Interpretazione e scrittura dell'Olocausto/Israele 1

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Memoriale delle vittime a Auschwitz nel 1941: questa immagine è formata da nomi presi dal Database Centrale delle Vittime della Shoah, Yad Vashem
Memoriale delle vittime a Auschwitz nel 1941: questa immagine è formata da nomi presi dal Database Centrale delle Vittime della Shoah, Yad Vashem


Israele
Distruzione degli idoli

Introduzione[modifica]

Il 1967 si rivelò uno spartiacque nella scrittura politica israeliana. Come in Germania, il successo della Guerra dei Sei Giorni e la conseguente rivalutazione dell'Olocausto portarono un senso di chiusura al passato. L'attenzione si rivolse al futuro. Gli israeliani ora vedevano il loro paese come uno Stato consolidato in Medio Oriente. Inoltre, c'era la prospettiva di essersi garantita la pace a lungo termine. Come in Germania, i drammi sull'Olocausto scomparvero dal palcoscenico.

Il 1967 fu un anno cruciale in quanto il teatro si preoccupò di ridefinire la sua identità dopo l'introduzione della televisione. Poiché la televisione era sinonimo di "intrattenimento", i dirigenti e gli scrittori teatrali furono costretti a ripensare il ruolo del palcoscenico nella società israeliana. Tuttavia la televisione innescò anche un risveglio culturale. Per la prima volta, molti israeliani entrarono in contatto con il mondo esterno attraverso i loro televisori. Gli israeliani iniziarono a riflettere sulla propria identità e stile di vita rispetto alle immagini degli stili di vita americani ed europei. Shosh Avigal scrive che la televisione si rivelò cruciale nell'auto-definizione israeliana degli anni ’70, quando le persone iniziarono a esaminare il loro paese in modo più critico.[1] Il teatro, quindi, assunse una nuova funzione di incanalare i dubbi emergenti sull'identità israeliana, sul sogno sionista e sui mezzi per la sua realizzazione.

Questi dubbi politici erano iniziati con il riconoscimento che la Guerra dei Sei Giorni, lungi dal risolvere qualsiasi problema, ne aveva creati di nuovi. Logicamente, il sequestro di territori egiziani e siriani avrebbe dovuto dare agli israeliani un potere di contrattazione con gli arabi per garantire una pace soddisfacente e duratura. Tuttavia, gli arabi, specialmente gli egiziani, non fecero approcci di pace. Erano interessati solo alla vittoria totale. Ne conseguì una situazione di stallo. L'America riarmò Israele e i russi riequipaggiarono gli egiziani.[2] Oltre a ciò, Settembre Nero voleva creare una patria palestinese per gli arabi sfollati negli ultimi trent'anni di azione militare israeliana. Settembre Nero si oppose a qualsiasi governo, come quello di re Husayn di Giordania, che riconoscesse la legittimità di Israele. Limitato in numero, Settembre Nero ricorse al terrorismo. La loro prima azione importante fu nel settembre 1970 quando dirottarono quattro grandi aerei di linea.

Gli israeliani non solo provavano un senso della violenza araba dall'esterno, ma questa volta anche la crescente minaccia del terrorismo dall'interno. Il fatto che membri della RAF si allenassero coi palestinesi nei loro campi militari non fece molto per rafforzare la fiducia di Israele nella Repubblica Federale o in Occidente in generale. Il pensiero popolare quindi regredì in vecchi archetipi di distruzione. Gli arabi (collaboratori nazisti) e la RAF (nazisti tedeschi) sembravano intenzionati a distruggere gli ebrei. Il primo ministro, Golda Meir, fece ricorso alle analogie naziste nelle sue critiche a Willy Brandt e Helmut Schmidt. Questa tattica fu utilizzata durante la Guerra del Kippur del 1973, quando si temeva che Israele, combattendo da solo per la prima volta, potesse essere sconfitto dalle forze arabe combinate che avevano lanciato un attacco fulmineo senza precedenti. Meir riempì i suoi discorsi con analogie dell'Olocausto sperando di fare appello all'Alleanza occidentale. Tuttavia, mentre i cancellieri Adenauer e Brandt erano stati ostacolati da una politica di filosemitismo e pro-sionismo nel loro tentativo di ristabilire la posizione della Germania nel mondo, Helmut Schmidt fu meno malleabile. Intento a ristabilire i legami commerciali arabi che erano stati recisi o ridotti dopo la guerra, divenne sempre più vocale nelle sue critiche alla politica interna ed estera israeliana, o rimase muto. Durante la guerra dello Yom Kippur mantenne un'estrema neutralità affermando che, secondo lui, tutti i popoli avevano il diritto di vivere pacificamente in Palestina.[3]

Peace Now Logo

I liberali israeliani presero una visione progressiva della situazione. Diversi fattori coincisero. Il movimento Peace Now in Israele, guidato da scrittori influenti come Amos Oz, sfidò la politica militare aggressiva di Israele. La devastazione subita durante la Guerra dello Yom Kippur del 1973[4] con la conseguente guerra di logoramento lungo i confini meridionali fece mettere in dubbio la centralità della potenza militare per l'identità israeliana e l'imperativo del sacrificio per il collettivo. La crisi energetica inoltre lasciò Israele sempre più isolato in un'Alleanza Occidentale intenzionata a ottenere il favore degli arabi.

Aharon Appelfeld (2014)

La vittoria del 1967 significò la sorveglianza dei territori arabi conquistati e delle loro comunità ostili. L'identità israeliana iniziò a mutare. Con il dispiegamento di truppe per reprimere i terroristi e i civili che li proteggevano, gli israeliani, per la prima volta nella loro storia, si trovarono nella posizione dell'oppressore, non degli oppressi. Questa scoperta di nuova identità involontariamente ottenne un alto profilo internazionale a causa del sentimento pro-arabo della sinistra europea. Il risultato fu che furono poste domande sui diritti umani nella stampa internazionale. In molti casi, gli israeliani si ritrovarono condannati universalmente. Opprimendo i palestinesi, figure come Golda Meir potevano ancora invocare l'Olocausto quando ricercavano il sostegno internazionale? Erano vittime in Medio Oriente o oppressori? Emerse un paradosso che gli scrittori israeliani progressisti furono rapidamente in grado di percepire. La loro attenzione si incentrò sull'attuale stato spirituale degli ebrei che trattavano i loro simili in modo simile a quello di Hitler. Sembrò che gli ebrei non avessero imparato nulla di positivo dalle loro esperienze. Come scrisse Aharon Appelfeld nel suo romanzo del 1978, The Immortal Bartfuss (= Bartfuss l'immortale), "Mi aspetto grandezza d'animo dalle persone che subirono l'Olocausto e... generosità".[5]

L'argomento specifico dell'Olocausto si impigliò sempre di più con la questione palestinese e il problema dell'identità nazionale.[6] Un certo grado di sicurezza fu raggiunto grazie alla politica favorevole alla pace di Anwar Sadat, che produsse gli Accordi di Camp David del 1978,[7] ma una nuova minaccia apparve sul confine settentrionale di Israele. Alla fine degli anni ’70 l'OLP si era stabilito in Libano spingendo l'esercito israeliano ad invaderlo nel 1978 e nuovamente nel 1981. Il conflitto militare non dava segni di tregua; una "soluzione" al problema palestinese rimaneva elusiva.

Il movimento di protesta[modifica]

Hanoch Levin e Yoshua Sobol[modifica]

Yoshua Sobol (1996)
Abraham B. Yehoshua (2009)

Un senso di disillusione col sogno sionista cominciò a filtrare nel teatro con il cabaret satirico di Hanoch Levin intitolato You and I and the Next War (= Tu, io e la prossima guerra), nel 1978. Fu rappresentato in un bar studentesco di Tel Aviv quando Levin aveva 24 anni. Nel 1970 scrisse Queen of the Bathtub (= Regina della vasca da bagno), rappresentato al Teatro Cameri prima che diventasse il Teatro Municipale di Tel Aviv. Il teatro di protesta era quindi passato da marginale a teatro principale. Queen of the Bathtub era una satira feroce che attaccava gli ideali pionieristici, il sionismo e l'esercito. Per alcuni fu troppo radicale e costretto a chiudere dopo una protesta pubblica. Un altro scrittore i cui scopi coincidevano con quelli di Levin era Abraham B. Yehoshua. Il suo Una notte di maggio (ebr. Layla Be-May), rappresentato nel 1968 dal Bimot, attaccava i falsi ideali promossi dall'esercito e dai movimenti giovanili.[8]

Tuttavia, il drammaturgo che provocò il più grande scalpore (che continua a tutt'oggi) fu Yoshua Sobol. Il suo La notte del venti (ingl. The Night of the Twentieth, ebr. ליל העשרים), rappresentato nel 1976, primo suo dramma importante. La storia si svolge nel corso di una notte in ottobre 1920, quando un gruppo di giovani coloni dall'Europa progettando di occupare un appezzamento di terra in Palestina. Sobol attacca l'ideologia della generazione colonizzatrice e la creazione nonché perpetuazione della sua "leggenda" tramite i movimenti giovanili: modella consapevolmente il dramma su una discussione "Ken" — un dibattito morale collettivo usato dai movimenti giovanili.[9] Sobol appronta i suoi pionieri per poi abbatterli: li ritrae come pagliacci giovanili piuttosto che eroi nazionali. Sono codardi, spaventati dalle umiliazioni del loro passato diasporico e terrorizzati dalla prospettiva di dover combattere gli arabi. I loro complessi di inferiorità portano a un eccesso di comportamento virile. L'intenzione di Sobol era di spogliare la generazione pioniera della sua aura sacra.

Sobol solleva la questione degli ebrei come oppressori. Uno dei pionieri, Efraim, commenta la questione della rimozione dei coloni arabi: "È un caso di selezione naturale. Il forte e il puro rimangono."[10] Questa osservazione sociale-darwiniana serve a collegare sionisti e nazisti come persecutori e saccheggiatori.

Sul palcoscenico israeliano in generale, la discussione sulla situazione palestinese fu seriamente ostacolata dalla mancanza di personaggi arabi. Nel 1972 il critico israeliano Michael Ohed chiese se qualcuno avesse visto un arabo rappresentato sul palcoscenico israeliano.[11] Arabi palestinesi brillavano per la loro assenza. Ciò era dovuto al loro annullamento all'interno della società e della storia israeliana. Nel 1969 Golda Meir aveva detto:

« Non esistevano palestinesi come tali. Non era come se ci fosse stato un popolo palestinese in Palestina, che si considerasse un popolo palestinese, e che noi fossimo venuti e li avessimo buttati fuori, portandogli via il loro paese. Non esistevano.[12] »

In realtà, le statistiche del Foreign Office britannico indicano che nel 1947 c'erano 1.319.434 arabi in Palestina rispetto a 589.341 ebrei. Dopo la guerra di indipendenza in Israele furono riscontrati solo 117.639 arabi, poco più di un undicesimo della popolazione originale.[13] Nei romanzi israeliani scritti da ebrei emerse un modello di rappresentazione araba che era in diretta opposizione alle immagini ebraiche. Gli arabi erano fanatici: gli ebrei martiri; gli arabi erano terroristi: gli ebrei soldati coraggiosi; gli arabi erano arretrati e nomadi: gli ebrei erano produttivi e coltivavano la terra; gli arabi erano omicidi: gli ebrei pacifici. Il 30 giugno 1976 Adir Cohen, presidente del Dipartimento dell'Educazione all'Università di Haifa, pubblicò un rapporto su Haaretz sulla rappresentazione degli arabi nella letteratura israeliana ebraica per bambini. Ha concluso:

« Questi risultati devono destare preoccupazione per l'istruzione in questo paese, poiché fu in questo modo che l'immagine dell'ebreo venne presentata nella letteratura antisemita.[14] »

Gli scrittori ebrei progressisti negli anni ’70 tentarono di porvi rimedio, senza molto successo. Dan Urian nota che ci fu un'ondata di opere israeliane che utilizzavano la metafora delle relazioni amorose miste. In questo modo, gli scrittori esploravano il tema della convivenza e della comprensione reciproca. Significativamente, nessuna di queste opere aveva un lieto fine.[15]

Sobol contraddice la storia ufficiale della Meir in Palestina come una terra desolata popolata da una manciata di uomini delle tribù arabe nomadi fino all'arrivo degli ebrei civilizzatori. In La notte del venti, Sobol presenta i suoi pionieri come una banda di aspiranti assassini. Sono loro che decidono di espellere un'altra nazione, vale a dire i palestinesi. Alla fine del dramma Sobol inverte la "storia ufficiale". Moshe, figlio di un sarto galiziano, si rivolge al pubblico in tono ironico:

« E quelli che non erano qui, questa notte del 20 ottobre, possono raccontare in seguito ai loro figli leggende sulle cose in cui credevamo e in nome delle quali andammo ad espropriare gli altri. E a prendere possesso di una terra. E il Tempo, come un bambino che non sa cosa sta facendo, giocherà i suoi giochi con noi.[16] »

Danny Horowitz[modifica]

Simon Levy osserva che il teatro israeliano, consapevole della sua funzione pubblica, è sempre stato autoreferenziale e coscientemente teatrale.[17] Danny Horowitz non fa eccezione a questa tradizione. Nel suo, Cherli Ka Cherli, prodotto dal Khan Theatre di Gerusalemme nel 1978, Horowitz focalizza l'attenzione del pubblico sulla funzione delle narrative nella società israeliana, disegnando parallelismi tra ebrei come oppressori e arabi come "nuovi ebrei". Il dramma è strutturato attorno a immagini e assume la forma di una visita guidata in un museo, con attori e manichini che offrono un tableau ("cartoline"). La guida pone domande agli spettatori nel tentativo di far loro rivalutare le narrazioni con cui sono cresciuti. Ad esempio, nella Rappresentazione 1, chiede agli spettatori se più civili russi furono uccisi rispetto agli ebrei nella seconda guerra mondiale, sfidando la tendenza israeliana ad assumere il manto di vittima principale della macchina da guerra nazista.

...la famosa fotografia del ragazzino con il cappello piatto e le braccia in alto mentre gli viene ordinato di uscire da un edificio nel ghetto di Varsavia circondato da nazisti armati

Come nella sua opera precedente, Zio Arthur, Horowitz presenta vari archetipi israeliani per rivelarli come icone culturali obsolete. Il messaggio centrale di Cherli Ka Cherli è come lo Stato, l'esercito e il sistema educativo abbiano sfruttato la memoria delle vittime dell'Olocausto per favorire cause politiche. Gad Kaynar scrive che l'immagine in Cherli Ka Cherli cruciale per la polemica di Horowitz è la Rappresentazione 8: la famosa fotografia del ragazzino con il cappello piatto e le braccia in alto mentre gli viene ordinato di uscire da un edificio nel ghetto di Varsavia circondato da nazisti armati.[18] La fotografia è riprodotta in ogni storia standard dell'Olocausto e in effetti in molti musei dell'Olocausto. L'immagine agisce su più livelli: prima il bambino incarna una vittima indifesa: i grandi occhi neri, le braccia in alto che espongono il suo fragile corpo in contrasto con i fucili minacciosi che lo circondano. Ha lo stesso effetto emotivamente manipolativo delle immagini di bambini con gli occhi spalancati e affamati in Africa sui manifesti di soccorso per carestia. Horowitz sostiene che il ricordo di questo ragazzo viene utilizzato per galvanizzare le persone in schemi collettivi di comportamento, e sottolinea questo accompagnando l'immagine con una canzone:

« Esci dalla foto!
Fai uno scherzo, corri! Estrai la tua pistola
Scivola fuori dalla foto e minaccia
Tutti così non ti troveranno mai più
Nella foto [19] »

Viene rivelato il motivo ulteriore per la perpetuazione del dolore. Secondo la canzone, i disarmati diventano inevitabilmente vittime. Pertanto, tutti gli israeliani devono armarsi ed essere disposti perdere la vita per la sopravvivenza del collettivo. Horowitz sottolinea che se questa tattica venisse portata alla sua logica conclusione, allora ci sarebbe ben poco da separare gli israeliani contemporanei dai loro ex oppressori nella ricerca del Lebensraum ebraico. Nel dramma, egli collega nazisti e soldati israeliani tramite esercitazioni militari accompagnate dalla ripetizione da entrambe le parti di "rechts, links, rechts, links ..."[20]

Il soggetto dell'opera teatrale è la natura del collettivo israeliano. Horowitz ritiene che per ogni individuo sia impossibile avere una propria identità quando l'identità è stata creata e perpetuata in modo così consapevole dall'establishment israeliano:

« L'argomento del dramma è che siamo costituiti da così tante responsabilità e pressioni sociali che l'individualità diventa confusa, l'identità diventa collettiva... Cherli Ka Cherli è una protesta contro gli stereotipi. Li ho usati, le "cartoline", gli archetipi; ma l'intero dramma è una protesta contro di loro. Volevo qualcosa che avessi deciso da me stesso, non qualcosa che mi era stato imposto dalla nazione ebraica, perseguitato dall'Olocausto e dalle guerre. Cosa sono io veramente? Voglio iniziare dall'inizio e scegliere.[21] »

Horowitz mette in guardia dall'adesione acritica all'ortodossia politica e sociale. Chiede un'autodefinizione individuale piuttosto che quella imposta da un collettivo che può unire un popolo solo attraverso l'appropriazione indebita della sofferenza storica.

Conclusione[modifica]

La notte del venti e Cherli Ka Cherli esaminano le questioni interconnesse dell'identità nazionale, la questione palestinese e l'Olocausto. Tutti e tre furono interdipendenti negli anni ’70. Evidenziando l'identità ebraica e le narrazioni storiche e politiche come costrutti soggettivi, Sobol e Horowitz miravano a provocare rivalutazioni critiche del patrimonio culturale e dell'identità. Ma negli anni ’70 l'establishment israeliano e molti dei suoi cittadini mancavano di fiducia in se stessi per accettare critiche. Nel 1979 la critica Glenda Abramson raccomandò che sia la società israeliana sia i suoi scrittori fossero più autocritici:

« Quando una società è matura, può affrontare critiche. La società israeliana non osa esporsi a critiche oneste dal palcoscenico... Gli scrittori israeliani devono necessariamente avere paura di scioccare il pubblico, poiché scioccare il pubblico implica affrontare veri problemi sociali.[22] »

Note[modifica]

  1. Ben Zvi, Theater in Israel, p. 11.
  2. Vadney, The World Since 1945, p. 436. Nel marzo 1970 si stimava che ci fossero oltre 10.000 consiglieri russi in Egitto con piloti sovietici che volavano nell'aviazione militare di Nasser.
  3. Wolffsohn, Eternal Guilt?, p. 30: Ciononostante, Schmidt permise che gli armamenti americani venissero dirottati nascostamente verso Israele passando per la Germania occidentale.
  4. Slater, Rabin of Israel, p. 202: La guerra costò a Israele circa $9-$10 miliardi lasciando i suoi cittadini con debiti pesanti, prezzi alle stelle e inflazione dilagante. La perdita e la sofferenza umana erano state devastanti: 2.526 israeliani erano stati uccisi con altri 7.500 feriti. Queste furono le peggiori perdite del paese dalla Guerra d'Indipendenza.
  5. Aharon Appelfeld, The Immortal Bartfuss, trad. (EN) Jeffrey M. Green, Weidenfeld and Nicolson, 1988, p. 107.
  6. Ben Zvi, Theater in Israel, p. 7. Il declino del problema specifico dell'Olocausto può essere fatto risalire alla natura crescentemente cosmopolita della società israeliana. Non c'era veramente una singola milieu in Israele. C'era un mosaico di differenti comunità. La percentuale di israeliani che era sopravvissuta all'Olocausto o sionisti provenienti originariamente dall'Europa era comparativamente ridotta. Per la fine degli anni ’70 la popolazione di Israele era composta da persone provenienti da 102 nazioni che parlavano cinquantuno lingue diverse. Una tale geografia sociale non dissuase Golda Meir ed i suoi associati dal porre l'Olocausto al centro dell'identità israeliana.
  7. Vennero fatti alcuni progressi ma il risultato finale fu che israele venne sempre più minacciato dai confini settentrionali. Tutto l'OLP a fine decennio faceva ricorso al terrorismo e lanciavano attacchi dal Libano. Tale situazione era iniziata dopo la morte improvvisa di Nasser nel settembre 1970 ed il vice-presidente egiziano, Anwar Sadat, era diventato Primo Ministro. Favorendo un accordo di pace, egli si rivolse direttamente agli americani e iniziò a levarsi di torno i funzionari sovietici dal suo governo. Entro il luglio 1972, virtualmente tutti i "consiglieri" sovietici erano stati rimosssi dall'Egitto. Tuttavia, preso nel mezzo tra il suo desiderio di pace ed il suo esercito, Sadat doveva produrre risultati alla svelta e quando gli israeliani si rifiutarono di entrare in trattative di pace, Sadat lanciò una guerra totale per forzare un accordo. La guerra iniziata insieme alla Siria nell'ottobre 1973, durante lo Yom Kippur, colse gli israeliani di sorpresa. Il 12 ottobre Meir fece appello agli americani, affermando che la sopravvivenza di Israele era a rischio e che era pronta a qualsiasi mossa per assicurare una vittoria israeliana, intendendo che Meir era disposta ad usare armi atomiche a meno che l'America non intervenisse. Alla fine si arrivò ad una tregua e un inviato speciale, Henry Kissinger, iniziò a gettare le fondamenta per gli Accordi di Camp David con Jimmy Carter. Non convinto delle capacità di Carter, Sadat andò a Gerusalemme nel 1977 e fece un discorso in persona al Knesset. Nel 1978 l'Accordo fu firmato e le due nazioni si scambiarono ambasciatori agli inizi del 1980. Ovviamente l'OLP vide tutto ciò come un tradimento ed aumentò la sua campagna terroristica. Nell'ottobre 1981 Sadat venne assassinato dagli arabi.
  8. Abraham B. Yehoshua, A Night in May, trad. (EN) Miriam Arad, Institute for the Translation of Hebrew Literature, 1974.
  9. Joshua Sobol, The Night of the Twentieth, trad. (EN) Chanah Hoffman, Institute for the Translation of Hebrew Literature, 1978. Introduzione di Gideon Ofrat, p. 8.
  10. Ibid.,p. 12.
  11. Abramson, Modern Israeli Drama, p. 210.
  12. The Times (15 giugno 1969).
  13. Fouzi-el-Amir, The Image of Arabs in Israel. Hebrew Commercial Children's Story Books, University of Exeter: tesi Ph.D., 1984, p. 80.
  14. Ibid.,p. 193.
  15. 1 Dan Urian, "The Image of The Arab in Israeli Theatre: From Adversary To Lover", in Small is Beautiful. Small Countries Theatre Conference, Claude Schumacher e Derek Fogg, curr., Glasgow: Theatre Studies Publications, Glasgow University, 1990, pp. 127-34.
  16. Sobol, The Night of the Twentieth, p. 50.
  17. Simon Levy, "Heroes of Their Consciousness: Self Referential Elements in Contemporary Israeli Drama", in Ben Zvi, Theatre in Israel, pp. 311-22; p. 311.
  18. Gad Kaynar, "Get Out of The Picture, Kid in The Cap: On The Interaction and Reality Convention", in Ben Zvi, Theatre in Israel, pp. 285-301.
  19. Danny Horowitz, Cherli Ka Cherli, trad. {{en}] Karen Alkalay e Hannah Gut, in cur. Herbert S. Joseph, Modern Israeli Drama — An Anthology, Fairleigh Dickinson University Press, 1983, pp. 2 16-39; p. 222.
  20. In tedesco: "destra, sinistra, destra, sinistra..."
  21. "Danny Horowitz. Interviewed by Karen Alkalay Gut", in Ben Zvi, Theater in Israel, pp. 349-54; pp. 350-3.
  22. Abramson, Modern Israeli Drama, p. 211.