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Storia della filosofia/Corpus Hermeticum e Oracoli caldaici

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Storia della filosofia

La letteratura misterico-religiosa tra II e III secolo d.C. fu particolarmente ricca di opere, influenzate da medioplatonismo e neopitagorismo. Tra questi scritti, i più famosi e importanti sono i trattati del Corpus hermeticum e i cosiddetti Oracoli caldaici, che influenzeranno anche la filosofia dei secoli successivi.

Il Corpus hermeticum

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Ermete Trismegisto raffigurato sul pavimento della cattedrale di Siena, 1480

Sotto il nome di Ermete Trismegisto (Ἑρμῆς ὁ Τρισμέγιστος) ci sono giunti diversi scritti di argomento misterico, la maggior parte dei quali furono composti tra il II e il III secolo d.C. (ma i primi esempi risalgono forse al III secolo a.C.).[1] Questa letteratura così variegata si rifaceva idealmente alla sapienza egizia e in particolare al culto di Toth, il dio della sapienza e della magia, considerato l'inventore della scrittura e di varie scienze (come la matematica e la geometria). Durante l'ellenismo, la figura di Toth si diffuse anche presso i Greci, dove fu assimilata al dio Ermes, messaggero degli dèi, e per sottolinearne la grandezza gli fu aggiunto il titolo di Trismegisto, cioè "tre volte grande". Tuttavia, più che con la sapienza egizia, questi scritti mostrano evidenti parentele con la filosofia neopitagorica e medioplatonica di età imperiale.

Firmandosi con il nome di Ermete Trismegisto, gli autori presentavano i loro scritti come rivelazioni del dio. I primi padri della Chiesa, in particolare Tertulliano e Lattanzio, ammirarono i contenuti morali e teologici di queste opere e ipotizzarono che Ermete Trismegisto fosse un antico profeta pagano, contemporaneo di Mosè e anticipatore di Cristo. La fortuna di Ermete proseguì durante il Medioevo e il Rinascimento. Solo in età moderna, nel XVIII secolo, si è appurato che si tratta di opere riconducibili ad autori diversi, non ascrivibili a una vera e propria setta religiosa.[2] L'interesse per questo corpus di scritti è poi rinato durante il Novecento, in quanto espressione della filosofia e della religiosità di età imperiale.

I testi della tradizione ermetica

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La tradizione ermetica ha prodotto una letteratura molto ricca. Gli studiosi dividono queste opere in due gruppi:[3]

  1. un primo gruppo, molto antico (risale forse al III secolo a.C.), raccoglie scritti riguardanti le scienze occulte;
  2. un secondo gruppo, invece, affronta questioni filosofiche, teologiche e mistico-religiose. Di questo gruppo ci sono giunti:
    • il Corpus hermeticum, che raccoglie diciotto trattati (logoi, "discorsi");
    • l'Asclepiius, una traduzione latina di un testo perduto in greco antico (forse del IV secolo);
    • alcuni libri che vengono ampiamente citati nelle opere del letterato bizantino Giovanni Strobeo (vissuto nel IV secolo);
    • alcune testimonianze negli scritti di alcuni padri della Chiesa (come Origene, Tertulliano, Lattanzio, Clemente Alessandrino, Agostino).

La salvezza come conoscenza di Dio

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L'ermetismo si presenta come una rivelazione donata agli uomini dal dio Ermete, e proprio in quanto dottrina esoterica non ricorre a dimostrazioni razionali per spiegare i suoi messaggi, ma piuttosto li comunica solo a chi ha ricevuto un'iniziazione misterica. Tra i testi che affrontano questioni filosofiche e teologiche, il più conosciuto è il Corpus hermeticum, che comprende diciotto trattati composti da autori diversi in periodi differenti. Il più importante è il primo, il Pimander (Ποιμάνδρης), che è anche il testo, in tutta la raccolta, ad avere la struttura più organica.

I trattati del Corpus hermeticum accentuano il dualismo Dio-mondo, già presente nel medioplatonismo e nel neopitagorismo. Dio è posto al di sopra di tutto ed è completamente diverso da tutto ciò che è, ed è perciò ineffabile. Allo stesso tempo, però, Dio è il Bene ed è la causa di tutto. In generale viene sostenuta la tesi secondo cui Dio è l'Intelletto supremo - sebbene alcuni trattati sembrino ipotizzare che Dio preceda anche l'Intelletto supremo. Il Pimander, inoltre, elenca una serie di intermediari tra Dio e il mondo. La gerarchia è la seguente:[4]

  1. al vertice c'è il sommo Dio, intelletto supremo e somma luce, il quale, essendo allo stesso tempo di natura maschile e femminile, è in grado di generare da sé;
  2. da Dio discende il Logos, suo primogenito;
  3. sempre da Dio discende, mediante il Logos, l'intelletto demiurgico, che è inferiore al Logos pur condividendone la stessa sostanza; il Logos e l'intelletto demiurgico, insieme, crearono il cosmo, composto da sette sfere celesti, nell'ultima delle quali, quella sublunare, si trovano gli elementi naturali e gli animali privi di ragione;
  4. sempre da Dio deriva l'uomo essenziale (incorporeo), suo terzogenito, che è simile a Dio in quanto «immagine di Dio»;
  5. dall'uomo essenziale disceso nella natura deriva infine l'uomo materiale.

L'uomo terreno, nato dalla caduta dell'uomo essenziale, ha una doppia natura: mortale per via del corpo e immortale per via dell'intelletto che gli è stato dato. Bisogna inoltre precisare che l'Intelletto è distinto dall'anima, ed è a essa superiore; l'anima è infatti vita: anche gli animali hanno un'anima, ma non hanno intelletto. L'uomo ha invece in sé una parte divina, e si può quindi dire che Dio è nell'uomo. Per questo motivo domina sulla terra, ma è comunque soggetto allo stesso destino di morte che spetta agli animali.

Il mondo materiale in cui l'uomo vive è ricettacolo di ogni male. L'uomo tuttavia può salvarsi, liberandosi dalla materia attraverso la conoscenza di Dio (γνῶσις), la quale non si ottiene attraverso l'indagine razionale, ma piuttosto mediante la preghiera, che conduce all'illuminazione. Dio infatti si fa conoscere solo nel silenzio, in una unione estatica, quando i sensi e la ragione sono venuti meno. Perché sia possibile è necessario che l'uomo riconosca che la sua vera natura è nell'intelletto; riconoscendo ciò, però, riconosce quanto di divino è in lui e quindi riconosce Dio stesso.

I trattati non sono concordi sul fatto che l'intelletto si trovi in tutti gli uomini o solo in alcuni. Sembra inoltre che l'intelletto possa abbandonare un uomo che conduce una vita malvagia; quando invece è presente, lo conduce nella scelta del bene. Per raggiungere la salvezza, infatti, l'uomo non deve aspettare la morte. Può anzi purificarsi ottenendo il distacco dal corpo e congiungendosi, in estasi, all'intelletto divino. Dopo la morte, invece, il corpo si dissolve e torna a mescolarsi con gli elementi del cosmo. L'anima risale le sette sfere e perde via via i suoi caratteri irrazionali. Infine l'intelletto, raggiunta la sfera più alta, si ricongiunge con Dio.[5][6]

Gli Oracoli caldaici

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Affini per tematiche al Corpus hermeticum sono i cosiddetti Oracoli caldaici (Χαλδαικὰ λόγια), un'opera in esametri che ci è giunta in frammenti, e che la tradizione attribuisce a Giuliano il Teurgo oppure a suo padre, Giuliano il Caldeo, vissuti durante il regno di Marco Aurelio (II secolo). Anche qui sono presenti gli influssi del medioplatonismo e del neopitagorismo, uniti a una religiosità misterica di ispirazione orientale. Ma mentre il Corpus hermeticum si rifaceva ai culti egizi, gli Oracoli si ricollegano alla sapienza babilonese e all'eliolatria caldaica (cioè il culto del sole e del fuoco).

Giuliano dichiara che gli Oracoli sono le rivelazioni di un dio, anche se non vengono forniti dettagli sulla loro origine: si ipotizza siano state pronunciate da un medium in trance e messe in versi dall'autore. È probabile che le rivelazioni fossero fatte derivare della dea Ecate, che nel tardo antico era considerata la dea della magia. Inoltre, è possibile che si debba proprio a Giuliano il conio della parola "teurgo", che utilizzava per definire se stesso e differenziarsi dai theologoi: mentre questi ultimi parlano degli dèi, il teurgo agisce sugli dèi e usa la magia per fini religiosi, cioè per liberare l'anima dalla materia e raggiungere Dio.[7] Vediamo come.

Gli Oracoli caldaici descrivono una gerarchia che pone al vertice il Padre, da intendersi forse come il Primo Intelletto, mentre le idee platoniche sono il suo pensiero. Il mondo è stato creato da un secondo intelletto, che svolge due funzioni: contenere le idee (gli intellegibili) e introdurre nel mondo la sensazione. Come terza viene l'anima, forse identificabile con Ecate.

Secondo una credenza orientale ripresa in seguito anche dal neoplatonismo, per gli Oracoli caldaici le anime degli uomini discendono attraverso i cieli e arrivano sulla terra, rivestendosi di un sottile strato di materia prima di entrare nei corpi.

Più oscuri, a causa della frammentarietà dell'opera, sono invece le parti in cui l'autore introduce il concetto di «triade». Il Padre viene definito sia come Bene sia come Monade, mentre l'intelletto secondo è una Diade (perché svolge due funzioni). Poco oltre, però, si dice che Dio è una «monade triadica», cioè è uno e trino, perché tre sono le sue facoltà: è Padre, è Potenza ed è Intelletto. In seguito lo schema triadico sembra però essere applicato anche al secondo intelletto e alla sfera delle idee, e infine viene esteso a tutta la realtà.

È invece chiaro che il Dio triadico non si può conoscere con i metodi della filosofia, la quale si limita a cercarne la definizione. Dio è conoscibile mediante un'unione mistica, raggiungibile solo dopo avere svuotato l'anima e l'intelletto dai pensieri legati al mondo sensibile.

La teurgia avrà molta influenza sul neoplatonismo: basti pensare che Porfirio, allievo di Plotino, si interessò di magia, mentre Giamblico e Proclo scrissero commentari agli Oracoli caldaici.[8][9]

  1. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 429.
  2. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 429-430.
  3. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 430.
  4. Corpus hermeticum I, 7-15.
  5. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 435-443.
  6. Umberto Eco, Il Corpus Hermeticum, in Umberto Eco e Riccardo Fedriga (a cura di), La filosofia e le sue storie: L'Antichità e il Medioevo, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 329-331.
  7. Eric R. Dodds, La teurgia, in I Greci e l'irrazionale, trad. it., Milano, Bur, 2010, pp. 345-348.
  8. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 4, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 444-452.
  9. John F. Finamore e Sarah Iles Johnston, The Chaldean Oracles, in Lloyd Gerson (a cura di), The Cambridge History of Philosophy in Late Antiquity, vol. 1, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, pp. 161-173.