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Storia della filosofia/Eraclito

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Storia della filosofia

Il pensiero di Eraclito risulta particolarmente complesso ed è stato interpretato nei modi più diversi a causa del suo stile oracolare e della frammentarietà nella quale ci è giunta la sua opera. Eraclito aveva comunque fama di cripticità già nella sua epoca. Ad esempio Aristotele, che si suppone ne abbia letto integralmente l'opera, lo definisce «l'oscuro»; persino Socrate ebbe problemi a comprendere gli aforismi dell'«oscuro», sostenendo che erano profondi quanto le profondità raggiunte dai tuffatori di Delo.[1] Eraclito influenzò in vario modo i pensatori successivi: da Platone allo stoicismo, la cui fisica ripropone in gran parte la teoria eraclitea del logos.[2]

Rovine greche di Efeso

Della vita di Eraclito si hanno pochissime notizie,[3] mentre della sua opera filosofica sono sopravvissuti, attraverso testimonianze, soltanto pochi frammenti.

Nacque in una aristocratica[4]; il padre, dal nome incerto (le fonti riportano vari possibili nomi: Bautore, Blosone,[5] Blysone[6], Erachione, Erachino[7], Eraconte[8] o Eraconto[9] che, invece, a quanto presentato da Giannantoni si suppose essere il nome del nonno[4]), era un discendente di Androclo, il fondatore di Efeso, e possedeva mezzo stadio di terra e una coppia di buoi. Nonostante discendesse da una famiglia di nobile origine, a Eraclito non interessava né la fama né il potere né la ricchezza; infatti, nonostante in quanto primogenito avesse diritto al titolo onorifico di basileus[4] (che in greco significava re ed era la massima autorità sacerdotale), rinunciò a esso in favore del fratello minore[10].

Busto di filosofo greco, talvolta identificato con Eraclito (Roma, Musei capitolini)

Quando il re di Persia Dario, dopo aver letto il suo libro Sulla natura, lo invitò a corte promettendogli grandi onori[11], Eraclito rifiutò la sua proposta, rispondendogli che, mentre "tutti quelli che vivono sulla terra sono condannati a restare lontani dalla verità a causa della loro miserabile follia" (che per Eraclito consiste nel "placare l'insaziabilità dei sensi" e nell'ambizione al potere), lui invece è immune dal desiderio e rifugge ogni privilegio, fonte d'invidia, restando a casa sua e accontentandosi di quel poco che ha. Per il suo distacco dai beni materiali e il disprezzo per il potere e per la ricchezza, Eraclito non piaceva molto agli Efesini, che erano esattamente l'opposto; per questo venne criticato dagli Efesini quando riuscì a convincere il tiranno Melancoma ad abdicare e ad andare a vivere nei boschi, ad aperto contatto con la natura[12]. Visse in solitudine nel tempio di Artemide ove, stando a quanto dice Diogene Laerzio, depose il suo libro, «avendo deciso intenzionalmente, secondo alcuni, di scriverlo in forma oscura, affinché ad esso si accostassero quelli che ne avessero la capacità e affinché non fosse dispregiato per il fatto di essere alla portata del volgo»[13]. Mentre Teofrasto sostiene che, a causa del temperamento melanconico di Eraclito, esso non fu mai portato a termine e fu scritto in modo discontinuo[14]. Il testo sempre a quanto presentato da Diogene Laerzio «godette di una tale fama che alcuni se ne fecero seguaci e furono chiamati Eraclitei»[15]. La deposizione del libro nel tempio conferma peraltro il suo temperamento aristocratico, essendo un gesto volto a proteggerlo dalla massa degli umani.[16] Vivendo per lo più isolato, Eraclito trascorse gli ultimi anni prima della morte sui monti, cibandosi di sole piante, adottando una dieta strettamente vegetariana.[17]

Durante l'eremitaggio sui monti, si ammalò di idropisia e quindi «tornò in città e, in forma di enigma, chiese ai medici se fossero capaci di far sì che dall'inondazione venisse la siccità; e poiché quelli non lo comprendevano, si seppellì in una stalla sotto il calore dello sterco animale, sperando che l'umore evaporasse». Da qui si raccontano cinque versioni leggermente diverse. Nella prima, «non avendone, neppure così, alcun giovamento, morì dopo essere vissuto sessant'anni.»[18]. Ermippo presenta invece «ch'egli chiese ai medici se qualcuno fosse capace di essiccare l'umore vuotando gli intestini; alla loro risposta negativa, si distese al sole e ordinò ai ragazzi di ricoprirlo di sterco animale. Stando così disteso, il secondo giorno morì e fu seppellito nella piazza»[15]. Mentre Neante di Cizico «dice che era rimasto lì non essendo più riuscito a staccarsi lo sterco di dosso, e che, divenuto irriconoscibile per la deformazione, fu divorato dai cani»[15]. È possibile che la causa di morte di Eraclito sia stata proprio l'annegamento nello sterco di mucca[19][20], anche se «Aristotene nell'opera Su Eraclito dice che era guarito dall'idropisia e che era morto per un'altra malattia; questo lo afferma anche Ippoboto»[21].

Eraclito in un dipinto di Johannes Moreelse

Dell'opera di Eraclito ci rimangono testimonianze e frammenti sparsi, in forma di aforismi oracolari[22]. In un frammento fa difatti riferimento alla maniera di interpretare i responsi dell'oracolo di Apollo a Delfi:

« Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica.[23] »

Sempre a quanto posto da Diogene Laerzio vi furono moltissimi che diedero interpretazioni del suo libro tra i quali: Antistene, Eraclide Pontico, Cleante, Sfero lo Stoico, Pausania detto l'Eraclitista, Nicomede, Dionisio, Diodoto che negò che il testo trattasse della natura ma riguardasse la politica, Ieronimo e Scitino.[24] Eraclito manifesta un atteggiamento filosofico che potremmo definire "iniziatico", ritenendo infatti di non poter essere compreso dalla moltitudine. A conferma di ciò disse:

(IT)
« Uno è per me diecimila, se è il migliore »

(GRC)
« εἷς ἐμοὶ μύριοι, ἐὰν ἄριστος ἦι »
(Galeno, De Dignoscendis Pulsibus; frammento 49[25])

Ma non si limitò alla folla, infatti criticò apertamente anche i più sapienti dell'epoca, colpevoli di non aver compreso l'unitarietà del Logos:

(IT)
« L'erudizione non insegna ad avere intelligenza: altrimenti l'avrebbe insegnata ad Esiodo e a Pitagora ed inoltre a Senofane e ad Ecateo. »

(GRC)
« πολυμαθίη νόον (ἔχειν) οὐ διδάσκει· Ἡσίοδονγὰρ ἂν ἐδίδαξε καὶ Πυθαγόρην αὖτις τε Ξενοφάνεά (τε) καὶ Ἑκαταῖον. »
(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 1; frammento 40[26])

In lui probabilmente sono presenti anche alcuni legami con la tradizione orfica e dionisiaca.[27][28] Eraclito è comunemente passato alla storia come il "filosofo del divenire"[29] legato al motto «tutto scorre» (pánta rhêi, in greco πάντα ῥεῖ), ma in realtà il famoso detto non è attestato nei frammenti giunti fino a noi ed è probabilmente da attribuirsi al suo discepolo Cratilo che svilupperà il pensiero del maestro, estremizzandolo. In ogni caso la formula lessicale "panta rei" verrà coniata ed utilizzata la prima volta da Simplicio in Phys., 1313, 11.[30] L'origine di tale affermazione è legata all'aforisma eracliteo n. 91:

« Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento essa si disperde e si raccoglie, viene e va.[31] »

In altri frammenti afferma che il solo Logos è immutabile, ma prende forme mutevoli in quanto l'universo eracliteo è panteistico e mutevole al tempo stesso:

(IT)
« Non ascoltando me, ma il logos, è saggio intuire che tutto è Uno, e che l'Uno è tutto. »

(GRC)
« Οὐκ ἐμοῦ, ἀλλὰ τοῦ λόγου ἀκούσαντασ [ὁμολεγεῖν] σοφόν ἐστιν ἒν πάντα εἰδέναι. »
(Eraclito, DK, FR 50)

Se da un lato è sensato - per buona parte della critica storico-filosofica - riferirsi ad Eraclito come il "filosofo del divenire", su un altro versante interpretativo, sembra essere altrettanto appropriato approcciarsi al pensiero dell'efesio considerando la sua speculazione come incentrata su una prima e fondamentale importanza data al lògos. Nel sopra citato frammento, infatti, si nota quanto sia presente un non troppo implicito carattere rivelativo del lògos filosofico. Eraclito è il primo a mettersi in disparte: è perfettamente consapevole che l'ascolto debba essere indirizzato al lògos stesso e non, quasi profeticamente parlando, alla sua parola. In questo senso è egli stesso a farsi mero portavoce di un qualcosa che "già è" e che, in primis, "sempre è". Come ha osservato il filosofo Giorgio Colli, il verbo greco "eidénai" (εἰδέναι) indica preminentemente un "congetturare per immagini", un "intuire". Tale analisi filologica, evidenzia quella peculiare tensione del mondo greco antico a legare l'atto stesso della conoscenza con quello della visione.

È in questo senso che, circa un secolo dopo, Platone userà il termine eìdos (εἶδος) per enfatizzare il carattere mnemonico della conoscenza sensibile: infatti, il conoscere è, per Platone, risvegliare nell'anima dell'uomo l'idea di ciò che è stato già visto in un iperuranio ideale, esterno al mondo sensibile, in cui l'anima si trovava - contemplando e vedendo quelle idee - prima di incarnarsi nel corpo materiale. Emerge così, alla luce di queste precisazioni, la natura stessa del lògos eracliteo: è il senso del tutto che permea il tutto, rivelandosi indirettamente e rendendosi afferrabile tramite intuizione.

Gli svegli e i dormienti

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(IT)
« È la medesima realtà il vivo e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli, e quelli di nuovo mutando son questi. »

(GRC)
« Ταὐτὸ τ΄ἔνι ζῶν καὶ τεθνηκὸς καὶ ἐγρηγορὸς καὶ καθεῦδον καὶ νέον καὶ γηραιόν· τάδε γὰρ μεταπεσόντα ἐκεινά ἐστι κἀκεῖνα πάλιν μεταπεσόντα ταῦτα. »
(Eraclito, frammento 88)

Ricorre nel pensiero filosofico di Eraclito la contrapposizione fra i desti e i dormienti:[32] è «unico e comune il mondo per coloro che sono svegli»,[33] ossia quelle persone, che, andando oltre le apparenze, sanno cogliere il senso intrinseco delle cose,[34] mentre «agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo di quando non sono coscienti di quel che fanno dormendo»,[35] riferendosi alla mentalità degli uomini comuni, i dormienti appunto. Eraclito intende per filosofi tutti quelli che sanno indagare a fondo la loro anima, che, essendo illimitata, offre all'interrogando la possibilità di una ricerca altrettanto infinita.[36] Il pensiero eracliteo è quindi aristocratico,[37][38] in quanto egli definisce la maggioranza degli uomini superficiali, poiché tendono a dormire in un sonno mentale profondo che non permette loro di comprendere le leggi autentiche del mondo circostante.[39] Secondo Eraclito infatti «rispetto a tutte le altre una sola cosa preferiscono i migliori: la gloria eterna rispetto alle cose caduche; i più invece pensano solo a saziarsi come animali».[40] La testimonianza di Diogene Laerzio conferma come Eraclito fosse uno «spregiatore del volgo».[41][42]

I migliori e i più

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Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano, identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle.[43]

(IT)
« Rispetto a tutte le altre una sola cosa preferiscono i migliori: la gloria eterna rispetto alle cose caduche; i più invece pensano solo a saziarsi come bestie »

(GRC)
« αἰρεῦνται γὰρ ἓν ἀντὶ ἁπάντων οἱ ἄριστοι, κλέος ἀέναον θνητῶν' οἱ δὲ πολλοὶ κεκόρηνται ὅκωσπερ κτήνεα »
(Clemente Alessandrino, Stromateis (Miscellanea)[44])

Eraclito pone anche una contrapposizione tra i "migliori" (ἄριστοι, aristoi), i quali, a suo avviso, «preferiscono una sola cosa a tutte le altre: la gloria eterna alle cose caduche», e i "più" (οἱ δὲ πολλοὶ, oi de polloi), i quali «invece pensano solo a saziarsi come bestie».

Da tale contrapposizione si deduce che per Eraclito i "più" sono in maggioranza rispetto ai "migliori". Ancora, con queste premesse, si potrebbe attribuire ad Eraclito un pensiero non solo filosoficamente aristocratico, ma anche politicamente oligarchico, o monarchico:

(IT)
« Legge è anche ubbidire alla volontà di uno solo »

(GRC)
« νόμος καὶ βουλῆι πείθεσθαι ἑνός »
(Clemente Alessandrino, Stromateis (Miscellanea)[45])

e

(IT)
« Uno è per me diecimila, se è il migliore »

(GRC)
« εἷς ἐμοὶ μύριοι, ἐὰν ἄριστος ἦι »
(Galeno, De Dignoscendis Pulsibus[25])

Si deduce di conseguenza una netta contrapposizione tra la "gloria eterna", la quale è sia ciò che è preferito dai "migliori" sia ciò che in quanto tale ne attesta l'essere "migliore", e tutte le altre cose, ossia quelle "caduche, mortali", tra le quali vi è anche il "pensare solo a saziarsi come bestie", che è quanto pensato dai "più".

La dottrina dei contrari

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(IT)
« Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi. »

(GRC)
« Πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι, πάντων δὲ βασιλεύς, καὶ τοὺς μὲν θεοὺς ἔδειξε τοὺς δὲ ἀνθρώπους, τοὺς μὲν δούλους ἐποίησε τοὺς δὲ ἐλευθέρους. »
(Ippolito di Roma, Κατὰ πασῶν αἱρέσεως ἔλεγχος - Confutazione di tutte le eresie, IX, 9, 4; Diels-Kranz, frammento B 53.[46])

La dottrina dell'unità dei contrari è forse l'aspetto più originale del pensiero filosofico eracliteo.[47] La legge segreta del mondo risiede nel rapporto di interdipendenza di due concetti opposti (fame-sazietà, pace-guerra, amore-odio ecc.)[48] che, in quanto tali, lottano fra di loro ma, nello stesso tempo, non possono fare a meno l'uno dell'altro, poiché vivono solo l'uno in virtù dell'altro: ciascuno dei due infatti può essere definito solo per opposizione, e niente esisterebbe se allo stesso tempo non esistesse anche il suo opposto. Così, ad esempio, una salita può essere pensata come una discesa da chi vi si trova in cima.

Tra i contrari si crea una sorta di lotta. In questa dualità, questa guerra fra i contrari (polemos) in superficie, ma armonia in profondità, Eraclito vide quello che lui definiva il logos indiviso, ossia la legge universale della Natura.

Ed è proprio la dottrina dei contrari che fa di Eraclito il fondatore di una logica degli opposti, antitetica a quella aristotelica e fondata sulla legge del divenire della realtà. In essa, infatti, tesi e antitesi (essere e non-essere) sono una sintesi contraddittoria e permanente nella realtà che solo così può divenire, attraverso i suoi due coessenziali aspetti ("nello stesso fiume scendiamo e non scendiamo"; "siamo e non siamo"); ed è antitetica alla logica aristotelica perché opposta al suo principio di non contraddizione e del terzo escluso ("Il mare è l'acqua più pura e impura: per i pesci è potabile e gli conserva la vita, per gli uomini è imbevibile e mortale").[49]

« Immortali mortali, mortali immortali, viventi la loro morte e morienti la loro vita. »
(Frammento 62)

I primi filosofi greci cercavano l'origine, o archè, dei fenomeni negli enti della realtà naturale, a partire da Talete di cui ci restano alcune testimonianze aristoteliche in cui sembrerebbe affermare che l'arché è l'acqua. È costante infatti nella filosofia antica la consapevolezza che le cose derivino da un principio che in quanto tale è unico, ingenerato e imperituro, indivisibile ed immutabile.[50]

La dottrina delle quattro essenze fondamentali della Terra, acqua, terra, aria, fuoco, fornisce gli elementi tra i quali i primi filosofi greci scelsero l'arché, i più generali tra i costituenti del mondo sensibile. Platone mostrerà che l'arché del sensibile sono le idee iperuraniche, e che dunque non può essere trovata nemmeno nei costituenti fondamentali, e che il sensibile postula l'esistenza di una realtà trascendente che lo causa.

Aristotele affermò che l'arché secondo Eraclito fosse il fuoco. In alcuni frammenti, effettivamente, sembra che Eraclito sostenga questa tesi: il fuoco, condensandosi, diventa aria, quindi acqua e poi terra; dopodiché, esso può rarefarsi per tornare ad essere acqua, aria, e in seguito fuoco.[51] Quindi tutto ha origine e fine nel fuoco. Questo permetterebbe di collegare Eraclito con le ricerche naturalistiche dei filosofi di Mileto. In realtà, è probabile che il riferimento al fuoco vada inteso in senso più metaforico: in questo elemento fisico sembra infatti mostrarsi la teoria ontologica di Eraclito. Il fuoco è sempre vivo, in continuo movimento; è in ogni momento diverso dal momento precedente, ma allo stesso tempo sempre uguale a sé stesso. Analogamente l'arché è il primo ed unico principio, la nascita e la morte, l'inizio e la fine: come il fuoco, che nella giusta misura ora si accende e ora si spegne, in quanto è il divenire la realtà fondamentale, assieme al Logos.[52]

L'universo come Dio-tutto

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Questa visione cosmologica sfocia nell'identificazione panteistica dell'universo con Dio, inteso come unità dei contrari, mutamento continuo e fuoco generatore.

« La divinità è giorno-notte, inverno-estate, guerra-pace, sazietà-fame. Ed essa muta come il Fuoco. »
(Frammento 67)

Questo Dio-tutto comprende quindi in sé ogni cosa, costituisce una realtà increata che esiste da sempre e per sempre. Eraclito crede anche nella ciclicità del cosmo, concepita come insieme di fasi alterne di distruzione-produzione, al punto che alcuni autori attribuiscono a lui il concetto di ekpyrosis, una sorta di grande conflagrazione universale.[47]

  1. González Calero Pedro, in Rido ergo sum, ed. Ponte alle Grazie, 2008.
  2. Eraclito, Frammenti, Introduzione, p. XXV, a cura di Francesco Fronterotta, BUR, 2013.
  3. Secondo quanto riportato da Diogene Laerzio ci sarebbero stati cinque Eracliti (Vite dei filosofi, IX 17). Secondo la traduzione di Giovanni Reale: «Ci furono cinque Eraclito: il primo è questo del quale ho parlato; il secondo è un poeta lirico, a cui è dovuto l'inno Dei dodici dèi; il terzo è un poeta elegiaco di Alicarnasso, rivolgendosi al quale Callimaco compose questa poesia: "Mi annunziò un tale... allunga la mano". Il quarto fu uno di Lesbo, che scrisse una Macedonia; il quinto fu uno che mescola il serio e il faceto, che prima di fare questo era stato suonatore di cetra» (da I presocratici. Prima traduzione integrale..., ed. cit., p. 363).
  4. 4,0 4,1 4,2 «Per un panorama completo dei problemi e delle discussioni moderne su Eraclito, cfr. ZELLER-MONDOLFO, La filosofia dei Greci, cit. I 4. Riguardo alla famiglia di Eraclito, a parte l'incertezza del nome del padre (Blosone e Blisone [cfr. A 3 e 18 A 7]; Eraconte si è supposto essere il nome del nonno), si sa che era di nobile origine e che al suo capo spettava il titolo di βασιλεύς (cfr. A 2): il che può valere a spiegare l'atteggiamento aristocratico di Eraclito e la sua violenta polemica contro il democratico che si instaurò ad Efeso intorno al 478.» (I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Gabriele Giannantoni, ed. cit., p.179, nota 1)
  5. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 1.
  6. Clemente Alessandrino, Stromata, I 65.
  7. Suida
  8. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 1, Secondo traduzione di Giovanni Reale in I presocratici. Prima traduzione integrale..., ed. cit., p. 317
  9. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 1, Secondo la traduzione di Gabriele Giannantoni in I Presocratici. Testimonianze e frammenti, p.179.
  10. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 6.
  11. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 13.
  12. Clemente Alessandrino, Stromata, 1, 65.
  13. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 6. Tratto da I Presocratici. Testimonianze e frammenti
  14. «Teofrasto sostiene che, a causa del suo temperamento melanconico, egli compose il suo scritto per un verso senza portarlo a termine e per l'altro in modo discontinuo». Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 6. Tratto da I Presocratici. Testimonianze e frammenti
  15. 15,0 15,1 15,2 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 4. Tratto da I Presocratici. Testimonianze e frammenti
  16. Eraclito su filosofico.net.
  17. Indro Montanelli, Storia dei Greci, capitolo XI, Eraclito, BUR, 2010 (prima ed. 1959)
  18. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 3. Tratto da I Presocratici. Testimonianze e frammenti
  19. Focus, Morte e immortalità n° 41, p. 64.
  20. Francesco Rende, Come la filosofia può salvarti la vita, 2013, estratto
  21. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 5. Tratto da I Presocratici. Testimonianze e frammenti
  22. «[...] ricordiamo che alcuni, sulla base del carattere "discorsivo" di questo primo frammento, hanno negato che il libro di Eraclito fosse composto in stile aforistico e oracolare: se noi abbiamo questa impressione è solo per il modo in cui gli antichi hanno fatto le loro citazioni; e se Eraclito depose il libro nel tempio di Artemide (cfr. A 1 § 6) ciò può spiegarsi pensando che con ciò egli voleva assicurarne la conservazione. Tuttavia questo modo di citazione non può essere casuale e del resto Eraclito, di fronte all'incapacità a comprendere degli uomini, doveva dire di sé quel che dice l'oracolo delfico (B 93) e della Sibilla (B 92). Dai tentativi, fatti in seguito, di esporre in modo sistematico la filosofia di Eraclito, derivano le trattazioni dossografiche, del tipo di quella che troviamo in Diogene Laerzio.» (da I presocratici. Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 195).
  23. Frammento DK 93.
  24. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX 15-16.
  25. 25,0 25,1 Citato anche da Quinto Aurelio Simmaco e da Teodoro Prodromo in Epitalamio per le nozze di Giovanni Comneno e... Taronita. Da I presocratici. Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 202, traduzione di Gabriele Giannantoni. Nella traduzione di Giovanni Reale: «Uno solo vale più di diecimila, se è il migliore». Da I presocratici. Prima traduzione integrale..., ed. cit., p. 353.
  26. Traduzione di Marcello Gigante, Bari, Laterza, 1962, p. 422.
  27. Eraclito. Dell'origine, a cura di A. Tonelli, Feltrinelli, 2005.
  28. Frammenti 15 e 58, DK
  29. Così ad esempio G. Reale: «Per Eraclito le cose non hanno realtà se non appunto nel perenne divenire. È questo senza dubbio l'aspetto della dottrina di Eraclito divenuto più celebre, tosto fissato nella formula "tutto scorre" (pànta rhèi)» (da Il pensiero antico, p. 23, Vita e Pensiero, Milano 2001, ISBN 88-343-0700-3).
  30. «Panta rhei os potamòs» (πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός, "tutto scorre come un fiume")
  31. Frammento 91, Diels-Kranz
  32. «Il motivo dell'opposizione sonno-veglia, connesso con quello dell'incapacità umana a comprendere il logos e la vera natura delle cose (cfr. quanto osservato a proposito di B 17, n. 28) è frequente in Eraclito: lo abbiamo già visto in B 1 e lo ritroveremo in B 26, B 73, B 75, B 87 e B 89. Al di là di molte sottili questioni ermeneutiche (per le quali si rinvia all'esposizione in Zeller-Mondolfo, op. cit., I 4, pp. 279-87) e l'indubbia oscurità di alcune sue formule, il senso fondamentale sta nel parallelismo tra le coppie sogni-sonno e saggezza particolare (cfr. B 2)-vita. In altri termini le opinioni particolari degli uomini, proprio perché separate da "ciò che è saggio" (cfr. B 108 e n. 52) danno di ciò che vediamo un'immagine di alcunché di morto (unità di vivo e di morto cfr. B 62) e non hanno maggiore consistenza dei sogni che vediamo nel sonno. Per questo i "valori" notturni del sonno e della morte fanno tutt'uno con quelli "luminosi" della veglia e della vita.» Questa interpretazione è di Gabriele Giannantoni in I presocratici. Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 201.
  33. Dal libro Sulla superstizione di Plutarco, in Diels-Kranz, 89. La traduzione dal greco antico in italiano di Gabriele Giannantoni risulta come segue: «unico e comune il mondo per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio particolare» (da I presocratici. Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 215). Quella di Giovanni Reale è invece: «Eraclito dice che per coloro che sono svegli esiste un mondo unico e comune, e che invece ciascuno di coloro che dormono torna nel proprio mondo» (da I presocratici. Prima traduzione integrale..., ed. cit., p. 363). La traduzione di Angelo Tonelli è infine: «Per i risvegliati c'è un cosmo unico e comune, ma ciascuno dei dormienti si involge in un mondo proprio.» (da Eraclito, Dell'Origine, a cura di Angelo Tonelli, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1993).
  34. «Molti sono scadenti, pochi quelli che valgono» (fr. 14, A 72, Colli).
  35. Diels-Kranz 1.
  36. «Non potrai mai raggiungere i confini dell'anima, per quanto tu possa andare percorrendo per intero le sue vie: tanto profondo è il suo lògos» (fr. 45, Diels-Kranz).
  37. Eraclito su filosofico.net: «l'aristocraticismo di Eraclito non è molto legato alla vita politica, quanto piuttosto a quella intellettuale e culturale».
  38. «La tradizione lo ricorda come un uomo orgoglioso e solitario, difensore e sostenitore di valori aristocratici e poco comprensibili alla gente comune» (G. Granata, Filosofia, vol. I, pag. 25, Alpha Test, 2001).
  39. «Per parte sua, il volgo, verso il quale l'aristocratico Eraclito non nutre se non disprezzo, si adagia in un'ignoranza presuntuosa» (F. Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, pag. 345, Mondadori, 1988).
  40. Diels-Kranz 29.
  41. «Eraclito depose il suo libro nel tempio di Artemide, avendo deciso intenzionalmente, secondo alcuni, di scriverlo in forma oscura, affinché ad esso si accostassero <solo>[integrazione di Diels] quelli che ne avessero la capacità e affinché non fosse dispregiato per il fatto di essere alla portata del volgo. E questo sottolinea anche Timone [fr. 43 Diels], allorché dice:
    Tra di essi s'innalzò con il suo grido l'enigmatico Eraclito, dispregiatore della folla.
    Teofrasto sostiene che, a causa del suo temperamento melanconico, egli compose il suo scritto per un verso senza portarlo a termine e per altro in modo discontinuo. Antistene nelle Successioni [F.H.G. III 182*] riferisce un indizio della sua generosità: rinunciò infatti al potere regale in favore del fratello. Il suo scritto godette di una tale fama che alcuni se ne fecero seguaci e furono chiamati Eraclitei» Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 6. Tratto da I Presocratici. Testimonianze e frammenti.
  42. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 6.
  43. «In tempi più recenti, è stata avanzata l'ipotesi che si tratti di Empedocle di Agrigento (492-432 a.C.). Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica collocazione del bronzo all'interno della villa dove faceva pendant con il bronzo raffigurante Pitagora (inv. 5607), che fu suo maestro» (Museo archeologico Nazionale di Napoli Archiviato il 6 agosto 2016 in Internet Archive.).
  44. In Diels-Kranz 29. Da I presocratici. Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 202, traduzione di Gabriele Giannantoni. Nella traduzione di Giovanni Reale: «Gli uomini migliori preferiscono una sola cosa a tutte le altre, ossia la gloria eterna alle cose mortali; i più, invece, amano saziarsi come le bestie». In I presocratici. Prima traduzione integrale..., ed. cit., p. 349.
  45. In Diels-Kranz 33. Da I presocratici. Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 202, traduzione di Gabriele Giannantoni. Nella traduzione di Giovanni Reale: «Legge è anche ubbidire alla volonta dell'Uno». In I presocratici. Prima traduzione integrale..., ed. cit., p. 349
  46. (FR)philoctetes.free.fr.
  47. 47,0 47,1 Nicola Abbagnano; Giovanni Fornero, la filosofia 1A, Pearson, p. 37, ISBN 978-88-395-3092-9.
  48. Frammento 67.
  49. fr. 61. Aristotele tuttavia sosterrà l'impossibilità che il medesimo attributo appartenga e non appartenga contemporaneamente al medesimo oggetto sotto il medesimo aspetto, mentre Eraclito faceva forse riferimento a due diversi aspetti nei quali lo stesso oggetto può essere osservato. In tal caso, la sua ambiguità rispetto ad Aristotele consisterebbe piuttosto nell'assegnare alle contraddizioni una valenza oggettiva che è invece meramente soggettiva.
  50. «La maggior parte di coloro che per primi filosofarono ritennero che i soli principi di tutte le cose fossero quelli di specie materiale, perché ciò da cui tutte le cose hanno l'essere, da cui originariamente derivano e in cui alla fine si risolvono, pur rimanendo la sostanza ma cambiando nelle sue qualità, questi essi dicono è l'elemento, questo è l'arché delle cose e perciò ritengono che niente si produce e niente si distrugge, poiché una sostanza siffatta si conserva sempre» (Aristotele, Metafisica, I, 3, 983b).
  51. «Il fuoco vive della morte della terra e l'aria vive della morte del fuoco; l'acqua vive della morte dell'aria, la terra della morte dell'acqua» (Eraclito, frammento 76).
  52. Di origine chiaramente iranica sono la dottrina del fuoco e delle sue trasformazioni negli altri elementi, come la teoria dell’unità degli opposti, la quale alluderebbe alle stesse trasformazioni del fuoco, e la teoria di un Dio saggio, che è separato da tutto e tutto governa. La sacralità del fuoco è stata infatti molte volte affermata dalla religione zoroastriana, e la stessa concezione eraclitea del Sole come un bacile pieno di fuoco ricorda l’altare del fuoco di Zoroastro. Il reciproco scambio degli elementi, poi, deriverebbe addirittura dalla teoria della nascita e della morte presente nelle Upanishad. Anche la famosa dottrina eraclitea della guerra come madre di tutte le cose deriverebbe dalla concezione zoroastriana della lotta fra i due dèi opposti. A proposito di Eraclito, dunque, si può affermare che il suo pensiero conserva chiare tracce di influenza derivante dall’India, sicuramente attraverso la Persia. (Martin Litchfield West, La filosofia greca arcaica e l’Oriente, Il Mulino, Bologna, 1993).