Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Conclusione 5

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Indice del libro
"Concentration Camp 1", di Berta Rosenbaum Golahny
"Concentration Camp 1", di Berta Rosenbaum Golahny

Conclusione[modifica]

L'impossibile rapporto beckettiano dei clown

Quarant'anni dopo la guerra, identità e i rapporti tra Israele e Germania erano ancora circoscritti dall'Olocausto. Il risultato, come illustrava Grossman nel suo Vedi alla voce: amore, fu che la generazione nata dopo la guerra veniva colpita da un evento in cui non era stata coinvolta. Yitzhak Dvir di Biboff è vittima delle azioni dei suoi genitori tanto quanto lo sono i figli di Schuldig geboren di Sichrovsky. Vittime di circostanze che erano state forzate su di loro, tedeschi ed ebrei, come i personaggi di Beckett, scoprirono di avere un legame comune, chiusi in una relazione a volte tragicomica che mostrava pochi segni di finire. L'assurdità della situazione si manifestò attraverso il "fantastico" nelle due Germanie tanto quanto in Israele. Fantasmi che parlano dalla tomba e comunicano con il presente come nel Jubiläum di Tabori e Heldenplatz di Bernhard, nello stesso modo in cui la Vecchia Nadya che vive nell'Israele contemporaneo può parlare con il fantasma di Adam. A differenza del fantasma di Senesh in Hannah Senesh di Megged, i fantasmi degli anni ’80 tornarono a sfidare, non ad affermare, lo status quo. L'influenza del passato sul presente ha risultati palpabili e catastrofici. Il passato uccide Hedwig e suo marito in Heldenplatz. Ella in Uomo a uomo è intrappolata in una falsa identità e alienata dal suo io morale. In Biboff, la storia sconosciuta della famiglia Dvir fa sì che il loro unico figlio impazzisca e adotti tendenze omicide. La frustrazione di essere intrappolato dal peso della storia e l'impossibilità di avere una normale relazione con i propri genitori, si manifesta in un gioco autodistruttivo: Yitzhak brucia case, si veste da nazista, gioca sadici giochi mentali con il dottor Ziv e cerca di uccidere i suoi genitori. In La cena di Sichrovsky, il rapporto di Robert con la sua ragazza discende nel sado-masochismo nel corso di una sera. L'arte s'incontrò con la realtà quando Thomas Harlan, filmando Wundkanal, spinse l'ergastolano assassino incaricato di ricoprire il ruolo di Veit Harlan quasi fino al punto dell'esaurimento fisico e mentale a causa dei suoi sadici metodi di recitazione.[1]

Syberberg con Hitler, un film dalla Germania, aveva utilizzato le immagini circensi non solo per creare uno spettacolo, ma per evidenziare come l'Olocausto fosse diventato "il più grande spettacolo del mondo". Dagli anni ’70 in poi la tendenza a teatralizzare era aumentata, passando da semplici dispositivi di inquadratura, come quelli favoriti da Sobol in una strategia shakespeariana di "dramma/film all'interno di un dramma" usata in The Palestinian Girl (La ragazza palestinese), a metodi più complessi che, come quelli di Thomas Bernhard, rendevano il pubblico il vero soggetto dell'evento teatrale. Ciò che molti scrittori stavano cercando di affrontare era la conoscenza selettiva del pubblico, il costrutto dell'Olocausto e l'atrocità come spettacolo teatrale. Furono particolarmente interessati al rituale sociale, in particolare a quei riti pubblici, che si occupavano del ricordo, che utilizzavano sofferenze passate per ottenere scopi politici o per tentare di esorcizzarle. La teatralità del Processo Demjanjuk, come quella del Processo Eichmann, fu un esempio di rituale pubblico usato per incoraggiare risposte politiche selettive. Così fu pure la retorica binaria dei politici successivi, portata all'estremo dall'uso dell'analogia storica di Begin durante il crisi del Libano. La necessità di esorcizzare il passato si riscontrò nella cerimonia di Bitburg orchestrata da Kohl, dove la narrativa ebraica vene inclusa insieme ad altre.

L'intenzione di molti scrittori negli stati austro-tedeschi e in Israele era di erodere la santità dell'Olocausto come inequivocabilmente "unica". Le loro motivazioni individuali erano molto diverse. Kipphardt tracciò parallelismi per incorporare l'Olocausto all'interno di una narrazione storica più ampia, perché la nazione tedesca doveva essere liberata dalla sua identità di autore unico di un'atrocità unica con un'identità da paria unica e continua. Sobol tracciò parallelismi per evidenziare la situazione contemporanea mentre incoraggiava una risposta emotiva al trauma dell'Olocausto. Anche Tabori fece lo stesso. Sia Sobol sia Tabori dimostrarono che è possibile esaminare l'Olocausto da un punto di vista specifico, salvaguardando la memoria delle vittime, affrontando tuttavia questioni contemporanee e verità universali sulla natura della condizione umana. È possibile considerare l'Olocausto come unico e universale senza dover propendere per l'uno o per l'altro.

Note[modifica]

  1. Anton Kaes, From Heimat to Hitler, p. 141.