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Storia della letteratura italiana/Francesco Guicciardini

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Storia della letteratura italiana
Storia della letteratura italiana
  1. Dalle origini al XIV secolo
  2. Umanesimo e Rinascimento
  3. Controriforma e Barocco
  4. Arcadia e Illuminismo
  5. Età napoleonica e Romanticismo
  6. L'Italia post-unitaria
  7. Prima metà del Novecento
  8. Dal secondo dopoguerra a oggi
Bibliografia

Francesco Guicciardini è considerato il progenitore della storiografia moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di verifica della sua Storia d'Italia. Fino al 1857 la sua fama poggiava sulla Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. Nel 1857 i suoi discendenti, i conti Piero e Luigi Guicciardini, aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Giuseppe Canestrini di pubblicare, in 10 volumi, le sue memorie. Negli anni dal 1938 al 1972 furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono in modo determinante ad un'accurata conoscenza della sua personalità.

Antonio Maria Crespi, Ritratto di Francesco Guicciardini

Francesco Guicciardini nasce a Firenze il 6 marzo 1483, terzogenito di Piero di Jacopo Guicciardini e Simona Gianfigliazzi. Appartiene a una delle famiglie più in vista della città, tra le più fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito familiare dedicata alla lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito), studia a Firenze giurisprudenza, seguendo le lezioni del celebre Francesco Pepi. Dal 1500 soggiorna a Ferrara per circa due anni, per poi trasferirsi a Padova. Rientrato a Firenze nel 1505, vi esercita, sebbene non ancora laureato, l'incarico di istituzioni di diritto civile; nel novembre dello stesso anno ottiene il dottorato in ius civile e inizia la carriera forense.

Nel 1506 conclude l'attività accademica; nel frattempo, nel novembre del 1508, si sposa, contro il volere paterno, con Maria Salviati, appartenente a una famiglia politicamente esposta e apertamente contraria a Pier Soderini, all'epoca gonfaloniere a vita di Firenze. Guicciardini si cura poco di queste rivalità, in quanto il suo interesse principale è di avere un futuro ruolo politico, alla luce soprattutto del prestigio di cui gode la famiglia della moglie.

Il matrimonio è per lui da trampolino di lancio, garantendogli una brillante e rapida ascesa politica: con l'aiuto del suocero è nominato tra i capitani dello Spedale del Ceppo. Nel 1508 cura l'istruttoria contro il podestà Piero Ludovico da Fano, iniziando la stesura delle Storie fiorentine e delle Ricordanze. Esattamente dieci prima, ossia con l'anno 1498, si erano chiuse le Cronache forlivesi di Leone Cobelli, che espongono le premesse degli avvenimenti riguardanti Caterina Sforza[1] e Cesare Borgia di cui Guicciardini si occupa, nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina.

Nel 1509, in occasione della guerra contro Pisa, viene chiamato a pratica dalla signoria, ottenendo, grazie all'aiuto del Salviati, l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi portano Guicciardini a una rapida ascesa nella politica internazionale, ricevendo dalla Repubblica fiorentina l'incarico di ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattolico nel 1512. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nascono la Redazione di Spagna, una lucida analisi delle condizioni socio-politiche della Penisola Iberica, e il Discorso di Logrogno, un'opera di teoria politica in cui Guicciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina.

Statua di Francesco Guicciardini alla Galleria degli Uffizi di Firenze

Nel 1513 torna a Firenze, dove da circa un anno è stata restaurata la signoria medicea con l'appoggio dell'esercito ispano-pontificio. Dal 1514 fa parte degli Otto di Guardia e Balia e nel 1515 entra a far parte della signoria. Nel 1516 Giovanni de' Medici, divenuto nel 1513 papa con il nome di Leone X, lo nomina governatore di Modena nel 1516. Il suo ruolo di primo piano nella politica romana si rinforza notevolmente nel 1517, con la nomina a governatore di Reggio Emilia e di Parma, proprio nel periodo del delicato conflitto franco-imperiale. È nominato nel 1521 commissario generale dell'esercito pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi; in questo periodo matura quell'esperienza che sarebbe stata cruciale nella redazione dei Ricordi e della Storia d'Italia.

Alla morte di Leone X, avvenuta nel 1522, Guicciardini si trova a contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa di Parma. Dopo l'ascesa al papato di Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, vien inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle lotte tra le famiglie più potenti; qui Guicciardini dà ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.

Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propaganda un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo è sottoscritto a Cognac nel 1526, ma si rivela ben presto fallimentare; di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in due libri, scritti fra il 1521 e il 1526, in cui si ripropone il modello della repubblica aristocratica; nel 1527 la Lega subisce una cocente disfatta e Roma è messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze è instaurata (per la terza e ultima volta) la repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritira in volontario esilio nella sua villa di Finocchieto, nei pressi di Firenze. Qui compone due orazioni, l'Oratio accusatoria e la defensoria, e una lettera Consolatoria, che segue il modello dell'oratio ficta, in cui espone le accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finge di ricevere consolazioni da un amico. Nel 1529 scrive le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli sopra la prima Deca di Tito Livio, in cui polemizza contro la mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. In questi mesi completa anche la redazione definitiva dei Ricordi.

Dopo la confisca dei beni, nel 1529 lascia Firenze e torna a Roma per rimettersi al servizio di Clemente VII, che gli offre l'incarico di diplomatico a Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze (1531), è accolto alla corte medicea come consigliere del duca Alessandro e scrive i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro. Non è tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, Cosimo I, che lo lascia in disparte. Guicciardini si ritira nella sua villa di Santa Margherita in Montici ad Arcetri, dove trascorre gli ultimi anni dedicandosi alla letteratura: riordina i Ricordi politici e civili, raccoglie i suoi Discorsi politici e soprattutto scrive la Storia d'Italia. Muore ad Arcetri il 22 maggio 1540.[2][3]

Nessuna delle opere di Guicciardini, a eccezione della Storia d'Italia, è stata scritta per la pubblicazione. Nel corso del XVI secolo, tuttavia, iniziano a circolare postume alcuni suoi testi, a cominciare dai Ricordi. Si tratta di una serie di riflessioni personali sulla politica, prive di sistematicità, che si inseriscono nella tradizione mercantile fiorentina di raccogliere avvertimenti che potevano essere letti solo da altri membri della famiglia. Saranno stampati per la prima volta a Parigi nel 1576, con il titolo di Avvertimenti, riscuotendo subito un ampio successo e affermandosi come un modello per il genere dell'aforisma.[4]

Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la discrezione (Ricordi, 6), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi, 28) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato.[5]

La Storia d'Italia

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Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia

Guicciardini è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle vicende italiane tra il 1492 e il 1532 e capolavoro della storiografia della prima epoca moderna e della storiografia scientifica in generale. Come tale, è un monumento al ceto intellettuale italiano del XVI secolo, e più specificamente alla scuola fiorentina di storici filosofici (o politici) di cui fecero parte anche Niccolò Machiavelli, Segni, Pitti, Nardi, Varchi, Francesco Vettori e Donato Giannotti.[5]

I primi appunti dell'opera risalgono al 1536, ma solo l'anno successivo Guicciardini inizia a lavorarvi con una certa costanza, quando si vede negare un ruolo di guida nella politica del duca Cosimo. Dopo la morte dell'autore, che interrompe la revisione delle ultime parti, fa sì che la Storia d'Italia rimanga inedita fino al 1561, quando è pubblicata a Venezia. Il successo è immediato e sviluppa una vivace polemica, soprattutto negli ambienti protestanti. All'inizio del Seicento la Storia d'Italia sarà messa all'indice.[6]

L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del Rinascimento con pazienza e intuito. L'autore si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e pensatore (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).[5]

La Storia ripercorre il passaggio dalla condizione di libertà goduta dall'Italia alla fine del Quattrocento, a partire dall'età di Lorenzo il Magnifico, alla sottomissione al potere straniero nel Cinquecento. Cercando la logica di queste trasformazioni, Guicciardini ricostruisce una serie di errori e sconfitte, a causa dei quali gli stati italiani sono finiti in balia dei «barbari». Una volta saltati i tradizionali schemi dell'interpretazione storica, l'Italia si trova in una situazione nuova, nella quale ha acquisito una nuova identità politica.[7]

  1. "Donna di grandissimo animo e molto virile", secondo il Guicciardini (Storie fiorentine, cap. XIX).
  2. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1969, p. 319.
  3. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 333-334.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 334.
  5. 5,0 5,1 5,2 Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1963, pp. 94-97.
  6. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, p. 336.
  7. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 336-337.