Storia della filosofia/Aristotelismo in età imperiale
Come si è visto nel modulo dedicato all'evoluzione del Liceo dopo Aristotele, durante l'Ellenismo la scuola peripatetica conobbe una fase di declino. A partire dal I secolo a.C., la riscoperta delle opere acroamatiche dello Stagirita e la loro edizione da parte di Andronico da Rodi portarono a un rinato interesse per l'aristotelismo. In età imperiale i filosofi peripatetici si concentrarono sull'interpretazione delle opere aristoteliche, componendo commentari e parafrasi. Tra gli autori di questo periodo spicca però la figura di Alessandro di Afrodisia, il quale, oltre a importanti commentari, scrisse anche testi teoretici di indubbia originalità, destinati ad avere influenza anche sulla filosofia medievale e rinascimentale.
La crisi dell'aristotelismo durante l'Ellenismo
[modifica | modifica sorgente]Tra il III e la prima metà del I secolo a.C. il Liceo aristotelico continuò a sopravvivere e ad attirare allievi. Tuttavia in questi secoli attraversò un lungo peridio di decadenza. A questo proposito, Giovanni Reale scrive:
Di tutti questi filosofi non abbiamo però che scarsi frammenti ed è possibile ricostruire il campo dei loro studi a partire dalle testimonianze di altri autori - tra cui Cicerone - che spesso ne danno un giudizio negativo.
Attorno al 270 a.C. Licone (299 a.C. circa – 225 a.C. circa) successe a Stratone come scolarca del Liceo. Sappiamo che si occupò di etica: influenzato dallo stoicismo, si concentrò sulla necessità di limitare le affezioni dell'animo dovute a eventi esterni, come per esempio i mali che vengono dal corpo. Dalle testimonianze antiche risulta che però, più che la filosofia, il suo principale campo di interesse fu la pedagogia.[2] Anche il suo allievo e successore come capo della scuola, Aristone di Ceo (III secolo a.C.), si soffermò sull'etica, nel solco segnato dai Caratteri di Teofrasto.
Critolato di Faselide (prima metà del II secolo a.C.), che fu scolarca dopo Aristone, difese l'idea aristotelica dell'eternità del mondo e del genere umano, ma accolse la materialità dell'anima sostenuta dagli stoici e identificò la psyché con l'etere. Sostenne inoltre che il piacere è un male e che i piaceri dell'anima e dello spirito sono nettamente superiori a quelli esteriori e del corpo.[3] La materialità dell'anima fu ripresa anche dal suo allievo Diodoro di Tiro (II secolo a.C.), che gli succedette come scolarca nel 118 a.C. In etica, tentò di coniugare aristotelismo, stoicismo ed epicureismo, sostenendo che la virtù fosse il sommo bene, che fosse posta su un piano nettamente superiore agli altri beni, e che il piacere consiste nell'assenza di dolore.[4]
Diodoro è l'ultimo scolarca noto di questo periodo, anche se alcune fonti indicano come suo successore Erinneo, di cui comunque non si sa quasi nulla. Nell'86 a.C. Silla conquistò Atene e danneggiò gravemente il Liceo; dopo questa data non si hanno più informazioni sulla scuola aristotelica, fino agli anni in cui Andronico non divenne nuovo scolarca.
La riscoperta delle opere acroamatiche di Aristotele
[modifica | modifica sorgente]Una vera e propria svolta per il Peripato, e per tutta la storia della filosofia occidentale, avvenne con la riscoperta delle opere esoteriche o acroamatiche di Aristotele. Queste ebbero una vicenda particolarmente travagliata, che è possibile ricostruire grazie ai racconti tramandati dalle fonti antiche. Secondo la testimonianza tramandataci da Diogene Laerzio,[5] Teofrasto lasciò scritto nel suo testamento che, dopo la sua morte, gli spazi del Liceo sarebbero rimasti alla comunità degli allievi, mentre la biblioteca dello Stagirita sarebbe diventata di proprietà di Neleo di Scepsi (III secolo a.C.) e dei suoi discendenti. Era una raccolta di libri particolarmente importante, che comprendeva non solo le opere acroamatiche del maestro, ma anche i suoi libri personali e molte opere dello stesso Teofrasto. Il motivo della decisione non ci è noto: forse Teofrasto intendeva in questo modo indicare Neleo come suo successore. La carica tuttavia passò a Stratone, e fu probabilmente il dissidio tra Stratone e Neleo a causare, per il Peripato, la perdita della biblioteca del fondatore, che da Atene fu trasferita a Scepsi, in Asia Minore.[6]
In seguito, abbiamo notizia che i discendenti di Neleo, poco interessati alla filosofia, nascosero i testi in una cantina, così da evitare che venissero requisiti dai re Attalidi e portati nella biblioteca di Pergamo. Tra il II e il I secolo a.C., Apellicone di Teo riuscì a ricomprare i volumi a caro prezzo e a riportarli ad Atene. Fu lo stesso Appellicone a curare una prima, approssimativa pubblicazione delle opere di Aristotele. Dopo la conquista di Atene da parte di Silla, la biblioteca di Aristotele fu trasferita a Roma, dove le opere del filosofo furono trascritte dal grammatico Tirannione. Da quest'ultimo, i testi passarono poi nelle mani di Andronico di Rodi (I secolo a.C.).[7]
Ad Andronico si deve l'edizione delle opere di Aristotele e Teofrasto. Per quanto riguarda il corpus aristotelico, sistemò i testi in modo da renderli intelligibili e li riordinò in base al contenuto nella suddivisione con cui sono conosciuti ancora oggi.[8] Andronico inoltre pose le basi per lo studio degli esoterici di Aristotele, basato sulla redazione di parafrasi e di commenti, e fu forse l'autore della ricostituzione del Liceo, di cui sembra essere stato anche scolarca. Possiamo conoscere i lineamenti del suo pensiero grazie ad alcune fonti antiche: sappiamo che diede una propria interpretazione delle Categorie aristoteliche e che si occupò di psicologia. Considerò l'anima come un rapporto numerico che unisce gli elementi del corpo, e giunse ad affermare che essa non è la causa ma la conseguenza di questa unione di elementi.[9]
Bisogna comunque ricordare che, ancora nel I secolo a.C., ci furono dei peripatetici che non conobbero le opere di Aristotele e continuarono a discutere sui temi già affrontati dai loro predecessori nei secoli III e II. Tra questi si possono citare, ad esempio, Stasea di Napoli, Aristone di Alessandria e Cratippo di Pergamo. Chi invece poté leggere le opere dello Stagirita, lo fece grazie all'edizione di Andronico. Per lo più, questi autori si dedicarono all'interpretazione di Aristotele, cercando di coniugarlo con alcuni aspetti dello stoicismo.[10]
Tra gli altri peripatetici di questa fase bisogna ricordare Boeto di Sidone, allievo e successore di Andronico. A lui si deve un'interpretazione naturalistica dei Aristotele, che poneva la fisica come base per lo studio della filosofia. Scrisse inoltre un Commentario alle Categorie, in cui interpretò la sostanza come materia e composto, e tentò di ricavare da Aristotele la dottrina dell'oikeiosis, base dell'etica stoica. Senarco di Selecia, invece, arrivò alla rottura con Aristotele, negando l'esistenza dell'etere e del soprasensibile, compreso il Motore Immobile.[11]
Filosofi peripatetici tra I e II secolo d.C.
[modifica | modifica sorgente]Il lavoro di interpretazione e di parafrasi delle opere esoteriche di Aristotele proseguì fino all'inizio del III secolo d.C.: tra gli autori di commentari di questo periodo, le cui opere sono in molti casi andate perdute, si possono ricordare Alessandro di Ege, Aspasio, Adrasto di Afrodisia, Sosigene, Ermino, Aristocle di Messene e Aristotele di Mitilene. Persero invece di importanza le opere essoteriche, quelle cioè scritte dallo Stagirita esplicitamente per essere pubblicate, la maggior parte delle quali sono cadute nell'oblio.[12] A partire dal II secolo d.C., inoltre, l'aristotelismo subì l'influenza del medioplatonismo. Aristocle di Messene, per esempio, ebbe parole di elogio per Platone,[13] mentre Aspasio, nel suo commentario all'Etica Nicomachea, recupera alcuni elementi medioplatonici, come la dualità di anima e corpo e l'idea che il fine supremo dell'uomo sia la simiglianza con dio. Lo stesso dio viene indicato come «primo dio», una terminologia che deriva dalla concezione ipostatico-gerarchica tipica del medioplatonismo.[14]
D'altra parte, anche in ambito platonico si assisteva a tentativi di incomporare tesi aristoteliche nella filosofia platonica (ne è un esempio il Didascalico di Alcinoo, del II secolo). La questione dell'armonizzazione tra Aristotele e Platone aveva anche degli oppositori, come Nicostrato e Attico, i quali però non sembra che avessero letto direttamente le opere dello Stagirita.[15]
Alessandro di Afrodisia
[modifica | modifica sorgente]Il maggiore filosofo peripatetico di età imperiale è però Alessandro di Afrodisia (II-III secolo d.C.), che è anche l'ultimo commentatore di Aristotele prima dell'assimilazione dell'aristotelismo nel neoplatonismo.[16] Poco o nulla sappiamo della sua vita, ma sembra che abbia tenuto una cattedra di filosofia ad Atene tra il 198 e il 211. Scrisse commentari sugli Analitici primi (libro I), sui Topici, sulla Metafisica (libri I-V), sui Meteorologica e sul De sensu, e di lui ci sono giunte anche alcune opere teoretiche, tra cui il De anima, le Quaestiones, il De fato e il De mixtione. Le opere di Alessandro furono in gran parte conservate grazie all'interesse suscitato: fu attraverso i suoi scritti che i neoplatonici entrarono in contratto con l'aristotelismo e lo assimilarono. Mentre gli altri commentatori avevano mostrato una particolare libertà interpretativa, Alessandro ricorre a una minuziosa analisi dei testi, allo scopo di dimostrare che la filosofia aristotelica possiede una propria coerenza interna. In questo modo offrì ai filosofi neoplatonici a lui successivi gli strumenti per poter studiare Aristotele e incorporarli nel loro sistema filosofico.[17]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 7.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 8.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pp. 10-11.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 12.
- ↑ Diogene Laezio, Vite e dottrine dei filosofi illustri V, 52.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 14.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pp. 15-16.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 20.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 26.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 29.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pp. 27-28.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pp. 31-32.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, p. 34.
- ↑ Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4: Le scuole dell'età imperiale, Milano, Vita e Pensiero, 1987, pp. 36-37.
- ↑ Riccardo Chiaradonna, L'aristotelismo da Andronico di Rodi ad Alessandro di Afrodisia, in Riccardo Chiaradonna (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 4, Roma, Carocci, 2016, pp. 60-61.
- ↑ Riccardo Chiaradonna, L'aristotelismo da Andronico di Rodi ad Alessandro di Afrodisia, in Riccardo Chiaradonna (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 4, Roma, Carocci, 2016, p. 61.
- ↑ Riccardo Chiaradonna, L'aristotelismo da Andronico di Rodi ad Alessandro di Afrodisia, in Riccardo Chiaradonna (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 4, Roma, Carocci, 2016, p. 62.