoltà associate a descrivere il Dio degli ebrei come Uno. In questo flusso di studi, altri hanno dimostrato come gli antichi ebrei vedevano la divinità in modo gerarchico, con una divinità suprema sovrastante ogni altra cosa.[21] Di conseguenza, molti studiosi si sono chiesti se il termine "monoteismo" sia un modo appropriato per descrivere la religione ebraica di quel periodo. In una delle prime opere di questo tipo, Peter Hayman riassume questa sfida quando scrive:

« Ritengo che non sia quasi mai appropriato usare il termine monoteismo per descrivere l'idea ebraica di Dio, che nessun progresso oltre le semplici formule del Libro del Deuteronomio può essere riscontrato nell'ebraismo prima dei filosofi del Medioevo e che l'ebraismo non sfugge mai al lascito delle battaglie per la supremazia tra Yahweh, Ba’al ed El da cui è emerso.[22] »

Hayman, e altri studiosi dopo di lui, insistono sul fatto che il monoteismo che tipicamente associamo alle religioni moderne di ebraismo, cristianesimo e islam, non esisteva ancora durante il periodo del Secondo Tempio. A titolo di esempio, Margaret Barker sostiene che la netta separazione tra El Elyon (Dio l'Altissimo) e suo figlio Yahweh dall'antica religione israelita non è mai stata completamente sradicata dalla tradizione religiosa di Israele, ma piuttosto che queste idee furono preservate nel periodo del Seconda Tempio sotto forma di figure angeliche intermedie, come il Figlio dell'Uomo, Sofia e Logos. Di conseguenza, Barker vede la formulazione da parte del cristianesimo di Gesù quale Dio incarnato come un'estensione del modo in cui la tradizione religiosa d'Israele ha biforcato la divinità fin dall'inizio.[23] Allo stesso modo, James McGrath suggerisce che "il monoteismo nel primo ebraismo e primo cristianesimo significava qualcosa di diverso da ciò che significa oggi per molti".[24] Mentre egli riconosce che i primi ebrei possedevano una "fervente e quasi fanatica aderenza al culto dell'unico Dio Altissimo, l'unico vero Dio", mostra anche che la letteratura di questo periodo attesta una certa sfocatura tra Dio e la creazione che in genere non è riconosciuta o apprezzata nel discorso contemporaneo su questo argomento.[25] Il Dio della letteratura ebraica del Secondo Tempio spesso condivideva la sua azione con altri esseri divini. Dato che questi altri esseri non erano solo rappresentati con il linguaggio divino, ma mettevano anche in atto funzioni divine, ciò complica il significato che ci fosse un solo Dio in Israele.

Due problemi correlati emergono da questo secondo campo di studiosi. Innanzitutto, evidenziando la natura gerarchica della divinità e sottolineando come i vari termini del "divino" possano essere applicati a un'ampia varietà di enti, questi studiosi ignorano la chiara enfasi su Dio come creatore degli antichi testi ebraici. In secondo luogo, nel decostruire la nozione di antico monoteismo ebraico e nel dimostrare come gli ebrei durante il I secolo e.v. avevano una comprensione molto più complessa del reame divino di quanto la terminologia inventata nel diciassettesimo secolo e.v. abbia permesso agli studiosi di riconoscere, non hanno ancora costruito un modo alternativo di articolare ciò che i primi ebrei credevano veramente di Dio durante il periodo del Secondo Tempio. Rimangono due domande importanti: queste due opinioni apparentemente disparate possono essere riconciliate tra loro? E gli specialisti dell'antichità hanno imposto un falso binario sull'antica tradizione ebraica?

La mia tesi è che, sì, certo che le diverse opinioni possono essere riconciliate. Ma solo quando le due posizioni sono riunite in una relazione dialogica, la loro compatibilità diventa chiara. Come le mie analisi dettagliate nei Capitoli III, IV, V e VI chiariranno, gli antichi ebrei concepirono molte entità diverse come "divine". Ad esempio, sebbene siano chiaramente umani, Mosè (Capitolo III) e il Sommo sacerdote ebreo (Capitolo IV) erano considerati divini. Di sicuro, come esseri umani, creati si trovavano in fondo alla gerarchia divina, ma partecipavano comunque in varia misura alla divinità del Dio supremo increato di Israele. Parimenti, sebbene spesso concepite come attributi di Dio, anche le figure di sapienza (Capitolo V) e parola (Capitolo VI) erano considerate divine, ma ciò non le rendeva sinonimo della più alta divinità di Israele. Mostrerò che questa ineffabile divinità suprema fosse intesa come l'unica divinità increata da cui emergeva tutta l'altra realtà divina. L'antica interpretazione gerarchica ebraica dell'unicità di Dio è quindi compatibile con una percezione di Dio come unico Uno increato.

Note[modifica]

Per approfondire, vedi Biografie cristologiche.
  1. Si vedano: Hurtado, One God, One Lord, 35–39; idem, "First-Century Jewish Monotheism", 3–4; idem, Lord Jesus Christ, 29; idem, How on Earth, 111–133; idem, "Monotheism", 961–964; Bauckham, Jesus and the God of Israel, 60–126; idem, "Worship of Jesus", 322–23; idem, "Throne of God", 43; Dunn, "Was Christianity a Monotheistic Faith", 303–06; idem, The Partings of the Ways, 18–21; 163–229; idem, Did the First Christians Worship Jesus? The New Testament Evidence (Londra: SPCK/Louisville: Westminster John Knox Press, 2010), 59–66, 93–98; Wright, The New Testament and the People of God, 248–59.
  2. Si veda, per esempio, Dunn, Did the First Christians Worship Jesus?, 64.
  3. L'edizione critica delle opere di Filone è Philonis Alexandrini opera quae supersunt, cur. L. Cohn, P. Wendland e S. Reiter, 6 voll. (Berolini, 1896–1915). Tra le traduzioni, troviamo F. H. Colson, G. H. Whitaker, e R. Marcus, 12 voll., LCL (Cambridge: Harvard University Press, 1929–62) e C. D. Younge, The Works of Philo Judeaeus, the Contemporary of Josephus, 4 voll. (Londra: Henry G. Bohn, 1854–55). Se non altrimenti specificato, tutte le traduzioni in (IT) da Filone in questo studio sono mie, preparate anche consultando i succitati testi.
  4. Hurtado, One God, One Lord, 2, 12, 99–124; idem, How on Earth, 153–54, 178. Altrove descrive ciò come una "forma variante" (cfr. Hurtado, Lord Jesus Christ, 50, n. 70) o una "modificazione distintiva" (Hurtado, One God, One Lord, 12), piuttosto che una "mutazione".
  5. Hurtado, One God, One Lord, partic. 1–8, 11–15, 125, sebbene questo tema permei tutta l'opera; idem, Hurtado, How on Earth, 42–53.
  6. Bauckham, God Crucified, vii; idem, Jesus and the God of Israel, ix.
  7. Bauckham, God Crucified, vii; idem, Jesus and the God of Israel, x, 6–7, 30–31; idem, "Throne of God", 44–45.
  8. Bauckham, God Crucified, vii; idem, "Throne of God", 44–45.
  9. La citazione è presa da Bauckahm, "Monotheism and Christology in Hebrews 1", 167–85, partic. 167. Sebbene Bauckham descriva anche come il Dio di Israele sia unico con un nome e abbia portato Israele fuori dall'Egitto, pone maggiore enfasi sulle ultime due componenti dell'identità di Dio, vale a dire che Dio è "unico creatore" e "sovrano Signore" dell'universo. Si vedano: Jesus and the God of Israel, 9–11, 18; idem, "Throne of God", 45–48; idem, "Monotheism and Christology in Hebrews 1", 167–85, partic. 167.
  10. Bauckham, God Crucified, vii.
  11. Gli scritti di Loren Stuckenbruck sono particolarmente istruttivi in merito, poiché egli mantiene l'uso della parolo "monoteismo", tuttavia riconosce anche le complessità per pensiero ebraico antico rispetto al reame divino. Si vedano: Loren Stuckenbruck, Angel Veneration and Christology: A Study in Early Judaism and in the Christology of the Apocalypse of John. WUNT 2.70 (Tübingen: Mohr Siebeck, 1995), 15–21; idem, "‘Angels’ and ‘God’: Exploring the Limits of Early Jewish Monotheism" in Early Jewish and Christian Monotheism, curr. Loren T. Stuckenbruck e Wendy E.S. North (Londra & New York: T & T Clark, 2004), 45–70, partic. 45, 69.
  12. Si vedano: Winston, "Philo’s Conception of the Divine Nature", 21–23; Runia, "Beginnings of the End", 281–312, partic. 289–99; Cox, By The Same Word, 94–99; Cristina Termini, "Philo’s Thought within the Context of Middle Judaism", in The Cambridge Companion to Philo (Cambridge, UK: Cambridge University Press, 2009), 95–123, partic. 96–103; Fredriksen, Sin, 53–55; Litwa, "Deification of Moses", 1–27, part. 6; Ehrman, How Jesus Became God, 4–5; Boccaccini, "How Jesus Became Uncreated", 186–187.
  13. Litwa, "Deification of Moses", 6–8.
  14. Richard Bauckham è lo studioso che, in anni recenti, ha fortemente sostenuto che gli antichi ebrei ritenevano Dio il solo creatore, egli stesso creatore di tutto il resto. Si vedano God Crucified, ix, 9; idem, "Throne of God", 43–69, partic. 46–48. Per un'enfasi simile si vedano Boccaccini, "How Jesus Became Uncreated", 188; Sullivan, Wrestling with Angels, 229–31; Wright, The New Testament and the People of God, 254, 256. Sebbene Crispin Fletcher-Louis non sia d'accordo con questa prospettiva, per una discussione di altri specialisti in paleocristologia che hanno supportato in pari modo questa divisione Creatore-creatura, si veda Jesus Monotheism, 293–316.
  15. Nathan MacDonald, Deuteronomy and the Meaning of Monotheism (Tübingen: Mohr Siebeck, 2003), 5–16, la citazione proviene da p. 5; Bauckham, Jesus and the God of Israel, 62–63; Hurtado, How On Earth, 7.
  16. MacDonald, Deuteronomy, 5–16
  17. Il politeismo, così come lo hanno delimitato, si applica alla credenza in molti dei. L'enoteismo si riferisce alla credenza in un solo dio, ma lascia aperta la questione se ci siano altri dei. Come corollario stretto, la monolatria riguarda l'adorazione di un solo dio, ma non nega l'esistenza di altri dei. Il monoteismo, quindi, è l'unico sistema di credenze che esclude la possibilità di qualsiasi altro dio e pertanto viene presentato come l'apogeo di ogni credo religioso.
  18. Stuckenbruck, Angel Veneration, 15–21, partic. 16.
  19. Fletcher-Louis, Jesus Monotheism, 293–316; Fredriksen, "Gods and the One God", Bible Review 19.1 (febbraio 2003): 12; Waddell, The Messiah, 19–22; McGrath, The Only True God; Gieschen, Angelomorphic Christology, 30; Barker, The Great Angel; Hayman, "Monotheism: A Misused Word", 1–15; F. Gerald Downing, "Ontological Asymmetry in Philo and Christological Realism in Paul, Hebrews, and John", JTS 41.2 (ottobre 1990): 423–40; Rowland, The Open Heaven, 36.
  20. Davila, "Of Methodology, Monotheism and Metatron", 3–18; Fossum, The Name of God; Rowland, The Open Heaven, 94–113; Fredriksen, Sin, 53–55.
  21. Winston, "Philo’s Conception of the Divine Nature", 21–23; Runia, "Beginnings of the End", 281–312, partic. 289–99; Cox, By The Same Word, 94–99; Termini, "Philo’s Thought", 95–123, part. 96–103; Fredriksen, Sin, 53–55; Litwa, "Deification of Moses", 1–27, part. 6; Boccaccini, "How Jesus Became Uncreated", 186–187.
  22. Hayman, "Monotheism: A Misused Word", 2.
  23. Barker, The Great Angel. Si veda anche Mark Smith, The Origins of Biblical Monotheism: Israel's Polytheistic Background and the Ugaritic Texts (Oxford: Oxford University Press, 2001).
  24. McGrath, The Only True God 96.
  25. McGrath, The Only True God, 97.