Storia della letteratura italiana/Giovanni Della Casa
Giovanni Della Casa è noto soprattutto come autore del manuale di belle maniere Galateo overo de' costumi, scritto probabilmente dopo il 1551 ma pubblicato postumo nel 1558, che fin dalla sua comparsa ha goduto di grande successo. Molti importanti sono però anche le sue Rime, che rappresentano uno dei momenti più alti nella lirica cinquecentesca.
La vita
[modifica | modifica sorgente]Della Casa è di origine fiorentina e nasce il 28 luglio 1503 in località "La Casa" a Borgo San Lorenzo nel Mugello. Studia a Bologna, a Firenze, sotto la guida di letterati del tempo tra i quali Ubaldino Bandinelli e Ludovico Beccadelli, e a Padova. In questo periodo compone alcune opere licenziose. Consigliato da Alessandro Farnese, intorno al 1532 intraprende la carriera ecclesiastica a Roma, considerata come la carriera che all'epoca garantiva il maggiore prestigio. Arriva a diventare arcivescovo di Benevento nel 1544 e, nel medesimo anno, Paolo III lo nomina nunzio apostolico a Venezia.[1]
Della Casa, già noto per la sua vita mondana, a Venezia trova il palco ideale delle sue aspirazioni. Il suo palazzetto sul Canal Grande diventa il luogo d'incontro della migliore nobiltà veneziana assieme ad artisti, poeti e letterati, e divenne lui padre di un figliuolo veneziano. Scrive poi numerosi versi e trattati. Le prime opere importanti (tolte le poesie burlesche di gioventù) sono le due orazioni in volgare dirette alla Repubblica di Venezia e a Carlo V: l'Orazione per la Lega e l'Orazione a Carlo V per la restituzione di Piacenza.
Sempre durante il suo soggiorno a Venezia, scrive in latino ciceroniano il trattatello Quaestio lepidissima: an sit uxor ducenda, ove si interrogava sul valore del matrimonio. Giovanni Della Casa introduce il tribunale dell'Inquisizione in Veneto e si occupa dei primi processi contro i riformisti. Nel 1548 compila un Indice dei libri proibiti.
Nel 1544 è messo in cattiva luce per la protezione data al fuggiasco Lorenzino de' Medici, che aveva assassinato il duca Alessandro de' Medici ed era ricercato dai sicari di Cosimo I de' Medici: Alessandro era stato marito di Margherita d'Austria, la quale aveva poi sposato Ottavio Farnese, nipote proprio del suo protettore Paolo III. Non riceverà mai la porpora cardinalizia e con la morte del suo protettore Alessandro Farnese e l'elezione di papa Giulio III cade in disgrazia. Della Casa deve lasciare Roma, dove era ritornato nel 1551, e si ritira a Nervesa, un paese del Trevigiano, dove probabilmente scrive Il Galateo overo de' costumi, così chiamato perché dedicato a monsignor Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa, che lo aveva ispirato.
Il testo si richiama ai dettami rinascimentali e propone una serie di consigli e regole tali da consentire una vita armonica e semplice. Allo stesso periodo risale anche il Carminum Liber, una raccolta di componenti di vario genere in latino utilizzando in modo ordinato l'elegia, l'esametro sia satirico che epistolare sulla scia di Orazio, l'epodo (sempre oraziano), poi un gruppo di grandi odi oraziane, una per la morte di Orazio Farnese, duca di Casto, durante l'assedio a Hesdin, un'altra in onore del patrizio fiorentino e amico Pier Vettori, che curava l'edizione dei Latina Monimenta Ioannis Casae nel 1564 presso i Giunta a Firenze.
Le sue liriche mettono in evidenza il suo attivismo di ricercatore e curatore dello stile e di un linguaggio originale ed articolato. È poi richiamato a Roma come segretario di stato da papa Paolo IV, succeduto a Giulio III. Muore a Roma il 14 novembre 1556. Edite postume alla morte dell'autore nel 1558, le Rime hanno largo successo tra i letterati del tempo.
Il Galateo
[modifica | modifica sorgente]Per leggere su Wikisource il testo originale, vedi Galateo overo de' costumi
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L'opera più famosa di monsignor Della Casa è il Galateo, un trattato sulle buone maniere che scrisse su invito di Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa, noto anche con l'appellativo di Galatheus (da cui deriva il titolo). Il libro si presenta come una raccolta di insegnamenti che un fittizio vecchio illetterato impartisce a un giovane. Per farlo utilizza un tono discorsivo e uno stile che, pur formalmente controllato, si avvicina al parlato.
È quindi un'opera didattica che analizza nel dettaglio una serie di precetti e consigli pratici. Il suo scopo è rimediare agli errori più comuni che si possono commettere nella vita sociale. Non vengono affrontati ideali assolute, ma si individuano piuttosto dei pratici modi di fare comuni, che possono essere utili a risultare piacevoli quando ci si trova con altre persone. Qui sta la differenza rispetto al Cortegiano di Baldassarre Castiglione: le virtù aristocratiche vengono abbassate e rivolte a un pubblico più vasto rispetto a quello della corte. Questo ampliamento è anche alla base della fortuna dell'opera, tanto che ancora oggi "galateo" è considerato un sinonimo di buone maniere.[2] D'altra parte, come sottolinea Ferroni, quello proposto da Della Casa è un rigido conformismo, preoccupato solo di apparire onesto e di allontanare quanto può sembrare sporco, volgare o disdicevole. Un conformismo che risente già della cultura controriformistica.[3]
Le Rime
[modifica | modifica sorgente]Il Galateo sarà pubblicato postumo nel 1558, insieme alle poesie di Della Casa, nel volume Rime et prose a cura del suo segretario Erasmo Gemini. Mentre nel trattato sulle buone maniere utilizza sempre un tono medio, nelle sue Rime Della Casa mantiene sempre un tono sostenuto e solenne, che concilia la poesia petrarchesca con le "rime petrose" di Dante. Raggiunge la più alta intensità nelle liriche in cui, messa da parte la tradizionale tematica amorosa, affrontano temi esistenziali, soffermandosi su inquietudini e questioni morali.
Le Rime hanno una particolare importanza nella lirica cinquecentesca, soprattutto per l'innovativa tecnica del cosiddetto "legato dellacasiano". Questa consiste nell'infrazione della struttura ritmica del sonetto: il verso è dilatato, ma allo stesso tempo franto dall'enjambement (per Tasso si parli di "rompimenti" o "inarcature"), che lo inarca nel verso successivo. In questo modo il verso non si conclude alla fine dell'endecasillabo, ma a metà di quello successivo, acquistando così una maggiore estensione e una musicalità nuova. Questo metodo ebbe grande influenza sui lirici del Cinquecento, su Tasso e più tardi su Foscolo.[4]
Note
[modifica | modifica sorgente]- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 187.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 187-188.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2003, pp. 343-344.
- ↑ Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria, L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma, in Moduli di letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 188.