Vai al contenuto

Storia della filosofia/Evoluzione dell'Accademia e del Liceo

Wikibooks, manuali e libri di testo liberi.
Storia della filosofia

L'Accademia platonica e il Liceo aristotelico continuarono esistere nei primi decenni dell'Ellenismo. Tuttavia le due scuole si allontanarono progressivamente dalle dottrine dei loro fondatori.

L'Accademia dopo Platone

[modifica | modifica sorgente]
Resti dell'Accademia platonica ad Atene

Platone fondò la sua scuola nel 387 a.C., su un terreno che aveva acquistato e che era dedicato al mitico eroe Academo: da qui il nome di Accademia. Il filosofo inoltre fece riconoscere giuridicamente la sua scuola come comunità di studio consacrata al culto delle Muse. Gli allievi dell'Accademia non erano infatti "studenti" in senso moderno del termine, ma la scuola era piuttosto simile a una confraternita i cui membri partecipavano economicamente al suo mantenimento. Sembra inoltre che non vi fosse uno statuto scritto, ma l'organizzazione e la relativa regolamentazione spettava allo scolarca, cioè il capo della scuola.

Attorno all'Accademia gravitarono studiosi di diverse discipline, tra cui matematici, astronomi e forse persino medici provenienti dalla Sicilia. Lo scopo era coltivare la scienza a fini etici e politici. Questa situazione cambiò con la morte del fondatore: i successori di Platone svilupparono solo alcuni aspetti del suo pensiero, lasciandone da parte altri. La politica fu rapidamente abbandonata, anche a causa delle nuove condizioni dettate dal regime di Alessandro Magno, così come diminuì l'interesse per la matematica e le scienze naturalistiche; l'etica rimase centrale mentre la metafisica degenerò e la speculazione mistico-religiosa andò in direzioni diverse da quelle tracciate dal maestro.[1]

Eudosso di Cnido

[modifica | modifica sorgente]

Tra gli allievi dell'Accademia c'era il matematico e astronomo Eudosso di Cnido (Cnido, 408 a.C. – 355 a.C.), che è considerato uno dei maggiori scienziati dell'antichità. Ebbe complessi rapporti con la scuola di Platone, in cui entrò quando era poco più che ventenne. In seguito compì viaggi in Egitto e in Magna Grecia, dove studiò matematica, medicina e astronomia, ed entrò in contatto con i pitagorici. Nel 378 a.C. fondò una propria scuola a Cizico; tornato ad Atene alcuni anni dopo, dove ebbe vari discepoli, alcuni provenienti dall'Accademia.[2]

La riflessione filosofica di Eudosso si distaccò dagli insegnamenti di Platone per due aspetti: ritenne infatti che le idee fossero causa delle cose per mescolanza,[3] e identificò il bene con il piacere. Il suo edonismo si basava sulla constatazione che ogni essere tende al piacere: ognuno infatti tende spontaneamente a ciò che è migliore, e poiché tutti gli esseri sono portati alla stessa cosa, cioè il piacere, se ne deduce che questo coincide con il bene sommo. Come è evidente, le sue tesi sono in netta opposizione con l'etica platonica e diedero origine a un acceso dibattito. Eudosso in particolare parla dell'uomo riferendosi solo alla sua natura fisica, tralasciando completamente gli aspetti spirituali.[4]

Il modello astronimico di Eudosso

Eudosso deve però la sua fama principalmente ai suoi studi come matematico e astronomo. Dalle testimonianze sappiamo che si occupò di molte questioni di geometria, come la duplicazione del cubo, la teoria delle proporzioni e il metodo dell'esaustione; molte sue ricerche e dimostrazioni furono poi riprese da Euclide negli Elementi.[5] In astronomia formulò invece un modello geometrico in cui la Terra si trovava al centro dell'universo, mentre gli altri corpi celesti erano fissi sulle superfici di sfere ideali concentriche, le quali ruotavano di moto uniforme attorno ai loro poli. La Luna, il Sole e i pianeti ruotavano ciascuno su una propria sfera indipendente, mentre un'ultima sfera ospitava le stelle fisse. Tuttavia, per poter spiegare il movimento della Luna e del Sole fu costretto ad assegnare a ciascun corpo una serie di sfere, tutte concentriche, che si muovono ruotando su un unico punto di moto uniforme, avendo però ciascuna un periodo diverso. In questo modo i corpi celesti, muovendosi, disegnavano delle curve molto complesse, con le quali Eudosso pensava di poter spiegare ogni movimento osservabile in cielo.[6]

Eraclide Pontico

[modifica | modifica sorgente]

Personaggio di spicco dell'Accademia antica, Eraclide Pontico (Eraclea Pontica, 385 a.C. – Atene, 322 a.C. o 310 a.C.) sostituì per breve tempo Platone come capo della scuola, nel periodo in cui il fondatore compì il suo ultimo viaggio a Siracusa. Alla morte di Speusippo, la sua autorevolezza era tale che fu candidato come nuovo scolarca, ruolo che però andò a Senocrate. Amareggiato, Eraclide abbandonò l'Accademia e tornò in patria, dove concluse i suoi giorni.

Nella sua filosofia iniziano a vedersi le prime fratture rispetto agli insegnamenti del maestro. Anzitutto, dalle fonti risulta che Eraclide non si occupò mai della dottrina delle idee. Sviluppò invece una dottrina atomistica, secondo cui tutte le cose sono composte da atomica capaci di entrare in una relazione reciproca. Le combinazioni tra gli atomi avvenivano in modo meccanico, escludendo quindi l'esigenza di idee intelligibili. Tuttavia ammetteva l'esistenza di un dio, che aveva il compito di combinare tra loro gli atomi. L'anima invece è composta da materia, più precisamente di materea siderea e luminosa, la stessa di cui sono fatte le stelle.[7]

Come Eudosso, anche Eraclide è però ricordato nella storia della filosofia e della scienza principalmente per le sue teorie cosmologiche. Prendendo le distanze dal modello di Eudosso, e basandosi sull'osservazione che la luminosità dei corpi celesti varia nel corso dell'anno, Eraclide immaginò che i pianeti Mercurio e Venere ruotassero attorno al Sole, il quale a sua volta ruotava attorno alla Terra. La sua tesi fu poi rielaborata da Aristarco di Samo, ma la sua influenza superò i secoli, tanto da essere ripresa nel Cinquecento da Tycho Brahe.[8]

Allievo e nipote di Platone, Speusippo (Atene, 393 a.C. circa – 339 a.C.) fu suo successore come scolarca dell'Accademia, che resse per otto anni. Poche sono le notizie sulla sua vita, e le sue opere andarono perdute nell'incendio che scoppiò durante l'assedio di Silla la città di Atene. Oggi possediamo solo frammenti di scuoi scritti, citati in opere di altri autori. In particolare, conosciamo le sue dottrine principalmente attraverso Aristotele, che ne fa un bersaglio polemico nella sua critica contro gli accademici e la dottrina platonica delle idee.[9]

Sembra che Speusippo abbia presto preso le distanze dal maestro, negando l'esistenza delle idee. Riteneva piuttosto che nel mondo intelligibile ci fossero solo degli enti numerici e geometrici, forse, come suggerisce Aristotele,[10] per evitare le difficoltà insite nella dottrina platonica delle idee. Questi enti erano eterni, immutabili e potevano essere colti solo con il pensiero. Erano quindi completamente diversi e nettamente separati dagli oggetti sensibili.[11]

I numeri sono quindi il primo essere, e hanno come loro principio l'unità, intesa come unità prima e indeterminata che poi si sviluppa nel numero uno e negli altri numeri. Inoltre, lo sviluppo dall'uno agli altri numeri avviene, per Speusippo, in maniera progressiva, arrivando così alla pluralità degli esseri. Dai numeri, Speusippo passa poi a entità più complesse, come le grandezze (il cui principio è il punto, cioè l'estensione spaziale pura) e le anime. Queste ultime dovevano probabilmente essere intese come «forme di ciò che è generalmente esteso». È forse attribuibile a Speusippo anche la tesi secondo cui l'anima sarebbe divisa in quattro parti: la prima corrisponde all'intelletto, la seconda alla dianoia (conoscenza discorsiva), la terza alla doxa (opinione) e la quarta alla sensazione.[9]

Gli antichi commentatori hanno poi ipotizzato che Aristotele si riferisca a Speusippo quando, in un passo degli Analitici secondi,[12] sostiene che non è necessario conoscere tutte le realtà per dare definizioni e riconoscere le differenze. Quella contro cui si scaglia lo Stagirita è una posizione che potrebbe essere definita di "olismo epistemologico": per sapere che cos'è il numero 3, per esempio, bisogna conoscere anche le definizioni di tutti gli altri numeri. Sempre da Aristotele[13] ricaviamo inoltre che per Speusippo la conoscenza parte dagli assiomi primi della matematica, i quali si rivelano da sé all'anima, e da questi si parte per conoscere le verità matematiche. Da Proclo, invece, sappiamo che era probabilmente sostenitore del realismo matematico, cioè riteneva che gli enti matematici esistevano in una realtà eterna, da cui derivava la verità dei teoremi matematici.[14]

Per quanto riguarda l'etica, Speusippo condusse contro Eudosso una polemica anti-edonistica. Il piacere è un male, poiché è incapace di raggiungere un'unità stabile. Piacere e dolore inoltre sono due mali antitetici, tra i quali si pone il vero bene, cioè l'assenza di dolore. In altre parole, il bene per l'uomo si trova in uno stato neutro caratterizzato dalla mancanza di turbamento.[9]

Anche della vita di Senocrate (Calcedonia, 396 a.C. – Atene, 314 a.C.), successore di Speusippo come scolarca dell'Accademia, sappiamo molto poco. Fedele allievo di Platone, forse suo compagno durante i viaggi a Siracusa, fu eletto capo della scuola nel 339 a.C., superando per pochi voti un concorrente come Eraclide Pontico. La sua elezione fu una novità, poiché alla guida dell'Accademia non c'era un più membro della famiglia di Platone, ma un meteco di origini povere e sostenitore di una linea politica antimacedone. Diversamente dai predecessori, visse stabilmente all'interno dell'Accademia e fu un oppositore di Antipatro, che governò la Macedonia dopo la morte di Alessandro Magno. La sua riflessione filosofica si staccò da quella del maestro; tuttavia pochissime sono le fonti da cui possiamo ricavare le sue dottrine.[15]

Senocrate è ricordato principalmente per la sua divisione della filosofia in tre parti: fisica, etica e dialettica. Questa tripartizione, che Senocrate fa derivare dal pensiero platonico, ebbe grande influenza sulla filosofia ellenistica. Stoici, epicurei ed eclettici divisero infatti la filosofia in logica, fisica ed etica, mentre gli scettici rivolsero critiche a questa partizione.[16]

Senocrate riprese e modificò anche la dottrina platonica della conoscenza. Il reale viene diviso in tre piani:

  1. ciò che sta fuori dal cielo, cioè la realtà intelligibile, a cui corrisponde la conoscenza noetica;
  2. ciò che sta nel cielo, in cui sensibile e intelligibile si mescolano, a cui corrisponde la rappresentazione doxastica;
  3. ciò che sta dentro la sfera del cielo, cioè il sensibile, a cui corrisponde la percezione sensoriale.

L'unica vera conoscenza è quella noetica, che riguarda l'intelligibile, mentre la percezione sensoriale è vera solo empiricamente (le percezioni, in quanto constatazioni empiriche, sono sempre vere). La doxa può invece essere vera o falsa, poiché nel cielo si mescolano intelligibile e sensibile, dando origine all'errore.[17]

Per quanto riguarda il mondo intelligibile, influenzato sia da Platone sia da Speusippo, Senocrate sostenne che idee e numeri hanno la stessa natura. Da due princìpi, cioè l'Uno e la Diade indefinita, vengono generati i cosiddetti numeri ideali, da cui, a loro volta, derivano le linee, i piani, i solidi e tutti gli oggetti sensibili. Stando a quanto dice Aristotele nella Metafisica, i numeri ideali sarebbero composti di unità particolari, tali che è impossibile combinare le unità di un numero ideale con quelle di un altro. In questo senso sono diversi dai numeri matematici, che corrispondono ai numeri studiati dai matematici e utilizzati nell'aritmetica.[18]

Ultime fasi dell'Accademia antica

[modifica | modifica sorgente]

Alla morte di Senocrate, la guida dell'Accademia passò al suo allievo Polemone (seconda metà del sec. IV - prima metà del III a. C.), un giovane di ricca famiglia ateniese che Senocrate aveva convertito alla filosofia dopo una vita dissoluta. Acquistò così una costanza di carattere tale da essere apprezzato come modello dai contemporanei. Si dedicò esclusivamente all'etica: era infatti solito sostenere che il filosofo si doveva confrontare con fatti concreti e lasciar perdere le speculazioni dialettiche. La vita morale doveva avere come proprio fondamento la physis, la natura. Polemone distingueva inoltre tra i beni dello spirito, cioè la virtù, e i beni del corpo, inferiori ai primi ma comunque necessari per raggiungere la perfetta felicità.[19]

A Polemone successe, verso il 270 a.C., Cratete di Atene, l'ultimo scolarca dell'Accademia antica: nel 268-264 a.C. lasciò infatti il posto ad Arcesilao, con il quale si ebbe la svolta verso lo scetticismo che caratterizzò la nuova Accademia. Pochissimo si conosce del suo pensiero, le fonti antiche si limitano a dire che condivise gli interessi del maestro Polemone, di cui riprese le dottrine senza rielaborarle con particolare originalità.

Terza figura centrale dell'Accademia antica nella sua ultima fase fu Crantore (Soli, metà IV secolo a.C. – 276 a.C.). Contemporaneo di Polemone e Cratete, scrisse molte opere. Tra queste figura un commento al Timeo di Platone, in cui sostiene che il racconto della creazione a opera del Demiurgo debba essere inteso come un'invenzione a scopo didattico, per spiegare la struttura ontologica del mondo e dell'anima. Rivalutò inoltre il piacere, stabilendo una tavola dei valori che poneva al primo posto la virtù, seconda la salute, terzo il piacere e quarta la ricchezza. Entrò infine in polemica con gli stoici, di cui criticò la dottrina dell'apatia, alla quale contrappose la moderazione delle passioni.[20]

Dopo questi tre pensatori, l'Accademia antica giunse a una fine. Le astratte speculazioni di Speusippo e Senocrate, così come la riflessione mistica di Eraclide, non trovarono terreno fertile nella coeva filosofia ellenistica, più orientata all'immanenza. La stessa Accademia finì per abbracciare posizioni scettiche e solo secoli più tardi, con il medioplatonismo e il neoplatonismo la tradizione che faceva capo a Platone tornò a essere presa in esame.[21]

Il Liceo dopo Aristotele

[modifica | modifica sorgente]
Scavi archeologici nell'area dove sorgeva il Liceo aristotelico

La fondazione del Liceo risale al 335-334 a.C., quando Aristotele tornò ad Atene dopo tredici anni di assenza. Essendo un meteco non poteva però acquistare un terreno in città, e per questo scelse di insediare la sua scuola in un ginnasio pubblico nei pressi del santuario di Apollo Licio, da cui il nome di Liceo. Aveva inoltre l'abitudine di tenere lezione passeggiando: da qui i nomi di Peripato (Περίπατος, passeggiata), per la sua scuola, e di peripatetici, per i suoi allievi.

Fin da subito la scuola dello Stagirita si pose come concorrente dell'Accademia, all'epoca retta da Senocrate. Fu forse lo stesso fondatore a stilare il programma degli studi, che seguiva il sistema filosofico tracciato nei suoi scritti. Accanto quindi alle discipline teoretiche e pratiche vennero coltivate anche le scienze naturali, come la fisiologia, la zoologia e la biologia.[22] Tuttavia dopo la morte di Aristotele il Liceo, sotto l'impulso di Teofrasto e Stratone di Lampsaco, si orientò sempre più verso posizioni materialiste.[23]

Il diretto successore di Aristotele alla guida del Liceo fu Teofrasto (Ereso, 371 a.C. – Atene, 287 a.C.). Fu discepolo dello Stagirita fin dagli anni in cui insegnava in Asia minore e probabilmente lo seguì durante tutti i suoi spostamenti. Nel 323-322 a.C. divenne nuovo scolarca del Peripato, ruolo che conservò per trentacinque anni circa. Fu autore prolifico: a lui si devono vari scritti filosofici e di scienze naturali. Tra questi ultimi si ricordano due importanti trattati di botanica, la Historia plantarum e il De causis plantarum.[24]

La sua opera filosofica più importante è la Metafisica, così intitolata dai commentatori per analogia con l'opera del maestro che raccoglie gli scritti dedicati alla filosofia prima. Teofrasto analizza la natura dei principi primi, ma sembra prendere le distanze da alcune dottrine del maestro, come il tentativo di spiegare i fenomeni naturali secondo principi teleologici: pur riconoscendo una necessità nella natura, rifiuta di applicare indistintamente il principio secondo cui in ogni fenomeno la natura opera secondo un fine. Da qui Teofrasto sembra ipotizzare che tutto il mondo sia come un organismo, al cui interno tutti gli elementi sono legati tra di loro. Sembra inoltre rifiutare il concetto di motore immobile di cui parla il Libro XII della Metafisica di Aristotele: nel cosmo di Teofrasto i cieli si muovono da sé.[25]

Teofrasto dedicò poi vari scritti alla fisica, dei quali però ci sono giunte solo poche notizie citate in opere di altri autori. Ciò apre alcuni problemi nella ricostruzione del suo pensiero. Non è chiaro, per esempio, se riconoscesse l'etere come quinto elemento, così come sosteneva Aristotele. Sembra tuttavia che riconoscesse la preminenza del fuoco e che ritenesse che i cieli erano composti non di etere ma appunto di fuoco.[25]

Apportò inoltre alcune correzioni alla logica aristotelica: formulò cinque ulteriori tipi di sillogismo, introducendo in particolare il sillogismo ipotetico. L'opera di Teofrasto più conosciuta e letta sono però i Caratteri, in cui analizza una trentina di tipi umani, dimostrando particolare acume e attenzione per la psicologia.[26]

Stratone di Lampsaco

[modifica | modifica sorgente]

Stratone di Lampsaco (335 a.C. circa – 274 a.C. circa) è stato il peripatetico più famoso dell'antichità dopo Teofrasto. Fu precettore di Tolomeo II ad Alessandria e scolarca del Liceo. La sua è una dottrina immanentista e materialista: la natura basta infatti a se stessa e non necessita di un motore immobile, come sosteneva Aristotele. Allo stesso modo, rifiutava concetti come quello dell'anima cosmica e del divino artefice. Si avvicinò piuttosto alle tesi degli atomisti, ponendo, come Democrito, il peso e il movimento degli atomi come causa di tutte le cose. A questi due fattori, Stratone aggiunse il caldo e il freddo, da cui derivano le altre qualità degli oggetti. Tutti questi princìpi non operano in vista un fine, ma agiscono secondo necessità.[27]

Il motore immobile non è l'unico elemento della dottrina aristotelica che Stratone rifiutò. Per esempio, negò la teoria secondo cui il cielo sarebbe fatto di etere, sostenendo che invece è composto di fuoco. Negò anche la teoria dei moti naturali e modificò le dottrine aristoteliche del tempo e del movimento. Anche l'anima, infine, fu interpretata in termini materialistici come una «sostanza pneumatica» diffusa in tutto il corpo. Nel cervello, e in particolare nella zona tra le sopracciglia, si trova la parte dell'anima che ha il compito di comandare tutto il corpo, ed è anche l'unica ad avere la capacità di sentire. Il pensiero, così come la sensazione, nasce dai movimenti dell'anima.[28]

Le ultime fasi del Liceo

[modifica | modifica sorgente]

Secondo quanto racconta Diogene Laerzio, alla sua morte, Teofrasto donò la biblioteca di Aristotele a Neleo di Scepsi. È questa un'informazione particolarmente importante: la biblioteca dello Stagirita conteneva tutte le sue opere inedite, che furono trasferite da Neleo in Asia minore. In questo modo, tuttavia, la scuola peripatetica veniva privata di un importantissimo strumento di studio, cioè le opere del suo fondatore. Queste, stando alla testimonianza di Strabone, furono tenute nascoste dagli eredi di Neleo fino a che non furono acquistate da un bibliofilo di nome Apellicone, che le portò a Roma. Quando Apellicone morì nell'86 a.C., le opere furono requisite da Silla e affidate al grammatico Tirannione per essere trascritte. Solo alla metà del I secolo a.C., però, Andronico da Rodi approntò un'edizione sistematica di tutti gli scritti di Aristotele.

Da questa storia, forse romanzata da Strabone, si può comunque ricostruire che i successori di Aristotele non avevano accesso alle sue opere, che tornarono a essere lette e studiate solo in età romana, con l'edizione di Andronico. Durante il periodo ellenistico, i filosofi lessero quindi solo le opere essoteriche dello Stagirita, che però mancavano della profondità speculativa che invece caratterizza gli scritti acroamatici.[29]

  1. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 86-87.
  2. Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 1, Milano, Garzanti, 1970, p. 204.
  3. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 91.
  4. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 92-93.
  5. Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 1, Milano, Garzanti, 1970, p. 205.
  6. Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 1, Milano, Garzanti, 1970, p. 208.
  7. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 95-96.
  8. Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 1, Milano, Garzanti, 1970.
  9. 9,0 9,1 9,2 Margherita Isnardi Parente, Speusippo. Testimonianze e frammenti (PDF), su rmcisadu.let.uniroma1.it. URL consultato il 24 marzo 2019.
  10. Aristotele, Metafisica XIII, 9, 1086a.
  11. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 99-100.
  12. Aristotele, Analitici secondi II, 13, 97a.
  13. Aristotele, Metafisica XIV, 3, 1090a.
  14. Speusippus, in Stanford Encyclopedia of Philosophy. URL consultato il 24 marzo 2019.
  15. Margherita Isnardi Parente, Senocrate. Testimonianze e frammenti (PDF), su rmcisadu.let.uniroma1.it. URL consultato il 24 marzo 2019.
  16. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 108.
  17. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 110.
  18. Xenocrates, in Stanford Encyclopedia of Philosophy. URL consultato il 24 marzo 2019.
  19. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 116-118.
  20. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 119-120.
  21. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 121-122.
  22. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, p. 125-127.
  23. David Furley (a cura di), Routledge History of Philosophy, vol. 2, Londra-New York, Routledge, 1999, p. 148.
  24. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 125-127.
  25. 25,0 25,1 Theophrastus, in Stanford Encyclopedia of Philosophy. URL consultato il aprile 2019.
  26. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 140-141.
  27. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 148-149.
  28. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 150-151.
  29. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica, vol. 3, Milano, Vita e Pensiero, 1988, pp. 153-154.