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Storia della filosofia/Pluralisti

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Storia della filosofia

Con il termine "pluralisti", i manuali di storia della filosofia indicano quei filosofi che, in polemica con Parmenide, tentarono di dimostrare la molteplicità degli enti in modo da «salvare i fenomeni» (σῴζειν τὰ φαινόμενα). In questo gruppo vengono inseriti Empedocle di Agrigento, Anassagora di Clazomene e gli atomisti antichi, cioè Leucippo e il suo allievo Democrito.

Frammento del Perì physeos di Empedocle

Vita e opere

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Poche e incerte sono le notizie riguardanti la sua vita, a cominciare dall'anno di nascita, che viene posto al 484-480 a.C. oppure al 496-492 a.C. Le fonti riportano che nacque ad Agrigento da una potente famiglia siceliota e gli attribuiscono importanti maestri: Parmenide, Pitagora, Senofane o addirittura Anassagora. Fu invece suo allievo il sofista Gorgia. Empedocle viene descritto come un sapiente dotato di grandi competenze pratiche: fu poeta, retore, medico, e forse si dedicò anche alla magia. Pare inoltre che svolse un ruolo politico di primo piano nella sua città natale, distinguendosi per il suo orientamento democratico e moderato. Allo stesso tempo, però, le testimonianze antiche gli attribuiscono un atteggiamento altezzoso e sprezzate: vantava di avere origini divine e che amava sfoggiare ricche vesti. Diogene Laezio narra in proposito:

« vestiva di porpora e portava un serto aureo, come ricorda Favorino nelle Memorie, e calzari di bronzo e una corona apollinea. Aveva lunga la chioma e servi che l'accompagnavano, era sempre severo e di aspetto impassibile. Così passeggiava e a chi lo incontrava appariva insignito di una dignità quasi regale.[1] »

Incerta è la data della sua morte, forse collocabile attorno al 424-420 a.C.,[2] così come misteriose sono le circostanze della sua scomparsa. Secondo alcune fonti dovette lasciare Agrigento dopo che avevano preso il potere i suoi nemici e morì esule nel Peloponneso. Esistono però versioni che sconfininano nella leggenda e che nella storia della letteratura occidentale godettero di particolare fortuna. Secondo Eraclide Pontico, citato da Diogene Laerzio, Empedocle, nel cuore della notte dopo un lauto banchetto, fu assurto in cielo con un grande bagliore. Ippoboto, invece, narra che il filosofo si sarebbe gettato in un cratere incandescente dell'Etna per dimostrare la sua natura divina, e che in un secondo momento il vulcano rigettò uno dei suoi calzari di bronzo.[3]

A Empedocle sono attribuiti due poemi, uno intitolato Sulla natura (Περί Φύσεως) e l'altro Purificazioni (Καθαρμοί). La scelta di scrivere poemi è forse da collegare alla volontà di imitare Parmenide e la sua opera.[4] Sembra inoltre che abbia scritto anche altri poemi e un trattato in prosa Sulla medicina (tutti perduti), oltre ad alcune tragedie (ma quest'ultima notizia era considerata poco attendibile già nell'antichità).[5] Hermann Diels, nella sua raccolta sui presocratici, ha riunito le testimonianze di carattere scientifico e naturalista sotto il titolo Sulla natura, mentre alle Purificazioni sono stati ricondotti i frammenti più legati a temi religiosi.[6] Decisiva per ampliare la nostra conoscenza degli scritti di Empedocle è stato il ritrovamento, nel 1904 a Panopoli (Alto Egitto), di un papiro - oggi conservato a Strasburgo - contenente circa settantaquattro esametri, che negli anni novanta sono stati identificati dal papirologo belga Alain Martin come i primi due libri del poema Sulla natura.[7]

Lo studio del pensiero di Empedocle è comunque complesso e carico di difficoltà filologiche. Alcuni interpreti moderni, per esempio, hanno ipotizzato che il filosofo abbia in realtà composto un unico poema, e che Sulla natura e Purificazioni siano due titoli alternativi per la medesima opera. Altri commentatori hanno messo in dubbio questa ricostruzione e continuano ad attribuire i frammenti di argomento religioso a un'opera diversa rispetto a quelli di carattere naturalistico. Entrambe le parti, a ogni modo, concordano sulla necessità di preservare l'unità della filosofia empedoclea: i temi religiosi, filosofici e naturalistici sono tra di loro strettamente collegati.[8]

Le quattro radici

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Secondo Empedocle la realtà si basa su quattro radici (ριζώματα) o elementi (στοιχεῖα): fuoco, aria, terra e acqua. A questi si aggiungono due princìpi di ordine superiore, Amore (Φιλία) e Contesa (Νεῖκος), che sono contrapposti l'uno all'altro. Tutta la realtà nasce dalla combinazione delle quattro radici, che si uniscono sotto l'azione di Amore (o Amicizia) e si separano per effetto di Contesa (o Odio). Gli uomini percepiscono la realtà attraverso gli organi di senso, che sono anch'essi composti da radici e si riconoscono secondo simiglianza: la terra all'interno degli organi di senso riconosce la terra degli altri oggetti, il fuoco riconosce il fuoco e così via. Inoltre, riprendendo la lezione di Parmenide, anche Empedocle afferma che niente viene generato dal nulla:

« Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose
mortali, né fine alcuna di morte funesta,
ma solo c'è mescolanza e separazione di cose mescolate,
ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini.[9] »

Nella fisica di Empedocle non è previsto né il vuoto né l'eccesso. Le radici, unendosi e disgregandosi, danno forma alla realtà e si uniscono tra loro secondo proporzione. Empedocle spiega i rapporti tra le radici ricorrendo a un'analogia con un pittore: come nella pittura è possibile dipingere oggetti complessi mescolando tra loro pochi colori di partenza, così il cosmo è il risultato della composizione (σύγκρισις) e della mescolanza (κράσις) di quattro elementi principali.[10]

Il contrasto tra Amore e Contesa genera inoltre un ciclo cosmico. In una prima fase, detta Sfero (Σφαῖρος), l'Amore domina incontrastato: le radici sono tra di loro saldamente unite in armonia, al punto da formare una sfera cosmica (da cui, appunto, il nome). Tuttavia, a questa sopraggiunge una seconda fase, in cui la Contesa scardina l'Amore, rompendo l'unità dello Sfero e creando agglomerati di elementi. Le radici dello stesso elemento infatti si raggruppano tra di loro, dando origine a masse omogenei che non hanno nulla a che fare con elementi a loro diversi. La realtà in cui vivono gli esseri umani non corrisponde, però, a nessuna di queste due fasi: l'esperienza fenomenica mostra infatti che le cose sono composte da radici diverse, che si aggregano e disgregano in proporzioni diverse secondo l'azione di Amore e Contesa. I tempi e le modalità con cui si verificano questi cicli sono però oscuri, così come non è chiaro quale sia l'equilibrio tra Amore e Contesa nello stato attuale.[11]

Decisamente complesso è anche ricostruire come avviene la generazione degli esseri viventi. A questo proposito la testimonianza di Aezio individua, nella dottrina di Empedocle, quattro fasi:

« Empedocle sostiene che nel primo ciclo di generazione gli animali e le piante non nacquero completi di tutte le loro parti, ma monchi, per il fatto che non tutte insieme nascevano le parti; nel secondo nacquero simili ad immagini fantastiche; nel terzo nacquero d'un sol pezzo; nel quarto poi essi non nacquero più da elementi assimilati, come dalla terra e dall'acqua, ma da generazione reciproca, a causa per gli uni dell'abbondanza di nutrimento e per gli altri della bellezza femminile, che produsse in loro l'eccitamento dell'atto della fecondazione.[12] »

È probabile che le prime due fasi siano dovuta a una maggiore forza di Amore. Questo all'inizio unisce le radici per dare origine alle membra, che però sono separate, e in un secondo momento combina in modo disordinato queste membra per dare origine a degli animali. Alcuni di questi sono esseri mostruosi, incapaci di sopravvivere; gli esseri viventi che conosciamo sono invece creature ben formate, che sono state in grado svolgere funzioni vitali. Più complessa è però l'interpretazione delle due fasi successive. Nella terza fase si parla di individui che nascono tutti interi dalla terra,[13] separandosi dal calore della terra stessa, forse a opera di Contesa. Nella quarta si introduce invece la riproduzione sessuata, che però viene descritta in termini negativi, poiché gli uomini e le donne vivrebbero in una condizione di dolore. In questo caso non è quindi possibile dire con certezza se ciò avvenga per effetto di Amore o Contesa.[14]

Alla fisica è strettamente collegata la teoria della conoscenza di Empedocle. Gli uomini percepiscono la realtà attraverso gli organi di senso, che sono anch'essi composti da radici e si riconoscono secondo simiglianza: la terra all'interno degli organi di senso riconosce la terra degli altri oggetti, il fuoco riconosce il fuoco e così via. Secondo il filosofo, pensare e sentire sono strettamente legati. Gli uomini provano due sentimenti fondamentali: il piacere, che viene generato dall'incontro del simile con il simile, e il dolore, che scaturisce dai contrari, cioè da cose che differiscono per la loro composizione. Gli oggetti emanano degli effluvi (απορροαί), i quali colpiscono gli organi di senso e penetrano attraverso i pori sparsi sul nostro corpo. Il contatto tra effluvi e pori determina particolari sensazioni: alcuni effluvi possono penetrare solo attraverso i pori dell'orecchio e genereranno una sensazione sonora, altri che penetrano attraverso l'occhio determinano la vista, e così via. Tra sensazione e pensiero c'è una continuità, nel senso che il pensiero di accresce e si sviluppa grazie alle sensazioni, dalle quali viene influenzato. Tutti gli esseri viventi sono dotati di piacere, dolore e pensiero, ma ciò non significa che siano tutti uguali: come ogni individuo e diverso da un altro per la mescolanza degli elementi, così il suo pensiero sarà diverso per il suo ethos (ἦθος), cioè per il suo carattere.[15]

Mentre il poema Sulla natura si rivolgeva a una singola persona di nome Pausania (un allievo del filosofo), nel prologo delle Purificazioni Empedocle parla ai cittadini di Agrigento, presentando però se stesso come un dio che annuncia un importante messaggio agli uomini.[16] È questa una scelta particolarmente significativa: se Parmenide nel suo poema diceva di avere ricevuto un insegnamento da una dea, Empedocle afferma invece di essere egli stesso una divinità e vanta quindi un accesso diretto alla verità. D'altra parte, il cosmo di Empedocle viene descritto come una struttura gerarchica che ha al suo vertice delle divinità, e le stesse radici vengono talvolta associate ai nomi di dèi (Zeus il fuoco, Era l'aria, Edoneo la terra, Nesti l'acqua).[17] In alcuni frammenti, Empedocle parla di se stesso come di un dio oppure di un daimon (δαίμων), e racconta di avere compiuto, in passato, un'azione malvagia sotto l'influsso di Contesa. Per questo motivo, dice di essere stato condannato a reincarnarsi più volte in diversi esseri mortali, per un periodo pari a 30 000 stagioni, dopo il quale potrà tornare tra i beati.

Non è chiaro, dai frammenti superstiti, quale sia la natura del daimon, e non è nemmeno possibile dire con certezza se tutti gli uomini siano daimones o no. Empedocle racconta di avere subito una punizione per colpa di un fatto di sangue, istigato da Contesa. Il daimon vaga tra gli elementi che costituiscono il cosmo, e i due principi di Amore e Contesa potrebbero avere anche una dimensione etica. Amore in particolare potrebbe essere associato a valori come l'ordine e l'armonia, mentre Contesa all'odio e al caos. Il periodo di 30 000 stagioni potrebbe inoltre rimandare all'esistenza di un ciclo cosmico fisso, tale per cui l'infrazione iniziale del daimon potrebbe essere quindi determinata.

Ma gli interrogativi non finiscono qui: qual è stato il fatto di sangue all'origine della punizione? E chi è stata la vittima, forse un altro daimon? E poi, la situazione di beatitudine a cui il daimon aspira a tornare coincide o no con lo Sfero? Empedocle definisce i daimones come «dotati di lunga vita», e indica se stesso non come individuo, ma come un daimon che ha attraversato il tempo e che quindi è stato, nell'ordine, un ragazzo, una ragazza, un cespuglio, un uccello e un pesce. La condanna alla reincarnazione è stata posta alla base della proibizione di uccidere e di mangiare carne, una proibizione che si ritrova anche nella dottrina orfica e pitagorica: ogni volta che ci si ciba di carne si cade in un atto di cannibalismo, poiché il daimon può mutare forma e quindi mangiando o sacrificando un animale si rischia di nutrirsi di quello che un tempo era stato un essere umano. Ma alcuni frammenti sembrano andare oltre, per esempio quando il poeta sconsiglia la riproduzione eterosessuale: per gli stessi motivi già ricordati, ogni atto sessuale potrebbe rivelarsi incestuoso.

Empedocle, inoltre, definisce più volte se stesso come un daimon che si rivolge agli uomini, ma non è escluso che anche altri uomini siano in realtà daimones. Se così non fosse, perché estendere a tutti il divieto di mangiare carne e di riprodursi? Tutti gli uomini sono quindi daimones oppure solo alcuni e altri no? E in questo secondo caso, gli uomini comuni devono essere distinti dagli uomini che sono incarnazioni di daimones? Da queste domande è possibile capire come mai la ricostruzione del pensiero empedocleo sia complessa e si presti a contrasti tra i commentatori.[18]

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Atomismo antico: Leucippo e Democrito

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  1. Diogene Laezio, Vite e dottrine dei filosofi illustri VIII, 73 (Diels-Kranz 31 fr. A1)
  2. Filippo Forcignanò, Empedocle di Agrigento e Filistione di Locri, in Mauro Bonazzi (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 1, Roma, Carocci, 2016, p. 140.
  3. Diogene Laezio, Vite e dottrine dei filosofi illustri VIII, 67-72.
  4. Diogene Laezio, Vite e dottrine dei filosofi illustri VIII, 55.
  5. Diogene Laezio, Vite e dottrine dei filosofi illustri VIII, 57.
  6. Filippo Forcignanò, Empedocle di Agrigento e Filistione di Locri, in Mauro Bonazzi (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 1, Roma, Carocci, 2016, p. 141.
  7. Filippo Forcignanò, Empedocle di Agrigento e Filistione di Locri, in Mauro Bonazzi (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 1, Roma, Carocci, 2016, p. 139.
  8. James Warren, I presocratici, traduzione di Guido Bonino, Torino, Einaudi, 2009, pp. 188-190.
  9. Diels-Kranz 31 fr. B8.
  10. Filippo Forcignanò, Empedocle di Agrigento e Filistione di Locri, in Mauro Bonazzi (a cura di), Storia della filosofia antica, direzione scientifica di Mario Vegetti e Franco Trabattoni, vol. 1, Roma, Carocci, 2016, pp. 141-144.
  11. James Warren, I presocratici, traduzione di Guido Bonino, Torino, Einaudi, 2009, pp. 192-196.
  12. Diels-Kranz 31 fr. A72.
  13. Diels-Kranz 31 fr. B62.
  14. James Warren, I presocratici, traduzione di Guido Bonino, Torino, Einaudi, 2009, pp. 199-202.
  15. Giovanni Casertano, I Presocratici, Roma, Carocci, 2009, pp. 120-122.
  16. Diels-Kranz 31 fr. B112.
  17. Diels-Kranz 31 fr. B6.
  18. James Warren, I presocratici, traduzione di Guido Bonino, Torino, Einaudi, 2009, pp. 203-211.